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Autore: Briseide    01/10/2009    6 recensioni
Post-Hogwarts. Pansy Parkinson e un matrimonio che non vuole da organizzare.
Blaise Zabini intorno a lei a renderle difficile il compito.
Millicent Bullstrode a rendere difficile il compito di Blaise Zabini.
E Draco Malfoy, che di sparire nel cassetto dei ricordi non vuole proprio saperne.
STORIA COMPLETA [revisione in corso]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Millicent Bullstrode | Coppie: Draco/Pansy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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The way we were - capitolo 15

The way we were

 

XV

Affari di famiglia

 


Era un signore andato via.
A lei qui rimasta tantissimo mancava.
La traccia da lui lasciata segnava ovunque intorno a lei l'aria.
Come un quadro spostato per sempre segna la parete.

[V. Lamarque, Il signore andato via]

 

 

Nel mettere piede nella camera di Blaise, Pansy si ritrovò immersa tra l’odore delle sigarette magiche di Warrington e il profumo di Draco, che aleggiava ancora sbattendo tra le pareti. Forse quello era il segnale di avviso che non fosse il caso di soffermarsi troppo a lungo.

«Blaise?» chiamò non avendolo incontrato in salone e tantomeno lungo il corridoio che portava alle camere da letto, nel piano superiore.

«Pans» le giunse in risposta la voce dell’amico, lontana come un’eco e soffocata da un colpo di tosse «Ci sei anche tu» proseguì mentre Pansy si liberava del proprio mantello, lasciandolo cadere sul letto sfatto. «Adesso dobbiamo solo svegliare Crabbe dal sonno dei morti, e poi siamo al gran completo».

Pansy lasciò che il gelo avvolgesse il cinismo di quel commento, preoccupandosi più di cercare Blaise in tutta la sua figura e scoprire di chi altri stesse parlando, per quanto avesse ormai la certezza che non fosse Millicent.

Quando si affacciò alla porta del bagno, in realtà trovò Blaise in compagnia della sua sola inquietudine, a quanto le sembrò. Frugò con lo sguardo in cerca del terzo presente, ma senza trovarlo. «Hai un amico immaginario, ora?» gli domandò, entrando nel bagno e sedendosi sul bordo della vasca, in equilibrio. Blaise la guardò con un sorriso spento e distante, agitando una mano in aria, con fare vago. «Parlavo in metafora, Pans. Draco è appena passato a porgermi i suoi ossequi» le spiegò con una smorfia di scuse per aver pronunciato il nome di chi sarebbe diventato innominabile di nuovo, come prima del decisivo ricevimento a casa Nott.

Pansy squadrò dalla propria posizione di sobria osservatrice Blaise Zabini, prendendo atto che fosse innegabilmente elegante ed impeccabile anche nel pieno di una sbronza.

«Sei ubriaco?» gli chiese, cercando nei suoi occhi un barlume di lucidità. Blaise reclinò la testa, lasciandosi andare contro il tronco del lavandino in ceramica. Pansy considerò l’idea di preoccuparsi seriamente, come ad uno Slytherin non è mai gradito fare. «O sei fatto?» aggiunse, ricordandosi dell’odore delle sigarette di Warrington.

Blaise sembrò rifletterci, ma alla fine non disse niente.

Si limitò a farle cenno di sedersi accanto a lui, sul pavimento.

Pansy lo raggiunse con tutte le intenzioni di spostare l’angolo del salotto sul letto di Blaise, piuttosto che sulle mattonelle gelide del suo bagno.

La docilità con cui le permise di toccarlo e trascinarlo esattamente dove voleva, le gelò il sangue. Ricordava la notte del funerale del suo quinto padre come la notte in cui Blaise Zabini avesse conseguito la sua prima sbronza, eppure quel giorno era mille volte più vivo di quel momento. «Blaise?» lo chiamò, sedendosi al suo fianco, sul letto. Lui sembrò trovare più edificante fissare per terra, piuttosto che guardarla negli occhi con la solita sfrontatezza con cui rispondeva alle preoccupazioni che di tanto in tanto lei gli riservava.

«Che ti è successo?» gli chiese a bassa voce, sentendosi un po’ persa.

Blaise e i potenti mezzi delle sigarette di Warrington impiegarono qualche secondo a riemergere dal mondo di dissociazione in cui erano precipitati insieme, cercando rifugio, annidandosi tra le pieghe dell’anestesia. Gli affiorava alle labbra una risata amara, nella consapevolezza di vedere Pansy seduta nel punto esatto in cui era stato Draco, quando lui aveva quasi ceduto a quel terribile racconto di morti e miserie che si portava dietro da anni. E poi c’erano tutti quei matrimoni inutili e vuoti, e la desolazione nella quale vivevano. La consolazione cercata in una sigaretta come un randagio, l’impossibilità di utilizzare le parole e il pensiero ostinato di quanto le parole in sé rendessero vivo un avvenimento, e fossero al tempo stesso del tutto inutili nel porre rimedio ad ogni cosa.

«A te, cosa è successo?» le chiese, spostando l’argomento sulla cosa più vicina che potesse sentire. Pansy scrollò le spalle, affogando nel proprio orgoglio e nelle proprie consapevolezze la sconfitta più grande a cui avesse mai dovuto prendere parte. «Cosa è successo a me è tristemente noto» mormorò decisa.

Blaise, in tutti quegli anni, era stato un ottimo amico, il migliore confidente, la spalla a cui appoggiarsi nei momenti in cui persino la dura pelle di una Slytherin aveva conosciuto le scalfitture della vita. E avvolto nella sua patina di buongusto e sarcasmo, aveva sempre espresso un parere su tutto, difeso i propri amici e osteggiato i nemici; aveva corteggiato donne e alla fine aveva conquistato anche le loro madri; aveva ballato con lei a quel ricevimento, e insieme a Draco avevano speso interi pomeriggi a fumare sigarette e costruire il proprio nido, come ai vecchi tempi, proteggendosi dal mondo. Ma di sé non aveva mai proferito parola, e Pansy si era sentita defraudata, chiedendosi cosa mai avesse potuto rubare a lei e Draco quel privilegio di un tempo.

Forse le sigarette di Warrington, forse quello che le sigarette andavano a coprire.

«Puoi spiegarmi perché non ti reggi in piedi e mi inviti a simposi sul pavimento del bagno?» domandò di nuovo, dura come non era mai stata nei confronti di Blaise.

Avrebbe voluto sentirsi dire che lui e Draco si erano riuniti in un pomeriggio di amenità prettamente maschili e che avevano pianto insieme per le tristi sorti della vita coniugale di Draco. Invece percepiva distintamente lo squarcio che attraversava Blaise da parte a parte.

Quella doppiezza che aveva insita nella luce torbida dei suoi occhi.

La gente la scambiava per sensualità, per una malizia tipicamente sua, per quell’aria conturbante che gli apriva le porte dei più facoltosi salotti della Londra magica, con un solo sorriso e qualche commento sardonico.

Pansy aveva trincerato la propria offesa, di fronte a quel teatrino  che Blaise si era permesso di propinare anche a lei e a Draco. In quel momento, gli aveva chiaramente fatto capire di aver strappato il biglietto.

«O magari vuoi che vada a chiamare Mirtilla? Forse anche tu fai più volentieri quattro chiacchiere con lei » aggiunse, rivelando finalmente dopo anni quanto e come si fosse sentita di poco conto. Blaise rise di quelle parole, scuotendo la testa, sentendosi invadere da tutto l’affetto che aveva conservato per Pansy – e per Draco – in quei lunghi anni di conoscenza. Forse era l’effetto del mix di droghe, che gli faceva sentire ogni cosa amplificata, ma Pansy era lì accanto a lui e la sentiva fremere di rabbia, e non gli era mai parsa così viva come in quel momento.

«Pans» sussurrò accarezzandole i capelli, e cogliendola di sorpresa «Mirtilla non capirebbe» le concesse, lasciandosi cadere indietro, di colpo, sul letto. Gli occhi chiusi consapevolmente su quell’immagine che sapeva sarebbe tornata. Stavolta l’aveva aspettata.

E in quel contrasto, tra la Pansy riversa a terra che vedeva dietro i propri occhi chiusi, e la Pansy viva che gli respirava a pochi centimetri nella sua stanza, avvertì di dover abbandonare quel posto, l’ambiguità del suo vivere.

«Non capirebbe, cosa?» domandò ancora Pansy, sporgendosi verso di lui.

Era più che certa che non avrebbe capito, non capiva niente, Mirtilla. Non aveva capito Draco e quello che cercava di dirle, non avrebbe compreso il linguaggio di Blaise, fatto di sguardi e pelle, non avrebbe mai compreso l’intreccio delle loro vite e l’indissolubilità del punto in cui si incontravano. Non avrebbe capito che quel nodo era la loro salvezza e la loro condanna, e che quell’alternanza contraddittoria faceva delle loro vite quell’eterno campo di battaglia di cui parlavano sempre nei loro pensieri e mai a voce alta.

«Il modo in cui sei morta» rispose Blaise in un sussurro, aprendo gli occhi di colpo.

Pansy lo guardò senza capire per lunghi secondi, sentendosi scomoda in quelle nuove vesti di estranea. Si sentiva una spettatrice, messa da parte, relegata dietro le quinte.

«Non ti seguo» lo avvisò, cercando il suo sguardo senza trovarlo.

Blaise rimase immobile, disteso sul letto, a fissare il punto lontano della sua memoria.

«Durante la battaglia, mi sono ritrovato in uno scontro, mentre cercavo te e Draco. Mi sono girato, a un certo punto, e c’era una persona per terra, colpita da un incantesimo e io sono stato sicuro che fossi tu» disse infine, vedendo scorrere la scena sotto i propri occhi, nei panni del cronista. Sentì Pansy congelarsi, sempre al suo fianco. «Ho pensato che non fosse giusto» proseguì, mentre Pansy conficcò le unghie nel tessuto del lenzuolo sotto di lei. Strinse forte, come avrebbe impugnato la bacchetta in difesa di se stessa e di Blaise, in mezzo a quello scontro.

«Mirtilla non avrebbe capito, è persa dietro i suoi rammarichi… La gente, tutta, muore nello stesso modo in una guerra, Pans. Ingiusto» mormorò, cercando con la mano di aprire il cassetto dove conservava le sigarette. Pansy rischiò di chiudere anche il suo dito, nel sigillarlo.

«Ti ricordi il processo del padre di Draco, Pans?» domandò lasciando perdere il cassetto, tirandosi su, e le sembrò che in quel momento fosse perfettamente lucido. Aveva una consapevolezza nel modo di guardarla, che le fece venire voglia di abbracciarlo.

«Piuttosto nitidamente» replicò con una quieta vena di sarcasmo nella voce.

Durante tutto il processo Blaise le aveva stretto il polso tra le proprie dita, tanto che aveva potuto sentire il pulsare della vena. Si erano parlati in quel modo, senza bisogno di parole, perché davvero si erano sentiti accomunati da uno stesso sangue, ed era quello che parlava per loro.

«Non ti ho detto che ho pensato che la gente dovrebbe essere punita per quello che ha fatto…».

Pansy scivolò ai piedi del letto, sentendosi di nuovo piccola come il giorno del processo, in cui invece aveva creduto di essere diventata adulta, perché conosceva il peso sul cuore che gli eventi ti lasciano nel loro passaggio.

«… e non per quello che è» concluse per lui, sentendo il bisogno di inspirare a fondo e riprendere aria. Quel giorno, durante il processo, avrebbe voluto poter dire quello che aveva scoperto anni prima, al suo quarto anno. E cioè che nella vita di ognuno esiste una soglia, il cui primo difetto è quello di essere invisibile agli occhi di un moralismo senza speranza.

Avrebbe voluto spiegare che la vita non è altro che l’arte di un incontro. E che quella soglia separa strade diverse, insegnamenti diversi. Che quello che li separava dalla rettitudine di altra gente era l’insegnamento che non avevano ricevuto, sul valore di una scelta. Che il discriminante era quello, e non una innata barbarie, né il destino, né l’amore per il disprezzo o per il sangue. E che nel fare tutto da soli, la possibilità di sbagliare è una certezza.

Se il signor Dumbledore le avesse chiesto un parere in merito, è quello che avrebbe risposto.

Invece, quel giorno, durante il processo, alzando gli occhi aveva osservato gli sguardi dell’intrepido trio. Guardavano fissamente avanti a loro, con la testa alta. Pensò che suo padre non era morto per proteggerla, ma anzi si era venduto a Chi aveva fatto loro visita una sera come tante, in cerca di reclute. E comprese che forse era bastata la non scelta di suo padre, perché Dumbledore non le chiedesse mai alcun parere.

«Mi dispiace, Pans, di tutto quello che è successo con Draco» disse Blaise, offrendole un sorriso un po’ incerto, ancora instabile sulla scia di brandy e sigarette bandite. «Mi avete fregato, stavolta ci avevo creduto sul serio» aggiunse, delicato. Pansy annuì, distogliendo lo sguardo per non lasciarsi sopraffare. «Dovrò davvero far ballare Millicent al tuo matrimonio…» mormorò confuso, strappando un sorriso a Pansy. «Non è necessario. Theodore ha ritirato l’offerta» gli rivelò, mostrando la mano, di nuovo libera da anelli.

«Suo nonno ti ucciderà» osservò l’altro.

Pansy sospirò in risposta, chiedendosi se avesse ancora qualcosa da perdere. Se Londra le offrisse ancora qualcosa per cui valesse la pena mettere un piede davanti all’altro. La atterriva l’idea che la vita fosse qualcosa di talmente forte, talmente più grande di lei, da vincere ogni suo più recondito sogno di chiudere gli occhi su un sonno eterno che non le avrebbe mai più spezzato il cuore, o il respiro, o le parole sulle labbra. Avrebbe potuto vivere integra, intatta, lontana. Per sempre. Per un tempo tanto lungo da perdere anche ogni importanza.

Anni addietro il solo pensiero l’avrebbe terrorizzata, ora lo guardava con il rammarico agrodolce di chi è certo di non avere il coraggio di procurarselo, né la fortuna di ottenerlo per casualità.

«Dovremmo andarcene da qui».

Blaise assaporò il suono di quelle parole, prima di guardare verso Pansy e rischiare di scoprire che non stesse dicendo sul serio. Perché in quel momento, non aveva idea migliore se non quella di crederle.

«E dove vorresti andare?» domandò, avvertendo un brivido corrergli lungo la schiena.

Pansy scosse la testa, facendogli sapere di non avere più alcun posto preciso, da quel giorno in poi.

«Dove abbiamo una possibilità» disse infine, lasciandosi scivolare ancora, come da bambina, ai piedi del letto. Blaise chiuse gli occhi, ancora disteso sul letto. Pansy rimase in silenzio, in compagnia del respiro di Blaise, con le ginocchia raccolte al petto e il cuore a rimbombare sordo alle sue suppliche di tacere. Immaginò le notti di Blaise, i suoi sogni e tutte le volte che aveva aperto gli occhi vedendola morta. E ancora più di quello, ripercorse tutti i silenzi in cui aveva ammantato quel segreto, con lei e con Draco.

Immaginò Abraham Nott e la sua furia, nell’essere costretto a lasciarla andare via, a causa di un nipote troppo grande per il suo piccolo mondo avvizzito da corruzione e livori.

E Millicent e i singhiozzi che avrebbe trattenuto nel doversi congedare da lei, e il modo tenero con cui avrebbe cercato di farle credere che fosse solo la delusione per non poter usare le scarpe nuove acquistate per il matrimonio. Immaginò lo sguardo pieno di adorazione che avrebbe rivolto a Blaise; il modo in cui avrebbe accarezzato il profilo del suo viso, con la maturità con cui da adulti si accantonano alcuni rimpianti e si rinuncia a certi desideri.

E il sorriso sornione che Daphne le avrebbe rivolto, stupita tuttavia nel vederla andar via senza Draco, e i suoi occhi felini puntati su Blaise, la mano che avrebbe accarezzato il suo corpo ancora una volta, posandosi volutamente nel punto che le sue labbra avevano fatto suo l’ultima notte trascorsa insieme.

Immaginò Tracey Davis e la mossa furtiva con cui si sarebbe di nuovo intrufolata nello studio di Theodore, una volta libera dalla scomoda presenza di una sposa contrariata all’idea delle nozze; e immaginò lo sguardo spaesato, di ingenua perplessità, con cui prima o poi Theodore avrebbe affrontato le attenzioni di Tracey. Pensò al giorno in cui avrebbe dato loro il giusto nome, e la ritrosia con cui avrebbe infine ceduto alla sua malizia, scoprendo di potersi divertire con quella donna, e rimpiazzare lo strano peso della leggerezza sul suo anulare, privo dell’anello di matrimonio.

E infine, pensò a Draco e al modo in cui avrebbe tenuto tra le braccia suo figlio.

Allo sguardo che gli avrebbe rivolto, timido e incerto. Al modo in cui lo avrebbe toccato, poco, e come se fosse di vetro, con il timore di poterlo rovinare o di fargli del male. Immaginò la confidenza che invece nel tempo avrebbe guadagnato con il suo aspetto di padre, e tutto il bene che avrebbe riversato su suo figlio, colmando così anche i propri vuoti d’affetto e le solitudini che aveva sentito quando ad essere figlio era stato lui.

Immaginò suo figlio, le somiglianze che avrebbe avuto con Draco, l’adorazione che gli avrebbe riservato e gli sguardi di insofferenza per la presunzione con cui suo padre avrebbe affrontato le future discussioni con lui. Immaginò quel bambino diventare grande, e vide Draco invecchiare con lui.  

Scoprì il pensiero che Draco fosse nato per essere padre; e cercò anche di mettere da parte quello che le diceva di essere la donna giusta per essere sua moglie. Si sforzò, con un sorriso di tragica ironia, di mettersi nei panni di Millicent, imitando la grazia con cui aveva rinunciato ai propri desideri, e non la goffaggine con cui li aveva perseguiti.

Rifletté anche sul fatto che Blaise, la notte in cui lo aveva costretto ad accompagnarla a casa, avrebbe dovuto raccontare a Millicent tutto quello che aveva appena detto a lei, perché Millicent avrebbe saputo piangere al posto di Blaise. E di Pansy. Lei era infinitamente migliore di loro.

Fece per dirglielo, ma nel voltarsi lo trovò addormentato, con la testa appoggiata sopra il braccio, che sporgeva sul letto. Si chiese cosa stesse sognando e se nell’addormentarsi avesse desiderato poi di potersi svegliare.

Si domandò se nel posto in cui sarebbero andati, avrebbero sentito la mancanza di Draco.

Con un dolore intenso comprese da subito che quella mancanza l’avrebbe accompagnata per sempre. Che avrebbe abitato in lei, in qualunque modo fosse andata la sua vita. Le avrebbe conservato un posto, come in quel cassetto, e avrebbe fatto più attenzione a dove adagiare la chiave. Immaginò di lasciarla sotto il tappeto morbido dei propri ricordi di lui, e di lui insieme a lei.

Allora, ancora seduta sul pavimento, allungò istintivamente il braccio, verso quello di Blaise, e strinse appena le dita intorno al suo polso. Sarebbe stato un processo molto più lungo, quello.

 

●●●

 

Look around, choose your own ground
For long you live and high you fly
And smiles you'll give and tears you'll cry
And all you touch and all you see
Is all your life will ever be

[Pink Floyd, Breath]

 

Astoria si era addormentata presto, quella sera. Aveva detto di essere sfiancata dal viaggio, e a questo si aggiungeva la prima stanchezza del dover faticare per due persone.

Non aveva parlato a Draco dell’anticipo con cui era voluto tornare a Londra. Non avevano nominato Pansy, e neanche a dirla tutta avevano più discusso del figlio che sarebbe nato.

Una volta tornato da casa di Blaise, Draco non si era avvicinato alla camera da letto, preferendo vagare senza sosta per i meandri della sua casa. In ogni angolo c’era un ricordo della Pansy bambina che prendeva dimestichezza con quei luoghi. Ora sapeva con certezza che un giorno aveva iniziato ad immaginare se stessa come padrona di quelle stanze, e di quei soffitti alti.

Il pensiero lo fece sorridere, e poi gli ricordò quanto pericoloso fosse adagiarvisi troppo.

Narcissa lo aveva raggiunto, poco dopo, seguendo il suono dei suoi passi per i corridoi del Maniero.

Draco la sentì arrivare, riconoscendo il suo profumo, che aveva sempre definito come l’odore di sua madre. Si fermò, aspettando che si avvicinasse. Le dita fredde di Narcissa gli accarezzarono il collo, nello stesso modo in cui quando era più piccolo lo richiamava dalle sue corse per intimargli di seguirla; o si accertava che stesse bene e non avesse la solita febbre di mezza stagione.

«Mamma» mormorò con un sorriso beffardo, facendole presente di non essere affatto sorpreso.

Narcissa sospirò, sospingendolo appena verso il salone. I corridoi di quella casa continuavano a metterle i brividi, anche dopo che ne era diventata padrona.

«Qualcosa ti tiene sveglio?» gli domandò retorica.

Draco si sedette sul divano, lanciandole uno sguardo carico di affetto ma non per questo esente da un certo sarcasmo.

«Sì, le termiti che ho in camera» la prese in giro, allentando i bottoni della propria camicia. Non si era neanche cambiato, rassegnato all’idea di non chiudere occhio. Narcissa ammorbidì il proprio contegno preoccupato, riconoscendo nel figlio le solite abitudini alla causticità.

«Ci farai l’abitudine» osservò Narcissa, poco dopo, lasciando intendere di aver cambiato argomento. Draco la guardò dubbioso. «All’insonnia» specificò accendendosi una sigaretta.

Draco si indignò per quel dettaglio nel tentativo di non pensare troppo al resto.

«Che fai, fumi?» le chiese guardandosi istintivamente alle spalle per accertarsi che suo padre non fosse in giro a scoprirlo. Narcissa avvicinò a sé il posacenere della defunta Elladora. «Sto per diventare nonna, mi sembra legittimo». Draco sprofondò ulteriormente sul divano, trasferendo con quel semplice gesto parte della propria angoscia a sua madre. Narcissa la accolse con la commozione a cui in rare occasioni si concedeva di lasciarsi andare.

«E’ una cosa bella» mormorò guardando suo figlio, scoprendo di non riuscire più a sovrapporre i suoi occhi che la guardavano bambini, a quelli che aveva ora. «E’ una cosa grande» aggiunse lui, sentendosi invadere da un vortice di energia e confusione. Si sentiva pieno di qualcosa, e al tempo stesso privo di ogni sicurezza. «Un Malfoy ha il diritto di essere terrorizzato?» domandò chiedendole una sigaretta. Sua madre indugiò alcuni istanti, ammonitrice come da migliore tradizione Black. «Sto per diventare padre, mi sembra più che legittimo» le fece notare ottenendo quanto richiesto.

Narcissa depose il posacenere al centro del tavolino basso, portando di nuovo alle labbra la sigaretta. «Un Malfoy ha più diritti di quel che credi» lo informò con un tono terribilmente serio. Draco cercò il suo sguardo, oltre i disegni astratti che il fumo aveva tracciato tra loro. «Io me ne sono arrogati molti, da quando ho sposato tuo padre» proseguì Narcissa, con un sorriso tipicamente Rosier. Emergevano di tanto in tanto in lei le caratteristiche dell’altro ramo della famiglia, che calibravano perfettamente l’arguzia Rosier con i rigidi dogmatismi e il grande senso degli affari dei Black. Probabilmente per questo sua madre era stata l’unica delle tre figlie ad essere immune agli sbalzi d’umore e alle impulsività delle altre due. Aveva in sé un certo equilibrio, bilanciando i morigerati pregi e i terribili difetti di entrambi i casati, oltre ad un aspetto innegabilmente Rosier, con i colori chiari e le fattezze algide di una statua in ghiaccio di divinità nordica. Draco avrebbe voluto ereditare qualche gene dei Black, ma quello che aveva ottenuto era l’aspetto e l’assetto di un Malfoy in tutto e per tutto.

«Che intendi dire?» le domandò assottigliando gli occhi. Sua madre depositò un po’ di cenere. «Che tuo nonno paterno mi odiava, Draco. E mio padre ha vissuto con il terrore di un divorzio fino a quando Merlino non ha deciso che si mettesse il cuore in pace, in tutti i sensi» gli rivelò e a Draco sembrò che fosse divertita da quel ricordo.

«Poi sei arrivato tu, e Abraxas ha trovato in me qualcosa di positivo» concluse il racconto con uno sbuffo di stizzito sarcasmo Black.

«Fino a quando non lo hai cresciuto così come è diventato, Narcissa» intervenne il diretto interessato, di punto in bianco. Madre e figlio sussultarono colti alla sprovvista, prima di lanciare due occhiate torve in direzione della cornice del prozio Wilbert, ancora sotto sfratto. «Quella Greengrass, un oggettino da avere tanto per bellezza» insistette, dando sfogo senza che gli fosse stato minimamente richiesto, ad ogni suo dissenso.

«Nonno, ti spiacerebbe evitare di farti sentire dal soggetto in questione?» gli intimò Draco, temendo di dover far fronte ad una crisi familiare di proporzioni indebite. Abraxas lo guardò mortalmente offeso. «Visto? Pessimo carattere dei Black. Scommetto che quel debosciato di Sirius ha iniziato proprio così…» riattaccò imperterrito il capostipite. Narcissa gli diede educatamente le spalle, annunciando il ritorno ai propri affari con un colpo di tosse.

«Ammetto candidamente, Draco, che se non avessi amato tuo padre, l’idea di abbandonare questo posto non mi sarebbe dispiaciuta affatto» soggiunse Narcissa, coprendo i rimbrotti di Abraxas Malfoy. Aveva chiesto a Lucius, da sempre, di accostare il suo dipinto a quello della madre di suo cugino Sirius, certa che avvicinando le due metà perfette della mela, avrebbero finalmente ottenuto un silenzio perpetuo. Suo marito aveva sempre avuto i suoi dubbi in proposito, tuttavia.

«Tuo padre— mio nonno, te lo avrebbe permesso? Sarebbe stato uno scandalo» osservò Draco, cercando di districarsi tra le complicate rimostranze delle sue due famiglie. Narcissa lo guardò di sottecchi, e parlò abbassando la voce perché suo suocero non sentisse anche di peggio. «Draco, a volte l’arte della sopravvivenza è tutto. O scavalchi l’ostacolo, o lo elimini con la forza… o lo aggiri. Io lo avrei aggirato. I Malfoy hanno un discreto numero di residenze, e la mia famiglia a quei tempi non era da meno» spiegò, carica di sottintesi. Draco non faticò a comprendere cosa intendesse dire. Sarebbe bastato condurre due esistenze separate, senza spostare minimamente alcuna firma sulla carta dei loro attestati di matrimonio.

Quando sollevò lo sguardo dai propri pensieri, trovò quello di sua madre adagiato in un espressione remota, carica della tenerezza timida di un ricordo, scalfita dal dolore del tempo presente. «Mi sarebbe piaciuto che tu conoscessi meglio le mie sorelle. Bellatrix avrebbe potuto illustrarti meglio la faccenda. Negli alti e bassi del suo matrimonio, è stata perfettamente in grado di lasciar credere a tutta la famiglia Black-Lestrange che il loro unico rammarico fosse non poter concepire figli».

«Difficile ottenerli, se passi il tempo a seviziare tuo marito, piuttosto che…».

Narcissa accolse l’ingresso di suo marito con un sospiro che chiarì a Draco quanto spesso entrambi si fossero soffermati a discutere del matrimonio di sua zia Bellatrix. Lucius volse a sua moglie un sorriso più simile ad un ghigno che ad altro.

«Questo è il momento in cui Rodolphus si trasforma in vittima sacrificale delle turbolenze di mia sorella» commentò Narcissa, spegnendo la sigaretta nel posacenere con aria leggermente innervosita. Draco comprese che quello era l’unico modo in cui sua madre fosse disposta a nominare Bellatrix. Le consentiva di ricordarla con l’ironia propria del loro rapporto di sorelle; quell’affetto sbrigativo ed essenziale, che le aveva viste incrociare le spade durante le innumerevoli discussioni su punti di vista ed obiettivi di vita del tutto diversi, sui dissensi più banali e pretestuosi e i risentimenti e le prese di posizione più serie e gravose. Draco comprese anche che suo padre fosse l’unica persona in grado di nominare Bellatrix senza che Narcissa mettesse a tacere la questione, con un commento risoluto o un significativo colpo di tosse. Li osservò giocare con i propri sguardi, occupare lo stesso spazio senza toccarsi e sembrare ugualmente vicini.

«Vorrei sapere che fine ha fatto, tra l’altro» la sentì soggiungere a mezza voce, in merito a Rodolphus[1], e quello fu l’attimo in cui la mano grande e sicura di suo padre si posò con una delicatezza insospettabile per le sue fattezze, sulla spalla della moglie. Draco si sentì d’improvviso a casa. «Sai bene che gli basta la sola compagnia di un vecchio Ogden» osservò laconico Lucius, per quanto nel tono rude della sua voce trapelasse una certa considerazione verso quel Rodolphus che Draco aveva conosciuto di sfuggita prima che la situazione degenerasse, durante l’ultima battaglia. «Questo è quello che gli avete fatto credere tutti. Mia sorella in cima alla lista» replicò leggermente contrariata Narcissa, scuotendo la testa. Draco si allungò a spegnere la propria sigaretta, attirando così l’attenzione di suo padre.

Si sentì inchiodato dal suo sguardo, come quando era piccolo e suo padre trovava sempre il momento giusto per materializzarsi dall’ufficio al Ministero: nell’esatto momento e nella stanza della casa in cui Draco stava facendo qualcosa che non avrebbe dovuto fare.

«Il tabagismo è una moda diffusa, in questa famiglia» osservò senza togliergli gli occhi di dosso. Istintivamente Draco spostò i propri su sua madre. Narcissa si limitò a schiarirsi la gola, mentre suo marito registrava la presenza di due resti di sigaretta nel rinomato posacenere di Elladora Black.

«… di generazione in generazione» concluse, lanciando un’occhiata a sua moglie, che conteneva il perché di tutti quegli anni di matrimonio, pensò Draco, sempre più frastornato, dall’avere di nuovo suo padre in giro per casa, e avere sotto gli occhi dopo una vita passata nella completa cecità di bambino, che non fa caso a certi dettagli, cosa volesse dire costruire una famiglia e fare di tutto perché resti in piedi, e si preservi nella splendida imperfezione che le è propria.

«Mio marito ha soggiornato ad Azkaban, di recente» proclamò Narcissa in propria difesa, alzandosi dal divano. Si riservò di incontrare un’ultima volta lo sguardo di suo figlio, prima di tornare nelle proprie residenze, dormendo in un letto che aveva riacquistato consistenza e dimensioni originarie, ora che non si perdeva più nella vastità della solitudine, a cui la prigionia di Lucius l’aveva sottoposta.

Diede la buonanotte ai suoi uomini, lasciandoli soli.

 

●●●

La costruzione di un amore
spezza le vene delle mani
mescola il sangue col sudore
se te ne rimane
La costruzione di un amore
non ripaga del dolore
è come un altare di sabbia
in riva al mare
[Ivano Fossati, La costruzione di un amore]

 

Quando Draco era piccolo, Lucius passava intere notti a guardarlo. Sua moglie fingeva di dormire, la maggior parte delle volte, per concedersi l’egoistico piacere di osservarli da lontano, uno addormentato e l’altro assorto in pura contemplazione – perché era quello, che faceva Lucius, lo contemplava – e in quei momenti riusciva a condensare in una sola immagine il progetto di una vita.

Per il resto del giorno Lucius si teneva quasi alla larga da Draco. Lo osservava di sfuggita, mentre era tra le braccia di Narcissa, ascoltava perplesso e un po’ interdetto i suoi strani discorsi fatti di suoni e gorgoglii ma non cercava mai il suo sguardo curioso di bambino.

Quando Bellatrix e Rodolphus erano al Maniero e giravano intorno alla culla, facendo osservazioni e squadrando il nuovo erede con vaglio critico, sembrava costringersi a sopportare l’esame.

La volta in cui Draco aveva iniziato a camminare, era sgattaiolato nel suo studio e Lucius lo aveva trovato in equilibrio precario, aggrappato al pomello del cassetto di mogano. Era rimasto senza parole. Lesse negli occhi di suo figlio – suo figlio – la chiara intenzione di conservare quella posizione, che sembrava non essere male, e le sue dita piccole e inesperte, ancora vergini della ruvidità della vita, scivolavano leggermente e gli rendevano difficile il compito, ma concentrato lui rimaneva lì, tanto assorto dalla sua personale conquista che neanche si era accorto della presenza di Lucius nella stanza.

Lucius si era chiesto in quel momento quante altre volte nel corso della sua vita, e della loro storia di padre e figlio, Draco lo avrebbe ignorato nel modo in cui aveva fatto nel suo studio, totalmente assorbito da se stesso, considerandosi tanto importante, più di chiunque altro o qualsiasi altra cosa.

Quella volta Lucius aveva sperato che suo figlio continuasse così, su quella strada, che lo ignorasse pure, che ignorasse chiunque avesse cercato di convincerlo che ci fosse qualcosa di meno importante nella vita del concedersi una possibilità e ottenere quello che si vuole.

Decisamente non era stato un bravo maestro per suo figlio, se lo aveva costretto a pagare le sconfitte di suo padre, a ripagare i conti che lui aveva sbagliato.

«Ho conosciuto Astoria» esordì d’un tratto, quando il silenzio nella stanza iniziò ad essere troppo pesante per la sua stanchezza d’animo. Draco sbuffò, confondendo nel fumo la vischiosità del sentimento che aveva per Astoria. Pressoché evanescente. Forse del tutto inesistente.

«E’ una brava moglie» rispose a suo padre, accendendosi un’altra sigaretta sotto i suoi occhi. Lucius non poté trattenere un sorriso di puro e paterno compiacimento, di fronte alla deliberata sfrontatezza di quel gesto; di fronte alla libera determinazione delle proprie scelte, che Draco gli aveva posto dinanzi. Scorse suo padre agitarsi nel quadro, con la coda dell’occhio, facendo enormi cenni di dissenso e mormorando improperi a mezze labbra, proprio come aveva fatto per una vita intera. Quell’uomo lo aveva educato e cresciuto nella ferma convinzione che le cose restino uguali a loro stesse nel tempo e negli animi degli uomini, e che la fermezza della propria opinione conferisse quel po’ di onore e pomposa lealtà ai propri egoismi e alle proprie ottuse mentalità. Lui aveva fatto l’enorme errore di credergli senza discutere.

«E’ per questo che l’hai sposata? Perché è una brava moglie?» chiese a Draco, lanciandogli un’occhiata perforante dalla poltrona in cui era seduto. Draco gli rivolse lo stesso sguardo incerto che riservava alle domande retoriche che Lucius gli poneva nel bel mezzo di un rimprovero. Teneramente insicuro su quale mossa scegliere: portare avanti la propria idea, o rinnegarla per compiacere un genitore.

«Tua madre è la donna più importante della mia vita, ma non la definirei di certo una brava moglie» proseguì suo padre, loquace come non era mai stato. Draco rimase intrappolato nella rete di fascino che quell’improvviso slancio al dialogo da parte di suo padre aveva su di lui. «Ha dichiarato guerra a mio padre dal primo momento in cui è entrata in questa casa. Ha messo il naso nei miei affari, con salvifica indiscrezione, converrai con me. Non mi ha risparmiato nessuna critica e ti ha viziato contro ogni buonsenso ignorando apertamente ogni osservazione che le ho posto in merito alla faccenda» concluse trovando in suo figlio la copia del proprio sorriso sornione.

«Perché hai sposato Astoria?» gli chiese di nuovo un momento dopo, alzandosi per versarsi da bere. Draco osservava il profilo di suo padre dargli le spalle. Ripercorse con lo sguardo la linea delle sue spalle, un tempo forti e possenti, invincibili ai suoi occhi di bambino, ogni qual volta suo padre usciva dalla stanza in cui avevano affrontato l’ennesima discussione.

Per anni aveva immaginato quelle spalle al proprio fianco il giorno del suo matrimonio. Ricordò invece l’ombra dell’assenza di suo padre e il senso di profondo smarrimento che lo aveva colto quando voltandosi con le dita di Astoria strette intorno al suo braccio, aveva sbattuto contro quell’ombra. Sentì le parole affiorare alle labbra, e le strozzò in gola, perché percepì di nuovo lo sgomento di quel giorno e stabilì – come aveva stabilito la sera delle sue nozze – che non sarebbe stato affatto dignitoso cedervi e rispondere che aveva sposato Astoria solo perché era stordito dalla mancanza di suo padre. Perché non aveva più tracce da seguire, e non sapeva assolutamente dove mettere le mani, alzandosi la mattina.

«Mi era sembrata la cosa giusta da fare» rispose infine, le parole come lastre di ghiaccio taglienti, conservavano quel rancore congelato dal tempo e dall’orgoglio, quel ritegno offeso in cui si era chiuso sentendosi abbandonato. «Avevo molte incombenze che pendevano sulla mia testa, papà» aggiunse e nel pronunciare quelle parole sentì il filtro della sigaretta spezzarsi netto in due tra la stretta delle sue dita. «Cercavo di essere un bravo e più dignitoso successore—».

Lucius lo interruppe, come infastidito da quella risposta, e se Draco non fosse stato suo figlio, non avrebbe mai scorto nel gesto secco con cui Lucius troncò le sue parole, il profondo rammarico di un genitore dinanzi alla prova della condanna inflitta al proprio figlio.

«Non importa che tu sia bravo, Draco. Importa che tu sia felice. Io ho voluto essere bravo, il più bravo, a tutti i costi, ed ho reso infelici te e tua madre».

«Mi avrebbe fatto comodo saperlo un po’ prima» rispose Draco, senza rendersi conto di aver alzato il tono di voce, di essersi alzato in piedi, di aver raggiunto in pochi passi suo padre e con quello di aver raggiunto anche il baluardo inespugnabile di una intera vita.

«Prima di fare un figlio con mia moglie, ad esempio» aggiunse con voce tirata, perché non aveva fiato a sufficienza per combattere il puro terrore dell’essere padre di un figlio che non era frutto di alcun amore.

Per la prima volta, tuttavia, suo padre lo guardò di uno sguardo limpido e pulito. Sincero come lo è la comprensione. «Tuo figlio sarà tuo figlio per sempre. Anche se ami una donna diversa da sua madre, e questo non pregiudicherà l’amore che avrai per lui».

L’Ogden d’annata tremò pallido nel bicchiere che Lucius stringeva tra le mani. O forse a tremare erano solo le sue mani.

«Devi essere sincero. Vivi di verità, è quella che ti salva».

«Sul serio? Parli per esperienza?» domandò sarcastico Draco, perdendosi nella confusione di quel discorso, miscuglio di confessioni e scuse, di conforto e  di consigli.

Suo padre al banco degli imputati, e lui per la prima volta in alto, dove stanno i sopravvissuti. Eppure non si sentiva all’altezza di quel ruolo. Non era a suo agio in quelle vesti, e nel sarcasmo delle sue parole, pregno di sentimento verso suo padre e la sua improvvisa e forse incipiente vecchiaia, Lucius poteva averne conferma.

Tuttavia, quando si decise a rispondere, non diede alcun cenno di rimostranza per il tono aspro e severo, crudamente preciso nella sua accusa, che Draco gli aveva rivolto.

Sembrava infinitamente sollevato all’idea di dover sostenere quella sorta di processo, sotto gli occhi di suo figlio. Sollevato all’idea di dover raccontare delle proprie colpe, di firmare ogni ammissione, di poter spiegare ogni scelta, di dover rendere conto a Draco il perché di tutti quegli anni di lontananza e di incertezza a cui lo aveva sottoposto.

Sembrava a suo agio, lui, al banco degli imputati.

«Non ho mai nascosto niente a tua madre e siamo ancora qui. La vita ci ha scalfiti in molti modi, perché in molti modi siamo stati insinceri con la vita stessa e le sue regole, ma la vita che abbiamo costruito e vissuto insieme non è mai stata scalfita. Ho mentito sulle mie intenzioni, abusato del mio potere e del mio ruolo, ho compravenduto molte cose e ho tradito persone ed ideali, Draco, ma nessuna di queste persone è mai stata tua madre e nessuno di questi oggetti è mai stato l’amore che ho per lei.

Sii onesto con la donna che hai al fianco. Sceglila».

Le sue mani di padre sulle spalle di un figlio ormai diventato adulto.

«Hai capito cosa ti sto dicendo?»

Il netto rifiuto all’arrendevolezza ad ogni fatalismo.

«A tua madre non ho davvero mai nascosto niente. Né le mie sconfitte, né il mio amore per lei».

La caparbietà dell’amore di un padre, che mai lascerebbe andare alla deriva la vita del proprio figlio, a costo di dover inventare il tempo e altre possibilità. A costo di mettere a nudo tutti i propri errori, perché non vengano ripetuti da chi saprebbe evitarli. A costo di riconoscersi uomo, da Dio quale ha finto di essere.

«Sì, ho capito papà» mormorò Draco, con un sorriso stanco, sapendo già a chi sarebbero appartenuti i suoi sogni quella notte.

Sii onesto con la donna che hai al fianco.

Sceglila.

 

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Al solito vi chiedo scusa per i tempi di aggiornamento, non nascondo che questo capitolo mi ha ucciso senza pietà, stavolta niente alieni e - purtroppo - niente David Bowie a farmi da scusanti XD E' la nuda e cruda verità.
Ma l'attesa futura sarà inferiore all'annata (le ultime parole famose...) di sicuro, perchè ormai la storia è quasi conclusa XD in non oltre tre- quattro capitoli al massimo (vedi parentesi sopra) ^_^

I ringraziamenti, dovutissimi!
Melisanna: Innanzitutto grazie per aver lasciato un commento e per le cose che hai detto riguardo lo stile ^^
L'OOC è una tentazione forte quando si parla degli Slytherin, perchè stando al modo in cui la Rowling li ha trattati qualsiasi tentativo di approfondimento psicologico sarebbe OOC XD
Per quanto riguarda Draco, il definirlo "codardo" è un definirlo tale con tutto l'amore che ho per lui. Secondo me è giusto dare alle cose il proprio nome, e credo che la sua "codardia" gli faccia onore in quanto ad umanità, se solo la sua autrice avesse dedicato più spazio alle sue scelte, ma capisco che il protagonista era un altro XD ed è una pretesa fuori luogo tutto sommato =P
La riflessione che hai fatto sulle donne in un certo senso è molto vera, ha fatto riflettere anche me ^^' Credo che queste donne abbiano avuto maggiore possibilità di analisi delle vicende, perchè tutto sommato le hanno vissute al fianco degli altri protagonisti. Tu sei molto più "forte" di me nel definire Draco e tutti gli uomini "vili" XD io purtroppo subisco il fascino di alcuni di loro e mi perdo nei meandri delle loro psicologie scavando per delle giustificazioni =P
Theodore è un amore di uomo, vero? Alla fine secondo me è quello che infrange la regola, è l'uomo vero della situazione, quello consapevole di sè, che prende le sue scelte e accetta le proprie impossibilità e i propri errori. E' uno che tutto sommato ci ha provato. Ed è stato davvero l'unico a farlo, in tutta la vicenda, per questo merita tutto l'amore possibile :) L'unico ad avere le palle di rischiare.
Grazie ancora *__* Le tue recensioni sono state bellissime ^^

Meredith91: *ama aver trovato qualcuno che ami a sua volta Going to California e se ne commuove sine dignitate alcuna*  Sono felice che abbia apprezzato la parentesi Pansy/Theo, sono molto affranta per la loro situazione in realtà XD ma è anche vero che Theo incarna un pò le mazzate che la vita ti regala con un niente ^^ Amando fa la cosa più rischiosa che possa capitare ad un essere umano, e dicendolo ad alta voce raddoppia il pericolo XD E sì, i quadri di casa Malfoy sono decisamente troppo loquaci =P Fossi stata in Pansy sarei tornata con un cerino il giorno dopo -_-
La storia è agli sgoccioli, nel senso che prevedo massimo due capitoli + epilogo o qualcosa del genere, di certo non di più :) E' questione di tirare le redini della faccenda, ma ormai tutto è disposto a puntino, bisogna solo raccontarlo XD Il che mi mette un pò tristezza ç_ç
Grazie per il commento :*

Entreri: ... chiedo scusa per aver deluso le speranze di un nuovo capitolo in tempi se non brevi almeno non decennali *si nasconde* E' in parte colpa della famiglia Malfoy che nelle sue dinamiche mi crea sconvolgimenti psicologici tutte le volte. La fine è dietro l'angolo, che sia lieta poi ovviamente giudicherai tu, ma tieni conto che alla fine sono perdutamente innamorata di questi Sly, non potrei fargli troppo male. Se non altro non più di quanto non se ne facciano da soli XD Un bacio cara :* (e scusa ancora!)

Nissa: Quel discorso ha distrutto anche me ^^ E in realtà credo che Pansy veneri Narcissa perchè la sottoscritta lo fa XD Ma come si potrebbe non farlo? Blaise si inchina e ringrazia, perchè si sente capito XD La sua ironia è come l'arma che ha scelto di brandire per andare avanti, quando è stanco o si sente piccolo e nero come Calimero sconfina nel sarcasmo ^^ è il suo veicolo d'espressione, povero caro. E del resto si è scelto come amici due musi lunghi che di sicuro non hanno come miglior pregio la simpatia e l'ottimismo XD E Theo mi fa sapere che con molte probabilità rifiuterà l'eredità di suo nonno, per protesta ^^
Quella scena con Pansy è stato un peso enorme sul mio groppone, sono felice che abbia sortito delle "reazioni" emotive in chi l'ha letta ^^ E non hai scritto nessuna castroneria, tranquilla =P Anche perchè la mia lucidità lessicale all'una e quaranta di notte è pressocchè inesistente XD Grazie per il commento e la presenza =) Un bacio =*

Seiryu: *sentitamente ringrazia* Ho riletto le recensioni più volte e ancora non so precisamente cosa dire ^^ Per lo stile forse la colpa è di D'Annunzio e del fatto che mi sono nutrita dei suoi romanzi per gran parte di questi anni XD (ma mi dissocio da qualsiasi sua altra attività al di fuori della letteratura, ecco u.u).
Sono contenta anche che tu abbia riso con Blaise, secondo me è dotato di grande comicità in realtà, ed è anche abbastanza egomaniaco per poter essere un uomo da palco XD Mi sono divertita da morire scrivendo del ricevimento o della visita a casa di Draco per la consegna dell'invito, ad esempio =P
Draco e Pansy per me sono qualcosa di *sublime* ma sono profana di tanti altri pairing quindi capisco cosa intendi :) Quella folgorazione del XII capitolo è venuta fuori da sola, forse proprio perchè io sono profondamente (e vanamente ç_ç) convinta che quando due persone sono fatte per stare insieme, arriva il momento in cui gli eventi, la vita, lo specchio, il tuo io e super io, te lo sbattono in faccia e poi tu puoi fare quello che ti pare, ma tant'è e le cose stanno così ^^ Anzi che il giovane s'è dato una svegliata... per i suoi standard, è commovente XD
Lieta anche di sapere che concorsi sui cavilli giuridici di Lucius *_* Dato che detesto la Rowling ed è risaputo, mi è stato fatto notare che potrei accusarla di qualunque cosa XD ma su quel particolare dettaglio ho sempre insistito nel proclamarmi fedele ai criteri di giustizia più che al mio astio verso l'autrice u.u
Amo indegnamente anche il fatto che ti siano piaciute le canzoni citate ^^ per me sono le colonne portanti della mia sfera emozionale (*emotiva le sembrava troppo...*), un pò la soundtrack di una vita fino ad ora, oltre al fatto che alcuni sono i Grandi Autori per cui potrei anche ipotecare la casa/vendere un rene ecc... XD
Grazie infinite, infinitissime, per la recensione che hai lasciato :) *inchino a sua volta*

 



[1] Ho cercato sul Lexicon, non avendo il coraggio di riaprire il settimo scempio. Cioè, il settimo libro. Il santo Lexicon (che per me ha il valore di un Graal) non dice niente in merito alla fine che ha fatto Rodolphus. Dato che lo amo sopra ogni cosa, mi sono tenuta il beneficio del dubbio, nella storia.

  
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