Kidou stava contando i minuti sul desktop del suo portatile. I responsabili dei reparti aziendali, intorno a lui, stavano svolgendo l’usuale report settimanale sull’andamento della produzione e della contabilità. Solitamente, Kidou non batteva ciglio quando quelle riunioni si protraevano ben oltre l’orario lavorativo, uscire dal suo ufficio alle nove o alle dieci di sera era prassi collaudata. O almeno, così era stato prima che le cose con Gouenji si facessero serie. Da quando si era trasferito in pianta stabile nel suo piccolo appartamento in periferia, quel claustrofobico monolocale sempre più disordinato era diventata la loro tana d’amore e ogni minuto di straordinari passato nelle quattro mura del suo ufficio gli sembrava un minuto sprecato.
Non vedeva l’ora di tornare a casa: cucinare la cena nel loro cucinino, vedere Shuuya indossare le sue scolorite felpe vecchie che metteva solo in casa e appisolarsi con lui sul divano… Il solo pensiero gli rendeva leggera la mente e gli causava un formicolio dolcissimo. I suoi dipendenti e colleghi non si erano ancora abituati a quel suo netto cambiamento e spesso riceveva occhiate sbalordite e mormorii confusi quando, allo scoccare dell’ora, raccoglieva le sue cose e lasciava pratiche e documenti last minute sulla scrivania, per occuparsene l’indomani. Yuuto non li biasimava, era stato un workaholic per tutti i suoi primi anni nell’azienda, ma era assurdo che non capissero. Come avrebbe potuto non voler correre a casa, quando a casa c’era Shuuya?
Varcò l’uscio con un entusiasmo da spasimante e trovò Gouenji che si indaffarava in cucina, fra gusci di uova rotti sulla tavola e qualche residuo di farina tra le punte bionde dei capelli: quando gli andò incontro, per salutarlo e chiedergli come fosse andata la giornata, a Yuuto parve di vederlo piroettare e giurò di non aver mai ricevuto da quelle labbra bacio più dolce.
Gouenij fu costretto dalle circostanze a svelare la sorpresa che stava preparando: dato che Kidou gli aveva raccontato, tempo addietro, che uno dei ricordi più belli della sua infanzia fossero i biscotti che preparava per merenda la signora Mio, si era sentito sfidato e aveva deciso di preparare a sua volta dei biscotti, in modo tale da riuscire a dimostrare che fossero addirittura superiori a quelli dei ricordi di Yuuto da bambino.
Solo sentendo ammettere dal proprio ragazzo le motivazioni dietro a quel gesto, Kidou si sentì infiammare e volentieri l’avrebbe spogliato dal grembiule e non solo, ma successe l’imprevedibile: fu Gouenji ad allacciargli, dietro la schiena, un grembiule simile al proprio. Kidou boccheggiò, pensando di essere dentro un sogno: forse in auto si era addormentato e al primo semaforo rosso sarebbe stato costretto a destarsi. Eppure, Gouenji e i suoi occhi sornioni erano lì, reali e vividi davanti a lui, malleabili come burro e profumati di bacche di vaniglia.
Passarono il tempo giocando a sporcarsi i vestiti con la farina, dosare con precisione millimetrica i vari ingredienti in recipienti colorati e graziosi che Yuuto ordinava sulla tavola, mentre Shuuya cercava di tenere stabile la temperatura del forno di quell’appartamento, non esattamente l’ultimo modello in commercio. Ci misero parecchio tempo; si interrompevano l’uno con l’altro le attività con ghiotti abbracci e baci sempre più caldi. La parte più divertente fu manipolare l’impasto: Kidou non era a suo agio con la consistenza di quest’ultimo e si voleva continuamente pulire le mani, Gouenji così lo intrattenne nella decisione delle forme da dare ai biscotti, avevano infatti a disposizione diverse sagome di varie dimensioni tutte da provare.
Stendere, dare la forma desiderata ai biscotti e decorarli erano i passaggi più attesi da Yuuto, era come se non avesse mai contemplato l’esistenza di tutto il resto del procedimento. Quando, finalmente, la teglia di biscotti fu in forno a cuocere, Kidou si accomodò per terra, noncurante della sporcizia che avevano sparso in tutta la stanza, e la fissò con attenzione, come se quel procedimento di doratura potesse trasmettergli il calore di cui sentiva il bisogno. Gouenji pulì la tavola e rassettò la cucina, dopodiché gli lanciò un’occhiata intenerita e senza dir nulla prese a sfogliare il ricettario. Dopo un po’, Kidou alzò gli occhi e, accorgendosi di quanto il biondo fosse intento nella lettura, incuriosito si avvicinò.
-Ora non mi guardi più? Cosa c’è scritto di così interessante lì?-
-La tua nuova ricetta preferita di biscotti.- sorrise appagato, il familiare sorriso sicuro di sé del bomber di fuoco scolpiva di nuovo i tratti del suo viso. Kidou ridacchiò, eccitato dalla sua boria e con un abbraccio gli sfilò il grembiule di dosso. Nel seguirlo sul divano, Gouenji ebbe l’accortezza di controllare che il timer del forno fosse impostato.
*
Gli occhi di Yuuto si aprirono su un soffitto che li stupì… Come li stupiva da un anno, ormai. Erano dodici mesi esatti da quando era iniziata la loro convivenza ed era grato di ogni singolo giorno.
Socchiuse le palpebre e si accomodò meglio fra le lenzuola, scivolando con il bacino in avanti. Era presto per la sveglia, poteva riaddormentarsi… Generalmente lo faceva, non era mai stato un tipo particolarmente mattiniero… Eppure indugiò un momento: nessun sogno sarebbe mai stato all’altezza della specifica realtà in cui si trovava, in cui il respiro pesante di Shuuya, addormentato al suo fianco, si infrangeva contro il cuscino e, se si avvicinava un poco, si ritrovava i suoi biondi capelli annodati in bocca. Strabiliato dalla gioia che provava, Yuuto avvicinò le proprie gambe a quelle del ragazzo addormentato e gli cinse con dolcezza la vita. Lo sentì mugolare qualcosa di indistinto, così, temendo si svegliasse, Yuuto prontamente gli lasciò un bacio sulla schiena, là dove il pigiama si era tirato e lasciava scoperta la nuca. Non visto, Gouenji schiuse la bocca in un sorriso appagato e qualche goccia di saliva bagnò il cuscino. Kidou chiuse gli occhi e si riaddormentò subito: era in un posto sicuro.
Quando la sveglia suonò per davvero, Shuuya non c’era più: non era un fatto molto insolito, per cui Kidou non ne fu turbato. Con serenità iniziò la propria giornata in quel piccolo appartamento: essendo vissuto nella grande villa dei Kidou, soffriva la ristrettezza degli ambienti, ma meno di quanto si sarebbe immaginato. Ovunque si voltava, c’era qualcosa di Gouenji e sentire la sua presenza in quelle poche stanze lo faceva sentire molto più a casa rispetto ai labirintici corridoi e ai grandi saloni della sua casa d’infanzia. In fondo, avevano tutto ciò che occorreva: un letto, una cucina, un tavolo, un bagno... Luce e calore: sì, poteva funzionare.
O almeno, era ciò che si ripeteva. In realtà, Kidou sapeva bene che in quella casa non c’era spazio per neanche la metà del suo armadio, che era rimasto a casa Kidou: sapeva che non c’era una zona lavanderia e anche Shuuya andava nelle lavanderie pubbliche per il proprio bucato e la biancheria di casa. Sapeva che mancava una vera e propria divisione tra zona giorno e zona notte, che non si potevano ricevere ospiti in quella piccola casina, che Hobi non aveva spazio per una cuccia appropriata, né lui uno studio per le attività lavorative che svolgeva da casa, né tantomeno Shuuya aveva la possibilità di costruirsi una palestrina che tanto desiderava. Oltretutto, per il piacere e le capacità che aveva Shuuya ai fornelli, sarebbe stato opportuno avere uno spazio cottura più ampio e anche un posto auto di proprietà avrebbe senz’altro giovato, dato che al momento Gouenji doveva fare i salti mortali per trovare parcheggio quando rientrava tardi da lavoro, così spesso demordeva e si muoveva con i mezzi, nonostante gli piacesse e gli desse maggiore pace guidare un mezzo autonomo.
Kidou sapeva quello e molto altro: gli sforzi che da anni Gouenji affrontava alla ricerca di un’entrata economica stabile, l’orgoglio da cavaliere con cui si presentava a casa da lui con un mazzo di fiori a sorpresa, la fierezza spezzata con cui fingeva di non vedere le belle macchine sportive in centro, i sorrisi che le passeggiate con Hobi gli regalavano, per non parlare dello smisurato amore, misto a un certo acre tentennamento, che gli illuminava lo sguardo ogni volta che vedeva dei bambini giocare a calcio in un parco.
Kidou sapeva che Gouenji stava rimettendo in carreggiata la sua vita e farlo sentire in difetto per i metri quadrati della sua abitazione non era in alcun modo nei suoi intenti. Una sistemazione più ricca, comoda e spaziosa sarebbe venuta, a suo tempo: per il momento, si divertiva a rotolare sul letto per raggiungere la cassettiera, alludendo scherzosamente al fatto che non ci fosse lo spazio per mettersi in piedi. Quelle lenzuola profumavano di sé e di Gouenji, un odore nuovo, mai sperimentato prima di allora, che gli rendeva ogni problema del tutto trascurabile.
Non beveva molto, ultimamente. Il che non era esattamente come non bere affatto, ma lo riteneva un progresso. Piccolino. Non sapeva se fosse causa o conseguenza del suo riallacciato rapporto sentimentale con Shuuya, ma era intenzionato a seguire la strada che Nonon gli indicava, in modo da tutelare Shuuya da situazioni spiacevoli che, altrimenti, avrebbero potuto verificarsi. Kidou sapeva di non essere solo, di avere l’appoggio di molti affetti e persone care, e si scopriva a rinunciare con serenità a costosi calici e potenti strette di mano per accettare in cambio succhi di frutta del discount e abbracci sinceri. Quelli, nella casa che lui e Gouenji chiamavano “nostra”, non mancavano mai: oltretutto, a dire il vero, Shuuya gli preparava ottime spremute con frutta fresca, per nulla scadenti.
L’amore di Gouenji lo accompagnava ovunque andasse: persino a lavoro, nel bento che non aveva mai smesso di preparargli, dopo “l’incidente” di Fukuzawa, nei messaggi che gli inviava quando era in pausa, nei giocosi momenti di evasione che gli proponeva… Come quello che successe un pomeriggio, quando Kidou si sentì avvisare, dal numero interno della sua segretaria, che il taxi che aveva fatto chiamare era pronto e lo stava aspettando di sotto. Kidou, confuso, aveva ribattuto che non aveva fatto chiamare nessun taxi per la verità. La comunicazione si era interrotta e Kidou era tornato sui suoi fogli da lavoro, ma rapidamente era stato ricontattato dal numero interno:
-Misumi, c’è altro?- aveva risposto, scocciato.
-Kidou-sama, il conducente insiste per parlarle…-
-E io insisto nel dire che non ho chiamato nessun taxi. Per favore, Misumi-san, non farmi importunare ulteriormente.-
Sorprendentemente, lei aveva riso, il che aveva fatto insospettire positivamente Kidou. Con un sospiro accondiscendente si era sbilanciato e, appena aveva sentito la voce di Shuuya dall’altra parte del telefono, aveva riso con una tale leggerezza nella voce da attirare l’attenzione persino del suo vice, persona famosa per avere una concentrazione incredibile.
Dopo pochi minuti era fuori dall’ufficio e, sfilando di fronte alla scrivania della sua segretaria, come pegno di pace l’aveva incoraggiata a uscire a sua volta prima. Honoka gli aveva strizzato l’occhiolino e, con un umorismo che Yuuto non aveva ancora conosciuto in lei, gli aveva risposto: -Va bene, direttore, ma prendo il prossimo taxi, questo glielo lascio volentieri. Buona corsa!-
Era entrato in macchina di Gouenji ridendo come un imbecille.
Era febbraio, il cielo era buio nonostante fosse ancora pomeriggio: dopo aver bevuto una cioccolata calda, decisero di fare una passeggiata nel quartiere della loro infanzia. Camminavano mano nella mano, ognuno assorto nelle proprie riflessioni, Gouenji era il ritratto della calma e Kidou sentiva che non avrebbe potuto esserci giornata più bella di quella. D’un tratto, con leggerezza, guardando in direzione del fiume, disse: -Sono contento di poter tenere per mano una persona bella e buona come te, Shuuya.-
L’espressione di Gouenji si fece tesa e profonda: si irrigidiva sempre quando gli facevano dei complimenti, nel corso degli anni non era affatto cambiato, semplicemente Kidou l’aveva scoperto e quella maschera di freddezza tanto affascinante era caduta, quantomeno ai suoi occhi. Non per questo però gli appariva meno amabile. Strinse con più convinzione la presa contro le sue dita, intrecciate nelle proprie, e Shuuya gli sorrise, ammirandone i tratti gentili e rilassati nella luce del tramonto. –Anch’io, amore.-
Si diressero senza indugi verso il negozio di dolciumi: Kidou era davvero ghiotto di caramelle, ma per qualche ragione mostrava segni di imbarazzo e di resistenza all’idea di entrare in quel piccolo esercizio vicino alla loro scuola media e comprare seriamente dei dolcetti alla loro età. Il copione si ripeteva da qualche tempo sempre al medesimo modo: Gouenji, facendo spallucce, gli diceva che, se preferiva, poteva aspettarlo di fuori, avrebbe fatto da solo, intanto conosceva bene i suoi gusti, ma Kidou, facendo un rapido calcolo a mente, stabiliva ogni volta che fosse ancora più imbarazzante aspettare da solo sul marciapiede di fronte ad un negozio di dolciumi, tanto valeva allora entrare, quantomeno sarebbe stati in due. Il biondo ridacchiava e gli cingeva i fianchi, accompagnandolo nel fare il primo passo in avanti: il rasta, seppur tutto rosso in volto, si guardava attorno con curiosità e circospetto, gli occhi man mano si facevano più grandi mentre scovava quelle praline di zucchero dentro le graziose e colorate confezioni.
Come spesso accadeva, anche quel pomeriggio lo aiutò a rilassarsi il fatto che l’attenzione dell’esercente fosse attratta da un gruppetto di ragazzini chiassosi. I due poterono quindi indisturbati fare il giro delle pareti del piccolo locale, curiosando con gli occhi le varie leccornie. Il preciso Kidou, il meticoloso Kidou, l’accorto Kidou non aveva un gran occhio per quanto riguardava il dosaggio degli zuccheri complessi come quelle caramelle, di cui riempì, come ogni volta, il sacchetto vertiginosamente. Gouenji però non era certo lì per insegnargli l’autocontrollo, anzi, a suo dire non l’avevano viziato abbastanza, nonostante Kidou continuasse ad affermare che, in realtà, fosse stato un ragazzino parecchio viziato, soprattutto durante il periodo delle scuole medie. Gouenji, conservando le proprie perplessità a riguardo, gli comprava le caramelle che desiderava e lo guardava, con comodo affetto, uscire dal negozio con il sacchetto rigonfio in mano.
*
Kidou era un amante tenerissimo, ma alquanto territoriale. Gouenji fremeva d’anticipazione ogni volta che sentiva - perchè oh, lo sentiva eccome - quel particolare tipo di baci: erano come farfalle, delicatissime e invadenti battiti d’ala, tanto lievi da essere quasi impercettibili, tanto prepotenti da essere quasi impossibili da scacciare. Non che Gouenji lo desiderasse, comunque. Con quei piccoli baci volanti Yuuto sapeva raggiungere ogni parte del suo corpo e disegnarla come se dovesse reinventarla. Ogni volta uguale. Ogni volta perfetta.
-Yuuto…- mugugnò Gouenji, girando il viso a occhi chiusi per chiedere un bacio sulle labbra. Il suo ragazzo l’accontentò subito, poi prese giocosamente il suo labbro inferiore fra i denti, tirandolo per infastidirlo.
-Avevi detto che facevi la doccia, non vai più?– Canticchiò per stuzzicarlo, facendo leva sugli avambracci per sollevarsi leggermente e guardarlo dall’alto in basso con quel suo bellissimo sorriso beffardo, pago e birbante. Shuuya si lamentò a mezza voce, poi sempre ad occhi chiusi sollevò un braccio nel tentativo di afferrarlo. Kidou pensò di poterlo schivare facilmente, ma non fu abbastanza veloce: Shuuya gli prese la mano e lo obbligò a tornare disteso al suo fianco, abbracciandolo. Kidou rise, il cuore teso dall’affetto che provava:
-Cosa c’è, adesso fai i capricci?-
-Mi piacciono le coccole, non c’è niente di male in questo.-
Kidou non poteva essere più d’accordo.
Sorprendentemente, Shuuya decise davvero di alzarsi dal letto, ad un certo punto. Non si prese neanche la briga di rivestirsi, essendo diretto in doccia, così Yuuto poté ammirare indisturbato la sua sfilata fino al bagno. Gli sembrava di vedere stelline nell’aria. Rimase a rotolarsi un poco fra le lenzuola, ma l’odore di chiuso e di umore lo disturbava, così si alzò, aprì la finestra per areare e ne approfittò per fumarsi una sigaretta. Era tutto perfetto.
Finché lo sguardo non gli cadde sul tavolo della cucina, a pochi passi di distanza.
Shuuya doveva aver ritirato la posta quando erano rientrati in appartamento, non ci aveva fatto caso prima. Le buste erano ancora sigillate, ma Yuuto dall’intestazione si accorse che erano relative alla casa, non personali, così non si fece scrupoli ad aprirle. Era semplicemente curioso e ignaro di cosa avrebbe trovato.
Gouenji ci mise una ventina di minuti. A sua volta rilassato e inconsapevole, si lavò, si vestì di pulito, si asciugò con cura i capelli e tornò fischiettando alla zona giorno. La situazione in cui si trovava era così bella, così appagante, lo rendeva così felice… La gratitudine era così dominante in lui da porre persino in ombra le legittime ansie che avrebbero dovuto impensierirlo e renderlo cauto. Invero la prudenza non aveva alcuno spazio nella bellissima routine che aveva con Yuuto e non ne era stupito: aveva voglia di viziarlo, di prendersi cura di ogni cosa, perché ogni cosa avrebbe funzionato, non ci sarebbe più stato alcun problema… Almeno così credeva. Per l’ennesima volta, la sua impulsività fu il suo più grande difetto, oltre alla sua più eclatante virtù.
Quando arrivò al tavolo, notò prima il pallore sul bel volto del suo compagno e il modo in cui stringeva il labbro inferiore fra i denti. Subito preoccupato, stava per chiedergli spiegazioni quando lo sguardo gli cadde su ciò che teneva in mano. Avvolto da un’improvvisa spira gelida di consapevolezza, tacque, in tremante attesa.
-Vieni e siediti qui. Dobbiamo parlare. Adesso.-
Erano ordini. In quanto tali, non prevedevano discussioni. E infatti Gouenji non discusse. Non era davvero pronto per sostenere quella conversazione: non si era preparato, non se l’era immaginata affatto. Ma, in qualche modo, sapeva che sarebbe potuta accadere.
Il movimento di Kidou fu tanto perentorio da apparire teatrale: tenendo gli occhi ben fissi su Gouenji, sfilò dalla tasca il telefono aziendale, pigiò il pulsante di spegnimento e appoggiò l’apparecchio sul tavolo, in modo che fosse palese che non voleva essere interrotto o disturbato, da niente o da nessuno. Non c’era nulla più importante della conversazione che stava per agganciare. Gouenji si tenne forte alla sedia, come sulle montagne russe.
-Siamo indietro con l’affitto di due mesi… Quando pensavi di parlarmene?-
-Non intendevo farlo.- fu l’onesta risposta. Gouenji la pronunciò a capo chino e labbra strette: mortificato sì, ottuso certamente, ma certo non era un bugiardo. Kidou avrebbe potuto apprezzare la sua franchezza, se fosse stato meno arrabbiato. D’altronde, una delle cose che più amava di Shuuya era il suo modo di prendere di petto le situazioni sgradevoli, affrontandole senza pensare di poterle schivare. Era stato beccato in flagrante nel fallito tentativo di provvedere alla casa? Ebbene, sarebbe affondato con la nave dei suoi principi. Kidou però non capiva perché e ciò scatenava una tempesta di rabbia e delusione nel suo cuore: non aveva semplicemente senso.
Nel tentativo di agganciare il suo sguardo, per capire, per trovare un varco di senso in quell’assurdità, Kidou si sporse in avanti, con le braccia ben salde sul tavolo: sembrava pronto allo scontro e in effetti lo era.
-E non mi guardi neanche in faccia mentre me lo dici? Cazzo, Shuuya. E’ una cosa grave. Sono settimane che va avanti così e non hai mai pensato di dirmelo?! Non ti sei dimenticato di comprare il latte, questo è l’affitto! Di casa anche mia! … Beh? Di’ qualcosa almeno, non mi degni neanche di questo?-
Gouenji di riflesso era arretrato: appoggiandosi completamente allo schienale della sedia, teneva le braccia incrociate. Gli occhi, fissi sulle lettere appoggiate al tavolo. -Non so che dirti. Hai ragione, ma me ne sarei occupato da solo.-
-Non sai che… Questo sì che è un bel modo di occuparsi dei problemi! Parli come se ci vivessi solo tu in questa casa.- La voce di Kidou si fece più acuta, anelli di isteria gli stringevano la gola in una morsa. -E fra qualche mese cosa avresti fatto? Mi avresti detto che avremmo fatto “una bella vacanza”? O magari che avremmo vissuto nella tua macchina? Magari a quel punto ti saresti ricordato di dirmelo, o ti sarebbe venuto in mente quando avrei trovato le mie cose buttate nelle scale?-
Gouenji scrollò le spalle come una persona che si arrende. Kidou chiuse gli occhi un momento, non poteva tollerare di vederlo così vergognoso di se stesso, con quell’atteggiamento da perdente, di chi contempla il proprio fallimento senza provare a difendersi. Era semplicemente inaccettabile ai suoi occhi e, se Shuuya non avesse voluto farlo per se stesso, Yuuto avrebbe combattuto per il riscatto di entrambi.
Invece, Shuuya parlò. -Non volevo che tu lo sapessi. Vivi qui da così poco, non mi sembrava giusto darti questa preoccupazione.-
Era qualcosa, infatti per un momento Yuuto prese fiato… Ma non era abbastanza. -Hai detto bene, vivo qui. Come hai fatto a pensare che potesse non riguardarmi? Per quale cazzo di ragione non me lo hai detto?-
-Sì che ti riguarda, ma non ti compete.-
Espressivamente, inarcò un sopracciglio, trattenendo a stento improperi umilianti -...Prego?-
-Intendo dire che è casa mia…- Cominciava ad emergere la frustrazione di Gouenji e nessuno dei due sapeva come gestirla. -Sono io che ti ho invitato a vivere qui, è mia responsabilità che… che tutto sia a posto. Volevi che ti chiedessi di vivere con me e di pagare le spese? E’ per questo che sei arrabbiato?- Domandò quasi con candore, alzando gli occhi per la prima volta.
-Shuuya, ma che cosa stai dicendo? Responsabilità? Ma non lo sai quanto guadagno?- Kidou boccheggiava dallo stupore. -Volendo potrei comprare non l’appartamento, ma l’intera palazzina! Non mi accorgerei neanche di aver pagato l’affitto. E devo ritrovarmi queste…- Teatralmente, lanciò con sprezzo le lettere sul tavolo davanti a sé, sparpagliandole. -... nella cassetta della posta? Io? … Tutto questo è ridicolo. Talmente tanto ridicolo da essere offensivo. Il fatto che questo sia un problema è imbarazzante, devo sperare che mio padre non lo venga mai a sapere!-
Gouenji, nonostante tutto, si imbronciò, mostrandosi offeso. -Capisco che tu sia arrabbiato, ma non c’è motivo di umiliarmi.-
-Io sono umiliato!- Kidou alzò le braccia al cielo, al culmine del risentimento. -Lo siamo entrambi! Da questa situazione che avrei potuto risolvere in un lampo, se me ne avessi parlato! Se ti senti umiliato è colpa tua, hai fatto tutto tu, dall’inizio alla fine!-
-Volevo dimostrarti che sono in grado di prendermi cura di te.- Fu la seria dichiarazione, pronunciata con volto scuro e voce tonante. “Ma è evidente che ho completamente fallito”, dicevano i suoi occhi, caldi e neri come braci spente.
Kidou, non intuendo il nesso fra le affermazioni e dunque genuinamente sorpreso dalle sue parole, in tutta risposta annuì con energia. -Certo. Lo fai. Che cosa c’entra?-
Gouenji vide gli occhi rossi del suo ragazzo brillare di sorpresa e di rinnovato affetto, gli parve di riuscire a leggerci riflesse tantissimi momenti di amore fra loro. Frustrato e sinceramente innervosito dalla piega che stava prendendo la conversazione, cercò di uscirne: -E allora lasciami fare e non ti intromettere. So che guadagni molto più di me, ma puoi fidarti, sistemerò tutto.-
-Eh certo, non mi devo intromettere.- ridacchiò Yuuto, incrociando le braccia al petto e usando quel suo tono cattivo, di scherno. -Devo stare qui ad aspettare che ti venga un lampo di genio, quando ho un conto in banca con numerosi zeri?! Tu pensa pure ad una strategia, io intanto vado a saldare il debito che abbiamo!-
-Finiscila.- gli soffiò contro, assottigliando lo sguardo. -Non ci devi pensare tu e il discorso è chiuso.-
La voce di Kidou si alzò di nuovo, si stava demoralizzando. -Vallo a dire a quelli della banca che il discorso è chiuso! Gli riporti questa bella letterina e gli dici ‘signori, il discorso è chiuso’, se poi loro ti chiudono gli allacci dell’acqua e della luce te ne stai zitto però!-
Una risoluzione esasperata assottigliò lo sguardo di Shuuya. I suoi occhi neri erano molto neri, quando li tenne fissi su Kidou. -Questo è proprio il motivo per cui non volevo dirtelo. Con te non si può parlare.-
-Adesso il problema sono io che mi arrabbio?-
-Il problema è che non si può fare errori con te.-
La risposta di Gouenji grondava di risentimento e Kidou, come colpito da una pallottola in petto, boccheggiò sul posto e tacque, immobile. Il suo silenzio da innocente sparato di spalle fu la goccia che fece traboccare il vaso del nervoso di Gouenji.
-Non riesco a pagare le bollette. Okay? Faccio fatica da anni, se proprio vuoi saperlo. Non è una combutta contro di te. Ma tu fai sempre così, no? Il momento in cui sono in difficoltà è il momento migliore per spingermi ancora più di sotto!-
-Ma io mi sto offrendo di aiutarti!-
-Eccome, così come mi hai aiutato con i ragazzi della Raimon! Mi aiuti sempre… alla fine, però. Prima fai proprio del tuo meglio per accanirti e umiliarmi… E poi dovrei anche dirti grazie?-
L’espressione sorpresa di Kidou assunse una vivace colorazione rosata al ricordo di come ignobilmente si era comportato, ma ribatté velocemente, al culmine dello stupore: -Credevo che avessi già accettato le mie scuse per quel periodo. Perchè lo tiri fuori adesso?-
-Perché sapevo che avresti reagito così, se ti avessi detto come stavano le cose. E mi stai dando ragione in pieno! Proprio come anni fa… Non ci provi neanche a capire le mie motivazioni, non prima di esserti sfogato per bene, almeno.-
Individuando nei suoi occhi lo scoppiettio di ardenti carboni di risentimento e paura, Kidou si fermò un momento. Parve riflettere sul tono usato fino a quel momento, poi alzò leggermente le mani, in segno di resa. -Va bene. Ti chiedo scusa. - proferì a labbra strette. -Spiegami le tue motivazioni allora, ti ascolto.-
Gouenji incrociò le braccia al petto, arretrando indispettito. -Non essere condiscendente, non sono un idiota. Non le accetto delle scuse del genere. Lo stai rifacendo, visto? Sei sempre pronto ad ascoltare dopo che mi incazzo… Lì per lì, hai visto che non riesco a pagare le bollette e la tua reazione è stata prendertela con me.-
Yuuto istintivamente mosse un passo in avanti, cercando di colmare la distanza fra loro. Era terribile vedere Shuuya così tanto sulla difensiva… -Ma io non ce l’ho con te perché non riesci a pagare le bollette, questo non è…-
-E’ su quello che mi hai attaccato però!- ribatté il biondo, spazientito dalla sua espressione bastonata e frastornata.
Kidou tacque ancora, sorpreso, poi annuì. I suoi occhi erano limpidi d’onestà. -Hai ragione, questo è vero. E’ che… Mi sono sentito ferito. Non mi hai mai parlato di queste cose e… sembra che non ti fidi di me. Mi fa soffrire non essere una squadra.-
Gouenji cercò e agganciò i suoi occhi, serio serio. -Io voglio essere una squadra con te.- Proferì con convinzione, poi si dovette fermare un momento. -Mi dispiace averti tagliato fuori… Ma così non funziona.-
-E’ perché non ti fidi di me, ho ragione?- sussurrò Yuuto, troppo spaventato dalla risposta per riuscire a scandire per bene la domanda.
-Ho paura di farlo.- rispose onestamente Shuuya, facendo saltare un battito al compagno. Subito proseguì, con occhi lucidi e sinceri. -Vorrei provarci, perché ti amo e so che sei una persona buona, e me lo hai anche dimostrato. Però… Quando stavo peggio e tutti mi stavano vicino, tu eri crudele.- Fece un’altra pausa, in cui s’accorse di come Kidou abbassasse gli occhi e le spalle, facendosi straordinariamente piccolo. Sentì di volerlo abbracciare, di voler rassicurare entrambi. In effetti, non era tutta colpa sua, se erano finiti in quella situazione. -Ehi, non ce l’ho più con te e ti ho perdonato. Solo che adesso non è facile. E poi, a dirla tutta, non è facile a prescindere per me. Chiedere aiuto, intendo.-
Fra loro cadde il silenzio, rotto solo da un ampio sospiro di Yuuto, il quale era troppo mortificato e intimidito per parlare. Entrambi tenevano gli occhi bassi, che si incrociano timidamente da sotto. Kidou, pur sussultando come se non se l’aspettasse, rimase fermo, così Gouenji gli rivolse un lieve sorriso e un incoraggiante cenno di avvicinamento. Kidou colmò la distanza fra loro con un abbraccio alquanto precipitoso.
-Mi dispiace tanto, Shuuya. Grazie di darmi un’altra possibilità.- sussurrò con voce bambina. -Se ora vuoi… Puoi spiegarmi cos’è successo. Ti ascolterò e basta stavolta, promesso.- Le labbra di Shuuya si adagiarono sulla sua guancia in un bacio fugace e dolce, capace di scongiurare ogni paura. Più rassicurato lo prese per mano e sedettero al tavolo uno accanto all’altro.
-Non si tratta di… una novità. O una sorpresa, in verità.- Shuuya ammettendo la verità sembrò liberarsi da un grosso peso. Gli occhi di Yuuto su di lui erano attentissimi. -Da quando c’è stato il processo, ho speso tutto quello che avevo guadagnato al Quinto Settore e negli anni precedenti. Così, mi sono arrangiato con quello che potevo. Alcuni mesi era più facile, altri no… Quelle non sono le prime lettere di notifica che ricevo.- Fece una pausa, dove perimetrò il tavolo con gli occhi. -Non te lo volevo dire. Non volevo farti pena. E volevo dimostrarti che… che posso darti la vita che vuoi. Che posso prendermi cura di te come meriti. Quando ti ho invitato a stare qui stabilmente, l'ho fatto perché l’idea ti rendeva felicissimo e io non desideravo altro. Non ho riflettuto molto e… si può dire che io sia sempre la stessa impulsiva testa calda?- un suo grosso respiro saturò tutta l’aria attorno, per un momento. -Tu hai fatto tanto per me e ora non… Non potevo chiederti di fare anche la mia parte.-
-Io ti amo.- Gouenji realizzò in quel momento che Yuuto era seduto al suo fianco, non era più dall’altra parte del tavolo. Trovarlo così vicino a sé, unito alla convinzione e alla delicatezza della sua voce, lo colpirono, lasciandolo frastornato dall’amore e dalla sicurezza che gli trasmetteva. -Mi fai arrabbiare se non mi parli, ma non ti lascerei mai da solo.-
-Tu hai già fatto molto per me, più di quanto avrei osato chiedere. Hai già aggiustato i miei casini con Fukuzawa una volta e mi hai protetto e ora… Occuparmi della nostra casa è compito mio. Desidero che lo sia.-
Kidou strinse con più forza le loro mani unite. Attese un momento prima di rispondergli, preferendo accarezzargli il dorso della mano in silenzio.
-Amore, lascia il discorso dei soldi e delle spese fuori da tutto questo. Non è… una questione economica, stiamo parlando di cura e fiducia adesso.-
-Tu mi hai sempre chiesto di prendermi cura di te.- ribatté Gouenji. -E, infatti, da quando sei qui, non ti sei mai posto il problema delle spese. E a me va bene. Ti amo e posso occuparmene io.-
Kidou spalancò le braccia in un gesto di sorpresa e di stizza. -Ti ho chiesto di prenderti cura di me, non di mantenermi! I soldi non c’entrano!-
-Sì, invece.-
Gouenji aveva sempre avuto la cocciuta abitudine di riflettere poco sulle proprie convinzioni: stava ben saldamente aggrappato a quella manciata di certezze che prefiguravano il suo orizzonte di ideali e quelle bastavano, per affrontare il mare in tempesta della vita. Perciò, pur di fronte alla schiacciante limpidezza del significato delle sue parole, non ci badò: ma era chiaro che, già allora, pensava a Yuuto come alla sua famiglia, a tutti gli effetti. La lezione era chiaramente paterna: fin da quando era solo un bambino, aveva visto suo padre provvedere in un certo modo alla famiglia e agiva proiettando su di sé i medesimi incarichi e responsabilità.
-Non ha alcun senso.- Decretò Kidou, liquidando la questione in maniera molto pragmatica. -Le mie entrate e le tue non sono neanche paragonabili. Io sono il CEO di una multinazionale vecchia di generazioni e il dirigente scolastico di una delle accademie più prestigiose della regione. Sono abituato al lusso da quando ero bambino. Come potresti pagare questo tenore di vita per me? Mi mantengo completamente, sfizi compresi. E’ da anni che non ho più bisogno neanche dell’aiuto di mio padre… Come puoi aver pensato che contassi sui tuoi, di soldi? Non mi sono mai aspettato questo da te.- Fece spallucce, malcelando un sorrisetto. -Se avessi voluto un partner ricco quanto me, avrei saputo dove cercarlo. Ho scelto te ben consapevole di tutto, quindi, beh… Mi sembra assurdo che, per tutto questo tempo, tu abbia pensato di dovermi mantenere.-
-Sei ingiusto.- sbuffò a labbra strette Shuuya, piccato oltremisura.
-Ingiusto? Sono ricco, non chiederò scusa per questo.- fu l’arrogante risposta.
-Non sono completamente inutile. Non ti ho fatto mancare niente in questi mesi. Ho fatto una cazzata a non dirti dell’affitto, hai ragione, però se parli così sembra che io sia un partner indesiderabile.-
A quella considerazione, Kidou piegò la testa da un lato, genuinamente perplesso. -Non riesco a pensare ad una persona più desiderabile di te, sotto ogni punto di vista.-
-Basta scherzare, Yuuto.- Si spazientì il biondo. -Non ti posso mantenere, è chiaro. E neppure te lo sei mai aspettato da me. Quindi a che servo, in questa relazione?-
-Time out, time out. Tu fai tutto, in questa relazione. Mi prepari il bento da ben prima che vivessimo insieme come si deve. Pulisci e lucidi casa tutto da solo, perché io sono una frana. Fai la spesa e il bucato per tutti e due. Prepari il ramen più buono della città. Mi scarrozzi sempre stando ai miei capricci. Ti occupi di Hobi e di tua sorella, oltre tutto questo. In più lavori, sei un amico presente per Endou e uno zio dolcissimo per Haru e trovi persino tempo per i ragazzi della Raimon! Mi compri fiori e organizzi appuntamenti romantici come quando eravamo ragazzini, fai un sesso da favola e sei l’uomo più bello su cui i miei occhi si siano mai posati. E mi chiedi a che servi?-
Gouenji arrossì vistosamente, preso in contropiede da tanta genuina riconoscenza e apprezzamento di tutti i suoi sforzi. Kidou, accorgendosene, ridacchiò, poi con aria ghiotta si avvicinò alle sue labbra per dargli un bacio rumoroso. Con le labbra contro le sue, all’improvviso realizzò che lui, a confronto, non dava nessun tipo di contributo alla casa né alla relazione. Lavorava e… beh, si lamentava… spesso piagnucolava e si nascondeva per bere e fumare. Non un buon bilancio, a essere del tutto onesti con se stessi. Le parole di Shuuya lo strapparono da quel flusso di pensieri alquanto infelici e deploranti.
-Sei dolce, ma… non penso che questo sia abbastanza. Tu dovresti poter contare su di me, anche e specialmente materialmente.-
Kidou ribatté con convinzione, convinto di aver individuato una via per alleviare il proprio senso di colpa e di mancanza nei suoi confronti. O quantomeno, un inizio di via. -Perché devo essere io a contare su di te e non il contrario?-
Gouenji scosse le spalle, il rossore sul suo viso non era ancora sparito ed era tanto bello, così intimidito, da non sembrare reale. -... Non lo so. - ammise senza troppa fatica. -Ho sempre pensato che… l’amore fosse questo, essenzialmente. Specialmente l’amore dei grandi.-
Il sorriso di Yuuto era piccolo come un puntino nel cielo, una stella: -Io non so quale sia l’amore dei grandi. Però mi sento amato da te. E, occupandomi io di questi pagamenti, non mi sentirò amato di meno. Anzi…-, prese fiato, schiarendosi la gola. -Credo di doverti delle scuse. Non mi sono offerto di pagare nulla finora perché, in tutta onestà… Non mi ha neanche sfiorato il pensiero di doverlo fare.- Davanti all’aria un po’ attonita e divertita di Shuuya, arrossì di imbarazzo. -Non ho mai visto una bolletta o qualcosa di simile nella casa di mio padre, c’era chi se ne occupava… Io compilavo solo assegni periodicamente agli amministratori di casa.-
Gouenji non si trattenne dal ridacchiare. -Che principino.-
-Non posso negarlo.-
Gouenji schiuse le braccia e Kidou ci si tuffò dentro senza esitare. Lo tenne stretto stretto al petto e affondò il naso nel suo collo, respirando il suo odore per qualche secondo: poi con un gesto veloce se lo tirò più vicino, facendoselo salire sulle gambe. Kidou si accomodò canticchiando festoso, vedeva di nuovo le stelline fra loro.
-Scusami, Yuuto. Sono stato un idiota.-
-Ti perdono. Non devi fare tutto da solo. Vivere una vita in due significa questo.-
Rimasero in silenzio abbracciati qualche momento, poi Yuuto esclamò:
-Ho un’idea: perché ora non andiamo a fare un po’ di compere? E pago io!- Entrambi risero di cuore.
Quella sera, attaccata al frigo, comparve una lavagnetta con dei pennarelli colorati: ebbero l’idea di disegnare due colonne con i loro nomi e i compiti domestici divisi equamente. In alto campeggiava la scritta: “L’amore dei grandi”.
To be continued…
Kidou ha voluto bene a Kageyama e vuole dirlo a qualcuno. Nel frattempo, si rende conto che picchiare un'anziana nella sua abitazione di fronte alla sua famiglia non è un comportamento socialmente accettato, così beve il tè e recita un haiku.