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Autore: Cael_Andrew    05/05/2025    0 recensioni
Siamo tutti soggetti al fuori. All’occhio. Al giudice. Tutti vogliamo apparire in un certo modo. Essere belli. Essere bravi. Essere… perfetti. Ma cosa succede quando veniamo guardati in un momento di pausa, quando il cervello sconnette dal corpo, quando ti chiudi nel tuo guscio e… non ti rendi conto di essere così vulnerabile? Cosa vedrà l’esterno? E cosa realmente accade all’interno?
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fuori
L’ho chiamata già una volta.
Non si è nemmeno girata. Avevo bisogno che mi passasse un pacco di carta, quello vicino alla cattedra dov’è seduta. I bambini erano già usciti. Dovevamo trovarci nella sala sostegno per il pranzo. Ma lei è ancora qui. Lo zaino poggiato sulla cattedra. Telefono in mano.  Sta leggendo qualcosa. Ha una gamba accavallata sull’altra; un piede batte un ritmo senza musica. È persa, lo vedo da come tiene il cellulare. È ferma sulla stessa schermata già da un po’, non sta leggendo. Ma lo sguardo è fisso sullo schermo. La testa oscilla leggermente avanti e indietro, anch’essa sembra seguire lo stesso ritmo del piede. Lo vedo dalla guancia contratta: la mandibola si muove leggermente.
È stata una mattinata piena, pioveva. Non siamo usciti in giardino. Nessuno ha avuto tempo per una pausa pipì, figurarsi quella caffè.
“Ehi..?” ci riprovo “Mi passi la carta?” Si scuote, sussulta. Si gira “Scusa!!! Scusa, ero… distratta, stavo pensando a… a oggi. Che giornataccia eh?” dice grattandosi la testa. Si è tagliata di nuovo i capelli. Le faccio un sorriso, ora la riconosco “Guarda, non mi parlare di oggi, mi hanno fatto impazzire. Non ne posso più, son stanca. Non vedo l’ora che arrivi giugno” confesso sbuffando.
 
Dentro
In testa sta suonando l’ultima fissa musicale: Bang! di AJR. Mi martella in testa proprio la parte in cui la voce alterata parla del metronomo. Non so le parole. Ma sento la musica, il ritmo. Ce l’ho dentro da un giorno intero. Stavo parlando con Lume. Gli raccontavo di quanto fosse stata stancante la mattinata. Tra una verifica di recupero, le esposizioni dei libri per letteratura, la ricreazione passata in classe, tra pezzi ci cibo volante, mezze urla, un dente caduto, un mal di pancia, la bidella che viene per informarmi che un bambino sta per uscire ed è già venuto il genitore a prenderlo, la pipì che sto tenendo da un’ora, il sonno che non mi lascia vivere dopo aver dormito solo cinque ore dato che la notte prima non ce la facevo ad addormentarmi, l’incessante fluire di “Maestra maestra maestra. La “maestra” sta per tirare una testata alla cattedra penso tra me e me. Sento il piede muoversi di fronte a me, sbatte contro la gamba in legno della scrivania. Non mi ero accorto di aver iniziato a digrignare i denti. Non è proprio digrignare: si muovono. Quelli sotto slittano su quelli sopra. Devo ancora fare pipì penso. Mi ricordo, in realtà. Dovrei alzarmi e andare in bagno. E poi andare a pranzo con le colleghe nella classe vicina. Ma il mio corpo non ce la fa. Vorrei rispondere a Lume, dirgli che sono vivo, anche se stanco. Due palle sbatto le palpebre un paio di volte. “Ehi..?” salto sulla sedia.
Sono in classe. L’aula è vuota.
Le luci spente.
Piove.
Ho freddo.
Ho il telefono di fronte agli occhi ma lo schermo è nero. Che cazzo…?
Mi giro di scatto. Lisa, sulla soglia, che mi fissa “Mi passi la carta?” rabbrividisco, sbatto le palpebre. E parto “Scusa!!! Scusa, ero… distratta, stavo pensando a… a oggi. Che giornataccia eh?” le chiedo, con una risatina forzata mentre mi gratto la testa. Perché ho tagliato i capelli così corti??? Mi forzo a sorridere di più. E… lei sorride di rimando. Dio grazie!
“Guarda, non mi parlare di oggi, mi hanno fatto impazzire. Non ne posso più, son stanca. Non vedo l’ora che arrivi giugno” brontola. Io rido. Lasciatemi in pace, per favore. Prego.
   
 
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