Ricordo dolceamaro
Occhi d’ambra,
come quelli di lui.
Capelli al vento
di un improbabile colore, come quelli di lei.
Sguardo spaurito
e titubante, come il mio diciotto anni fa.
Nato alla fine di
una guerra crudele.
Nato da un amore
che sembrava impossibile.
Nato
da due anime che si sono trovate, che hanno pianto e sofferto ma anche gioito
per te.
Hanno
combattuto per te, per voi.
Sono
morte per noi.
Morte
insieme a tante, tante persone.
Molte
innocenti.
Troppe
innocenti.
Morte
col terrore negli occhi, la speranza nel cuore.
A
te che mi chiedi dei tuoi genitori come faccio a spiegare che persone
meravigliose erano?
A
spiegarti l’orrore di quei momenti, le lacrime che non erano mai abbastanza, la
rabbia e un falso coraggio che ci portavamo dietro ogni giorno.
Te
che guardi al futuro con sorriso incerto certo non puoi capire cosa vuol dire
avere la consapevolezza di non essere più padroni della propria vita.
L’ingiustizia
di una guerra così distruttiva, devastante nello spirito e nelle emozioni, si
può solo provare a immaginare.
E
io guardo te e lo ricordo.
Ogni
giorno negli ultimi undici anni.
Ogni
giorno guardo te e li rivedo.
Loro
e gli altri.
E
rivedo me a diciassette anni camminare nella foresta incontro
alla morte.
Ricordo
gli occhi color rubino di un assassino.
La
risata di un folle e le urla disperate di un amico che piangeva.
Ricordo
i corpi riversi al suolo e i funerali che sembravano non finire in un oblio
senza tempo, il vuoto che cresceva inesorabile e offuscava quel poco di pace
che così faticosamente avevamo cercato.
E
ancora rabbia verso il nulla o, forse, verso il tutto: verso il destino e,
ancora una volta, verso un assassino.
Verso
il potere che acceca le menti.
Verso
chi di fronte alla paura preferisce voltare il capo e attaccare gli innocenti credendosi
il padrone.
Verso
l’ipocrisia e la falsità che ti uccidono poco a poco.
Rabbia
ma poi sollievo.
Piano,
molto piano ma, finalmente, riposo.
Svegliarsi
e sapere che il giorno dopo ci sarebbe stata una nuova alba, questo è stato il
traguardo più grande.
Poter
finalmente fare progetti per il futuro, la migliore tra tutte le cure.
Ridi
pensando al futuro?
Per
te è una parola dolceamara, la paura dell’ignoto fusa
al piacere della scoperta.
Per
noi era un caffè di sale, l’amaro sciolto in un mare in burrasca che ci
divorava e ci trascinava a fondo.
Ma
poi di nuovo: futuro, una parola fresca di stampa che odorava di pulito.
E
noi, ancora insieme, ne riscoprivamo il suono, l’accarezzavamo con la mente smaniosi di poterlo toccare con mano.
Lo
ricordo bene quel momento, dove notte e giorno si mischiavano, quando una
guerra finalmente tramontava e sorgeva il sole di una nuova storia.
Ricordo
le risa e le stretta di mano, un vortice di parole e
colori che si confondevano e io come in apnea che annaspavo in cerca del
portone.
Ricordo
il frastuono che nel silenzio dei corridoi continuava a rimbombarmi nelle orecchie
E
un’unica immagine negli occhi.
Quegli
occhi.
Rossi
come il fuoco.
Rossi
come il sangue.
Rossi
come il dolore di chi sa amare.
Rossi
come la morte che ha fermato i loro cuori.
Ma
rosso anche era il sentimento che ha mosso le pedine della mia scacchiera.
Amore.
Che
ha dato scacco matto al re, al padrone della morte.
Che
ha reciso i fili del destino e ha ridonato a me la vita.
Così
il destino divenne aria, solo tre sillabe da urlare al vento.
Ed
io ho urlato, urlato al cielo tutto ciò che prima non potevo neanche pensare.
Sono
seguite cerimonie e discorsi, come se le parole potessero riempire il vuoto
lasciato.
Ho
visto calare le tombe nel terreno mentre cercavo di convincermi che io no, non
ero un assassino.
Mentre
pensavo a quanto è assurdo che per avere la pace tante persone siano dovute
morire.
Quanto
è assurdo che gli stessi errori rimbalzino uguali attraverso le pagine della
storia.
Debole
è l’uomo, troppo tentatore il potere.
Così
il racconto si ripete, si ripete all’infinito in un déjà vous
perverso e sbagliato.
Rabbia
e consapevolezza che un altro bambino non imparerà mai il significato della
parola mamma.
Rabbia
e tristezza perché so cosa vuol dire crescere e invidiare gli altri bambini,
desiderare qualcosa che sai che non potrai mai avere.
Rabbia
e la promessa che almeno tu non dovrai aspettare di diventare un uomo per
conoscere l’esistenza del prisma di mille colori che chiamano amore.
Rabbia
e accettazione.
Un
calore che mi invadeva piano e incerto quando stretto tra le mie braccia i tuoi
capelli cambiavano colore.
Nato
sul finire di una guerra infame tu sei stato il primo spiraglio di sole del mio
domani.
Di
nuovo mi rivedo camminare tra quelle tombe e se chiudo gli occhi le posso
toccare: c’è anche la loro, proprio lì, ai confini della foresta, all’ombra di
un pioppo secolare.
Lì,
nel cimitero di Hogwarts, dei morti in battaglia,
degli eroi.
Ma
loro per te saranno solo nomi, solo concetti astratti e meravigliosi.
Ora
hai undici anni e il tuo viaggio sta per cominciare.
Stai
per salire sull’Espesso.
Rosso
come il vortice della vita.
Occhi
d’ambra, come quelli di lui.
Di
tuo padre.
Capelli
al vento di un improbabile colore, come quelli di lei.
Di
tua madre.
Un
giorno, camminando per il cortile, i tuoi piedi ti porteranno alle loro tombe.
Sguardo
spaurito e titubante, come il mio diciotto anni fa.
E
come me diciotto anni fa davanti a uno specchio stregato guarderai i loro visi
e imparerai il significato delle parole mamma e papà.
Il
tuo cuore capirà che persone meravigliose erano e tu sarai fiero di loro e del
loro amore che sembrava impossibile ma che ci ha donato quanto di più bello c’è
rimasto del passato.