La Tela Bianca: Scintille di vita
(Pov Zane)
Quando aprii gli occhi, il buio della stanza mi avvolse come una coperta soffocante. Era già passata la mezzanotte, e io ero sudato fradicio, accaldato e teso come una corda di violino. Mi passai una mano sulla fronte, cercando di calmare il respiro affannoso. Un altro incubo. L’ennesimo.
Mi lasciai cadere all’indietro sul cuscino, fissando il soffitto che non potevo vedere. Il cuore mi martellava nel petto, e per quanto cercassi di scacciare le immagini dalla mente, erano ancora lì, vivide e inquietanti.
Mi misi a sedere, passando una mano tra i capelli, ancora umidi di sudore. “Che diavolo…” mormorai, cercando di darmi un tono, anche se non c’era nessuno a sentirmi. Non era la prima volta che facevo quel sogno, ma ogni volta sembrava più reale, più intenso. E ogni volta mi lasciava con una sensazione di vuoto che non riuscivo a spiegare.
Mi alzai dal letto, cercando di scrollarmi di dosso quella tensione. “Okay, Zane,” dissi a me stesso, deciso. “Non è niente. Solo un brutto sogno. Sei troppo figo per lasciarti abbattere da queste cose.”
Mi avvicinai allo specchio, osservando il mio riflesso. I capelli erano un disastro, e il mio viso aveva un’espressione più seria del solito. Non mi piaceva vedermi così. “Forza, ragazzo,” mi dissi, cercando di sorridere. “Non puoi permettere che un incubo rovini il tuo fascino naturale.”
Mi passai una mano tra i capelli, cercando di sistemarli, e feci una smorfia. “Beh, almeno non ho urlato nel sonno… credo.” Poi mi lasciai andare a una risata nervosa, cercando di alleggerire l’atmosfera.
Ma, nonostante i miei tentativi di scherzare, non riuscivo a togliermi quella sensazione di dosso. Era come se qualcosa mi stesse osservando, come se l’ombra di quel sogno fosse ancora lì, nascosta da qualche parte nella stanza.
Scossi la testa, cercando di scacciare quei pensieri. “Basta, Zane. Non sei il tipo da farti prendere da queste cose. Sei un re, un’icona, un dannato spettacolo vivente. Domani sarà un nuovo giorno, e tu sarai di nuovo al centro dell’attenzione, come sempre.”
Con un sospiro, mi alzai e mi diressi verso la finestra. Aprii le tende, lasciando entrare la luce della luna. Il mondo fuori sembrava così tranquillo, così distante dai miei incubi. Mi appoggiai al davanzale, lasciando che l’aria fresca mi accarezzasse il viso.
“Qualunque cosa tu sia,” dissi sottovoce, guardando il cielo stellato, “non vincerai. Non contro di me.”
E con quel pensiero, decisi che era ora di tornare a letto. Anche se sapevo che il sonno non sarebbe stato facile, non potevo permettere che un sogno mi controllasse. Non io. Non Zane.
(Pov Taiga)
Era una giornata bellissima! Tranne che per la pioggia e il vento forte. Ma i dettagli non importano quando si è felici, no? Stavo camminando per la strada che portava alla fermata, canticchiando tra me e me e saltellando qua e là per evitare le pozzanghere o per centrarle di proposito, perché schizzare acqua ovunque è divertente!
Mentre giravo l’angolo, ecco che la mia amica d’infanzia, PeoPeo, se ne stava lì, con il solito sguardo da teppista imperturbabile e le braccia incrociate. I suoi lunghi capelli blu scuro ondeggiavano leggermente al vento, e negli occhi dorati lampeggiava un misto di noia e fastidio.
“Taiga,” sospirò, senza neanche guardarmi. “Dimmi che hai studiato per il compito di storia. Perché se mi dici che hai passato tutto il tempo a saltellare e fantasticare sul club, giuro che ti lancio direttamente sotto il prossimo autobus.”
GASP! Aggressione verbale di prima mattina?!
Mi misi a ridere nervosamente, ondeggiando sulle punte dei piedi. “Ehhh... sì! Cioè, più o meno! Ho letto qualche riga tra un sogno e l’altro! Ma dici davvero che le date delle guerre sono così importanti? Non possiamo semplicemente dire ‘è successo tanto tempo fa’ e chiudere la questione?”
Peony si prese la testa tra le mani, frustrata. “Santo cielo, gamberetto, come fai a sopravvivere?! Un giorno ti metteranno alla prova, e sarò lì a ridere mentre implori pietà.”
Io feci una faccia offesa, gonfiando le guance. “Uffaaaa, ma si parlerà di musica anche nel compito, vero? L’evoluzione della musica attraverso i secoli, e cose così! E parlando di musica… PEoPEo! Hai visto? I Paladins faranno un concerto a NeoTokyo!”
Peony alzò un sopracciglio, finalmente mostrando un accenno d’interesse. “Tsk. Soken, Toranashi e Shirogane, eh? Il Lepardo delle Nevi, la Tigre del Kansai e il Leone Bianco di NeoTokyo… bah cos'è uno zoo! Sempre roba da idol, sempre facce perfette e sorrisi da copertina. Scommetto che non sanno nemmeno che cos’è un canestro.
Io restai a dir poco scandalizzata. “Ehi ehi! Non puoi dire così! Soken ha una voce incredibile, Toranashi è un genio della chitarra, e Shirogane… beh, Shirogane è il sogno di ogni ragazza! Come puoi essere così insensibile?!”
Peony sbuffò, agitando una mano come se stesse scacciando via le mie parole. “Pfff. Il vero problema qui è che non possiamo andarci. NeoTokyo è troppo lontano, e qui a Gear siamo bloccati nel nulla.” Poi fece un gesto ampio attorno a sé. “Per non parlare del fatto che non abbiamo nemmeno il dannato WiFi! WiFi, Taiga! Siamo nel 2025 e siamo fermi all’età della pietra! Dovrei sincronizzare i video delle coreografie, ma nooo, il mio telefono è praticamente un fermacarte a questo punto!”
Mi misi a ridere, battendo le mani. “Awww, PeoPeo, sei sempre così drammatica! Ma un giorno andremo a NeoTokyo, vedremo i Paladins, e sarà il miglior giorno della nostra vitaaa!”
Lei mi guardò con il suo classico ghigno. “Tsk. Vedremo se il tuo entusiasmo riesce a farci avere dei biglietti gratis. Magari troviamo il modo di hackerare l’assenza di WiFi.”
Io annuii con vigore. “Sfida accettata! E nel frattempo, dobbiamo sopravvivere al compito di storia! Sarà una battaglia epica!”
Io e PeoPeo entrammo in classe, mentre la pioggia fuori continuava a tamburellare sui vetri. Stavo ancora borbottando sulla tragedia di non poter andare al concerto dei Paladins, quando davanti a noi comparve una figura impeccabile: Giselle, la presidentessa del consiglio studentesco, sempre perfetta, con quel portamento da vera leader.
“Buongiorno, ragazze.” Il suo sorriso era educato, ma il suo sguardo era quello di chi aveva già un piano pronto per noi. “State per caso pensando di entrare nel consiglio studentesco? Abbiamo alcuni ruoli disponibili.”
Prima ancora che potessi rispondere, Peony incrociò le braccia e sbuffò. “Nah. Ho già abbastanza grane con le selezioni di basket e le coreografie del club. Farsi carico di altri problemi? No grazie.”
Io, invece, illuminai gli occhi. “Uhhh, ma sarebbe bello! Organizzare eventi, fare cose importanti! Potrei mettere glitter sulle comunicazioni ufficiali?”
Giselle trattenne a stento un’espressione esasperata, ma prima che potesse dire qualcosa, Logan entrò nella classe proprio in quel momento, aggiungendosi alla conversazione.
“Ohhh, il consiglio studentesco?” disse con un mezzo sorriso, infilando le mani nelle tasche. “Ci sto. Potrebbe essere interessante.”
Giselle annuì con approvazione, e proprio mentre stava per prendere nota, un’altra voce, più timida, si fece sentire.
“A-Ah… potrei fare il tesoriere, se serve.”
Era Keith, che si era avvicinato senza farsi notare, con la solita espressione gentile e riservata. Giselle lo guardò per un attimo e poi sorrise. “Perfetto! Abbiamo giusto bisogno di un tesoriere.”
la presidentessa continuò a spiegare. “Ci sono ancora altri incarichi disponibili, tra cui segretario e responsabile eventi. Inoltre, l’insegnante che si occuperà di voi sarà Daisuke Genki.”
Io e Peony ci scambiammo uno sguardo confuso. “Ehm… chi sarebbe?”
Logan sollevò un sopracciglio e fece spallucce. “Era assente durante la cerimonia di inizio anno, quindi nessuno ha ancora avuto modo di conoscerlo. Arriverà domani.”
GASP! Un professore misterioso?! Questo rendeva tutto ancora più interessante!
Mi girai verso Peony, tutta eccitata. “PeoPeo, immagina se fosse un tipo ultra severo o super eccentrico! Magari ha una benda sull’occhio e parla in enigmi!”
Peony mi fissò con un’espressione esasperata. “…Oppure è solo un normale insegnante che domani sarà qui per lavorare, gamberetto.”
Io feci finta di non sentirla e mi misi già a fantasticare sulle possibilità. Avevo accettato un nuovo ruolo, c’era un professore misterioso, e avevo un sacco di nuovi amici nel consiglio studentesco! Chiaramente questa giornata stava andando alla grande!
***
Il suono del cancellino che scorreva sulla lavagna mi rilassava un po’ dopo il massacro mentale del compito di storia. Avevo bisogno di musica, di suoni che mi facessero sentire viva, e per fortuna, tra poco sarei corsa al club di musica leggera.
Logan era lì, tranquillo, a sistemare il registro con la sua solita sicurezza calma. Mi chiedevo come facesse ad avere sempre quell’aria composta, come se nulla potesse mai metterlo davvero in difficoltà.
“Allora, Taiga,” disse, senza nemmeno guardarmi. “Cos’è che ti ha spinto a fondare il club di musica leggera?”
Un sorriso mi esplose in faccia. “Ma è ovvio! La musica mi fa super felice! E poi volevo fare amicizia e creare qualcosa di fantastico con voi! Quando suoniamo tutti insieme, è come se il mondo fosse un enorme concerto pieno di energiaaa!”
Mi aspettavo che ridacchiasse, ma si limitò ad annuire, pensieroso.
Interessante. Taiga non aveva filtri, non si fermava mai a riflettere troppo su quello che diceva. La sua energia era pura, travolgente, e non potevi fare a meno di sentirla anche se non volevi.
“Mmh, interessante,” risposi, posando il cancellino.
Lei mi guardò con quegli occhi sempre pieni di curiosità. “E tu? Perché l’hai voluto fondare, allora?”
Mi passai una mano tra i capelli, riflettendo per un istante. “Voglio diventare un cantante. Uno che lascia il segno. E creare una band era il primo passo per costruire qualcosa di grande.”
Taiga spalancò gli occhi, tutta eccitata. “Ma è fantastico! Tu hai proprio il carisma di un leader di band! E poi hai una voce pazzesca! Siamo già sulla strada giustaaa per diventare leggendari!”
Scossi la testa, divertito dalla sua reazione. “Spero tu abbia ragione, gamberetto.”
Batté le mani entusiasta. “Dobbiamo assolutamente organizzare una super esibizione per la scuola! Voglio che tutti ci vedano e dicano ‘WOW, questi ragazzi sono incredibili!’”
Aveva le idee molto chiare, anche se sembrava pensare più alla sensazione che al piano concreto. Taiga era tutta istinto, un fuoco che bruciava senza controllo. Ed era proprio questo che la rendeva interessante.
“Ci sto. Facciamolo.”
Mentre finivamo di sistemare l’aula, Logan mi lanciò un’occhiata divertita. Forse pensava che fossi troppo ingenua, troppo impulsiva, ma io sapevo una cosa: quando credi davvero in qualcosa, devi metterci tutto te stessa.
E se lui voleva diventare un grande cantante, beh… allora io sarei stata lì, a urlare più forte di tutti quando finalmente sarebbe salito sul palco.
(Pov Zane)
Correre. Cosa diamine sarebbe una giornata senza una corsa folle per recuperare il ritardo?
Mi fiondo per i corridoi della scuola, schivando studenti, saltando scalini due alla volta, con il cuore che batte forte. Sono in ritardo per le prove del club di teatro—di nuovo. Ma, ehi, essere puntuali non è mai stato il mio forte, e in fondo un ingresso drammatico è sempre più interessante, no?
Stringo i denti e accelero ancora, quando all’improvviso—STOP.
Un gruppo di studenti mi blocca la strada, sguardi curiosi, occhi scintillanti di pettegolezzo.
“Zane! Zane! È vero che hai una storia con la signorina Odette?!”
Mi fermo di colpo, quasi inciampo per la sorpresa. “Scusate, COSA?!”
Una ragazza incrocia le braccia, con un sorrisetto malizioso. “Eh, dai, ci sono voci che girano… tu e lei, lezioni private, sguardi segreti, chissà che altro…”
“Ma di cosa state parlando?!” esclamo, agitando le mani. “Io e la signorina Odette?! È un’insegnante! È una pettegolezzo assurdo! Non c’è niente di vero!”
Ma loro non sembrano convinti. Sussurrano tra loro, ridacchiano, e io posso già immaginare la scena: domani tutto il liceo sarà convinto che io e la prof. di danza abbiamo una relazione segreta.
Fantastico.
Sto per svignarmela, ma poi una voce profonda e autoritaria si fa sentire alle mie spalle.
“Zane.”
Mi giro di scatto, il sangue mi si gela nelle vene. Il vicepreside Serizawa mi sta fissando con quegli occhi di ghiaccio, i lunghi capelli bianchi perfettamente sistemati, l’aria di chi potrebbe giudicarti con un solo sguardo e farti pentire di ogni tua scelta di vita.
Oh no.
“il preside Kaneki ti sta aspettando nel suo ufficio,” dice Serizawa, la voce gelida come sempre.
GASP! Non il preside!
Abbasso le spalle sconfitto. “Ehm… posso dire che sono occupato con le prove? Un’emergenza teatrale?”
Serizawa alza un sopracciglio.
Ok, ok, pessima idea.
Mi rassegno e mi avvio verso l’ufficio del preside, i miei sogni di essere l’eroe della rappresentazione teatrale ormai sfumati.
Appena apro la porta, vengo travolto dal colore.
Il preside Kaneki mi aspetta seduto sulla scrivania (non SULLA sedia—letteralmente sulla scrivania), vestito con un completo così sgargiante che fa male agli occhi. Metà dei suoi capelli sono bianchi, l’altra metà rosa, e i suoi occhi viola scintillano di puro divertimento.
“Zane, Zane, Zane!” esclama, ridendo. “Hai sentito le ultime novità su di te? Sei praticamente il protagonista di una soap opera!”
Io lancio un’occhiata disperata a Serizawa, che è in piedi accanto alla porta, impassibile come una statua di marmo.
“Preside, non ho idea di cosa stia succedendo,” dico, cercando di mantenere un minimo di dignità.
Kaneki si sporge verso di me, con quel suo solito sorriso infantile. “Eppure, i pettegolezzi sono affascinanti, non trovi? Ahhh, quanto mi mancano i giorni in cui io e Serizawa eravamo i Kings! Ai nostri tempi, i rumor su di noi erano ancora più assurdi!”
Serizawa sbuffa, incrociando le braccia. “Non siamo qui per discutere il passato, Kaneki. Siamo qui per chiarire la situazione.”
Io alzo le mani. “Esatto! E la situazione è questa: io NON ho una relazione con la signorina Odette! È solo un pettegolezzo senza senso!”
Kaneki mi scruta, poi annuisce, soddisfatto. “Mmh, mmh, bene! Allora tutto a posto! Puoi andare!”
Io strizzo gli occhi. “…Sul serio? Non devo scrivere una relazione di dieci pagine? Non devo fare lavori socialmente utili per ripulire la mia immagine?”
Kaneki ride. “Ma nooo! Però…”
Mi irrigidisco. “…Però?”
“Potresti recitare in una commedia improvvisata su questo meraviglioso caos! Sarebbe divertentissimo! Serizawa, tu puoi fare il mentore severo e io il… genio eccentrico!”
Serizawa sospira e si massaggia le tempie. “Kaneki, basta.”
Io prendo il volo. “Eh, bello tutto ma DEVO andare alle prove, arrivederci grazie!”
Corro via prima che Kaneki possa decidere di assegnarmi il ruolo principale in una tragicommedia su un pettegolezzo inesistente.
Ma mentre attraverso il corridoio, so già che domani questa storia tornerà a perseguitarmi.
E che dovrò trovare un modo epico per ribaltare la situazione.
Il cuore mi batte forte mentre mi avvicino all’aula, pronto a entrare con il mio solito stile. Nessuno vuole un ingresso anonimo, giusto?
Le porte si spalancano e io faccio il mio passo teatrale dentro la stanza, esibendo un sorrisetto sicuro. “Signore e signori, il vostro protagonista è finalmente arrivato!”
Tutti si voltano. Perfetto.
Ella, che stava provando alcuni passi di danza, mi lancia uno sguardo tra il divertito e il disapprovato. Keith, intento a sistemare le luci, solleva appena lo sguardo, l’aria di chi è ormai abituato a queste mie sceneggiate. Giselle, invece, interrompe le sue istruzioni alle comparse per fissarmi con il suo solito atteggiamento severo e composto.
“Zane, sei in ritardo,” dice senza cambiare espressione.
Faccio un gesto drammatico con la mano, come se stessi respingendo via quel minuscolo dettaglio. “Tsk, dettagli! L’importante è che ora sono qui, pronto a illuminare questa stanza con il mio talento senza pari.”
Ella sospira, poggiando le mani sui fianchi. “Prima di illuminare la stanza, magari potresti aiutarci.”
Mi avvicino con passo sicuro, guardandomi attorno con un sorriso. “Ma certo! Il teatro è attesa, è suspense, è emozione! E io sono qui per portare tutto questo ai massimi livelli!”
Keith scuote la testa, tornando a controllare le luci. “Se avessi un soldo per ogni volta che fai un ingresso teatrale, potrei comprarmi un impianto luci nuovo.”
Giselle incrocia le braccia e mi osserva per qualche secondo. “Mettiamoci al lavoro, protagonista.”
Mi metto in posa, pronto a brillare. Il club di teatro è la mia casa, il mio palcoscenico. E oggi, ancora una volta, avrò il mio momento.
Il brusio mi perseguita.
Non appena entro nella sala del club di teatro, sento il chiacchiericcio attorno a me. Gli sguardi degli altri studenti non sono solo per la mia magnifica entrata scenica, ma soprattutto per quei ridicoli pettegolezzi su di me e la signorina Odette.
Santo cielo.
Mi riprendo subito, sfoderando il mio solito sorriso sicuro e teatrale. Se c’è una cosa che so fare bene, è controllare l’attenzione della gente.
Ma prima che possa ribaltare la situazione con un discorso epico, Giselle, sempre composta e autoritaria, interrompe il brusio battendo le mani. “Basta perdere tempo. È il momento di votare per il tema della nostra rappresentazione.”
Il club si zittisce, l’attenzione si sposta su di lei.
“Sarà un’opera basata sulle favole,” continua. “Ognuno può proporre la propria idea.”
Ella è la prima a parlare, entusiasta. “Un balletto! Il Lago dei Cigni sarebbe perfetto! È una storia bellissima, tragica e poetica, e si presta meravigliosamente alla danza classica.”
Mi giro verso di lei, affascinato. Ella quando parla di danza ha una luce particolare negli occhi, è evidente quanto ami la sua arte.
Ma io ho altre idee.
“Sì, bello e tutto, ma se vogliamo davvero colpire, serve qualcosa di più dinamico,” dico, gesticolando con energia. “Dobbiamo poter recitare e cantare, non solo ballare! Che ne dite di La Bella Addormentata in chiave moderna? Musica, recitazione, interpretazioni potenti!”
Giselle ci osserva entrambi, pensierosa. “Un mashup potrebbe funzionare. Potremmo rivisitare Il Lago dei Cigni unendo danza, recitazione e canto.”
Keith, che fino a quel momento era rimasto in disparte sistemando le attrezzature, alza la voce con una sua solita calma gentile. “E se ci aggiungessimo un po’ di epicità? Il principe potrebbe essere più attivo, avere una presenza forte e non solo essere un salvatore che arriva alla fine.”
Annuisco subito, appoggiando l’idea. “Sì! Dovrebbe essere più coinvolto nella storia! Magari ha una sua lotta personale, un motivo più profondo per voler salvare la principessa!”
Ella incrocia le braccia, ponderando la cosa. “Mmmh, potrei adattare le coreografie per integrare alcuni movimenti più intensi…”
Giselle annuisce, scrivendo gli spunti sul suo taccuino. “Bene. Se facciamo le cose per bene, potrebbe venirne fuori una rappresentazione spettacolare.”
Mentre Giselle si prepara ad assegnare i ruoli, la porta si spalanca ed entra Serena, ovviamente circondata da quattro ragazzi che quasi le camminano dietro come cuccioli adoranti.
La bionda cotonata mi lancia un occhiataccia con un astio immeritato, le avessi fatto qualcosa! Dopodiché, ignora completamente il rimprovero di Giselle per il ritardo—perché ovviamente Serena non si lascia minimamente toccare da simili dettagli insignificanti.
“Io sarò la protagonista,” afferma con sicurezza, lanciando un’occhiata teatrale alla sala. “Sono l’unica degna di interpretare Odette.”
Sbuffo, incrociando le braccia. “Oh davvero? E chi l’ha deciso?”
Serena mi guarda con aria di sufficienza. “Il buon senso.”
Ah, certo. Il buon senso secondo Serena.
Mi alzo in piedi con un gesto plateale, posando una mano sul petto. “Beh, mi candido anch’io per Odette.”
Silenzio.
Poi, esplode la risata generale.
Molti scoppiano a ridere, alcuni addirittura si tengono la pancia. Non mi sorprende—ma, dannazione, non posso fare a meno di sentire la puntura del giudizio.
Solo Keith, Ella e Giselle restano impassibili.
Serena, ovviamente, sorride con aria condiscendente. “Oh, Zane, smettila di fare lo spettacolo e lasciami il ruolo. Odette è delicata, eterea, sublime. Non puoi essere tu.”
La sua frase mi punge più di quanto vorrei dare a vedere e mascherare con un sorriso.
Ma prima che possa rispondere, Keith interviene, spostandosi leggermente in avanti. “Basta,” dice, con un tono calmo ma fermo. “Se Zane vuole candidarsi, ha ogni diritto di farlo.”
Giselle, con la sua solita autorità glaciale, riprende immediatamente il controllo della situazione. “Serena, l’interpretazione teatrale non si basa sulla tua idea ristretta di cosa sia giusto,” afferma, guardando gli studenti. “Avete mai sentito parlare del teatro Kabuki?”
Silenzio.
Lei incrocia le braccia, lo sguardo severo. “Il Kabuki è un’antica forma di teatro giapponese, dove gli uomini interpretano anche ruoli femminili. È una tradizione consolidata e rispettata. Ciò che conta in un’opera teatrale non è il genere dell’attore, ma la sua capacità di portare il personaggio in scena.”
Serena fa una smorfia, ma il resto del club sembra improvvisamente interessato.
Giselle mi guarda, con un accenno di approvazione. “Quindi, se Zane vuole essere Odette, e ha la capacità di interpretarla al meglio, allora ha ogni diritto di farlo. E la rappresentazione ne guadagnerà in creatività e originalità.”
Mi risollevo, scuotendo la testa e sfoggiando un sorriso sicuro. “Beh, io l’ho sempre detto: il teatro è innovazione.”
Keith accenna un sorriso, mentre Serena sembra tutt’altro che convinta.
Ma, stavolta, la mia candidatura è stata difesa.
E di certo, non ho intenzione di deludere chi crede in me.
“Un momento!” la oca bionda alza di nuovo la voce.
Serena non ci sta. Non solo si rifiuta di accettare la mia candidatura per il ruolo di Odette, ma punta il dito contro Giselle, sfidandola apertamente.
“Non puoi decidere tutto da sola,” dice, incrociando le braccia e sollevando il mento con aria altezzosa. “Questa dovrebbe essere una scelta di tutti, e io dico che Odette dovrebbe essere interpretata da una ragazza. Fine della discussione.”
Gli studenti attorno a lei annuiscono, alcuni borbottano in segno di approvazione. Un ragazzo, in particolare, assume un atteggiamento più aggressivo, incrociando le braccia e fissandomi con occhi duri.
“Smettila di fare il buffone, Zane,” dice, quasi sputando le parole. “Questo non è uno dei tuoi soliti spettacoli.”
Sento le risate soffocare la mia sicurezza per un istante. Ma solo un istante.
Giselle, sempre imperturbabile, interviene prima che le cose possano degenerare. “Basta. Saremo equi.”
Il tono è calmo ma inamovibile.
“Faremo delle audizioni,” continua. “Serena e Zane si divideranno il copione e interpreteranno una scena. Il migliore avrà la parte.”
Un mormorio attraversa la sala. Alcuni studenti sembrano soddisfatti, altri meno, ma almeno questo riduce la tensione.
Io non faccio una piega. Audizioni? Perfetto. Dimostrerò di poter essere Odette.
Ma il problema non finisce lì.
Quando esco dall’aula dopo le prove, sento subito una presenza dietro di me. Mi volto e trovo lo stesso studente aggressivo di prima, le mani in tasca e l’espressione poco amichevole.
“Sei ridicolo,” dice, facendo un passo avanti. “Pensi davvero di poter interpretare Odette? Questa cosa ti sfuggirà di mano, credimi. Odette è una donna”
La sua voce è velenosa, e so esattamente dove vuole arrivare puntualizzando quella cosa.
Non faccio in tempo a rispondere nuovamente, perché all’improvviso, un’altra figura compare alle mie spalle e non sono mai stato così felice di vederlo.
Ryuga Tsukumo.
Capelli bianchi con ciocche verdi, occhi verde intenso, un’aria vagamente minacciosa. Si piazza tra me e il ragazzo, uno sguardo annoiato ma allo stesso tempo pericoloso.
“Che problema hai, eh?” chiede, inclinando leggermente la testa. “Se vuoi litigare, scegli qualcuno che abbia voglia di perdere tempo.”
Lo studente si irrigidisce, sorpresa e irritazione gli attraversano il volto. “Non è affar tuo.”
Ryuga sorride storto. “Ora sì.”
E proprio in quel momento, un’altra voce si fa sentire.
Moeka.
La sua figura agile compare accanto a noi, e senza pensarci due volte, fa un rapido movimento con il piede—e il ragazzo cade rovinosamente a terra.
“Ohhh, scusa!” esclama con tono divertito, il caschetto bianco che ondeggia mentre si china su di lui. “Non ho visto che eri lì. Che disastro, eh?”
Io trattengo a stento una risata, mentre il ragazzo si rialza furioso. Ryuga incrocia le braccia, annuendo in segno di approvazione.
“Direi che hai finito qui,” dice con un tono che non lascia spazio a repliche.
Il ragazzo lancia un’occhiata carica di rabbia, ma alla fine se ne va senza aggiungere altro.
Io mi rilasso, scrollando le spalle. “Beh, direi che è stata una performance interessante.”
Moeka mi lancia uno sguardo divertito. “Hai un talento nel metterti nei guai, lo sai?”
Ryuga sospira, infilandosi le mani nelle tasche. “Eppure sei sempre al centro di tutto. Fai il bravo, per favore.”
Io sorrido, scuotendo la testa.
“Ma stavolta non è colpa mia. Quel tipo mi ha praticamente minacciato! Per fortuna c'eri tu a correre in mio soccorso mio cavaliere!” scherzo con le mani strette in una buffa preghiera, lui ghigna.
Mamma mia quanto è figo! Lo ammetto...ho una cotta astronomica per il fratello di Moeka è così affascinante, forte, coraggioso e che culo fantastico!
"Scusa e io chi sono?" mi chiede Moeka accuso il colpo del suo pugno sul braccio ridacchiando.
"Il mio angelo custode?" scherzo
Domani ci saranno le audizioni.
E io farò vedere a tutti che Zane può essere Odette.
(Pov Quasar)
La stanza del Hub centrale di Vanguard è un paradiso tecnologico. Schermi olografici che pulsano con dati in costante aggiornamento, luci fredde che illuminano ogni angolo, dispositivi che sembrano troppo avanzati persino per essere reali.
Cammino con calma, le mani in tasca, gli occhi che scorrono veloci sulla scena davanti a me. In un angolo della stanza, impeccabile e severo come sempre, c’è Iari Shimizu. Capelli arancioni ordinati alla perfezione, occhi glaciali, postura rigida. È il comandante della Vanguard, e il suo sguardo dice già tutto: qui non si perde tempo.
Alla sua sinistra, completamente immersa nel suo mondo, c’è Nonoha Cyprine. I capelli neri-viola tagliati a caschetto le incorniciano il viso, gli occhiali sottili riflettono i dati degli schermi davanti a lei. Ma più di tutto, sono le sue enormi orecchie da fennec e la coda che si muove lentamente a renderla inconfondibile. Sorseggia il suo caffè—probabilmente il decimo della giornata—con una calma quasi inquietante.
Mi fermo al centro della stanza. Nessuno dei due spreca tempo con inutili saluti.
“Mi avete chiamato,” dico, il tono rilassato ma carico di interesse. “Spero che sia per qualcosa di interessante.”
Iari incrocia le braccia. “Non sprechiamo tempo, Quasar. Abbiamo un incarico.”
Nonoha si gira leggermente verso di me, gli occhi impassibili dietro le lenti sottili. “Un esperimento. Tu sei uno degli elementi sotto osservazione.”
Sollevo un sopracciglio. “Oh, fantastico. Amo quando la mia vita diventa materiale da laboratorio.”
Lei beve un altro sorso di caffè, senza neanche cambiare espressione. “Non è questione di preferenze. È una costante.”
Iari muove la mano verso uno degli schermi, facendo comparire una serie di dati e informazioni in rapida sequenza. “Vanguard ha bisogno di risultati, non di spettacolo.”
Mi massaggio la nuca, osservando le informazioni davanti a me. Non ho ancora tutti i dettagli, ma so una cosa: se Vanguard ha bisogno di me, significa che le cose stanno per diventare davvero interessanti.
Sorrido appena.
“Risultati, eh? Bene, allora facciamolo.”
La stanza vibra del rumore costante dei dati che scorrono sugli schermi. Nonoha è davanti a me, sorseggiando il suo ennesimo caffè, mentre Iari sta in silenzio, braccia incrociate, lo sguardo glaciale fisso su di me.
Lei inclina appena la testa, come se mi stesse esaminando. Poi parla, il tono sempre apatico, senza alcuna inflessione emotiva.
“Dunque, Quasar. Dopo due anni di esposizione diretta agli Spettri, il tuo corpo ha sviluppato anomalie evidenti.”
Sollevo un sopracciglio, incrociando le braccia. “Oh, fantastico. Io e il mio destino da esperimento scientifico. Dimmi qualcosa che non so.”
Nonoha ignora completamente la mia battuta e continua, bevendo un altro sorso di caffè. “La formazione di cristalli sulla tua pelle non è un effetto collaterale casuale. Rientra perfettamente nel quadro della Nexopatia.”
Il termine mi blocca per un secondo. Lei attiva uno schermo e mi mostra una serie di immagini: tessuti cristallizzati, cellule in degenerazione, analisi dettagliate.
“I cristalli che si stanno formando non sono normali,” prosegue. “Sono perfettamente sincronizzati con il tuo battito cardiaco, esattamente come accade nelle prime fasi della malattia. Eppure, non hai ancora manifestato il deterioramento sensoriale tipico della Fase 2.”
Appoggio una mano al fianco, osservando le immagini. “Quindi… sto per diventare un mucchio di cristalli viventi?”
“Ipoteticamente, sì,” risponde senza esitazioni. “Ma tu sei un’anomalia, Quasar. La tua stabilità è inspiegabile. Normalmente, dopo questa fase, il corpo dovrebbe entrare nella degenerazione irreversibile, trasformandosi in uno Spettro. Ma tu…”
Fa scorrere le immagini sullo schermo.
“…sei ancora qui. Funzioni normalmente. E i tuoi cristalli non stanno crescendo in modo caotico. Stanno adattandosi.”
Sento Iari muoversi appena dietro di me. “Guardiani adattabili alla Nexopatia. G.A. N,” dice con tono secco.
Nonoha annuisce. “Esatto. Voi siete la prima forma conosciuta di esposizione stabile alla Nexopatia. Se il soggetto zero che stiamo cercando possiede un sangue capace di stabilizzare la mutazione, tu sei la prova che è possibile resistere alla degenerazione.”
Mi passo una mano tra i capelli, riflettendo. Non sto diventando uno Spettro. Sto mutando in qualcosa di nuovo.
Nonoha sorseggia il caffè, osservandomi con quel suo sguardo quasi analitico. “La domanda è: quanto tempo reggerai prima di perdere del tutto il controllo?”
Un brivido mi scorre lungo la schiena.
E per la prima volta, non so quale sia la risposta.
Il suono dei dati che scorrono sugli schermi è continuo, ritmico, quasi ipnotico.
Nonoha non dice nulla per alcuni istanti, sorseggiando il suo caffè con quella sua solita calma inquietante. Poi, senza fretta, attiva una nuova serie di immagini.
Foto. Vecchie, ingiallite dal tempo.
Una squadra di basket. Giocatori in posa, sorridenti, la classica immagine di un team unito. Ma io so già che non è solo quello.
Lei inclina leggermente la testa, gli occhi fissi sullo schermo. “Non sei il solo, Quasar.”
La mia attenzione si affila.
“I sintomi che hai sviluppato,” continua, impassibile, “li avevano già loro. Tutti i componenti di questa squadra. E non solo loro.”
Le immagini scorrono, e compaiono altri volti. Alcuni familiari, altri sconosciuti. Studenti della nostra scuola. Giselle, Peony, Mik, Zane, Taiga, Keith, Yume, Ella, Serena.
Li fisso, il mio cervello cerca di collegare tutto. Loro sono come me?
Poi, un’ultima foto.
Una ragazza. Capelli lunghi, mossi, di un blu notte profondo. Occhi dorati che sembrano quasi brillare.
Erika Hikami.
Nonoha prende un lungo sorso di caffè prima di parlare di nuovo. “Questi studenti rientrano nella stessa categoria. Guardian Adattabili alla Nexopatia G.A. N”
Le mie dita si irrigidiscono attorno al bordo del tavolo. “…Quindi loro hanno i miei stessi sintomi?”
Lei abbassa leggermente lo sguardo. “Quasi.”
Poi punta di nuovo la foto di Erika.
“Lei è qualcosa di diverso.”
Il suo tono non cambia, sempre calmo, apatico. Eppure, quel dettaglio mi colpisce più di tutto.
“Se gli altri sono G.A., lei è ancora sotto osservazione. La sua anomalia è più profonda. Più instabile.”
Inspiro piano. Quindi Erika è… qualcosa di più?
Il peso dell’informazione mi colpisce in pieno. Non sono solo io.
E ancora più inquietante: non sappiamo ancora cosa siamo realmente.
La porta automatica della stanza si apre con un sibilo, interrompendo per un attimo l’atmosfera di analisi e dati che riempie lo spazio.
Entrano due persone che conosco già.
Il primo è Ryuga, studente del secondo anno, l’aria da teppista stampata in ogni fibra del suo essere. Ha sempre quell’atteggiamento sfrontato e sicuro, ma questa volta il suo ingresso è più formale—o almeno, lo è per lui.
Si mette sull’attenti, il sorriso vagamente provocatorio sul volto. “Bastion, in servizio,” annuncia, con una sicurezza che potrebbe sembrare eccessiva a chi non lo conosce.
Nome in codice? Interessante. E ad essere onesti, gli si addice.
Dietro di lui, invece, c’è Moeka, sua sorella.
Ma a differenza di Bastion aka Ryuga, lei non sembra affatto entusiasta di essere qui. Si muove con passo misurato, lo sguardo leggermente sfuggente, come se preferisse essere altrove.
Iari non perde tempo in inutili formalità. “Bastion è un agente da più tempo di te, Quasar,” spiega con il suo tono sempre gelido e preciso. “Ti aiuterà nella tua missione.”
La mia attenzione si affila. “Missione?”
Iari attiva uno degli schermi, mostrando dati, mappe, segnali di attività anomala in città.
“La tua missione è duplice,” continua. “Monitorare i potenziali nuovi Guardiani e riferire ogni possibile cambiamento. E naturalmente, abbattere gli Spettri che si materializzano in città.”
Mi passo una mano tra i capelli, osservando le informazioni.
Monitorare i Guardian Adattabili… e eliminare le minacce.
Mi piace.
Sorrido appena, incrociando le braccia. “Perfetto. Quando iniziamo?”
***
(Pov ???)
Le tenebre mi avvolgono.
Mi muovo nell’ombra, il mantello della notte è la mia compagna ssssilenziossssa. Il mondo, così luminossssso e ssssuperficiale, non ssssa cosa si nasconde al di ssotto, nelle profondità più nere della realtà.
I miei occhi ssscorrono sulla città, osservando le ssstrade illuminate, i sssoffi di vento che trasportano voci, le figure ignare che camminano sssembrando così tranquillle, così inconsapevoliii.
Sssspettacolo patetico.
Loro non ssssanno. Non immaginano.
Mi avvicino al bordo dell’edificio, il mio sssguardo ssscruta ogni angolo con freddezza calcolata. La città è viva, un organismo pulsante di energie, di sssssegni, di movimenti impercettibili che sfuggono alla loro percezione limitata.
Ma io vedo. Io ssssentoooo.
Nel profondo, qualcosa ssssi muove.
Una presenza, un’anomalia, un ssssegno che la realtà ssssta cambiando.
Sssorrido.
Il gioco è appena iniziato. Le ombre risssspondono al mio richiamo.
Ssssollevo la mano, le dita si chiudono nell’aria come artigli invissssibili, e l’impulssso si propaga nel cielo con una dissstorsssione innaturale.
Un frammento prende forma—una ssstella nera, irregolare, una massa grezza e incompleta, che pulssssa come ssse fossse viva. Poi, sssenza esssitazione, precipita verso il basssso.
L’impatto è devastante.
Dal punto in cui colpisssce, una colonna di ossscurità sssi innalza, divorando la luce circostante. È pura pressssenza, una manifessstazione di potere che non dovrebbe esistere. Il nossstro
E nel cuore di quella colonna, due occhi rossssi si aprono.
Il ruggito che essssplode ssssubito dopo è viscerale, profondo, rimbomba nella notte come un’onda che ssscuote l’aria ssstessa.
La città finalmente inizia a ssssvegliarsi. È l'inizio della vossstra fine
(Pov Erika)
Dolore.
Un colpo improvviso, un bruciore acuto nel petto, come se qualcosa volesse strapparmi l’anima.
Mi sveglio di scatto, ansimando. Il respiro è spezzato, le mani tremano mentre mi porto le dita sullo sterno, cercando di capire cosa diavolo stia succedendo.
Un battito, un impulso—qualcosa sta vibrando dentro di me.
Non posso ignorarlo. Mi alzo, spingendo via le coperte, e corro fuori, salendo velocemente le scale che portano alla terrazza.
Quando apro la porta, lo vedo.
La colonna di oscurità si innalza dal centro della città, imponente, sovrastando tutto.
Un ruggito scuote l’aria, mi fa vibrare le ossa.
Io stringo i pugni.
Cos’è questa cosa? E perché… perché ho la sensazione che non sia nulla di buono?
Angolo della Stella.
Ecco un nuovo capitolo! Mi sa che il nome di questo free-talk potrebbe diventare definitivo. Che dire? In questo capitolo non c'è stata molta azione ma abbiamo visto di più dei nostri personaggi. Piccola precisazione io non giustifico in alcun modo atti di bullismo, omofobia e violenza. Anzi come avete visto dalla bocca di Giselle li condanno eccome. Ognuno dovrebbe essere libero di essere se stesso, indipendentemente dal sesso, la religione o il suo pensiero i suoi hobby e sogni. Quindi se vedete cenno a queste dinamiche tenete presente che i personaggi possono avere un diverso pensiero. Nel caso comunque avverto già che cercherò nel mio piccolo, non sono infallibile, di trattarli con il rispetto che ho sempre usato in passato e spero di riuscirci. La mia storia non vuole offendere nessuno ma ci tenevo comunque a precisarlo perchè ho visto molto spesso persone usare argomenti scottanti senza cognizione di causa anche se si tratta di argomenti meno pesanti del omofobia o del razzismo, anche l'ansia sociale è un problema grave e molte persone non lo sanno gestire adeguatamente. Ci tenevo solo a rassicurare chi ha qualche dubbio e non preoccupatevi non trasformerò questa storia in una noiosa per quanto utile critica sociale.
Detto ciò vi lascio con una curiosità su Nonoha Cyprine. Lei come avete visto non è umana, verrà spiegato meglio nel prossimo capitolo quindi non vi darò subito una risposta ma posso dirvi che sto iniziando a gettare i “semini” di qualcosa di più grande. Ma è ancora un po presto per parlarne.
Infine ringrazio chiunque segua, recensisca o metta in evidenza questa storia in qualsiasi modo ma anche voi, si voi lettori silenziosi, io vi vedo XD
ultima cosa poi giuro che smetto di parlare! O scrivere...oh beh avete capito. Il ruggito del “coso” che è ssstato...stato evocato dal misterioso figuro che si conoscerà meglio nel prossimo capitolo dovete immaginarlo come quello di Godzilla (sempre di rettili si parla XD) infine voglio ringraziare la creatrice di Daisuke che vedrete nel prossimo capitolo e di Iari Shimizu, lei si chiama Diaspro e senza di lei molte cose di questa storia non sarebbero nemmeno nate. grazie amica mia.