Prova 1
- Sono stata a La Rochelle, ti dico.
- E com’era?, tu mi chiedi.
Guarda che ti conosco, lo so che sei interessata davvero ma anche un po’ sofferente per il fatto che ora ti tocca ascoltare. Si vede da come mi guardi sospesa e allo stesso tempo da come giri in continuazione il cucchiaino nella tazza.
Ecco, vedi, io ti risponderei così:
quando sono arrivata era l’ora del tramonto e non c’era niente di rosa, di rosso, di arancione nel cielo, era tutto azzurro, no, anzi, non azzurro, celeste, celeste e bianco, terso, sai quando guardando il cielo capisci che sei vicino al mare?, ecco così, e poi le case sono per lo più bianche o molto chiare e tutto è pianeggiante intorno, non ci sono montagne o colline e quindi cammini tra il bianco delle case e l’azzurro del cielo e senti la brezza sulle guance che un po’ pizzica e secca ma senti anche nelle narici la primavera, quella dei fiori e del polline che vola in piumini bianchi e ti viene da starnutire oppure senti un po’ grattare il fondo della gola anche se non sei allergico, e poi ti guardi intorno e vedi la stessa gente che vedi qui, dalle nostre parti, intenta a vivere come viviamo noi, a fare la spesa, a uscire dal lavoro, a portare bambini per mano, a fumare appoggiata ai motorini, alla fermata dell’autobus, gente elegante, gente sportiva, gente vestita come si vestiva vent’anni fa, anziani che chiacchierano, qualcuno che corre, qualcuno che cammina frettoloso, qualcuno che si attarda a vedere vetrine, qualcuno che si regge a un deambulatore che stringe con le dita nodose e cocciute, e pensi che in fondo siamo tutti uguali, di qua e di là dalle Alpi e che è solo un caso che tu viva qui e non là e che i gesti della quotidianità, in fondo, sono uguali dappertutto e senti che questo ti fa stare bene, ti consola, ti fa sentire amiche queste persone sconosciute, ti fa venir voglia di alzare lo sguardo su di loro e provare a buttar lì un “bonsoir” gentile, solo per sentirli rispondere e sentirti, in qualche modo, da loro riconosciuta.
L’ho solo pensato, non ti ho risposto così. Penseresti che sono strana, che non era questo che volevi sapere. Lo so cosa vuoi sapere. Allora ti rispondo davvero. Ti rispondo così:
- Molto carina, un po’ decadente, ma pulita, ordinata. Gente cordiale. I posti sul mare hanno il loro fascino, no?
Tu sorridi, sei soddisfatta.
Ancora qualche dettaglio? O parliamo d’altro?
Prova 2
- Sono stata a La Rochelle, ti dico.
- Ah, bello! Stavi in albergo? Come era l’albergo?
Hai la fissa degli alberghi, tu. Sarà per il tuo lavoro, ovviamente.
E io ti risponderei così:
era un albergo. In centro. Un letto per dormire, un bagno minuscolo. Forse il riscaldamento troppo alto. Ma sai che cosa ho provato quando chiudevo alle mie spalle la porta? La solitudine. Quella bella che sa di indipendenza, quella che ti fa sentire padrona di spogliarti e buttare i vestiti per terra e poi sdraiarti al contrario sul letto, con le gambe in su contro la testata del letto e il cuscino sulla pancia. Quella che è fatta di silenzio da ascoltare. E allora lì è arrivata anche la solitudine brutta. Quella che ti fa sentire così acutamente la mancanza, l’assenza di quello che non c’è più e ancora vorresti. Quella che non sai perché non diventa senso di colpa, quella che coltivi come un’insensata. Quella che sparge languore dentro. Quella che ti farebbe venir voglia di piangere. E invece non piangi e ti addormenti. Ma solo perché hai lavorato tanto durante il giorno e sei davvero troppo stanca per chiedere al tuo corpo di sopportare anche questo.
Ma tu non capiresti e mi guarderesti in modo strano. E tu non puoi capire, nessuno può capire, mi sa.
Allora ti rispondo davvero. Ti rispondo così:
- Era in centro, un Ibis. Niente di che, un letto per dormire, un bagno minuscolo (dio, ti prego fa’ che non spari la battuta sul bidè). Forse il riscaldamento troppo alto. La colazione però era buona, il caffè ottimo, anche il pain au chocolat (e no, lo so che lo chiederai anche se sai già la risposta, - abbiamo già viaggiato all’estero insieme qualche volta -, io a colazione non mangio il salato).
Prova 3
- Sono stata a La Rochelle, ti dico.
Sei interessato, lo riconosco, non hai fretta che io finisca, ma io inizio ad averne di fretta perché davvero non so cosa te ne farai di queste informazioni se non dimenticartene tra mezz’ora, ma tu prosegui. E chiedi succhiando una caramella alla liquirizia:
- E che cosa hai fatto?
Allora io ti risponderei così:
ora te lo racconto, ma in ordine sparso, così come mi viene in mente. Senti che cosa ho fatto: ho passato un pomeriggio con una collega a scrivere relazioni al computer al Café de la Paix, una Coca Cola sul tavolo, qualche risata e il rumore delle dita sulla tastiera, non sai come avrei voluto essere lì a scrivere un racconto, una storia, allungarmi su quei divani trapuntati, specchiarmi in mezzo a quella boiserie decorata e sentire intorno quel francese scanzonato dei camerieri in pausa, e poi un’altra cosa che ho fatto è stata camminare su un lungo viale che finisce nel mare, tra aiole fiorite e piante ombrose, mentre il vento sollevava la sciarpa sul viso e a un certo punto un moscerino mi è entrato in un occhio e ho camminato un po’ barcollando mentre cercavo di pulirmi l’occhio senza far colare il rimmel che poi mi aspettava ancora il lavoro con tutta quella gente e non avevo in borsa nulla per sistemarmi e allora cercavo con le dita di essere delicata e un po’ mi veniva anche da ridere per quel dannato moscerino e ho un ricordo così preciso di me che continuo a camminare e intanto con l’indice percorro la palpebra inferiore e socchiudo l’occhio e sento la lacrima che lo bagna e lava via l’ospite indesiderato e poi torno a vedere e il collega francese si volta ed esclama “Voilà la mer!” ed è tutto trionfante e orgoglioso e noi spalanchiamo gli occhi e la bocca in un “ooooohh” di meraviglia e di conforto perché il mare che appare agli occhi all’improvviso è sempre un’emozione, uno stupore, e poi, e poi un’altra cosa che ho fatto è stata…
Ma no, che cosa ti devo raccontare, non funziona così. Poi tu pensi di non conoscermi, pensi che io sia strana.
Allora ti rispondo così:
- Abbiamo lavorato tanto, parlando un misto di francese e di inglese. Alle otto eravamo già operativi (ti piace questa parola, vero?, a me fa orrore) e poi fino alle quattro riunioni, visite del luogo, pianificazione del progetto, previsioni per l’anno prossimo. A metà pomeriggio eravamo libere, io e la collega, quindi lavoravamo alle nostre relazioni e a scambiarci opinioni (preferisci feedback? No, non la userò quella parola). Ed è stato così facile andare d’accordo, io e lei, non è scontato (no, non ti parlerò di quanto ragionava Petrarca prima di scegliersi un compagno di viaggio, altrimenti mi dai della secchiona, però io ci ho pensato nell’esatto momento in cui ho formulato la frase qui sopra). Poi la sera di nuovo cena tutti insieme e alla fine ci trascinavamo a letto.
- Giorni intensi, eh? Brava. Sei in giro nei prossimi giorni?
Prova 4
- Sono stata a La Rochelle, ti dico.
Tu sfoderi il sorriso che conosco e prepari con le labbra la domanda che più ti piace. L’irritazione che monta dentro di me, - perdonami -, l’anticipa di un secondo. Mi trasformo in una creatura inscalfibile, il mio volto sorride mentre soffoco, faccio appello alla pazienza:
- E che cosa hai mangiato?
E io lo so quello che tu vuoi che io ti risponda, tu vuoi che io incominci: il primo giorno a pranzo…, alla sera…, il secondo giorno… e via così. Poi vuoi sapere il rapporto qualità-prezzo (un’espressione molto tua), se il servizio era incluso, quanto costa l’acqua frizzante e pure quanto costa il dessert.
E io obbedisco e rispondo proprio così, come tu ti aspetti che io faccia. Ti piace che io ti risponda così. Ti basta. E voglio che basti anche a me, voglio poter dire che mi basta. Che in effetti non c’è altro modo di rispondere alla tua domanda.
Ma, vedi, a quella domanda io oggi risponderei parlandoti di un minuscolo tavolo, sulla via del ritorno, sulla piazza di Bordeaux e di un bicchiere di vino e del tintinnio dei calici in un brindisi a noi che io e la mia compagna di viaggio ci siamo regalate e non ricordo per niente il sapore di quel filetto che ho mangiato, ma sento ancora nelle narici il profumo della sera che cala e ho davanti agli occhi la pietra di quella cattedrale che si scurisce e poi la gente che fuma e che chiacchiera, ricordo una coppia di mezza età, per esempio, vestita come i ragazzi si vestivano nella Londra degli anni Settanta, tutto micro, tutto mini, tutto attillato, entrambi con i capelli lunghi, le dita che hanno retto milioni di sigarette, ma ancora quella luce negli occhi mentre sollevano i bicchieri in un cin cin stanco e io, l’ho realizzato con tristezza e forse anche con rassegnazione, io ho desiderato che gli occhi di un uomo mi guardassero con quel desiderio, con quel brillare malizioso.
Ma tu non capiresti e non è davvero colpa tua.
Sono io che sbaglio.
So io che cosa devo fare.
Ora lo faccio:
In scena!
- Sono stata a La Rochelle, ti dico.