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Autore: Memento_B    26/09/2009    1 recensioni
Le tre bambine erano sedute sui divani posti dall’altra parte della grande sala. Lì vi era più luce ed allegria; le tre confabulavano fra loro per poi ridacchiare sommessamente, ben attente a non farsi sentire o vedere dalla madre. La più grande era Bellatrix, aveva sette anni ed era una bambina bellissima. Ira e vergogna si leggevano nei suoi occhi molto espressivi, spesso lanciava sguardi carichi d’odio e rancore verso la madre. Andromeda aveva cinque anni e fisicamente assomigliava molto alla sorella, ma quando sorrideva vi si poteva scorgere una traccia di bontà ben rara nei Black. Narcissa quel giorno compiva tre anni. Seppur piccola non le fu risparmiato l’abito elegante di pizzo nero.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Famiglia Black, Narcissa Malfoy, Ted Tonks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments'
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Take your choice

Londra, agosto 1971

 

<< Allora? >> chiese Ted, avvicinandosi ad Andromeda. Aspettava fuori dal Ministero della Magia da più di un’ora, nell’attesa che Andromeda depositasse la domanda per diventare Auror << Quando farai l’esame? >>

<< Non lo farò >> rispose Andromeda, mesta. Camminava a testa bassa, le mani infilate nelle tasche dei jeans, oltrepassò Ted, trattenendo le lacrime.

<< Perché? >> le chiese lui, trattenendo il fiato e seguendola.

<< E’ facile, non ci arrivi? Sono una Black… E sono legata da vincoli familiari a dei Mangiamorte. Non potrò mai fare l’esame. >>

Ted serrò le labbra, infuriato. Solo perché Andromeda, la sua ‘Dromeda, aveva una sorella Mangiamorte non voleva dire che lo fosse anche lei. Sicuramente c’erano tanti Mangiamorte in incognito che lavoravano nel Ministero, perché lei non poteva diventare Auror? Aveva ottenuto il massimo dei M.A.G.O., non aveva mai commesso nessun tipo di reato e specialmente non aveva un’indole cattiva. Perché doveva pagare per la scelta di Bellatrix Lestrange quando la stessa era libera di vagare indisturbata?

<< E poi… un altro Auror darebbe fastidio, no? Hai notato che ultimamente vengono assunti i più incapaci? Sai chi ho incontrato, chi ha appena passato l’esame per diventare Auror? Quella cernia di Robbie Marshall… Quanti M.A.G.O. ha preso? Uno? Due? E sai chi sta lavorando al Ministero? Augustus Rookwood! Rookwood, capisci?! Nel Dipartimento Misteri, a giudicare dalla targhetta>>inveì Andromeda, quasi leggendo il pensiero del fidanzato.

Era davvero stufa di essere indicata come la sorella di una delle Mangiamorte più pericolose in circolazione. I tre Lestrange –Bellatrix, Rodolphus e Rabastan- erano infatti considerati fra i Mangiamorte più leali a Lord Voldemort e Bellatrix forse era la più temuta di tutti. Unica donna della compagnia, conosceva ogni metodo per infondere terrore, disperazione e dolore nelle sue vittime. Si diceva che avesse portato alla pazzia diverse persone torturandole, era diventata quasi una leggenda, un esempio per tutti i futuri Mangiamorte, nessuno di coloro che la conoscevano pensavano ancora  a lei come la ragazzina di Hogwarts che era, tutto sommato, innocente. Pareva invincibile, nessuno poteva batterla o resisterle.  

Andromeda asciugò con rabbia la lacrima che le scivolò sulla guancia, ora tutti i suoi sogni erano infranti anche per colpa dei suo parenti. Ma che colpa aveva lei se era nata Black? Che colpa poteva mai avere se la sua sorella maggiore aveva deciso di diventare Mangiamorte e se il fidanzato della sorella più piccola si era appena unito a loro? Perché la sua vita doveva essere condizionata da altre persone? Dal quarto anno aveva iniziato a studiare notte e giorno per diventare Auror, aveva sempre preso il massimo dei voti, era fra le migliori della scuola, non dovevano guardare solo a ciò o a quello che era lei? E ora anche quel sogno di era infranto, solo perché nata nella famiglia sbagliata, famiglia che non vedeva ormai da parecchio, troppo tempo.

E, come se non bastasse, non riusciva neanche a trovare una casa che le andasse bene. Non era un problema di soldi. Sebbene quello che aveva alla Gringott non era nemmeno un decimo della ricchezza dei suoi genitori, non si preoccupava del costo, poteva permettersi tutto. Solo che alcune erano troppo vicine alla città, altre troppo lontane, altre troppo piccole, altre non erano adatte per lei.

Viveva ancora a casa Tonks, ma sapeva di non poter restare lì ancora molto, per quanto i genitori di Ted continuassero a ripeterle che poteva rimanere a casa loro anche per tutta la vita. Non aveva grandi pretese, nemmeno sulla città, le andava bene qualsiasi cosa.

<< Vedrai, Meda, la troverai la casa adatta. E anche un buon lavoro, poco importa se non ho ancora capito cosa sia esattamente un Auror. >>

Un paio di giorni dopo, a colazione parlavano ancora del rifiuto da parte del Ministero di farle sostenere l’esame per diventare Auror con grande rammarico di Andromeda. Non voleva più sentirne parlare, ma le pareva una cosa alquanto sgarbata da dire, così si limitava a rispondere vagamente e a cercare di cambiare il più spesso possibile discorso.

<< Vuoi ancora del succo d’arancia? >> le chiese ora Katherine Tonks, che prima che potesse rispondere le riempì nuovamente il bicchiere.

<< ‘Dromeda, hai da fare oggi? >> le chiese Ted, mandando già una considerevole porzione di porridge. << Non importa, dimentica qualsiasi cosa tu abbia da fare oggi, devi venire con me. >>

Erano un paio di settimane che Andromeda sentiva Ted distante, le pareva sempre immerso nei suoi pensieri e distaccato dal mondo intero, compresa lei, e la cosa la infastidiva e non poco.

<< Allora? Dove mi vuoi portare? >> gli chiese un’ora dopo, quando si erano entrambi lavati e cambiati, pronti per uscire.

<< Ho preso un appuntamento… >> rispose Ted << Tu non ti preoccupare, ci penso io >> sorrise il ragazzo, afferrando la fidanzata per il braccio e smaterializzandosi.

<< Dove siamo? >> gli chiese Andromeda, una volta materiliazzati << Perché mi hai portata in aperta campagna? >>

<< Non è aperta campagna. La città è a solo quattro chilometri da qui. E’ vicina. Solo, ora bisogna camminare per un duecento metri, non potevamo materializzarci davanti all’agente immobiliare, non trovi? >>

<< Agente immobiliare? >> chiese Andromeda, senza fiato << Hai trovato una casa per me? >>

<< Forse… >>

<< Non riesco a crederci… >> mormorò un paio d’ore dopo Andromeda. << Questo… questo paradiso a così poco prezzo. >> Quel pomeriggio avrebbe convertito il suo denaro in quello Babbano e avrebbe sbrigato le ultime formalità e poi quella casa sarebbe stata sua.

Era una grande villa poco fuori Brighton, si trovava in aperta campagna, ma comunque l’oceano era raggiungibile in meno di mezz’ora di cammino, tant’è che a volte si potevano sentire i gabbiani. Il giardino non era grande quanto quello di Casa Black, ma Andromeda lo riteneva decisamente più bello. Perlomeno, non era pieno di cipressi. Era un giardino molto ben curato, carico di fiori , con pini particolarmente alti e diversi alberi da frutto e perfino con un gazebo.

Un sentiero portava all’ingresso della casa, una villa a due livelli in puro stile inglese, completa di garage. Ovviamente il garage sarebbe stato trasformato, probabilmente in una serra per coltivare ingredienti per pozioni varie, cosa che le sarebbe tornata molto più utile. Arrivati alla fine del sentiero, c’erano tre gradini che poi portavano in un porticato che corrispondeva al balcone del piano superiore e che precedeva la porta d’ingresso, in legno bianco. All’interno, il pavimento era interamente di legno, escluso nella cucina e nei bagni, dove c’era marmo bianco. Al primo piano c’erano due salotti, uno studiolo, la cucina, la sala da pranzo, un bagnetto e un ripostiglio, mentre salendo le scale si poteva accedere alle camere da letto e ad un altro bagno.

I precedenti proprietari avevano lasciato la casa arredata, completa di amaca e tavolini all’aperto. L’arredamento interno era in stile antico, di legno scuro contrastato spesso con tessuti chiari, che rendevano gli ambienti ancora più luminosi. Ad Andromeda di quella casa piaceva veramente tutto, dal giardino alla carta da parati, perfino i mobili le risultavano graditi. Era la casa che aveva sempre sognato, in una zona tranquilla, senza vicini e dove avrebbe potuto tenere diversi animali. E poi lei amava l’aria di mare che impregnava quel luogo.

<< E’ forse anche troppo grande per viverci da sola >> ridacchiò Andromeda, che continuava a guardarsi attorno, entusiasta ed estasiata.

<< Nessuno ha mai detto che tu debba viverci da sola >> sussurrò Ted, ad un tratto serio e visibilmente teso. Ci aveva pensato per settimane su quello che stava per dirle, quelle due stupide parole che lo bloccavano e lo agitavano. Non se ne sarebbe pentito, solo temeva la reazione di lei, temeva un suo rifiuto. Ah, ma per quale ragione avrebbe dovuto rifiutare, se per lui era andata via da casa? Ma la paura, si sa, è una cosa irrazionale. << Sposami, Black. >>

Andromeda si sentì quasi mancare quando udì quelle parole. Sposarlo… Sì, si era aspettata una proposta del genere, in realtà l’attendeva da parecchio, ma il sentirla così all’improvviso era sempre spiazzante. << Tonks… >> mormorò, con un filo di voce.

Ecco, aveva sbagliato tutto. Ted avrebbe preferito morire che sentire il suo no, cosa che sarebbe successo presto a giudicare dal tono di voce usato dalla ragazza. << Sì? >> chiese, a malincuore.

<< No, Ted, non hai capito nulla. Hai sbagliato tutto. Tonks, non Black. Ma se preferisci, puoi chiamarmi signora Tonks. >>

 

*

 

La mattina dopo, i due ragazzi stavano iniziando a riporre le loro cose nei bauli, poi da lì a qualche giorno si sarebbero trasferiti nella loro nuova casa.

Andromeda la sera prima aveva scritto ai genitori, dando loro sue notizie per la prima volta dopo un anno e mezzo. Aveva scritto loro che a dicembre si sarebbe sposata con Ted Tonks, il Nato Babbano. Avevano deciso di sposarsi a dicembre, durante le vacanze, per far sì che i loro amici che frequentavano ancora Hogwarts (come Gwenog, che al suo settimo anno era finalmente riuscita a diventare Capitano della squadra di Quidditch di Serpeverde) potessero presenziare al matrimonio. Rito magico, ovviamente. I parenti di Ted si sarebbero adeguati, di amici Babbani lui non aveva, non più almeno.

Un gufo bussò alla finestra della camera di Andromeda. Quel gufo lo conosceva come quello di Narcissa, così aprì la finestra e prese la lettera dalle sue zampe. Non appena fece quel gesto, il gufo partì. Non era una lettera lunga, del resto non lo era stata nemmeno la sua. Era più un bigliettino, aveva solo dato la notizia del suo matrimonio.

 

Siamo profondamente delusi e disgustati dal tuo comportamento. Abbiamo a lungo sperato in un tuo risveglio, ma vedo che le nostre speranze sono state vane.

Abbiamo già provveduto a cancellarti da ogni albero genealogico e da ogni arazzo riguardante la famiglia Black. Da questo momento, ritieniti diseredata. Tu non sei più nostra figlia, non sei più una Black. Per il profondo disonore che tu hai gettato sulla nostra famiglia, non sei nulla più della stessa feccia che la nostra famiglia ogni giorno tenta di contrastare.

Se mai le nostre strade si incroceranno nuovamente, puoi star certa che nulla ci vieterà di disprezzarti, di sfidarti a duello anche. Se nostra figlia Bellatrix t’incontrerà di nuovo, non ci saranno più vincoli parentali che le impediranno di ucciderti.

Traditrice del sangue, feccia, disonore dell’intero mondo magico.

 

Cygnus e Druella Black.

 

Londra, Stazione di King’s Cross, 1 settembre 1971

 

<< Walburga! >> Cygnus intravide la sorella attraversare la barriera della stazione col figlio maggiore e subito la chiamò.

<< Cygnus, Druella >> li salutò Walburga, raggiungendo i parenti. << Cissy >> sorrise poi alla nipote << Finalmente sola ad Hogwarts, eh? >>

<< Beh, quest’anno ci sarà Sirius con me >> rispose Narcissa, posando gli occhi glaciali sul cugino, squadrandolo dall’alto al basso. Era solo un bambino…

Sirius ricambiò lo sguardo con una espressione di sfida, non vedeva l’ora di salire sul treno, così per la prima volta dopo undici anni avrebbe detto addio alla famiglia, almeno per quattro mesi. A Natale sarebbe tornato, anche solo per scappare di casa un giorno ed assistere al matrimonio di Andromeda. Da quando aveva saputo la novità, le aveva scritto di nascosto con maggiore frequenza. Quando l’anno precedente lei andò via di casa,  gli scrisse per la prima volta. Sirius fu sorpreso, ma iniziarono una corrispondenza più o meno assidua. Quella sì che era una ragazza, non quelle due cugine che gli decantavano come esempio e perfezione.

Di Narcissa non si preoccupava, sarebbe stata lei la prima a non cercarlo. Era solo un undicenne e lei probabilmente doveva fare la prima donna della situazione, e non poteva farlo se si portava dietro per dietro il cuginetto di undici anni.  Chissà, magari sarebbe finito anche in un’altra Casa… Serpeverde non faceva per lui e poi Andromeda gli aveva dato l’esempio…

<< Chi hai visto? >> chiese Druella sottovoce al marito, quando lo vide fare una smorfia di disprezzo.

<< I Potter. Evidentemente anche il loro bambino frequenterà Hogwarts da quest’anno. Ecco, Sirius, il loro figlio lo devi evitare in tutti i modi. Purosangue sì, anche nostri lontani parenti credo, ma sono Babbanofili… >>

Sirius si voltò a guardare nella stessa direzione in cui guardavano gli altri parenti. Doveva essere quel ragazzo con i capelli neri che sembravano non vedere un pettine da diversi anni e con degli occhiali tondi. Sorrise quando i loro sguardi si incontrarono per un secondo. Quel ragazzo ancora non lo conosceva, ma sentiva che gli stava tremendamente simpatico.

<< Andiamo, Sir >> gli disse Narcissa, mentre il padre le trascinava il baule verso il treno << E’ ora.>>
Sirius afferrò il suo baule e lo spinse fino al treno, guardando con invidia la cugina. Anche lui avrebbe voluto un padre che gli portava il baule sul treno, ma suo padre forse non sapeva nemmeno che quel giorno sarebbe partito per Hogwarts, e probabilmente non si sarebbe neanche accorto della sua assenza.

Quando i parenti furono ormai lontani, Narcissa si girò verso di lui << Sentimi bene, Black. Prova ad avvicinarti a me quest’anno e ti disintegro. Io ora vado nella carrozza dei Prefetti e non ti voglio più vedere se non fino alle vacanze. >>

<< Sta tranquilla, Black. Sono io che non voglio avvicinarmi a te e alle tue amichette, sei troppo stupida per i miei standard. Ci si vede! >>

Narcissa entrò, umiliata, offesa e indispettita nella carrozza di testa, mentre Sirius tentava ancora di portare sul treno il suo bagaglio.

<< Serve una mano? >>

<< Sì, grazie >> rispose Sirius. Alzò lo sguardo e riconobbe il giovane Potter. Beh, era anche gentile. Un motivo in più per frequentarlo.

Il ragazzo lo aiutò a salire il bagaglio sul treno, poi lo guidò fino allo scompartimento da lui occupato << C’è spazio qui, se vuoi. >>

<< Mi chiamo Sirius Black >> si presentò lui, mettendo il suo baule sulla grata sopra ai sedili.

<< James Potter. >>

La loro attenzione fu subito catturata da una ragazzina dai capelli rossi e occhi verdi che bussò al loro scompartimento << Posso? Sapete… non ci sono più posti liberi… >>

James annuì, distratto, per poi tornare a parlare con quel ragazzino dai capelli neri che aveva appena conosciuto.

La ragazzina, dall’aria triste, probabilmente reduce da un litigio, tentò di intromettersi nella conversazione << Ciao, io sono Lily Evans… >>

<< Sì, interessante >> mormorò James, anche se dal suo tono si capiva che non c’era il minimo interesse. << Davvero hai fatto saltare in aria la cucina di casa tua? >> chiese poi al Black, con aria affascinata.

Sirius annuì, ridendo << Sì, mentre poi una volta incollai mio fratello alla porta del bagno… >>

<< Oh, io una volta feci diventare verde la pelle della mia vicina di casa. E’ una ragazzina antipatica, sai? Anche presuntuosa, non perdeva l’occasione di prendermi in giro. Sì, ma poi i suoi genitori dissero che era posseduta dal demonio o una cosa del genere, chiamarono anche l’esorcista. In effetti quella fu la mia prima magia… credo. >>

A lungo i due continuarono a parlare, chiassosi. La ragazzina chiamata Lily Evans tentò in tutti i modi di ignorarli, premeva il viso sul vetro dello scompartimento, rannicchiata.

La porta dello scompartimento si aprì nuovamente, facendo entrare un altro primino, che indossava già la divisa.

*Lily gli gettò un’occhiata e poi tornò a guardare fuori. Sirius le lanciò uno sguardo e si accorse che gli occhi della ragazza erano gonfi e rossi, il volto ancora rigato dalle lacrime.

<< Non voglio parlare con te >> la sentì dire al ragazzo. Poi mormorò qualcosa su una certa Tuney e di una lettera, dopodiché la sua attenzione fu nuovamente catturata da James.

<< Speriamo che tu sia una Serpeverde >> disse l’ultimo arrivato, che non aveva degnato di uno sguardo gli altri due ragazzini.

<< Serpeverde? Chi vuole diventare un Serpeverde? Io credo che lascerei la scuola, e tu? >> chiese James a Sirius, che non sorrise.

<< Tutta la mia famiglia è stata Serpeverde >> rispose mestamente il Black.

<< Oh, cavolo. E dire che mi sembravi a posto >> sbottò James. Aveva davanti un Purosangue Serpeverde e non l’aveva riconosciuto. Aveva sentito parlare dei Black, di Bellatrix, ma immaginava che il ragazzino avesse solo lo stesso cognome, era così diverso dalla descrizione della famiglia fattagli dai suoi genitori.

<< Probabilmente romperò la tradizione >> ghignò Sirius. La reazione dei parenti vari sarebbe stata alquanto divertente, non glielo avrebbero perdonato mai, forse si sarebbero perfino dimenticati del matrimonio di Andromeda. Probabilmente sarebbe stato diseredato anche lui, e la cosa non poteva che fargli piacere, perlomeno non avrebbe più avuto nulla a che fare con la sua “famiglia”.*

Poco tempo dopo, Sirius e James avevano già preso in antipatia quel ragazzetto, che a quanto pare rispondeva la nome di Severus, anche se Sirius lo aveva già ribattezzato Mocciosus.

<< Guarda! >> quasi strillò James, indicando un punto fuori dal finestrino << Quella è Hogwarts, siamo arrivati! >>

<< Finalmente >> sorrise Sirius << Spero che sia valsa la pena di farsi questo viaggio in treno… >>

Poco dopo, i due ragazzi erano su una barchetta che avrebbe attraversato il lago di Hogwarts. Fissavano rapiti il castello che si ergeva direttamente a picco sul mare.

<< Ad ogni modo, io sono Sirius Black, e questo è James Potter >> Sirius decise che i due ragazzi che aveva davanti erano degni della sua attenzione, o perlomeno lo era quel ragazzo dai capelli castano chiaro.

<< Remus Lupin >> sorrise quello, presentandosi a sua volta.

<< E io sono Peter Minus >> intervenne timido l’altro ragazzo, che Sirius guardò di sfuggita per un secondo. Se doveva descriverlo con una parola, quella era comune.

<< Remus >> ripeté Sirius << Non hai l’aria molto sana, sei appena uscito da una malattia? >>

Remus parve preso alla sprovvista, e dapprima balbettò confuso.  << Oh, no, è solo un po’ di stress. Mia madre non sta molto bene… Quasi mi pento di esser venuto qui >> disse poi, mestamente, distogliendo lo sguardo.

<< Mi dispiace, amico >> disse James << In che casa pensate di stare? >> chiese.

<< E’ la tredicesima volto che ti sento fare questa domanda >> sbuffò Sirius, per poi scoppiare a ridere << Cambia disco, James! >>

<< Tanto fra poco non avrò più bisogno di chiederlo, Sirius! >>

Già, lo Smistamento… Sirius non ne era preoccupato, e da quel momento era ansioso sì, ma di sfidare attraverso quel Cappello secoli di storia Black.

Quando mise piede per terra quasi correva per la fretta che aveva di raggiungere la Sala Grande.

<< Insomma, Sirius, vuoi rallentare un po’? >> gli chiese James, affiancandolo e tentando di riprendere fiato.

<< Spiacente, ho una famiglia da disonorare! >> ridacchiò Sirius, euforico. Una porta, una stupidissima porta lo separava dalla Sala Grande, dal suo futuro. Inveì contro la porta a lungo, quando finalmente quella si aprì. Dovette attendere che altre otto persone fossero smistate, poi a passo veloce e con aria di sfida avanzò verso il Cappello Parlante quando la professoressa che lo aveva fermato fuori dalla stanza esclamò << Black, Sirius. >>

Sirius cercò con lo sguardo Narcissa, che era seduta al centro del tavolo di Serpeverde, sorseggiando distratta un succo di zucca. Sirius sorrise e quasi strappò il Cappello dalle mani della professoressa. Una volta seduto, se lo posò sul capo. Fu una cosa rapida, bastarono pochi secondi.

<< GRIFONDORO! >> urlò il Cappello Parlante.

Narcissa sputò il suo succo di zucca, che andò a colpire in parte il tavolo e in parte una primina. Spostò lo sguardo sul cugino, incredula. << Cosa? >> urlò a sua volta, saltando in piedi.

Ruth, seduta al suo fianco, la tirò per una manica << Non dare spettacolo >> aggiunse poi, pacata. Certo, la situazione era particolare…

Sirius si voltò nuovamente verso la cugina e sorrise, con aria di trionfo. Vittorioso, si sedette al tavolo di Grifondoro, accanto ad un altro ragazzino smistato poco prima. I più adulti, che ancora ricordavano i tempi di Bellatrix e che ben conoscevano Narcissa si voltavano e si sporgevano da ogni tavolo per osservare quel Black che non era finito a Serpeverde, stupiti.

Sirius, poi, colse il primo momento buono per mostrare alla cugina, in quel momento rappresentante della sua famiglia, l’indice e il medio della mano destra, gesto ben poco gentile nel Regno Unito. Incredibilmente, ce l’aveva fatta. Incrociò poi lo sguardo di James, che rideva. Da quella mattina James aveva imparato così tante cose su Sirius che quasi poteva affermare di conoscerlo meglio della sua famiglia. Conosceva i caratteri delle cugine e l’affronto della media, conosceva anche le intenzioni di Sirius nei riguardi della famiglia, in effetti sentiva quasi di definirlo già un fratello.

Narcissa scostò sdegnata e incredula lo sguardo dal cuginetto. Poteva prevedere la reazione della famiglia una volta scoperto il misfatto, cosa che sarebbe accaduto molto presto. Dapprima aveva pensato che si trattasse di un errore, insomma Sirius era sì strano, ma era pur sempre suo cugino, era pur sempre un Black. Poi nei suoi occhi lesse la consapevolezza di quello che era successo e vide che era felice. E, come se non bastasse, si era anche preso gioco di lei. Stupido nanerottolo Grifondoro. La sola idea di vedere un Black con i colori rosso ed oro addosso era nauseante, nessuno in famiglia aveva indossato colori diversi da quelli di Serpeverde, mai. C’era anche chi in famiglia diceva che loro stessi discendessero da Serpeverde, a questo Narcissa non credeva ma il loro sangue restava il più puro in circolazione. Secoli e secoli di magia e di matrimoni mandati in fumo da un ragazzino presuntuoso e arrogante. Narcissa vide che una ragazzina dai capelli rossi gli si sedette accanto, una Mezzosangue sicuramente, e la vide dargli le spalle sdegnata. Poi lo raggiunse il giovane Potter, con cui pareva aver fraternizzato nonostante gli ordini della famiglia.

Narcissa all’improvviso non ebbe più fame, e molto prima del discorso finale del Preside decise che ne aveva abbastanza di quella farsa, così si alzò e si diresse al suo dormitorio. Avrebbe scritto una lunga lettera a casa.

 

*

 

<< Allora? Come l’hanno presa i tuoi? >> James affiancò Sirius mentre questi usciva dall’aula di Incantesimi, ultima lezione del primo giorno di scuola.

Sirius sorrise << Il solito, mi minacciano di morte e di diseredarmi, come se m’importasse veramente qualcosa di loro >> ridacchiò << Basta guardare lo sguardo assassino di Narcissa, è lei che ha dato la notizia a casa. Si mormora anche che Malfoy non accetti di essere fidanzato con la cugina di un Grifondoro, ma queste sono solo voci, e in caso non mi dispiacerebbe nemmeno >>.

L’odio era ben radicato in lui e lo muoveva ad andare controcorrente senza un reale motivo, senza neanche capire il perché stesse compiendo una determinata azione, sapeva solo che lui doveva fare tutto ciò che la sua famiglia gli proibiva e sarebbe stato contento.

 

Londra, novembre 1971

 

Bellatrix sedeva impeccabile alla tavola della famiglia Lestrange, per una cena di famiglia. Lei non sopportava queste interminabili e noiosissime cene, in cui la suocera le chiedeva almeno tre volte quando avessero intenzione di avere un figlio, e puntualmente Bellatrix le rispondeva che non lo sapeva, che era troppo presto, anche se in realtà sapeva che lei un figlio non l’avrebbe avuto mai, poiché un figlio le avrebbe rovinato tutto ciò che aveva costruito con tanta dedizione.

Se si era pentita di aver sposato Rodolphus? No. Chiaro, non lo amava, ma alla fine era meglio di tanti altri, dopo i primi mesi di matrimonio si era rassegnato all’idea che era lei a comandare, e non lui. E poi era così ingenuo… Bellatrix non gli era fedele, sentiva quasi la necessità di tradirlo, di violare quel vincolo che si era imposta, violare le regole era da sempre la sua passione. Rodolphus le permetteva di ricevere in casa chiunque volesse, forse perché si fidava ciecamente di lei, forse perché non avrebbe mai immaginato che lei potesse tradirlo col fratello, anche se da tempo aveva messo gli occhi addosso al suo migliore amico, nonché fidanzato della sorella, Lucius.

Rodolphus ovviamente lavorava, era lui a portare uno stipendio a casa. Bellatrix, invece, si dedicava anima e corpo a quello che alla fine era il suo vero e puro amore. Non passava minuto ch’ella non pensasse al Signore Oscuro e alla sua grande opera e non riusciva a capacitarsi che lei era davvero parte integrante di essa, che aveva il privilegio di conoscere e di rivolgere la parola a lui, Lord Voldemort.

Lei era terrorizzata dal suo Signore, e per questo non poteva fare a meno di amarlo. Lo amava con tutto il cuore, con trasporto, per lui era pronta anche a morire, bastava ch’egli muovesse un dito o pronunciasse una parola e lei avrebbe fatto tutto, ma davvero tutto, anche ammazzare la sua tanto amata madre. Ormai l’aveva capito; per amare una persona, doveva averne paura.

Lei era potente, ne era consapevole, e non poteva amare una persona più debole di lei. Trovare una persona più forte di lei era difficile, ma ne aveva incontrate ben due durante la sua seppur breve vita; la madre – l’unica che fosse riuscita a metterla in riga, colei che le aveva fatto capire cosa fosse veramente la vita- e il Signore Oscuro, il più potente di tutti. Del resto non le importava, erano solo figurine scialbe che provavano sentimenti umani e quindi erano deboli, degli altri se ne sarebbe volentieri separata, ma delle sue guide –una dell’infanzia, una della vita- non ne avrebbe mai fatto a meno.

Lei era Bellatrix Lestrange e il solo suono del suo nome avrebbe fatto tremare chi l’udiva. Avrebbe iniettato il terrore nelle vene delle sue vittime.  Avrebbe gioito del loro dolore, così come le era stato insegnato fin da piccola. Perché era proprio dal dolore altrui che lei traeva la sua forza, essendo ormai priva di sentimenti. Amava far soffrire gli altri, erano quei momenti a farla sentire viva, amava farli soffrire fino all’ultimo secondo, torturarli, farli diventare pazzi, fare in modo che della loro vita non ricordassero nulla, amava essere implorata, sentirli implorare la morte la faceva sentire invincibile, la morte la concedeva raramente, solo se era abbastanza soddisfatta, altrimenti li avrebbe fatti soffrire a lungo, per poi lasciare tutti inermi, privi di sensi, prossimi e allo stesso tempo lontanissimi alla morte. La clemenza non era per lei, la pietà nemmeno. Lei non era buona, lei era cattiva.

 

Brighton, 28 dicembre 1971

 

<< Bella casa… >> commentò James, entrando con Sirius nella casa dei Tonks. Sirius era andato dai Potter per le vacanze, così da poter presenziare al matrimonio di Andromeda, che non si sarebbe perso per nulla al mondo. Così, lui e James avevano usato la Metropolvere ed ora cercavano un posto nel giardino. C’era molta gente, più di quanta Sirius si aspettasse. Molti degli invitati li aveva visti ad Hogwarts, sapeva che frequentavano gli ultimi anni, altri probabilmente erano amici di vecchia data. C’era anche qualche parente di Ted, che ovviamente Sirius non conosceva, ma che individuava facilmente a causa dello sguardo sconvolto con cui assistevano alle varie preparazioni.

<< Sirius! James! >> li chiamò Gwenog, sorridendo e andando loro incontro. Sirius e James non avevano particolare simpatia per i Serpeverde, ma dovevano riconoscere che Gwenog Jones era un caso a parte, come del resto lo era la stessa Andromeda.

<< Ted? >> le chiese Sirius, curioso di conoscere il marito della cugina. Aveva tanto sentito parlare di lui, descritto dalla famiglia nei modi peggiori ed era proprio questo il motivo per cui era tanto ansioso di conoscerlo.

<< Attendi ancora un poco, Black, e lo conoscerai >> ridacchiò Gwenog, particolarmente agitata perché era stata scelta come testimone. Era curioso, si trovava a testimoniare un amore che aveva reputato per moltissimi anni impossibile. << Ed ora, scusami, ma vado da Meds! >>

<< Meda! Sei pronta? >> quasi le urlò attraverso la porta. Come tutta risposta, la Black uscì dalla stanza, raggiante, splendida. Il vestito era candido, senza maniche, costituito da uno stretto corpetto e da una gonna piuttosto larga, le spalle coperte da una stola. Aveva freddo, anche vista la data, ma in realtà non se ne rendeva conto, vista la sua immensa felicità. Il viso era abbellito da un filo di trucco e i capelli, sempre tagliati in un carré, erano adornati da una coroncina.

Gwenog non poté fare a meno di sorridere a sua volta, tanto era contagiosa l’allegria della sposa.

Arrivarono all’esterno del padiglione e Gwenog la precedette all’interno. Di quel che accadde dopo, Andromeda non aveva ricordi molto chiari. Ricordava quanto fosse bello Ted nel suo vestito elegante, ricordava che fu accompagnata da lui dal padre di Gwenog. Suo padre, ovviamente, non c’era e questo il giorno prima aveva causato un po’ di amarezza nella Black. Alla fine, gli voleva bene, e ci teneva davvero a vederlo al suo matrimonio, ma l’unico membro della sua famiglia presente era il cuginetto.

Quando raggiunse Ted non poté fare a meno di guardarlo a lungo, raggiante. Entrambi i ragazzi si dovettero concentrare per prestare attenzione al mago che li stava sposando tanto grande era la loro contentezza. Non prestavano attenzione a nessuno, esistevano solo loro due e quel fastidioso mago che pronunciava parole che non capivano. Confusi, sbagliarono più volte qualche passo, qualche gesto, ma parevano non accorgersene. Volevano che quello stupido mago finisse di borbottare parole, volevano vivere il loro matrimonio, non sentire delle parole prive di senso.

<< Vuoi tu, Ted, prendere Andromeda Hesper come moglie? >>

<< Sì >> Ted non poté trattenersi dal ridacchiare mentre esprimeva il suo consenso e i suoi occhi si posavano su quelli, incantevoli, della sua promessa sposa.

<< E vuoi tu, Andromeda Hesper, prendere T…? >>

<< Sì! >> esclamò Andromeda, ben prima che il mago potesse completare da formula come da rito. Al diavolo le formalità, perché mai doveva essere lì in quel momento se non per sposare quel ragazzo che le stava di fronte?

<< Dunque io vi dichiaro uniti per sempre >>.

Ted quasi saltò addosso ad Andromeda, baciandola con trasporto, mentre lei si stringeva a lui e il mago –di cui si erano già dimenticati l’esistenza- levò la bacchetta sopra le loro teste e diede via ad una pioggia di stelle argentate.

<< Ti amo, ‘Dromeda >> le sussurrò poi Ted, mentre lei non voleva saperne di separarsi da lui.

Aveva fatto la sua scelta ed ora era sicura che non sarebbe tornata indietro mai e poi mai, nemmeno se avesse potuto. Era quella la sua via, sapeva che il suo destino era stato quello, si rendeva conto solo ora di come sapesse già da parecchio tempo, da quando ancora non sopportava suo marito, che presto o tardi sarebbe diventata la signora Andromeda Hesper Tonks. O, più semplicemente, ‘Dromeda.

 

N.b.

Fra i segni “*” sono riportate frasi contenute nel capitolo 33 de “Harry Potter e i Doni della Morte”.
P.s. Finalmente ho front page, così non dovrò più sbattere con i codici! Un aspetto decente!

  
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