Armistice tamburellava le dita sulla copertina lucida della rivista, senza realmente leggerne il contenuto. Gli articoli sulle nuove tendenze d’arredamento e sulle vacanze esotiche sembravano lontani anni luce dalla sua realtà. Sfogliava le pagine senza interesse, il fruscio della carta riempiva il silenzio ovattato dello studio.
Controllò l'orologio: tra non molto sarebbe toccato a lei. Armistice incrociò le gambe, lasciando scivolare la rivista sulle ginocchia. Aveva perso il conto di quante volte era stata in quella stanza, di quante volte aveva osservato i dettagli insignificanti del mobilio pur di non pensare a ciò per cui era lì.
Un lieve schiocco di una porta che si apriva la fece sollevare lo sguardo.
«Allora ci vediamo venerdì» disse con un sorriso il dottor Williams alla ragazza che stava uscendo.
Lei annuì con un cenno rapido, ricambiando appena il sorriso, poi sparì oltre la porta.
«Armistice.» La voce del dottore risuonò nello studio, pacata e misurata. «Puntuale come sempre.» Fece un gesto con la mano, invitandola ad entrare. «Vieni.»
Armistice si alzò senza fretta, lasciando la rivista sul tavolino accanto a sé. Si sistemò la giacca con un movimento distratto e lo seguì dentro la stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Si accomodarono.
«Allora» esordì Williams, intrecciando le mani. «Che mi racconti?»
«Non ho grosse novità. Ci siamo visti solo la settimana scorsa, no?»
«Oh, be', in questo possiamo metterci comodi e passare la prossima ora in religioso silenzio» scherzò Williams, rilassandosi contro lo schienale.
Armistice si grattò la guancia sana, pensando a qualcosa da dire.
«Come sta il piccolo Calvin?»
«Bene. Oggi è il suo compleanno»
«E' magnifico! Che farete di bello?»
«Lo porterò al parco. Verrà anche suo padre.»
«Ottimo. Come vanno le cose tra voi?»
«Ne abbiamo già parlato, doc»
«Lui non sarà contento, immagino»
«No, immagino proprio di no»
«Volevo parlarti di una cosa» disse Williams, tornando ad appoggiarsi alla scrivania. «E credo che ti renderà molto felice»
Armistice aggrottò la fronte. «Ok»
«Ho deciso di interrompere il nostro percorso insieme. Oggi sarà la nostra ultima seduta.»
«Come mai?»
«Non hai più bisogno di me, Armistice. Negli ultimi tre anni hai affrontato tutto ciò che ti tratteneva, lasciando venire fuori la versione migliore di te. Sei una persona diversa, adesso. Hai un figlio, una vita equilibrata...manca solo un uomo, ma per quello c'è ancora tempo...»
«E con chi mi lamenterò dei miei problemi?»
«Non con me, questo è certo. Sono arcistufo di ascoltare le tue lagne, ragazza»
«Peccato» commentò Armistice, guardandosi attorno. «Mi mancheranno le nostre chiacchierate, doc»
«Ehi, non è mica un addio. La strada per il mio studio la conosci. Vieni quando vuoi...solo ricordati di fare uno squillo prima»
Armistice spense il motore e tirò il freno a mano con un gesto meccanico. Il ticchettio del motore ancora caldo riempì per un attimo il silenzio dentro l’auto. Si voltò verso il sedile posteriore, dove Calvin la fissava con grandi occhi curiosi. «Siamo arrivati, piccolo» disse con un sorriso.
Calvin batté le mani, eccitato, e cercò di slacciare da solo la cintura del seggiolino. «Mamma, mamma, io scendo da solo!» protestò con la solennità tipica dei bambini convinti di essere ormai grandi.
Armistice rise piano e aprì la portiera. Scese, facendo il giro dell’auto, e aprì lo sportello posteriore. «Certo che scendi da solo» commentò, mentre lo aiutava comunque a liberarsi dalla cintura.
Appena toccò terra, Calvin si aggrappò alla sua gamba, alzando il viso verso di lei con un sorriso a metà tra l’orgoglio e l’attesa. Armistice gli scompigliò piano i capelli bruni. «Pronto?» chiese.
Calvin annuì con entusiasmo. «Andiamo!»
Armistice chiuse l’auto con un bip secco e, stringendo la piccola mano di Calvin nella sua, si avviò verso il parco.
L’aria era fresca, carica dell’odore dell’erba bagnata e del muschio che cresceva tra le crepe della pavimentazione. Armistice camminava a passo lento lungo il sentiero ghiaioso, con Calvin che le trotterellava intorno. Il parco non era affollato – qualche anziano sulle panchine, un paio di jogger con le cuffiette nelle orecchie, una madre che spingeva una carrozzina.
Raggiunse una panchina un po’ appartata, sotto un vecchio salice dai rami pendenti. Si sedette e lasciò vagare lo sguardo sul piccolo laghetto davanti a sé. L’acqua rifletteva il cielo plumbeo, increspata dal movimento pigro delle anatre.
«Guarda, mamma, le anatre!»
«Sì, le vedo, le vedo» ridacchiò Armistice.
Calvin si avvicinò. «Possiamo dargli da mangiare, mamma? Eh? Possiamo?»
«In teoria no» Armistice lo attirò a sé. «Ma se prometti di non dirlo a nessuno ti darò un po' di pane»
Lui saltellò eccitato. «Lo prometto!»
Armistice rovistò nella borsa e ne tirò fuori un panino incartato nella stagnola. «Ecco qua...cerca solo di non esagerare»
Calvin lo afferrò e corse al laghetto. Armistice lo osservò per qualche secondo e ricontrollò l'orologio. Come al solito, suo padre era in ritardo. Sospirò, tornando a tenere d'occhio Calvin.
«E' occupato questo posto?» chiese una voce familiare.
Calvin si voltò.
«Sei in ritardo»
B.B. sorrise, inclinando appena la testa. «E dov’è la novità?» chiese con un tono divertito, poi lanciò un’occhiata verso Calvin. «Sta di nuovo cercando di far esplodere le anatre col pane?»
«Una brutta abitudine che gli ha insegnato il padre»
«Ehi, non sono stato io a dargli il panino»
«Papà!» urlò Calvin, correndogli incontro.
«Ehi!» B.B. lo sollevò con facilità, stringendolo a sé prima di girare su sé stesso in una piroetta giocosa. «Come va, pulce? Tanti auguri» E gli schioccò un bacio rumoroso sulla guancia. «Aspetta un attimo…» si ritrasse leggermente, osservandolo con occhi sospettosi. «Sbaglio o sei cresciuto dall’ultima volta che ci siamo visti? Si è alzato, vero?» aggiunse, lanciando un’occhiata ad Armistice.
«Vi siete visti tre giorni fa» osservò lei.
«Mi sono alzato!» esclamò Calvin, sollevando i pugni in aria con entusiasmo.
B.B. rise, scuotendo la testa. «Certo che sì, pulce! A questo ritmo, presto sarai alto quanto me...»
«Hai portato il mio regalo, papà?» chiese il bambino, gli occhi che brillavano di aspettativa.
B.B. inarcò un sopracciglio, fingendosi indignato. «Ah, quindi è solo questo che ti interessa?»
«Sì!» ridacchiò Calvin, battendo le mani.
«Sei proprio perfido, lo sai?» B.B. sospirò teatralmente. «Proprio come tua madre...»
«Be', qualcosa da me doveva pur ereditarlo.»
B.B. mise giù Calvin e aprì la busta che portava con sé, estraendone un grosso pacchetto incartato con cura.
Calvin sgranò gli occhi e ricominciò a saltellare.
«Come si dice?» lo ammonì B.B., trattenendo il regalo un istante di più.
«Grazie!» esclamò Calvin di slancio.
Solo allora B.B. glielo porse. Il bambino lo afferrò con entrambe le mani e iniziò a strappare la carta con impazienza, i pezzetti che volavano ovunque mentre il suo sorriso si allargava sempre di più.
«La macchina della polizia» esclamò Calvin, sollevandola sopra la testa come un trofeo. «Con le luci che si accendono!»
«E premendo quel pulsante, suona anche la sirena.»
Calvin si affrettò a provarlo. Un suono acuto riempì l’aria, attirando gli sguardi di alcuni passanti. Il bambino scoppiò a ridere, stringendo il giocattolo al petto.
«Ti piace, pulce?» chiese B.B., accovacciandosi accanto a lui.
Calvin annuì con energia. «È il regalo più bello del mondo!»
«E lo zio Arti invece ti manda questi.» B.B. infilò una mano nella busta ed estrasse un contenitore colmo di biscotti. «Biscotti al cioccolato, una delle sue specialità. Potrei averne...ehm, testati un paio lungo la strada.»
«Zuccheri. Fantastico.» commentò Armistice. «Tanto per alimentare la sua iperattività»
«Posso provare a darli alle anatre?»
«No, pulce...alle anatre non piacciono i biscotti, ecco» B.B. gli diede una pacca sulla spalla. «Su, ora vai a provare il tuo nuovo giocattolo. Io e la mamma dobbiamo discutere di cose da grandi»
Calvin corse via, facendo volare la macchina come se corresse su una strada invisibile.
B.B. si rialzò e guardò Armistice con un sorriso divertito. «Missione compiuta, direi.»
«E io che pensavo che non si potesse corrompere così facilmente.»
«Pessima investigatrice.»
«Ah sì?»
«Sì, perché il segreto è che non è corruzione. È amore.» replicò B.B. con teatralità, mettendosi una mano sul petto.
Armistice scosse la testa, trattenendo un sorriso. «Sei un caso disperato.»
«Eppure mi vuoi bene lo stesso.»
Lei alzò gli occhi al cielo. «Purtroppo.»
B.B. si sedette accanto a lei. «Hai visto il telegiornale stamattina?»
«Non guardo mai quella roba quando sono con Calvin. Non voglio che si spaventi.»
«Be', a quanto pare l'hanno trovato»
Armistice lo guardò. «Shifter?»
«Proprio lui. L'ho riconosciuto appena l'ho visto sullo schermo. Era ridotto male, sembrava un barbone, ma è difficile dimenticarsi il volto del bastardo che mi ha quasi ucciso. E' accusato di omicidio di primo grado. Ha ammazzato una poveretta a Leeds, non si conoscono ancora le dinamiche...»
«Lo avrà rifiutato.» mormorò Armistice. «Probabilmente non sarà stata neanche la prima»
B.B. la osservò attentamente. «Stai bene?» chiese.
«Sì...credo di sì. Sono solo sollevata.» Armistice si sforzò di sorridere, ma non le riuscì. «E tu?»
B.B. esitò. «Più o meno. Non riesco a smettere di pensare a tutti i casini che può aver combinato in questi tre anni. A quante altre persone ha fatto del male.»
«Non è colpa tua.»
«Lo so, è solo che...»
«Se qualcuno deve sentirsi in colpa, quella sono io. Sono stata io a lasciarlo fuggire.»
B.B. scosse la testa. «E così facendo mi hai salvato la vita. Non sarei qui se non fosse stato per te.» Il suo sguardo cercò Calvin. «A veder crescere nostro figlio.»
Per un istante rimasero in silenzio.
«Come sta Arthur?»
B.B. sospirò, passandosi una mano tra i capelli. «Bene. Abbiamo un sacco di progetti in ballo…anche troppi, a dire il vero.» Fece un sorriso stanco, poi scosse la testa. «Stamattina abbiamo bisticciato.» Sventolò una mano nell’aria, come a minimizzare la cosa. «Sai com’è, lui diventa sempre emotivo quando si tratta di…» Si interruppe, mordendosi l’interno della guancia, poi abbassò lo sguardo per un istante.
«Di me e Calvin» concluse per lui Armistice.
«Già»
«E' normale, non fargliene una colpa»
B.B. si grattò l'orecchio. «Com'è andata dal dottor Williams?»
«Alla grande. Ha detto che non vuole più vedermi. Secondo lui sono abbastanza grande da camminare sulle mie gambe»
«Armie, è fantastico!» disse B.B. con un gran sorriso. «Dobbiamo festeggiare!»
«Dobbiamo festeggiare comunque, è il compleanno di tuo figlio»
B.B. fece per ribattere, ma in quel momento Calvin tornò di corsa verso di loro, stringendo ancora il camion dei pompieri tra le mani.
«Mamma, posso andare sulle altalene?»
«Certo, tesoro.»
«Papà, vieni, mi devi spingere!»
«Arrivo, arrivo...»
Si alzarono. Armistice si fermò a pochi passi dalla panchina, lasciando che il vento le scompigliasse i capelli.
Davanti a lei, B.B. e Calvin giocavano a rincorrersi, ridendo. Il piccolo sgambettava veloce sull’erba, le braccia protese in avanti, mentre B.B. lo inseguiva con esagerata lentezza, fingendo di non riuscire a prenderlo.
«Sei troppo veloce per me, pulce!»
Calvin si fermò un attimo e si voltò indietro. «Perché sei lento!» gridò con una risata squillante.
B.B. lo raggiunse con un balzo e lo sollevò in aria, facendolo girare. Calvin scoppiò a ridere ancora più forte, aggrappandosi alle sue spalle.
Armistice li osservò con un sorriso lieve, sentendo qualcosa dentro di sé sciogliersi, come neve al primo sole.
Aveva fatto tanta strada per arrivare fin lì. Aveva combattuto, sbagliato, perso più di quanto volesse ricordare. Per anni aveva creduto che la felicità fosse una meta irraggiungibile, un lusso concesso solo agli altri. Ma ora, guardando Calvin con B.B., si accorse di averla trovata nei dettagli più semplici.
Il passato era ancora lì, un'ombra silenziosa che avrebbe sempre portato con sé, ma non aveva più il potere di soffocarla. Inspirò a fondo, lasciando che l'aria fresca riempisse i suoi polmoni. In quel momento, mentre le risate di B.B. e Calvin riecheggiavano nel parco, Armistice capì che, nonostante tutto, era esattamente dove doveva essere. E, per la prima volta, si concesse di crederci davvero.