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Autore: Bellis    01/10/2009    1 recensioni
Il celebre investigatore di Baker Street si trova alle prese con un mistero che lo trascinerà nel profondo di torbide acque, un abisso che affonda le sue radici negli oscuri eventi del suo passato. Riuscirà Watson a far luce su un enigma che coinvolge tanto gravemente lo stesso suo amico? Come potrà Mycroft Holmes essere d'aiuto?
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di tutto... Grazie, Bebbe5, per l'incoraggiamento e la stupenda recensione *___* Ah, adesso una buona parte delle tue domande troverà una risposta!
Più o meno :P
Sono sempre un po' in difficoltà con la voce narrante di Holmes... diciamo che mi manca l'ironia necessaria per renderla come vorrei, ghgh :D Ciò nonostante, ecco qui un altro stralcio dei suoi pensieri... e speriamo che l'arma faccia cilecca, o che il nostro arrivi in tempo, come hai giustamente suggerito tu...
Ancora ti ringrazio; e spero che questo lungo capitolo non ti deluda :)

Presto! Al...

Capitolo VII - Secondo estratto dal diario personale del signor Sherlock Holmes

Mi sforzavo di rimaner concentrato sul filo del miei pensieri, sui ragionamenti che, logicamente, attraverso l'unioni di anelli combacianti nella catena deduttiva, mi avrebbero inevitabilmente permesso di venire a conoscenza della verità finale dei fatti. Non nutrivo alcun dubbio al riguardo, e non mi ponevo problemi di natura disfattista, ben sapendo che qualsiasi sensazione di scoramento o, ancora più, un tentennamento o una errata valutazione, avrebbero deviato il mio percorso verso la sconfitta.

La mia vita era sempre stata solitaria; spesso e volentieri, negli anni della mia giovinezza, avevo trascorso le mattine assolate e noiose nella compagnia dei miei unici pensieri. Il mio unico fratello, Mycroft, non era molto dissimile da me, in questo aspetto caratteriale, e la sua presenza non era stata di molto conforto alla mia indole naturalmente curiosa e spesso invadente di un bambino troppo incline ad occuparsi di affari che non lo riguardavano.

Perciò, non ebbi alcuna difficoltà ad estraniarmi dalla realtà esterna, creando quel rapporto di peculiare distacco che mi consentiva di osservare ogni cosa con l'occhio di uno scienziato, senza pregiudizi o preconcetti che mi distogliessero dalla verità. Percorrevo il lato lungo della cella, che misuravo con ben otto passi - rapidi e nervosi, quindi all'incirca del venti percento più brevi rispetto alla norma - quindi toccava al lato corto, quello della porta: tre passi. Ancora otto e tre, per avvicinarmi alla finestrella con dieci sbarre metalliche verticali, delle quali non mi premurai di calcolare il diametro della sezione circolare: irrilevante.

Volendo effettuare una stima approssimativa del numero di passi da me compiuti durante quella mattinata di ininterrotta meditazione, direi che il valore risultante potrebbe superare abbondantemente il migliaio.
Eppure, ritengo che i dati fondamentali siano costituiti più dalle mie riflessioni che dalle mie azioni.

L'approccio principale col quale Scotland Yard abitualmente affronta un caso consiste nella ricerca del movente per il delitto: la famosa domanda, cui prodest scelus? [1], la cui risposta significa il più delle volte un grande progresso nell'individuazione del colpevole.
Avevo tentato di fornire una replica a questo interrogativo, senza alcun successo. Chi mai poteva aver avuto interesse a uccidere Hamish Berning? Inoltre, il delitto era avvenuto senza premeditazione, apparentemente, e una riflessione accurata su questo punto oscuro si sarebbe esplicata in una massiccia perdita di tempo.

Accantonai perciò ben presto questa linea di pensiero, dirigendo il focus della mia concentrazione verso un altro soggetto di questa inconsueta vicenda: il trattato commerciale.
Cosa avrebbe potuto farsene il fu Berning di un tale documento? Forse venderlo; ma senza i giusti agganci nell'ambiente criminale d'alta classe, probabilmente un tentativo di vendita non lo avrebbe portato che ad essere scoperto. Quindi appariva assai chiaro che la vittima si trovava in una delle due seguenti situazioni: o possedeva effettivamente un contatto che gli avrebbe permesso di trarre profitto da quelle carte, oppure non aveva intenzione di sfruttare lui le potenzialità del bottino.

V'era un altro particolare che era rimasto impresso a fuoco nella mia memoria: l'espressione scolpita sul viso di Berning durante quel disperato appello al mio buon senso, perchè io accettassi di compiere il furto con lo scopo di evitare un disonore pubblico a mio fratello.
Era... paura. No, non semplice timore... terrore. Un'assoluta e profonda, straziante consapevolezza di una tragedia imminente. Come se Berning avesse conosciuto il destino che lo attendeva pochi brevi minuti dopo.

Di cosa poteva avere un così puro terrore, quell'uomo? Non certo della rovina economica, ma di una minaccia ben più fisica e pressante che gli gravava sulle spalle, probabilmente, da mesi. Forse da anni. Un tale stato di tensione non poteva esser stato provocato in poco tempo: era sintomo degli effetti cumulativi di un lungo periodo di sofferenza.

Scossi il capo, arrestando il mio cammino di fronte alla porta metallica, dopo solamente due passi dei tre che abitualmente completavano la linea immaginaria che tracciavo di fronte all'adito.
Avevo udito chiaramente il suono di voci, animate, che si sovrapponevano, nel corridoio.

Col volto teso, rimasi ad ascoltare, e riconobbi, mentre si avvicinava alla mia cella, il tono rombante di Mycroft, e quello incisivo, anche se meno potente, di Lestrade. A giudicare dal rumore di passi, tuttavia, sembrava che gli uomini in arrivo fossero tre.

"Le dico che è urgente, e non sto affatto scherzando. Esigo di vedere mio fratello ora, e so che è nel mio diritto, signore!" intimò mio fratello, e dalle pause che faceva per prender fiato capii che era veramente alterato.

"Potrei facilmente obiettare che non sia affatto nel suo diritto, signor Holmes, giacchè suo fratello è imputato di una grave colpa, ma acconsento, a patto che io e Gregson rimaniamo ad ascoltare la vostra conversazione perchè sia messa a verbale."

Ecco, Gregson era evidentemente il terzo visitatore.
Feci appena in tempo a scostarmi che la porticciola si aprì col clangore degno di un maniero medioevale, e la figura corpulenta di Mycroft riempì l'entrata.

Era veramente pallido, e il suo contegno denotava una profonda agitazione interiore. Se non lo avessi conosciuto bene, avrei potuto dire che fosse in preda al panico. Ma scartai l'idea, perchè non lo avevo mai veduto in uno stato tale da non potersi definire completamente padrone di sè.

"Hai notizie per me, Mycroft?" chiesi rapidamente, salutando con un cenno del capo i due ispettori che stazionavano alle spalle del mio congiunto.

Quello annuì, frettolosamente, facendo qualche passo verso la mia persona. Le prigioni londinesi non erano certo il luogo più adatto a lui, e trovarcelo due volte nella stessa giornata era un fatto di eccezionale natura.
"Un mio collega a Whitehall ha potuto fornirmi numerose informazioni riguardo Andrew Rigby, i cui disegni finanziari spesso hanno coinciso con quelli di Hamish Berning, e il cui impegno è stato spesso denotato in correlazione alle attività di un certo Cardside, proprietario di una tenuta nelle vicinanze di Maidstone."

Lo ascoltai con estrema attenzione, "Ebbene?"

"Ebbene, signor Holmes." intervenne Gregson, il cui animo sincero e senso comune gli impedirono di rimanere in silenzio, "Andrew Rigby è morto, qualche anno fa. E indovini cosa abbiamo trovato, sepolti negli archivi criminali: una copia degli atti della investigazione che è derivata dalla sua dipartita. Fascicolo archiviato come morte accidentale, ma stilato nel sospetto di intenzionalità."

"Hum." sbuffai, accennando un sorriso, "Vedo che la storia si ripete."

Gregson, comunque, rimase serio, "Non è tutto, signore. L'elenco dei testimoni citati nel corso del procedimento inquisitivo ha in cima alla lista il nome del maggiore indagato: Jonas Wright, che allora lavorava per Tom Cardside."

Rimasi immobile per un momento, metabolizzando il nuovo concetto.
"Jonas Wright!" esclamai, mentre quell'esaltazione mentale che precedeva l'assoluta chiarezza si faceva strada nella mia memoria, correlando i fatti in una rete che finalmente includeva ogni dettaglio.

"Il che non vuol dire assolutamente nulla." brontolò Lestrade, mestamente, "Wright è stato assolto da ogni accusa, nel 1886. E l'episodio non costituisce prova che lo possa attualmente collegare all'omicidio di Berning."

"Sherlock." fece improvvisamente mio fratello, ed io sollevai dopo qualche esitazione lo sguardo su di lui, ancora perso nel mio vagabondaggio astratto, "C'è altro."

Quella sua evasività destò una lieve preoccupazione in me, tanto che lo scrutai bene nel volto rotondo, cercando una spiegazione al suo strano comportamento. Senza una parola, si frugò in tasca, estrasse un foglietto di telegramma piegato in due con cura, e me lo porse.

Distesi il pezzo di carta e lessi in pochi attimi il messaggio.

Trovata nuova pista. Proseguo investigazione a Tyneside. Approfondisco Thomas Cardside - accertata correlazione con Berning. Watson

"Il telegramma è arrivato circa due ore fa." mi informò, a bassa voce, il mio congiunto.

Spesso mi sono dichiarato immune da qualsiasi reazione emotiva che potesse precludere il corretto funzionamento del mio ingegno. Eppure, in quel momento, una mano gelida parve afferrarmi il cuore. Avevo appena udito le prove del fatto che qualsiasi organizzazione si nascondesse dietro gli intrighi di Wright, non usava lasciar scampo a chi cercasse di ostacolarla.

Il mio più caro amico si trovava in quel momento certamente in pericolo, se non era già stato eliminato da ingranaggi ben oliati di un infernale meccanismo.
Rabbrividii interiormente, al solo pensiero di una simile tragedia.

Restituii il malaugurato trafiletto a mio fratello, "Dobbiamo raggiungere Watson. Subito."

"Cosa?" esalò Lestrade, sollevando le sopracciglia, sbalordito.

"Ispettore, abbia il buon senso di riflettere!" sbottai, portando di scatto i miei occhi su di lui, "Jonas Wright, per quanto gli atti proclamino la sua innocenza, è stato coinvolto nella morte di Rigby come il maggiore sospetto di un'intenzionalità delittuosa. Lavorava per Cardside, che si è già servito in passato di Berning e di Rigby." esplicai, senza dimostrare pazienza alcuna, "Questo dicono i fatti. Si è chiesto, Lestrade, a cosa servisse un amministratore finanziario ad un uomo sull'orlo del lastrico? Ha notato la straordinaria coincidenza della sua presenza a Raven Hall, proprio in un momento tanto delicato?"

"Ma... signor Holmes..." balbettò il mio interlocutore, allargando le braccia.

Mi avvicinai di due passi a lui, ora specchio dell'agitazione che aveva posseduto mio fratello nell'arco delle ultime ore, "Watson è a Raven Hall. Qualsiasi sua scoperta segnerà la sua condanna a morte. E' cosciente di questo, vero?"

Lestrade fece una smorfia, "Telegraferò a Tyneside, e..."

"Questo non servirà a nulla, ispettore! I ritardi sarebbero inaccettabili, senza contare che il messaggio potrebbe essere intercettato... e la polizia locale non interferirà mai nelle faccende private di un così illustre compaesano! Ah, mi risparmi l'appassionata difesa dei suoi campagnoli commilitoni! Dobbiamo recarci sul posto."

"E va bene, Holmes. Andremo io e Gregson, insieme a suo fratello." concesse, con uno sforzo di volontà, il piccolo poliziotto dal naso appuntito.

Compresi le ragioni della sua decisione: dopotutto, ero ancora l'indiziato principale di un omicidio compiuto con violenza e brutalità; tuttavia, non potevo accettarle. Era mia la responsabilità del pericolo in cui si trovava Watson; e anche se non lo fosse stata, sarebbe stata ugualmente forte, anche se non catalizzata dal senso di colpa, la volontà di prestare ausilio al mio amico.

"Lestrade..." iniziai, deglutendo, in difficoltà nell'esprimere i moti del mio animo - come ero sempre stato. E in questo caso, si trattava di fare una richiesta, ad uno Yarder - impresa titanica. Ero disposto a sacrificare la mia dignità per ottenere la possibilità di aiutare Watson - ma il mio orgoglio personale avrebbe cooperato?

L'ispettore mi fissò per alcuni secondi, e potei scorgere un barlume di realizzazione nei suoi occhi. Rimase, combattuto, in silenzio per altrettanti attimi, ed io non distolsi lo sguardo. Vidi esitazione, nell'animo del funzionario, combattuto tra il proprio compito e l'umanità di un consenso che avrebbe contrastato con questo dovere; poi, una scintilla di determinazione, e l'uomo sospirò.
"Non colpevole." sentenziò, con un flebile sorriso, e le spalle gli si incurvarono sotto il peso della libertà che si stava prendendo nei confronti del ferreo regolamento della polizia cittadina.

Ricambiai il gesto, cercando di infondere in esso un pizzico di genuina gratitudine, e mi diressi speditamente all'uscita, impaziente di raggiungere la stazione, e poi Tyneside - tentando di scacciare dalla mia mente quel presagio di vaga e insinuante fatalità che sembrava volersi abbattere sulla sorte dell'incauto dottore.

"Holmes." la voce di Lestrade mi fermò, mentre già avevo un piede sul lastricato del corridoio, "Ricordi che ho un'ottima mira." fece, con un'occhiata di avvertimento. "Non mi dia motivi per provarglielo."

Riuscii a replicare solamente con una sorta di brontolìo ironico, esternazione che avrei voluto bandire dal mio animo, se le circostanze non fossero state tali da introdurre in esso il confusionario e devastante elemento dell'emotività: effettivamente temevo per la sorte del mio amico Watson.

Venti minuti dopo ci trovavamo già sul treno diretto a Tyneside; il paesaggio che scorreva dinanzi ai miei occhi mi rammentava, mio malgrado, la precedente visita alla villa dei Berning: ma non porsi orecchio ai miei ricordi, immergendomi nuovamente nella quiete regolata dei miei pensieri.

Quale notizia poteva aver spinto il mio amico a proseguire le indagini verso una nuova meta? Se egli fosse stato cosciente dell'implicazione di Wright nell'assassinio, certamente non si sarebbe cacciato nella tana del lupo con tanta leggerezza, e soprattutto avrebbe fatto menzione di una tale nuova nel telegramma diretto al mio congiunto.

Venni a sapere che il dottore era stato a Maidstone per indagare negli archivi criminali: probabilmente non aveva trovato che vaghi riferimenti al nome di Cardside, mentre gli incartamenti che potessero documentare l'esatta successione degli eventi - e questa era l'unica deduzione possibile - erano mancanti: per negligenza o con criminosa intenzione?

Scotland Yard possedeva il più esteso archivio giudiziario di tutta l'Inghilterra - a parte, forse, quello custodito al 221b di Baker Street - e non era umanamente possibile manometterlo senza pagarne le conseguenze: ma i distretti provinciali non erano tanto ben sorvegliati.
Questo fatto mi rincuorò: era improbabile che Watson potesse scoprire qualcosa a Tyneside. Tuttavia l'eventualità restava, come un'ombra arcigna che incombeva, latente.

"Ragazzo mio." mormorò mio fratello, fermo accanto a me sul traballante sedile dello scompartimento B-6, "Ogni domanda avrà una risposta, a suo tempo." mi regalò una delle sue massime favorite, un po' strana da parte di colui che continuamente meditava su ogni cosa che si ponesse sotto l'osservazione dei suoi acquosi occhi grigi.

"Ah, Mycroft." sibilai, di rimando, "Sono stato lento, troppo lento, ed incapace!"
Omisi volutamente la continuazione della frase, ed ora potrei non essere io a pagarne il prezzo.

"Il dottor Watson non ti ha mai detto che nessun mortale è onnisciente?" chiese, retorico e burbero, il mio massiccio congiunto, faticando a mantenersi in equilibrio mentre il treno procedeva su un tratto particolarmente denso di scambi.

Ignorai la domanda, giocherellando con i polsini della camicia, mentre alternavo lo sguardo da Lestrade a Gregson, seduti di fronte a noi. Il primo sembrava ben poco intenzionato a distogliere lo sguardo da me, come se potessi volatilizzarmi in un momento, come un prestigiatore. Il secondo dormiva beatamente, cullato dal medesimo tramestìo che stava provocando la profonda irritazione del mio imponente fratello. Il che non creava certo una situazione molto favorevole alla massima concentrazione della quale io necessitavo.

Mi limitai perciò a lasciare che la campagna scivolasse placidamente di fronte al mio sguardo sfocato, evocando lontane memorie che ritenevo del tutto perdute nella mia infanzia, e scavando un solco, come spesso accade, che modifica radicalmente la percezione del mondo circostante: prima così lontano, appartenente al passato e alle sue mille sfumature di grigi; ora vivido e colorato, perchè rivisitato nell'epoca più matura dell'età adulta.

Fortunatamente, le ore del viaggio passarono in fretta, e il pomeriggio giunse a gran velocità, precedendo di poco il nostro arrivo a Tyneside. Chiedemmo di Watson, e venimmo a sapere subito - come era prevedibile, essendo il dottore uno straniero in quel villaggio, e come tale ben osservato - che era partito alla volta di Raven Hall. Proseguimmo sulle sue tracce: ma non eravamo i soli a portare una carrozza di fronte ai cancelli di metallo annerito: un'altra vettura a due cavalli era ferma poco innanzi.

Mentre smontavamo, e sentivo la mano grassoccia di mio fratello afferrarmi la spalla per facilitare la sua poco leggiadra discesa, un uomo alto e allampanato, proveniente dal veicolo di fronte a noi, si avvicinò rapidamente, insieme a una donna, alla quale aveva premurosamente offerto il braccio. Entrambi erano vestiti di nero, come il cocchiere.

"Lei, qui!" sussurrò la signora, portando una mano a sollevare il velo che le schermava il viso, e fissandomi in volto due occhi d'improvviso colmi di amara sorpresa.

"Chi è costui, Madre?" proruppe il giovanotto, fronteggiando me e Mycroft, e rivolgendo uno sguardo sprezzante ai due ispettori di Scotland Yard.

"Mi chiamo Sherlock Holmes, signore." risposi, con aria d'urgenza, e, non attendendo che il mio interlocutore si presentasse - non ne avevo bisogno - continuai, "Questi è mio fratello, Mycroft."

Una luce di realizzazione albeggiò sul viso florido e intenso dell'uomo, mentre la fiamma di una profonda ira, lentamente, si accendeva nella sua espressione, che egli non disciplinava minimamente, ma lasciava così mobile e aperta che chiunque avrebbe potuto leggere i moti del suo animo con la stessa facilità con cui si poteva sfogliare un libro illustrato.
"Lei è Sherlock Holmes!" disse, in un grido strozzato, "Lei è l'assassino che ha ucciso mio padre!"

La veemenza di quei toni mi stupì, ma non eccessivamente. "La prima delle sue osservazioni è corretta, al contrario della seconda." confermai.

"Come osa!" esclamò, "Come osa mentire in modo così spudorato e villano sulla soglia di questa abitazione, la cui integrità ha violato nemmeno due giorni fa!"

Senza dubbio, il mio amico Watson sarebbe rimasto impressionato dalla retorica e dalla piacevole banalità di quelle offese cerimoniose. Io, ad ogni modo, rimasi perfettamente calmo, avvertendo la pressione delle dita di Mycroft ancora ferma, sulla mia spalla destra.

"Signor Berning." esordii, notando distrattamente quanto simile fosse al padre, quanto i suoi tratti somatici lo ricordassero alla mia mente, più giovane e tutto compenetrato da una sorta di sfrontatezza che doveva esser tramandata come eredità di famiglia: così era stato nel giorno in cui lo avevo incontrato, in seguito alla morte di Siger e Violet Holmes.
"Mi trovo qui in cerca del signor John Watson. Abbiamo forti sospetti del coinvolgimento di Jonas Wright nell'omicidio di suo padre, e temiamo che il dottore possa sottovalutare la pericolosità di questo individuo, nel corso delle sue investigazioni." spiegai, con franchezza e freddezza.

La vedova era sbiancata in viso; accennò un passo verso di noi, facendo sfoggio di una tale misura di sbalordimento, a questa nuova, che anche Lestrade riuscì a notarla.
"Lei mente, signor Holmes. Chiederò spiegazioni a Londra, di questa sua permanenza in libertà, che è al di là di ogni saggezza e buon senso." balbettò, il respiro affrettato e breve, come dopo una lunga corsa a perdifiato, in fuga da chissà quale incubo remoto.

"L'ispettore Lestrade ed io rappresentiamo Scotland Yard, signora." la rassicurò Gregson, "E abbiamo necessità di rintracciare il dottor Watson. Può dirci dove si trova?"

La signora Berning scosse il capo, violentemente, "No, signore. Non vi diremo una parola di più." e con decisione si diresse al cancello.

Forse fu la cognizione del fatto che James Berning condivideva lo stesso stupore che albergava nel mio animo - anche se, nel suo caso, esso era ben evidente nei lineamenti come una foglia galleggiante su di uno specchio d'acqua tersa, mentre il mio sentimento era accuratamente dissimulato.
Fatto sta che, scivolato via dalla presa di Mycroft, mi frapposi tra la donna e l'inferriata.

"Mi è stato riferito che lei credeva nella mia innocenza." commentai, tranquillamente.

"Dice bene, signore. Credevo." ribattè lei, quasi subito, sibillina, e con sincero turbamento mi resi conto che il suo viso già segnato era gelato dallo stesso terrore che aveva pervaso quello di Hamish Berning, pochi giorni prima, nella sera in cui egli fu portato ad incontrare il suo Fato.

"Lei era a conoscenza della lama che incombeva sul capo di suo marito, signora." affermai, senza scompormi o dimostrare altro che quieta lucidità, "Lei sapeva. E tuttora conosce del suo futuro qualcosa che noi non possiamo immaginare."

Lacrime di rassegnazione tracciarono chiare linee sul volto già pallido della donna, determinando senza possibilità d'errore la risposta alla mia considerazione. Tuttavia, ella non volle parlare, forse per timore che la sua voce si incrinasse, insieme alla sua vittoriana maschera di dignità ed autocontrollo. Il figlio, scioccato, la strinse a sè con dolcezza, spostando dalla esile figura alla mia persona uno sguardo in cui eguali quantità di rabbia e diffidenza si mescolavano, emergendo vicendevolmente dalla marea informe delle passioni.

Uno stridìo annunciò l'apertura del cancello principale, e il viso incolto di Arthur Derby si avvicinò, con la perplessità rozza che da lui ci si poteva aspettare, e con qualche mugolìo di scuse per il ritardo, concluso da un frenetico, "E lei che diavolo ci fa qui? Prima quel tale medico di Londra che gioca a fare il detective e se ne va alla miniera col signor Wright. Poi adesso..."

Lo interruppi precipitosamente, "Il dottor Watson si è diretto alla miniera?"

"Sì, una ventina di minuti fa, passeggiavano insieme quei due, muti come pesci, e con due facce da funerale..." fece, seccato, il maniscalco.

Rapidamente saettai uno sguardo a Lestrade e Mycroft, mentre con brevi parole Gregson si incaricava di rimanere presso Raven Hall a custodia del luogo, per cercar di ricostruire i movimenti del mio amico all'interno della casa.

"Vi guiderò io. Non voglio perderla di vista, signor Holmes." stabilì James Berning, fissandomi duramente, ma con un barlume d'incertezza dipinto nelle movenze non più tanto guidate dall'ira.

Stava indicando il bosco piuttosto rado, dagli alberi alti e snelli che si stagliavano, verdi e ombrosi, nel cielo tiepido del pomeriggio, quando, come in risposta al suo stesso gesto, uno sparo echeggiò, distante, ma inconfondibile nel suono secco.

Il cuore mi balzò in gola, e rimasi pietrificato per alcuni lunghi istanti.
Poi, il riverbero lugubre di un secondo colpo di rivoltella mi risvegliò, iniettando una tale scarica di adrenalina nel mio corpo, che a malapena udii il sussurro spezzato di mio fratello.

"Santo Cielo!..."

Riuscii a sentirlo, ma, ora come ora, non sono completamente certo di quali siano state le esatte parole, poichè, nel momento in cui Mycroft parlava, stavo già correndo, a falcate ampie e più rapidamente che potevo, nella direzione indicata dal giovane Berning.


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[1] : Tradotto letteralmente dal Latino, "A chi giova il delitto?". La locuzione deriva da un passo della Medea di Seneca. Per citare verbatim il brano, la frase completa: Cui prodest scelus, is fecit ("Colui al quale giova il delitto, l'ha commesso"). Da qui, le domande retoriche usate colloquialmente, Cui Prodest? e Cui Bono?. -- Torna SU

Note dell'Autrice
Ahi ahi, sembra proprio che le cose si stiano mettendo male, non è vero?
Holmes potrebbe non essere arrivato in tempo per impedire il brutale assassinio del suo più caro amico: e come questo fallimento gli pesa già sulla coscienza!
Ma - forza, e coraggio! Nulla è perduto ancora :P
Presto anche tu saprai, Lettore!
Vorrei chiedere umilmente perdono per il secondo cliffhanger in due capitoli... ma questo è un altro discorso... :P


   
 
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