The way we
were
XV
Affari di
famiglia
Era
un signore andato via.
A lei
qui rimasta tantissimo mancava.
La
traccia da lui lasciata segnava
ovunque intorno a lei
l'aria.
Come un
quadro spostato
per
sempre segna la parete.
[V. Lamarque,
Il signore andato via]
Nel
mettere piede
nella camera di Blaise, Pansy si ritrovò immersa tra
l’odore delle sigarette
magiche di Warrington e il profumo di Draco, che aleggiava ancora
sbattendo tra
le pareti. Forse quello era il segnale di avviso che non fosse il caso
di soffermarsi
troppo a lungo.
«Blaise?»
chiamò non avendolo incontrato in salone e tantomeno
lungo il corridoio che portava alle camere da letto, nel piano
superiore.
«Pans»
le giunse in risposta la voce dell’amico, lontana come
un’eco e soffocata da un colpo di tosse «Ci
sei anche tu»
proseguì mentre Pansy si liberava del proprio mantello,
lasciandolo cadere sul letto sfatto. «Adesso
dobbiamo solo svegliare Crabbe dal sonno dei morti,
e poi siamo al gran completo».
Pansy
lasciò che
il gelo avvolgesse il cinismo di quel commento, preoccupandosi
più di cercare
Blaise in tutta la sua figura e scoprire di chi altri stesse parlando,
per
quanto avesse ormai la certezza che non fosse Millicent.
Quando
si
affacciò alla porta del bagno, in realtà
trovò Blaise in compagnia della sua
sola inquietudine, a quanto le sembrò. Frugò con
lo sguardo in cerca del terzo
presente, ma senza trovarlo. «Hai
un amico immaginario, ora?»
gli domandò, entrando nel bagno e sedendosi sul bordo della
vasca, in
equilibrio. Blaise la guardò con un sorriso spento e
distante, agitando una
mano in aria, con fare vago. «Parlavo
in metafora, Pans. Draco è appena passato a porgermi i suoi
ossequi»
le spiegò con una smorfia di scuse per
aver pronunciato il nome di chi sarebbe diventato innominabile di
nuovo, come
prima del decisivo ricevimento a casa Nott.
Pansy
squadrò
dalla propria posizione di sobria osservatrice Blaise Zabini, prendendo
atto
che fosse innegabilmente elegante ed impeccabile anche nel pieno di una
sbronza.
«Sei
ubriaco?»
gli chiese, cercando nei suoi occhi un
barlume di lucidità. Blaise reclinò la testa,
lasciandosi andare contro il
tronco del lavandino in ceramica. Pansy considerò
l’idea di preoccuparsi
seriamente, come ad uno Slytherin non è mai gradito fare. «O
sei fatto?»
aggiunse, ricordandosi dell’odore delle
sigarette di Warrington.
Blaise
sembrò
rifletterci, ma alla fine non disse niente.
Si
limitò a farle
cenno di sedersi accanto a lui, sul pavimento.
Pansy
lo
raggiunse con tutte le intenzioni di spostare l’angolo del
salotto sul letto di
Blaise, piuttosto che sulle mattonelle gelide del suo bagno.
La
docilità con
cui le permise di toccarlo e trascinarlo esattamente dove voleva, le
gelò il
sangue. Ricordava la notte del funerale del suo quinto padre come la
notte in
cui Blaise Zabini avesse conseguito la sua prima sbronza, eppure quel
giorno
era mille volte più vivo di quel momento. «Blaise?»
lo chiamò, sedendosi al suo fianco, sul letto. Lui
sembrò trovare più
edificante fissare per terra, piuttosto che guardarla negli occhi con
la solita
sfrontatezza con cui rispondeva alle preoccupazioni che di tanto in
tanto lei
gli riservava.
«Che
ti è successo?»
gli chiese a bassa voce, sentendosi un
po’ persa.
Blaise
e i
potenti mezzi delle sigarette di Warrington impiegarono qualche secondo
a
riemergere dal mondo di dissociazione in cui erano precipitati insieme,
cercando rifugio, annidandosi tra le pieghe dell’anestesia.
Gli affiorava alle
labbra una risata amara, nella consapevolezza di vedere Pansy seduta
nel punto
esatto in cui era stato Draco, quando lui aveva quasi ceduto a quel
terribile
racconto di morti e miserie che si portava dietro da anni. E poi
c’erano tutti
quei matrimoni inutili e vuoti, e la desolazione nella quale vivevano.
La
consolazione cercata in una sigaretta come un randagio,
l’impossibilità di
utilizzare le parole e il pensiero ostinato di quanto le parole in
sé
rendessero vivo un avvenimento, e fossero al tempo stesso del tutto
inutili nel
porre rimedio ad ogni cosa.
«A
te, cosa è successo?»
le chiese, spostando l’argomento sulla
cosa più vicina che potesse sentire. Pansy
scrollò le spalle, affogando nel
proprio orgoglio e nelle proprie consapevolezze la sconfitta
più grande a cui
avesse mai dovuto prendere parte. «Cosa
è successo a me è tristemente noto»
mormorò decisa.
Blaise,
in tutti
quegli anni, era stato un ottimo amico, il migliore confidente, la
spalla a cui
appoggiarsi nei momenti in cui persino la dura pelle di una Slytherin
aveva
conosciuto le scalfitture della vita. E avvolto nella sua patina di
buongusto e
sarcasmo, aveva sempre espresso un parere su tutto, difeso i propri
amici e
osteggiato i nemici; aveva corteggiato donne e alla fine aveva
conquistato
anche le loro madri; aveva ballato con lei a quel ricevimento, e
insieme a
Draco avevano speso interi pomeriggi a fumare sigarette e costruire il
proprio
nido, come ai vecchi tempi, proteggendosi dal mondo. Ma di
sé non aveva mai
proferito parola, e Pansy si era sentita defraudata, chiedendosi cosa
mai
avesse potuto rubare a lei e Draco quel privilegio di un tempo.
Forse
le
sigarette di Warrington, forse quello che le sigarette andavano a
coprire.
«Puoi
spiegarmi perché
non ti reggi in piedi e mi inviti
a simposi sul pavimento del bagno?»
domandò di nuovo, dura come non era mai stata nei
confronti di Blaise.
Avrebbe
voluto
sentirsi dire che lui e Draco si erano riuniti in un pomeriggio di
amenità
prettamente maschili e che avevano pianto insieme per le tristi sorti
della
vita coniugale di Draco. Invece percepiva distintamente lo squarcio che
attraversava Blaise da parte a parte.
Quella
doppiezza
che aveva insita nella luce torbida dei suoi occhi.
La
gente la
scambiava per sensualità, per una malizia tipicamente sua,
per quell’aria
conturbante che gli apriva le porte dei più facoltosi
salotti della Londra magica,
con un solo sorriso e qualche commento sardonico.
Pansy
aveva
trincerato la propria offesa, di fronte a quel teatrino
che Blaise si era permesso di propinare anche
a lei e a Draco. In quel momento, gli aveva chiaramente fatto capire di
aver
strappato il biglietto.
«O
magari vuoi che vada a chiamare
Mirtilla? Forse anche tu fai più volentieri quattro
chiacchiere con lei »
aggiunse, rivelando finalmente dopo anni
quanto e come si fosse sentita di poco conto. Blaise rise di quelle
parole,
scuotendo la testa, sentendosi invadere da tutto l’affetto
che aveva conservato
per Pansy – e per Draco – in quei lunghi anni di
conoscenza. Forse era
l’effetto del mix di droghe, che gli faceva sentire ogni cosa
amplificata, ma
Pansy era lì accanto a lui e la sentiva fremere di rabbia, e
non gli era mai
parsa così viva come in quel momento.
«Pans»
sussurrò accarezzandole i capelli, e cogliendola di
sorpresa «Mirtilla
non
capirebbe»
le concesse,
lasciandosi cadere indietro, di colpo, sul letto. Gli occhi chiusi
consapevolmente
su quell’immagine che sapeva sarebbe tornata. Stavolta
l’aveva aspettata.
E
in quel
contrasto, tra la Pansy riversa a terra che vedeva dietro i propri
occhi
chiusi, e la Pansy viva che gli respirava a pochi centimetri nella sua
stanza,
avvertì di dover abbandonare quel posto,
l’ambiguità del suo vivere.
«Non
capirebbe, cosa?»
domandò ancora Pansy, sporgendosi verso
di lui.
Era
più che certa
che non avrebbe capito, non capiva niente, Mirtilla. Non aveva capito
Draco e
quello che cercava di dirle, non avrebbe compreso il linguaggio di
Blaise,
fatto di sguardi e pelle, non avrebbe mai compreso
l’intreccio delle loro vite
e l’indissolubilità del punto in cui si
incontravano. Non avrebbe capito che
quel nodo era la loro salvezza e la loro condanna, e che
quell’alternanza
contraddittoria faceva delle loro vite quell’eterno campo di
battaglia di cui
parlavano sempre nei loro pensieri e mai a voce alta.
«Il
modo in cui sei morta»
rispose Blaise in un sussurro, aprendo
gli occhi di colpo.
Pansy
lo guardò
senza capire per lunghi secondi, sentendosi scomoda in quelle nuove
vesti di
estranea. Si sentiva una spettatrice, messa da parte, relegata dietro
le
quinte.
«Non
ti seguo»
lo avvisò, cercando il suo sguardo senza
trovarlo.
Blaise
rimase
immobile, disteso sul letto, a fissare il punto lontano della sua
memoria.
«Durante
la battaglia, mi sono ritrovato
in uno scontro, mentre cercavo te e Draco. Mi sono girato, a un certo
punto, e
c’era una persona per terra, colpita da un incantesimo e io
sono stato sicuro
che fossi tu»
disse infine,
vedendo scorrere la scena sotto i propri occhi, nei panni del cronista.
Sentì Pansy
congelarsi, sempre al suo fianco. «Ho
pensato che non fosse giusto»
proseguì, mentre Pansy conficcò le
unghie nel tessuto del lenzuolo sotto di lei. Strinse forte, come
avrebbe
impugnato la bacchetta in difesa di se stessa e di Blaise, in mezzo a
quello
scontro.
«Mirtilla
non avrebbe capito, è persa
dietro i suoi rammarichi… La gente, tutta, muore nello
stesso modo in una
guerra, Pans. Ingiusto»
mormorò,
cercando con la mano di aprire il cassetto dove conservava le
sigarette. Pansy
rischiò di chiudere anche il suo dito, nel sigillarlo.
«Ti
ricordi il processo del padre di
Draco, Pans?»
domandò
lasciando perdere il cassetto, tirandosi su, e le sembrò che
in quel momento
fosse perfettamente lucido. Aveva una consapevolezza nel modo di
guardarla, che
le fece venire voglia di abbracciarlo.
«Piuttosto
nitidamente»
replicò con una quieta vena di sarcasmo
nella voce.
Durante
tutto il
processo Blaise le aveva stretto il polso tra le proprie dita, tanto
che aveva
potuto sentire il pulsare della vena. Si erano parlati in quel modo,
senza
bisogno di parole, perché davvero si erano sentiti
accomunati da uno stesso
sangue, ed era quello che parlava per loro.
«Non
ti ho detto che ho pensato che la
gente dovrebbe essere punita per quello che ha fatto…».
Pansy
scivolò ai
piedi del letto, sentendosi di nuovo piccola come il giorno del
processo, in
cui invece aveva creduto di essere diventata adulta, perché
conosceva il peso
sul cuore che gli eventi ti lasciano nel loro passaggio.
«…
e non per quello che è»
concluse per lui, sentendo il bisogno di
inspirare a fondo e riprendere aria. Quel giorno, durante il processo,
avrebbe
voluto poter dire quello che aveva scoperto anni prima, al suo quarto
anno. E
cioè che nella vita di ognuno esiste una soglia, il cui
primo difetto è quello
di essere invisibile agli occhi di un moralismo senza speranza.
Avrebbe
voluto
spiegare che la vita non è altro che l’arte di un
incontro. E che quella soglia
separa strade diverse, insegnamenti diversi. Che quello che li separava
dalla
rettitudine di altra gente era l’insegnamento che non avevano
ricevuto, sul
valore di una scelta. Che il
discriminante era quello, e non una innata barbarie, né il
destino, né l’amore per
il disprezzo o per il sangue. E che nel fare tutto da soli, la
possibilità di
sbagliare è una certezza.
Se
il signor
Dumbledore le avesse chiesto un parere in merito, è quello
che avrebbe
risposto.
Invece,
quel
giorno, durante il processo, alzando gli occhi aveva osservato gli
sguardi
dell’intrepido trio. Guardavano fissamente avanti a loro, con
la testa alta.
Pensò che suo padre non era morto per proteggerla, ma anzi
si era venduto a Chi
aveva fatto loro visita una sera come tante, in cerca di reclute. E
comprese
che forse era bastata la non scelta di suo padre, perché
Dumbledore non le chiedesse
mai alcun parere.
«Mi
dispiace, Pans, di tutto quello che è
successo con Draco»
disse Blaise,
offrendole un sorriso un po’ incerto, ancora instabile sulla
scia di brandy e
sigarette bandite. «Mi
avete fregato,
stavolta ci avevo creduto sul serio»
aggiunse, delicato. Pansy annuì, distogliendo lo sguardo
per non lasciarsi sopraffare. «Dovrò
davvero far ballare Millicent al tuo matrimonio…»
mormorò confuso, strappando un sorriso a Pansy. «Non
è necessario. Theodore ha ritirato
l’offerta»
gli rivelò,
mostrando la mano, di nuovo libera da anelli.
«Suo
nonno ti ucciderà»
osservò l’altro.
Pansy
sospirò in
risposta, chiedendosi se avesse ancora qualcosa da perdere. Se Londra
le
offrisse ancora qualcosa per cui valesse la pena mettere un piede
davanti
all’altro. La atterriva l’idea che la vita fosse
qualcosa di talmente forte,
talmente più grande di lei, da vincere ogni suo
più recondito sogno di chiudere
gli occhi su un sonno eterno che non le avrebbe mai più
spezzato il cuore, o il
respiro, o le parole sulle labbra. Avrebbe potuto vivere integra,
intatta,
lontana. Per sempre. Per un tempo tanto lungo da perdere anche ogni
importanza.
Anni
addietro il
solo pensiero l’avrebbe terrorizzata, ora lo guardava con il
rammarico
agrodolce di chi è certo di non avere il coraggio di
procurarselo, né la
fortuna di ottenerlo per casualità.
«Dovremmo
andarcene da qui».
Blaise
assaporò
il suono di quelle parole, prima di guardare verso Pansy e rischiare di
scoprire che non stesse dicendo sul serio. Perché in quel
momento, non aveva
idea migliore se non quella di crederle.
«E
dove vorresti andare?»
domandò, avvertendo un brivido corrergli
lungo la schiena.
Pansy
scosse la
testa, facendogli sapere di non avere più alcun posto
preciso, da quel giorno
in poi.
«Dove
abbiamo una possibilità»
disse infine, lasciandosi scivolare
ancora, come da bambina, ai piedi del letto. Blaise chiuse gli occhi,
ancora
disteso sul letto. Pansy rimase in silenzio, in compagnia del respiro
di Blaise,
con le ginocchia raccolte al petto e il cuore a rimbombare sordo alle
sue
suppliche di tacere. Immaginò le notti di Blaise, i suoi
sogni e tutte le volte
che aveva aperto gli occhi vedendola morta. E ancora più di
quello, ripercorse
tutti i silenzi in cui aveva ammantato quel segreto, con lei e con
Draco.
Immaginò
Abraham
Nott e la sua furia, nell’essere costretto a lasciarla andare
via, a causa di
un nipote troppo grande per il suo piccolo mondo avvizzito da
corruzione e
livori.
E
Millicent e i
singhiozzi che avrebbe trattenuto nel doversi congedare da lei, e il
modo
tenero con cui avrebbe cercato di farle credere che fosse solo la
delusione per
non poter usare le scarpe nuove acquistate per il matrimonio.
Immaginò lo
sguardo pieno di adorazione che avrebbe rivolto a Blaise; il modo in
cui
avrebbe accarezzato il profilo del suo viso, con la maturità
con cui da adulti
si accantonano alcuni rimpianti e si rinuncia a certi desideri.
E
il sorriso sornione
che Daphne le avrebbe rivolto, stupita tuttavia nel vederla andar via
senza
Draco, e i suoi occhi felini puntati su Blaise, la mano che avrebbe
accarezzato
il suo corpo ancora una volta, posandosi volutamente nel punto che le
sue
labbra avevano fatto suo l’ultima notte trascorsa insieme.
Immaginò
Tracey
Davis e la mossa furtiva con cui si sarebbe di nuovo intrufolata nello
studio
di Theodore, una volta libera dalla scomoda presenza di una sposa
contrariata
all’idea delle nozze; e immaginò lo sguardo
spaesato, di ingenua perplessità,
con cui prima o poi Theodore avrebbe affrontato le attenzioni di
Tracey. Pensò
al giorno in cui avrebbe dato loro il giusto nome, e la ritrosia con
cui
avrebbe infine ceduto alla sua malizia, scoprendo di potersi divertire
con
quella donna, e rimpiazzare lo strano peso della leggerezza sul suo
anulare,
privo dell’anello di matrimonio.
E
infine, pensò a
Draco e al modo in cui avrebbe tenuto tra le braccia suo figlio.
Allo
sguardo che
gli avrebbe rivolto, timido e incerto. Al modo in cui lo avrebbe
toccato, poco,
e come se fosse di vetro, con il timore di poterlo rovinare o di fargli
del
male. Immaginò la confidenza che invece nel tempo avrebbe
guadagnato con il suo
aspetto di padre, e tutto il bene che avrebbe riversato su suo figlio,
colmando
così anche i propri vuoti d’affetto e le
solitudini che aveva sentito quando ad
essere figlio era stato lui.
Immaginò
suo
figlio, le somiglianze che avrebbe avuto con Draco,
l’adorazione che gli
avrebbe riservato e gli sguardi di insofferenza per la presunzione con
cui suo
padre avrebbe affrontato le future discussioni con lui.
Immaginò quel bambino
diventare grande, e vide Draco invecchiare con lui.
Scoprì
il
pensiero che Draco fosse nato per essere padre; e cercò
anche di mettere da
parte quello che le diceva di essere la donna giusta per essere sua
moglie. Si
sforzò, con un sorriso di tragica ironia, di mettersi nei
panni di Millicent,
imitando la grazia con cui aveva rinunciato ai propri desideri, e non
la
goffaggine con cui li aveva perseguiti.
Rifletté
anche
sul fatto che Blaise, la notte in cui lo aveva costretto ad
accompagnarla a
casa, avrebbe dovuto raccontare a Millicent tutto quello che aveva
appena detto
a lei, perché Millicent avrebbe saputo piangere al posto di
Blaise. E di Pansy.
Lei era infinitamente migliore di loro.
Fece
per
dirglielo, ma nel voltarsi lo trovò addormentato, con la
testa appoggiata sopra
il braccio, che sporgeva sul letto. Si chiese cosa stesse sognando e se
nell’addormentarsi avesse desiderato poi di potersi svegliare.
Si
domandò se nel
posto in cui sarebbero andati, avrebbero sentito la mancanza di Draco.
Con
un dolore
intenso comprese da subito che quella mancanza l’avrebbe
accompagnata per
sempre. Che avrebbe abitato in lei, in qualunque modo fosse andata la
sua vita.
Le avrebbe conservato un posto, come in quel cassetto, e avrebbe fatto
più
attenzione a dove adagiare la chiave. Immaginò di lasciarla
sotto il tappeto
morbido dei propri ricordi di lui, e di lui insieme a lei.
Allora,
ancora
seduta sul pavimento, allungò istintivamente il braccio,
verso quello di
Blaise, e strinse appena le dita intorno al suo polso. Sarebbe stato un
processo molto più lungo, quello.
●●●
Look
around, choose your own ground
For long you live and high you fly
And smiles you'll give and tears you'll cry
And all you touch and all you see
Is all your life will ever be
[Pink Floyd,
Breath]
Astoria
si era
addormentata presto, quella sera. Aveva detto di essere sfiancata dal
viaggio,
e a questo si aggiungeva la prima stanchezza del dover faticare per due
persone.
Non
aveva parlato
a Draco dell’anticipo con cui era voluto tornare a Londra.
Non avevano nominato
Pansy, e neanche a dirla tutta avevano più discusso del
figlio che sarebbe
nato.
Una
volta tornato
da casa di Blaise, Draco non si era avvicinato alla camera da letto,
preferendo
vagare senza sosta per i meandri della sua casa. In ogni angolo
c’era un
ricordo della Pansy bambina che prendeva dimestichezza con quei luoghi.
Ora
sapeva con certezza che un giorno aveva iniziato ad immaginare se
stessa come
padrona di quelle stanze, e di quei soffitti alti.
Il
pensiero lo
fece sorridere, e poi gli ricordò quanto pericoloso fosse
adagiarvisi troppo.
Narcissa
lo aveva
raggiunto, poco dopo, seguendo il suono dei suoi passi per i corridoi
del
Maniero.
Draco
la sentì
arrivare, riconoscendo il suo profumo, che aveva sempre definito come
l’odore
di sua madre. Si fermò, aspettando che si avvicinasse. Le
dita fredde di
Narcissa gli accarezzarono il collo, nello stesso modo in cui quando
era più
piccolo lo richiamava dalle sue corse per intimargli di seguirla; o si
accertava che stesse bene e non avesse la solita febbre di mezza
stagione.
«Mamma»
mormorò con un sorriso beffardo, facendole presente di
non essere affatto sorpreso.
Narcissa
sospirò,
sospingendolo appena verso il salone. I corridoi di quella casa
continuavano a
metterle i brividi, anche dopo che ne era diventata padrona.
«Qualcosa
ti tiene sveglio?»
gli domandò retorica.
Draco
si sedette
sul divano, lanciandole uno sguardo carico di affetto ma non per questo
esente
da un certo sarcasmo.
«Sì,
le termiti che ho in camera»
la prese in giro, allentando i bottoni
della propria camicia. Non si era neanche cambiato, rassegnato
all’idea di non
chiudere occhio. Narcissa ammorbidì il proprio contegno
preoccupato,
riconoscendo nel figlio le solite abitudini alla causticità.
«Ci
farai l’abitudine»
osservò Narcissa, poco dopo, lasciando
intendere di aver cambiato argomento. Draco la guardò
dubbioso. «All’insonnia»
specificò accendendosi una sigaretta.
Draco
si indignò
per quel dettaglio nel tentativo di non pensare troppo al resto.
«Che
fai, fumi?»
le chiese guardandosi istintivamente
alle spalle per accertarsi che suo padre non fosse in giro a scoprirlo.
Narcissa avvicinò a sé il posacenere della
defunta Elladora. «Sto
per diventare nonna, mi sembra
legittimo».
Draco sprofondò
ulteriormente sul divano, trasferendo con quel semplice gesto parte
della
propria angoscia a sua madre. Narcissa la accolse con la commozione a
cui in
rare occasioni si concedeva di lasciarsi andare.
«E’
una cosa bella»
mormorò guardando suo figlio, scoprendo
di non riuscire più a sovrapporre i suoi occhi che la
guardavano bambini, a
quelli che aveva ora. «E’
una cosa
grande»
aggiunse lui,
sentendosi invadere da un vortice di energia e confusione. Si sentiva
pieno di
qualcosa, e al tempo stesso privo di ogni sicurezza. «Un
Malfoy ha il diritto di essere
terrorizzato?»
domandò
chiedendole una sigaretta. Sua madre indugiò alcuni istanti,
ammonitrice come
da migliore tradizione Black. «Sto
per diventare padre, mi sembra più che legittimo»
le fece notare ottenendo quanto richiesto.
Narcissa
depose
il posacenere al centro del tavolino basso, portando di nuovo alle
labbra la
sigaretta. «Un
Malfoy ha più
diritti di quel che credi»
lo informò con
un tono terribilmente serio. Draco cercò il suo sguardo,
oltre i disegni
astratti che il fumo aveva tracciato tra loro. «Io
me ne sono arrogati molti, da quando ho sposato
tuo padre»
proseguì
Narcissa, con un sorriso tipicamente Rosier. Emergevano di tanto in
tanto in
lei le caratteristiche dell’altro ramo della famiglia, che
calibravano
perfettamente l’arguzia Rosier con i rigidi dogmatismi e il
grande senso degli
affari dei Black. Probabilmente per questo sua madre era stata
l’unica delle
tre figlie ad essere immune agli sbalzi d’umore e alle
impulsività delle altre
due. Aveva in sé un certo equilibrio, bilanciando i
morigerati pregi e i
terribili difetti di entrambi i casati, oltre ad un aspetto
innegabilmente
Rosier, con i colori chiari e le fattezze algide di una statua in
ghiaccio di
divinità nordica. Draco avrebbe voluto ereditare qualche
gene dei Black, ma quello
che aveva ottenuto era l’aspetto e l’assetto di un
Malfoy in tutto e per tutto.
«Che
intendi dire?»
le domandò assottigliando gli occhi. Sua
madre depositò un po’ di cenere. «Che
tuo nonno paterno mi odiava, Draco. E mio padre ha
vissuto con il terrore di un divorzio fino a quando Merlino non ha
deciso che
si mettesse il cuore in pace, in tutti i sensi»
gli rivelò e a Draco sembrò che fosse divertita
da
quel ricordo.
«Poi
sei arrivato tu, e Abraxas ha trovato
in me qualcosa di positivo»
concluse il racconto con uno sbuffo di stizzito sarcasmo Black.
«Fino
a quando non lo hai cresciuto così
come è diventato, Narcissa»
intervenne il diretto interessato, di punto in bianco. Madre e figlio
sussultarono colti alla sprovvista, prima di lanciare due occhiate
torve in
direzione della cornice del prozio Wilbert, ancora sotto sfratto. «Quella
Greengrass, un oggettino da avere
tanto per bellezza»
insistette,
dando sfogo senza che gli fosse stato minimamente richiesto, ad ogni
suo
dissenso.
«Nonno,
ti spiacerebbe evitare di farti sentire
dal soggetto in questione?»
gli intimò Draco, temendo di dover far fronte ad una crisi
familiare di
proporzioni indebite. Abraxas lo guardò mortalmente offeso. «Visto?
Pessimo carattere dei Black.
Scommetto che quel debosciato di Sirius ha iniziato proprio
così…»
riattaccò imperterrito il capostipite. Narcissa
gli diede educatamente le spalle, annunciando il ritorno ai propri
affari con
un colpo di tosse.
«Ammetto
candidamente, Draco, che se non
avessi amato tuo padre, l’idea di abbandonare questo posto
non mi sarebbe
dispiaciuta affatto»
soggiunse
Narcissa, coprendo i rimbrotti di Abraxas Malfoy. Aveva chiesto a
Lucius, da
sempre, di accostare il suo dipinto a quello della madre di suo cugino
Sirius,
certa che avvicinando le due metà perfette della mela,
avrebbero finalmente
ottenuto un silenzio perpetuo. Suo marito aveva sempre avuto i suoi
dubbi in
proposito, tuttavia.
«Tuo
padre— mio nonno, te lo avrebbe
permesso? Sarebbe stato uno scandalo»
osservò Draco, cercando di districarsi tra le complicate
rimostranze delle sue due famiglie. Narcissa lo guardò di
sottecchi, e parlò
abbassando la voce perché suo suocero non sentisse anche di
peggio. «Draco,
a volte l’arte della sopravvivenza
è tutto. O scavalchi l’ostacolo, o lo elimini con
la forza… o lo aggiri. Io lo
avrei aggirato. I Malfoy hanno un discreto numero di residenze, e la
mia famiglia
a quei tempi non era da meno»
spiegò, carica di sottintesi. Draco non faticò a
comprendere cosa intendesse
dire. Sarebbe bastato condurre due esistenze separate, senza spostare
minimamente alcuna firma sulla carta dei loro attestati di matrimonio.
Quando
sollevò lo
sguardo dai propri pensieri, trovò quello di sua madre
adagiato in un
espressione remota, carica della tenerezza timida di un ricordo,
scalfita dal
dolore del tempo presente. «Mi
sarebbe piaciuto che tu conoscessi meglio le mie sorelle. Bellatrix
avrebbe
potuto illustrarti meglio la faccenda. Negli alti e bassi del suo
matrimonio, è
stata perfettamente in grado di lasciar credere a tutta la famiglia
Black-Lestrange
che il loro unico rammarico fosse non poter concepire figli».
«Difficile
ottenerli, se passi il tempo a
seviziare tuo marito, piuttosto che…».
Narcissa
accolse
l’ingresso di suo marito con un sospiro che chiarì
a Draco quanto spesso
entrambi si fossero soffermati a discutere del matrimonio di sua zia
Bellatrix.
Lucius volse a sua moglie un sorriso più simile ad un ghigno
che ad altro.
«Questo
è il momento in cui Rodolphus si
trasforma in vittima sacrificale delle turbolenze di mia sorella»
commentò Narcissa, spegnendo la
sigaretta nel posacenere con aria leggermente innervosita. Draco
comprese che
quello era l’unico modo in cui sua madre fosse disposta a
nominare Bellatrix.
Le consentiva di ricordarla con l’ironia propria del loro
rapporto di sorelle;
quell’affetto sbrigativo ed essenziale, che le aveva viste
incrociare le spade
durante le innumerevoli discussioni su punti di vista ed obiettivi di
vita del
tutto diversi, sui dissensi più banali e pretestuosi e i
risentimenti e le
prese di posizione più serie e gravose. Draco comprese anche
che suo padre
fosse l’unica persona in grado di nominare Bellatrix senza
che Narcissa
mettesse a tacere la questione, con un commento risoluto o un
significativo
colpo di tosse. Li osservò giocare con i propri sguardi,
occupare lo stesso
spazio senza toccarsi e sembrare ugualmente vicini.
«Vorrei
sapere che fine ha fatto, tra
l’altro»
la sentì
soggiungere a mezza voce, in merito a Rodolphus[1],
e quello fu l’attimo in cui la mano grande e sicura di suo
padre si posò con
una delicatezza insospettabile per le sue fattezze, sulla spalla della
moglie.
Draco si sentì d’improvviso a casa. «Sai
bene che gli basta la sola compagnia di un vecchio
Ogden»
osservò laconico
Lucius, per quanto nel tono rude della sua voce trapelasse una certa
considerazione verso quel Rodolphus che Draco aveva conosciuto di
sfuggita
prima che la situazione degenerasse, durante l’ultima
battaglia. «Questo
è quello che gli avete fatto
credere tutti. Mia sorella in cima alla lista»
replicò leggermente contrariata Narcissa, scuotendo
la testa. Draco si allungò a spegnere la propria sigaretta,
attirando così
l’attenzione di suo padre.
Si
sentì
inchiodato dal suo sguardo, come quando era piccolo e suo padre trovava
sempre
il momento giusto per materializzarsi dall’ufficio al
Ministero: nell’esatto
momento e nella stanza della casa in cui Draco stava facendo qualcosa
che non
avrebbe dovuto fare.
«Il
tabagismo è una moda diffusa, in
questa famiglia»
osservò senza
togliergli gli occhi di dosso. Istintivamente Draco spostò i
propri su sua
madre. Narcissa si limitò a schiarirsi la gola, mentre suo
marito registrava la
presenza di due resti di sigaretta nel rinomato posacenere di Elladora
Black.
«…
di generazione in generazione»
concluse, lanciando un’occhiata a sua
moglie, che conteneva il perché di tutti quegli anni di
matrimonio, pensò
Draco, sempre più frastornato, dall’avere di nuovo
suo padre in giro per casa,
e avere sotto gli occhi dopo una vita passata nella completa
cecità di bambino,
che non fa caso a certi dettagli, cosa volesse dire costruire una
famiglia e
fare di tutto perché resti in piedi, e si preservi nella
splendida imperfezione
che le è propria.
«Mio
marito ha soggiornato ad Azkaban, di
recente»
proclamò
Narcissa in propria difesa, alzandosi dal divano. Si riservò
di incontrare
un’ultima volta lo sguardo di suo figlio, prima di tornare
nelle proprie
residenze, dormendo in un letto che aveva riacquistato consistenza e
dimensioni
originarie, ora che non si perdeva più nella
vastità della solitudine, a cui la
prigionia di Lucius l’aveva sottoposta.
Diede
la
buonanotte ai suoi uomini, lasciandoli soli.
●●●
La
costruzione
di un amore
spezza le vene delle mani
mescola il sangue col sudore
se te ne rimane
La costruzione di un amore
non ripaga del dolore
è come un altare di sabbia
in riva al mare
[Ivano Fossati, La costruzione di un amore]
Quando
Draco era
piccolo, Lucius passava intere notti a guardarlo. Sua moglie fingeva di
dormire, la maggior parte delle volte, per concedersi
l’egoistico piacere di
osservarli da lontano, uno addormentato e l’altro assorto in
pura
contemplazione – perché era quello, che faceva
Lucius, lo contemplava –
e in quei momenti riusciva a condensare in una
sola immagine il progetto di una vita.
Per
il resto del
giorno Lucius si teneva quasi alla larga da Draco. Lo osservava di
sfuggita,
mentre era tra le braccia di Narcissa, ascoltava perplesso e un
po’ interdetto
i suoi strani discorsi fatti di suoni e gorgoglii ma non cercava mai il
suo
sguardo curioso di bambino.
Quando
Bellatrix
e Rodolphus erano al Maniero e giravano intorno alla culla, facendo
osservazioni e squadrando il nuovo erede con vaglio critico, sembrava
costringersi a sopportare l’esame.
La
volta in cui
Draco aveva iniziato a camminare, era sgattaiolato nel suo studio e
Lucius lo
aveva trovato in equilibrio precario, aggrappato al pomello del
cassetto di
mogano. Era rimasto senza parole. Lesse negli occhi di suo figlio
– suo figlio
– la chiara intenzione di conservare quella posizione, che
sembrava non essere
male, e le sue dita piccole e inesperte, ancora vergini della
ruvidità della
vita, scivolavano leggermente e gli rendevano difficile il compito, ma
concentrato lui rimaneva lì, tanto assorto dalla sua
personale conquista che
neanche si era accorto della presenza di Lucius nella stanza.
Lucius
si era
chiesto in quel momento quante altre volte nel corso della sua vita, e
della
loro storia di padre e figlio, Draco lo avrebbe ignorato nel modo in
cui aveva
fatto nel suo studio, totalmente assorbito da se stesso, considerandosi
tanto
importante, più di chiunque altro o qualsiasi altra cosa.
Quella
volta
Lucius aveva sperato che suo figlio continuasse così, su
quella strada, che lo
ignorasse pure, che ignorasse chiunque avesse cercato di convincerlo
che ci
fosse qualcosa di meno importante nella vita del concedersi una
possibilità e
ottenere quello che si vuole.
Decisamente
non
era stato un bravo maestro per suo figlio, se lo aveva costretto a
pagare le
sconfitte di suo padre, a ripagare i conti che lui aveva sbagliato.
«Ho
conosciuto Astoria»
esordì d’un tratto, quando il silenzio
nella stanza iniziò ad essere troppo pesante per la sua
stanchezza d’animo.
Draco sbuffò, confondendo nel fumo la vischiosità
del sentimento che aveva per
Astoria. Pressoché evanescente. Forse del tutto inesistente.
«E’
una brava moglie»
rispose a suo padre, accendendosi
un’altra sigaretta sotto i suoi occhi. Lucius non
poté trattenere un sorriso di
puro e paterno compiacimento, di fronte alla deliberata sfrontatezza di
quel
gesto; di fronte alla libera determinazione delle proprie scelte, che
Draco gli
aveva posto dinanzi. Scorse suo padre agitarsi nel quadro, con la coda
dell’occhio, facendo enormi cenni di dissenso e mormorando
improperi a mezze
labbra, proprio come aveva fatto per una vita intera.
Quell’uomo lo aveva
educato e cresciuto nella ferma convinzione che le cose restino uguali
a loro
stesse nel tempo e negli animi degli uomini, e che la fermezza della
propria
opinione conferisse quel po’ di onore e pomposa lealtà ai propri egoismi e
alle proprie ottuse mentalità. Lui aveva
fatto l’enorme errore di credergli senza discutere.
«E’
per questo che l’hai sposata? Perché è
una brava moglie?»
chiese a Draco,
lanciandogli un’occhiata perforante dalla poltrona in cui era
seduto. Draco gli
rivolse lo stesso sguardo incerto che riservava alle domande retoriche
che
Lucius gli poneva nel bel mezzo di un rimprovero. Teneramente insicuro
su quale
mossa scegliere: portare avanti la propria idea, o rinnegarla per
compiacere un
genitore.
«Tua
madre è la donna più importante della
mia vita, ma non la definirei di certo una brava
moglie»
proseguì suo
padre, loquace come non era mai stato. Draco rimase intrappolato nella
rete di
fascino che quell’improvviso slancio al dialogo da parte di
suo padre aveva su
di lui. «Ha
dichiarato
guerra a mio padre dal primo momento in cui è entrata in
questa casa. Ha messo
il naso nei miei affari, con salvifica indiscrezione, converrai con me.
Non mi
ha risparmiato nessuna critica e ti ha viziato contro ogni buonsenso
ignorando
apertamente ogni osservazione che le ho posto in merito alla faccenda»
concluse trovando in suo figlio la copia
del proprio sorriso sornione.
«Perché
hai sposato Astoria?»
gli chiese di nuovo un momento dopo,
alzandosi per versarsi da bere. Draco osservava il profilo di suo padre
dargli
le spalle. Ripercorse con lo sguardo la linea delle sue spalle, un
tempo forti
e possenti, invincibili ai suoi
occhi
di bambino, ogni qual volta suo padre usciva dalla stanza in cui
avevano
affrontato l’ennesima discussione.
Per
anni aveva
immaginato quelle spalle al proprio fianco il giorno del suo
matrimonio. Ricordò
invece l’ombra dell’assenza di suo padre e il senso
di profondo smarrimento che
lo aveva colto quando voltandosi con le dita di Astoria strette intorno
al suo
braccio, aveva sbattuto contro quell’ombra. Sentì
le parole affiorare alle
labbra, e le strozzò in gola, perché
percepì di nuovo lo sgomento di quel
giorno e stabilì – come aveva stabilito la sera
delle sue nozze – che non
sarebbe stato affatto dignitoso cedervi e rispondere che aveva sposato
Astoria
solo perché era stordito dalla mancanza di suo padre.
Perché non aveva più
tracce da seguire, e non sapeva assolutamente dove mettere le mani,
alzandosi
la mattina.
«Mi
era sembrata la cosa giusta da fare»
rispose infine, le parole come lastre di
ghiaccio taglienti, conservavano quel rancore congelato dal tempo e
dall’orgoglio, quel ritegno offeso in cui si era chiuso
sentendosi abbandonato.
«Avevo
molte
incombenze che pendevano sulla mia testa, papà»
aggiunse e nel pronunciare quelle parole sentì il
filtro della sigaretta spezzarsi netto in due tra la stretta delle sue
dita. «Cercavo
di essere un bravo e più
dignitoso successore—».
Lucius
lo
interruppe, come infastidito da quella risposta, e se Draco non fosse
stato suo
figlio, non avrebbe mai scorto nel gesto secco con cui Lucius
troncò le sue
parole, il profondo rammarico di un genitore dinanzi alla prova della
condanna
inflitta al proprio figlio.
«Non
importa che tu sia bravo, Draco.
Importa che tu sia felice. Io ho voluto essere bravo, il più
bravo, a tutti i
costi, ed ho reso infelici te e tua madre».
«Mi
avrebbe fatto comodo saperlo un po’
prima»
rispose Draco,
senza rendersi conto di aver alzato il tono di voce, di essersi alzato
in
piedi, di aver raggiunto in pochi passi suo padre e con quello di aver
raggiunto anche il baluardo inespugnabile di una intera vita.
«Prima
di fare un figlio con mia moglie,
ad esempio»
aggiunse con
voce tirata, perché non aveva fiato a sufficienza per
combattere il puro
terrore dell’essere padre di un figlio che non era frutto di
alcun amore.
Per
la prima
volta, tuttavia, suo padre lo guardò di uno sguardo limpido
e pulito. Sincero
come lo è la comprensione. «Tuo
figlio sarà tuo figlio per sempre. Anche se ami una donna
diversa da sua madre,
e questo non pregiudicherà l’amore che avrai per
lui».
L’Ogden
d’annata
tremò pallido nel bicchiere che Lucius stringeva tra le
mani. O forse a tremare
erano solo le sue mani.
«Devi
essere sincero. Vivi di verità, è
quella che ti salva».
«Sul
serio? Parli per esperienza?»
domandò sarcastico Draco, perdendosi
nella confusione di quel discorso, miscuglio di confessioni e scuse, di
conforto e di
consigli.
Suo
padre al
banco degli imputati, e lui per la prima volta in alto, dove stanno i
sopravvissuti. Eppure non si sentiva all’altezza di quel
ruolo. Non era a suo
agio in quelle vesti, e nel sarcasmo delle sue parole, pregno di
sentimento
verso suo padre e la sua improvvisa e forse incipiente vecchiaia,
Lucius poteva
averne conferma.
Tuttavia,
quando
si decise a rispondere, non diede alcun cenno di rimostranza per il
tono aspro
e severo, crudamente preciso nella sua accusa, che Draco gli aveva
rivolto.
Sembrava
infinitamente sollevato all’idea di dover sostenere quella
sorta di processo,
sotto gli occhi di suo figlio. Sollevato all’idea di dover
raccontare delle
proprie colpe, di firmare ogni ammissione, di poter spiegare ogni
scelta, di
dover rendere conto a Draco il perché di tutti quegli anni
di lontananza e di
incertezza a cui lo aveva sottoposto.
Sembrava
a suo
agio, lui, al banco degli imputati.
«Non
ho mai nascosto niente a tua madre e
siamo ancora qui. La vita ci ha scalfiti in molti modi,
perché in molti modi
siamo stati insinceri con la vita stessa e le sue regole, ma la vita
che
abbiamo costruito e vissuto insieme non è mai stata
scalfita. Ho mentito sulle
mie intenzioni, abusato del mio potere e del mio ruolo, ho
compravenduto molte
cose e ho tradito persone ed ideali, Draco, ma nessuna di queste
persone è mai
stata tua madre e nessuno di questi oggetti è mai stato
l’amore che ho per lei.
Sii
onesto con la
donna che hai al fianco. Sceglila».
Le
sue mani di
padre sulle spalle di un figlio ormai diventato adulto.
«Hai
capito cosa ti sto dicendo?»
Il
netto rifiuto
all’arrendevolezza ad ogni fatalismo.
«A
tua madre non ho davvero mai nascosto
niente. Né le mie sconfitte, né il mio amore per
lei».
La
caparbietà
dell’amore di un padre, che mai lascerebbe andare alla deriva
la vita del
proprio figlio, a costo di dover inventare il tempo e altre
possibilità. A
costo di mettere a nudo tutti i propri errori, perché non
vengano ripetuti da chi
saprebbe evitarli. A costo di riconoscersi uomo, da Dio quale ha finto
di
essere.
«Sì,
ho capito papà»
mormorò Draco, con un sorriso stanco,
sapendo già a chi sarebbero appartenuti i suoi sogni quella
notte.
Sii
onesto con la donna che hai al fianco.
Sceglila.
---
Al solito vi chiedo scusa per i tempi di aggiornamento, non nascondo
che questo capitolo mi ha ucciso senza pietà, stavolta
niente alieni e - purtroppo - niente David Bowie a farmi da scusanti XD
E' la nuda e cruda verità.
Ma l'attesa futura sarà inferiore all'annata (le ultime
parole famose...) di sicuro, perchè ormai la storia
è quasi conclusa XD in non oltre tre- quattro capitoli al
massimo (vedi parentesi sopra) ^_^
I ringraziamenti, dovutissimi!
Melisanna:
Innanzitutto grazie per
aver lasciato un commento e per le cose che hai detto riguardo lo stile
^^
L'OOC è una tentazione forte quando si parla degli
Slytherin, perchè stando al modo in cui la Rowling li ha
trattati qualsiasi tentativo di approfondimento psicologico sarebbe OOC
XD
Per quanto riguarda Draco, il definirlo "codardo" è un
definirlo tale con tutto l'amore che ho per lui. Secondo me
è giusto dare alle cose il proprio nome, e credo che la sua
"codardia" gli faccia onore in quanto ad umanità, se solo la
sua autrice avesse dedicato più spazio alle sue scelte, ma
capisco che il protagonista era un altro XD ed è una pretesa
fuori luogo tutto sommato =P
La riflessione che hai fatto sulle donne in un certo senso è
molto vera, ha fatto riflettere anche me ^^' Credo che queste donne
abbiano avuto maggiore possibilità di analisi delle vicende,
perchè tutto sommato le hanno vissute al fianco degli altri
protagonisti. Tu sei molto più "forte" di me nel definire
Draco e tutti gli uomini "vili" XD io purtroppo subisco il fascino di
alcuni di loro e mi perdo nei meandri delle loro psicologie scavando
per delle giustificazioni =P
Theodore è un amore di uomo, vero? Alla fine secondo me
è quello che infrange la regola, è l'uomo vero
della situazione, quello consapevole di sè, che prende le
sue scelte e accetta le proprie impossibilità e i propri
errori. E' uno che tutto sommato ci
ha provato. Ed è stato davvero l'unico a farlo,
in tutta la vicenda, per questo merita tutto l'amore possibile :)
L'unico ad avere le palle di rischiare.
Grazie ancora *__* Le tue recensioni sono state bellissime ^^
Meredith91:
*ama aver trovato qualcuno che ami a sua volta Going to California e se
ne commuove sine dignitate alcuna* Sono felice che abbia
apprezzato la parentesi Pansy/Theo, sono molto affranta per la loro
situazione in realtà XD ma è anche vero che Theo
incarna un pò le mazzate che la vita ti regala con un niente
^^ Amando fa la cosa più rischiosa che possa capitare ad un
essere umano, e dicendolo ad alta voce raddoppia il pericolo XD E
sì, i quadri di casa Malfoy sono decisamente troppo loquaci
=P Fossi stata in Pansy sarei tornata con un cerino il giorno dopo -_-
La storia è agli sgoccioli, nel senso che prevedo massimo
due capitoli + epilogo o qualcosa del genere, di certo non di
più :) E' questione di tirare le redini della faccenda, ma
ormai tutto è disposto a puntino, bisogna solo raccontarlo
XD Il che mi mette un pò tristezza ç_ç
Grazie per il commento :*
Entreri: ...
chiedo scusa per aver deluso le speranze di un nuovo capitolo in tempi
se non brevi almeno non decennali *si nasconde* E' in parte colpa della
famiglia Malfoy che nelle sue dinamiche mi crea sconvolgimenti
psicologici tutte le volte. La fine è dietro l'angolo, che
sia lieta poi ovviamente giudicherai tu, ma tieni conto che alla fine
sono perdutamente innamorata di questi Sly, non potrei fargli troppo
male. Se non altro non più di quanto non se ne facciano da
soli XD Un bacio cara :* (e scusa ancora!)
Nissa: Quel
discorso ha distrutto anche me ^^ E in realtà credo che
Pansy veneri Narcissa perchè la sottoscritta lo fa XD Ma
come si potrebbe non farlo? Blaise si inchina e ringrazia,
perchè si sente capito XD La sua ironia è come
l'arma che ha scelto di brandire per andare avanti, quando è
stanco o si sente piccolo e nero come Calimero sconfina nel sarcasmo ^^
è il suo veicolo d'espressione, povero caro. E del resto si
è scelto come amici due musi lunghi che di sicuro non hanno
come miglior pregio la simpatia e l'ottimismo XD E Theo mi fa sapere
che con molte probabilità rifiuterà
l'eredità di suo nonno, per protesta ^^
Quella scena con Pansy è stato un peso enorme sul mio
groppone, sono felice che abbia sortito delle "reazioni" emotive in chi
l'ha letta ^^ E non hai scritto nessuna castroneria, tranquilla =P
Anche perchè la mia lucidità lessicale all'una e
quaranta di notte è pressocchè inesistente XD
Grazie per il commento e la presenza =) Un bacio =*
Seiryu:
*sentitamente ringrazia* Ho riletto le recensioni più volte
e ancora non so precisamente cosa dire ^^ Per lo stile forse la colpa
è di D'Annunzio e del fatto che mi sono nutrita dei suoi
romanzi per gran parte di questi anni XD (ma mi dissocio da qualsiasi
sua altra attività al di fuori della letteratura, ecco u.u).
Sono contenta anche che tu abbia riso con Blaise, secondo me
è dotato di grande comicità in realtà,
ed è anche abbastanza egomaniaco per poter essere un uomo da
palco XD Mi sono divertita da morire scrivendo del ricevimento o della
visita a casa di Draco per la consegna dell'invito, ad esempio =P
Draco e Pansy per me sono qualcosa di *sublime* ma sono profana di
tanti altri pairing quindi capisco cosa intendi :) Quella folgorazione
del XII capitolo è venuta fuori da sola, forse proprio
perchè io sono profondamente (e vanamente
ç_ç) convinta che quando due persone sono fatte
per stare insieme, arriva il momento in cui gli eventi, la vita, lo
specchio, il tuo io e super io, te lo sbattono in faccia e poi tu puoi
fare quello che ti pare, ma tant'è e le cose stanno
così ^^ Anzi che il giovane s'è dato una
svegliata... per i suoi standard, è commovente XD
Lieta anche di sapere che concorsi sui cavilli giuridici di Lucius *_*
Dato che detesto la Rowling ed è risaputo, mi è
stato fatto notare che potrei accusarla di qualunque cosa XD ma su quel
particolare dettaglio ho sempre insistito nel proclamarmi fedele ai
criteri di giustizia più che al mio astio verso l'autrice u.u
Amo indegnamente anche il fatto che ti siano piaciute le canzoni citate
^^ per me sono le colonne portanti della mia sfera emozionale (*emotiva
le sembrava troppo...*), un pò la soundtrack di una vita
fino ad ora, oltre al fatto che alcuni sono i Grandi Autori per cui
potrei anche ipotecare la casa/vendere un rene ecc... XD
Grazie infinite, infinitissime, per la recensione che hai lasciato :)
*inchino a sua volta*
[1] Ho cercato sul Lexicon, non avendo il coraggio di riaprire il settimo scempio. Cioè, il settimo libro. Il santo Lexicon (che per me ha il valore di un Graal) non dice niente in merito alla fine che ha fatto Rodolphus. Dato che lo amo sopra ogni cosa, mi sono tenuta il beneficio del dubbio, nella storia.