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Autore: EleAB98    25/04/2025    3 recensioni
Che senso avrebbe vivere il quotidiano, se... se non ci fosse almeno una speranza alla quale aggrapparci?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Che senso avrebbe vivere il quotidiano se non ci fosse almeno una speranza alla quale aggrapparci?


Quando un mio personaggio ha pronunciato questa frase in una delle mie storie recenti, io sono rimasta impietrita per un momento. Ho sentito come un tuffo al cuore. Una scossa di quella profonda – e terribile consapevolezza che, lo ammetto con una certa difficoltà, mi ha investito con una forza alla quale non ero affatto preparata. Ho fissato lo schermo per qualche secondo, senza più picchiettare le dita sulla tastiera. Mi sono fermata, e... e la mia mente si è fatta una sola (e bastarda) domanda. Ma tu, quale tipo di speranza stai coltivando? A quale speranza ti aggrappi ogni singolo giorno? Con mio grande rammarico, non sono riuscita a trovare una sola risposta che fosse degna di questa bastarda domanda. O almeno, non in quel momento. Tolta la speranza di concludere al meglio che posso il mio percorso accademico, non ho trovato speranza che fosse legata a un mio sogno specifico. E questo, inutile dirlo, mi addolora non poco, anche se questo tipo di “dolore” lo conosco ormai da un bel po’.
Ci vuole tanto coraggio, per coltivare una speranza che non sia prettamente legata ai propri obiettivi professionali. E tutto perché, in questo caso specifico, non ci sono in ballo grossi sentimenti. Io, negli ultimi anni, mi sono privata di questo coraggio. Ho affrontato (e sto affrontando tuttora) tantissimi esami dai concetti ostici e incredibili; eppure là, il coraggio non mi è (quasi) mai mancato. Ho affrontato le mie grandi battaglie come potevo, con tutti i mezzi di cui potevo disporre. Ero convinta che, prima o poi, sarei riuscita a spuntarla. Ho trovato il coraggio di proseguire gli studi anche quando c’erano tantissimi elementi che, in un’altra circostanza, mi avrebbero sicuramente indotto a lasciar perdere. Ho trovato il coraggio di affrontare le tempeste più nere, perché sapevo di avere al mio fianco una grande alleata: la scrittura. Era proprio quello, il mio grande amore. O meglio, quello che pensavo essere il mio grande amore, in attesa... di quello “vero”. Quello “vero”, però, tardava sempre di più e non arrivava mai.
Quel treno, che forse tanto inconsciamente stavo aspettando, non passava mai. Non è mai passato. E alla fine, come forse accade per tutte le cose, ho smesso di crederci, come di pensarci. Non ho avuto più il coraggio di coltivare anche una sola briciola di quella speranza che forse, al di là delle mie passioni, dava un senso in più alle mie giornate. Adesso, quel coraggio non mi appartiene più. Forse, a ben pensarci, non mi è mai appartenuto. Non veramente, almeno. Mi sono lasciata corrompere da tutto il marcio che vedo intorno a me. E che sento – e leggo – ovunque. Mi sono lasciata convincere che quel “grande amore” non è nient’altro che una subdola astrazione della nostra mente. Forse, un qualcosa a cui “vogliamo” credere per forza, perché altrimenti questa vita non avrebbe un “vero senso”. Ma forse, il “vero senso”, starebbe proprio nel nostro vivere il quotidiano come meglio si può, anche se ci sono certi momenti della giornata che ti ricordano che tu, quelle “grandi speranze”, le hai lasciate morire. La scrittura 
incredibile a dirsi – non è riuscita a tenerle in vita. Sì, in effetti starebbe a me cercare di farle risorgere dalle ceneri, ma dentro di me, io lo so, che non lo voglio davvero. C’è una forza, dentro di me, che si oppone con tutte le forze a quel “rifiorire”. Le speranze legate alla mia persona, oramai, mi sembrano tutte svanite. E so che parlarne qua, come altrove, non serve a niente. Serve soltanto a mettere nero su bianco quanto negli anni io sia cambiata, e mi sia chiusa in me stessa. Ho ottenuto vittorie molto importanti, superando di volta in volta i miei limiti, e di questo non posso che esserne orgogliosa.
Ma i sogni? Dove sono finiti, i miei sogni? E quindi, si ritorna alla fatidica domanda: 
Ma tu, quale tipo di speranza stai coltivando? A quale speranza ti aggrappi ogni singolo giorno? 
E ancora una volta mi accorgo che io, a quella spinosa domanda di Brando, non sono riuscita a rispondere che con due sole, miserrime parole. A nessuna. Mi sto aggrappando, a dirla tutta, a una sola speranza, che però non mi riguarda direttamente. Perché soltanto quella, mi è rimasta. Io lo so, però, che quella singola speranza è una speranza che forse, proprio come le altre, è destinata a morire. Però, in qualche modo, devo riuscire a tenerla a galla. Non è facile, no. Ma so che almeno in quella devo cercare di crederci un po’.
Quasi sorrido al pensiero che fino a qualche anno fa, speravo tanto di diventare una scrittrice (o, magari, una bravissima ballerina, scortata da quel “principe” con cui avrei fatto chissà quante gare). Avrei voluto essere “la migliore sulla piazza” o, quantomeno, sognavo che avrei scritto (e ballato) per tutta la mia vita. Ma ho imparato ben presto che ci sono fior fior di autori che scrivono (e ballano) meglio di me, e che da loro ci sarebbe davvero tanto – se non tutto – da imparare. In tantissimi scrivono, ma solamente in pochissimi riescono a fare della scrittura una professione reale. Eppure, io ci pensavo, alla pubblicazione. E così, nel frattempo, partecipavo a qualche concorso letterario, con la speranza di coltivare il più possibile quello che io consideravo un preziosissimo dono. Con il passare degli anni, però, ho capito che c’era anche dell’altro. E che la felicità dei miei familiari, per me, contava persino di più di quel sogno che, per quanto importante, non avrebbe comunque potuto colmare certi vuoti.
Si può forse continuare a scrivere senza che almeno un briciolo di speranza personale si affacci nel tuo cuore? Forse no. Forse, essendo ormai morta la mia più “grande speranza”, diventerebbe tutto inutile. Diventerebbe tutto sterile. E io non so se, alla lunga, riuscirò ancora a scrivere di coppiette più o meno smielate, di matrimoni e di bambini. La verità, forse, è che nemmeno io mi capisco davvero. Non capisco davvero i miei limiti, tantomeno riesco ad affrontarli. Non capisco perché il mondo che mi circonda mi influenzi così tanto nelle mie idee, e per quale motivo non riesco a focalizzarmi sul bello. Su quel bello dietro al quale io, però, mi ostino a vedere un qualcosa di assai poco pulito.
Cambierò mai? Questo non lo so. Le persone, purtroppo, non cambiano in meglio tanto facilmente. Bisogna volerlo con tutte le forze, e allora chissà che qualcosa, forse, non cambi davvero. Nell’ultimo periodo, non posso negarlo, sono stata piuttosto contenta, ma ovviamente ho dovuto ignorare certe cose. Sarebbe bello, invece, riuscire a esserlo comunque, senza ignorare le suddette cose. Delle volte mi riesce, ma quando fallisco miseramente... ecco che nascono dei testi come questi. Dei testi che non hanno 
– né avranno mai – il potere di cambiare le cose. Dei testi che non fanno altro che evidenziare la mia “diversità”. E, non da ultimo, i miei grandi limiti. Soltanto quando scrivo di altri mondi, forse, quei suddetti limiti se ne vanno in vacanza per un po’. Mi lasciano libera e, finalmente, io ritorno a respirare. Poi, però, si ritorna in apnea. All’improvviso, e senza che io possa prepararmi a quell’ondata. Un’ondata che, forse, non riuscirò mai a dominare. Perché se da chimici si può senz’altro plasmare la materia a proprio piacimento, plasmare una mente e un cuore come i miei... no, per il momento questo mi sembra proprio impossibile.


Che senso avrebbe vivere il quotidiano se non ci fosse almeno una speranza alla quale aggrapparci?

E rieccoci di nuovo al punto di partenza. E chissà che tra qualche anno non ne trovi almeno unaltra, di speranza.

   
 
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