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Autore: My Pride    05/10/2009    11 recensioni
«C'è qualcosa. Qualcosa d'oscuro, in me, che non comprendo. Ma quando ci riuscirò, forse capirò anche perché mi hanno risparmiato, perché non ho fatto la stessa fine di molti che li hanno incontrati tempo addietro»
«Roy... ti supplico» riprovò Hughes, sentendo le lacrime minacciare di rigargli il volto.
«Non supplicarmi, Maes», disse sorridendo. «Non sono Dio»
[ Seguito de «Il bacio del vampiro» ]
[ INCOMPIUTA - Un giorno verrà aggiornata (forse) ]
Genere: Drammatico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Maes Hughes, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vampire's Story ~ Il Bacio del Vampiro'
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Il figlio delle Tenebre_Act 8
ATTO OTTAVO. IN FUGA


Sheerness, 1892

    Pioveva a dirotto, quella notte.
    I lampi solcavano il cielo illuminandolo a giorno, le chiome degli alberi frusciavano sinistramente al vento che si era alzato e che, fra le vie della cittadina, faceva lievemente sbattere le ante delle finestre delle case e delle taverne. Solo una di esse era illuminata dalla fioca luce delle candele, come se quel rudimentale sistema potesse in qualche modo preservare l'intimità di cui tre uomini, seduti al tavolo d'uno studio, avessero bisogno. Le loro voci erano solo accorati sussurri nella mezza oscurità, le loro parole frasi proibite che solo pochi avrebbero potuto ascoltare o capire.
    Richard reggeva fra le mani una tazza fumante, ascoltando in religioso silenzio come se temesse d'aprir bocca e interrompere così qualche oscuro rito. Un lieve tintinnio d'acciaio echeggiò in quella sala, seguito poi subito dopo da quello d'altri bicchieri che con grazia vennero adagiati sul pregiato tavolino di legno; altre mani s'allungarono ad afferrarne l'estremità prima di portarne il bordo alla bocca e bere giusto un sorso, fermando in un momento di stasi quel discorso che andava ormai avanti da un bel paio d'ore.
    «Tutto ciò che ci hai raccontato non ha alcun senso», disse infine un uomo, con una voce bassa e profonda che sembrò tagliare la quiete in cui la casa aveva fin'ora regnato. Qualche movimento un po' nervoso, un'altra voce che si levava nell'immane silenzio notturno rotto solo dal ticchettio della pioggia contro le finestre.
    «Ero restio a crederci anch'io, almeno finché non mi è stato mostrato ciò di cui vi ho parlato», fu la pacata risposta a quell'affermazione, nonostante il tono sembrasse agitato e frettoloso.
    «Non ti stiamo accusando di mentire, ma comprendi le nostre perplessità».
    Ci fu ancora qualche attimo di silenzio, dopo quelle parole. Ognuno dei presenti parve concentrarsi con meticolosa attenzione sul liquore che lambiva tazze e bicchieri, come se all'infuori di esso non ci fosse null'altro d'interessante. Sfuggì un altro sospiro dalle labbra sottili, prima che quegli occhi incredibili si rivelassero ancora. Un lato del viso era nascosto da ribelli ciuffi di capelli che ricadevano lunghi anche sulle spalle, offuscando alla vista un fitto reticolo di bianche cicatrici che solcavano il lato destro di quel volto quasi segnato dagli anni.
«Tale fenomeno è raro quanto impossibile», riprese lui, rendendo vagamente il tono più alto d'un ottava. «Forse la tua è solo paranoia trasmessa dai tuoi avi, Bradley».
    Richard sussultò, ma fu abbastanza bravo da non darlo a vedere.
«Ti pregherei di non usare il mio nome in luoghi cittadini, Lawrence», ribatté, senza staccare quel suo unico occhio color smeraldo dal viso deturpato del suo interlocutore. «Puoi considerarmi monomane, ma ho le mie buone ragioni per esserlo», s'interruppe un attimo, come se cercasse le parole adatte. «Anch'io ero perplesso quanto voi, ma so cos'ho visto. E quel bambino non era umano».
    «Perché l'hai preso con te avvicinandolo alla tua famiglia, dunque?»
    Una domanda posta così, a brucia pelo, dal terzo uomo che fino a quel momento era rimasto in emerito silenzio. L'occhio verde del Sindaco parve roteare per un attimo, nervoso.
«Di primo acchito, alla somiglianza, il mio pensiero è stato d'ucciderlo», ammise, sentendosi subito dopo un verme. Ben sapeva che loro non l'avrebbero considerato tale, ma per lui era così.
    Una risata priva d'ironia o divertimento si librò per la stanza, simile ad un vento leggero. Lawrence si era lasciato andare ad un breve scampanellio.
«Avresti dovuto farlo», ribatté sicuro, senza alcuna sfumatura nella voce profonda, come se quella fosse stata la voce d'una marionetta.
    Il Sindaco scosse la testa, chinando il capo.
«Ha quasi l'età di mio figlio. E' stato questo a frenarmi».
    «Questo tuo modo d'agire prima o poi ti condurrà alla tomba, Hughes», calcò di proposito il suo falso nome, quasi con scherno, ma lui non vi badò, decidendo d'ignorare quella nota dispregiativa.
    «Non sono venuto qui per chiederti consigli di vita», ribatté schietto. «Voglio sapere se c'è un modo per evitare che la sventura si abbatta su lui e noi».
    Altri attimi carichi di silenzio. Da qualche parte, poco al di fuori dalla cittadina, cadde un fulmine preceduto dal rombo potente d'un tuono e, anche il cielo, parve trattenere il fiato prima che la pioggia riprendesse scrosciante.

    «Su questo non posso aiutarti», si sentì finalmente dire.
«L'unica cosa di cui sono sicuro è che se lo uccidi ora potresti evitare guai in futuro. Hai già concesso troppo tempo a quel bambino».
    «Ti ho ben detto che non voglio arrivare a tanto».
    «Allora goditi questa fittizia semplicità con i tuoi due figli. Ma non dire poi che non ti avevo avvertito». Lo congedò con quelle semplici parole che avrebbero potuto significare tutto o niente.
    Ritornato nella locanda in cui aveva affittato una camera, dopo aver attraversato quasi mezza cittadina fra le strade bagnate e sferzate dal vento, attese il giorno che sarebbe presto giunto con una sorta di bizzarro timore. Avrebbe cercato di trovare una soluzione, sebbene ancora non capisse quale fosse, ma si ripromise che avrebbe salvato a tutti i costi quel bambino.
Per lui era divenuto troppo importante.


    La giornata divenne pian piano uggiosa, satura di pioggia.
    Il debole sole che faceva capolino dalle nuvole, affacciandosi sulla cittadina e rischiarando i contorni di case ed edifici, illuminava fiocamente le stradine dai ciottoli bianchi e le gocce di rugiada delle piante circostanti, mentre fornai e commercianti imperversavano tra le vie, avendo già cominciato tranquillamente la loro giornata di lavoro.

    Non pioveva ancora, ma come di solito accadeva da quelle parti, l'umidità nell'aria non era poca, e le vetrine dei piccoli negozi ai lati delle stradine apparivano lievemente appannate, anche se lasciavano intravedere l'interno e rispettivi bottegai che si affaccendavano dietro i banconi per servire la poca clientela del tardo pomeriggio. L'odore del pane caldo appena sfornato si diffuse nell'aria misto a quello dolce ed ebbro del vino, il profumo dell'erba umida aleggiava tra le strade insinuandosi nelle case, e gli abitanti che le popolavano si apprestavano a preparare la cena per la sera. Quei pochi contadini che vivevano al villaggio erano usciti di primo mattino dal focolare domestico con zappe e cappelli di paglia per proteggere la testa dal possibile sole che poteva presentarsi, insinuandosi a loro volta fra i viottoli per dirigersi ai frutteti o ai campi di grano. Anche i locandieri avevano già aperto bottega da molto, e gli uomini che avevano preso posto ai tavoli chiacchieravano sommessamente tra loro di ciò che poche sere addietro era successo.
    Girava il pettegolezzo che le spaventose creature che avevano portato morte e terrore nella cittadina fossero ricomparse, ma erano pochi coloro che credevano a tale voce, ma altrettanti avevano udito le parole di chi li aveva incontrati in quei giorni: c'era chi diceva di averli visti nei campi e addirittura chi li aveva visti aggirarsi tranquillamente fra le strade buie, senza far il minimo rumore. Si vociferava d'apparizioni e di spettri, di urla gutturali che si sentivano provenire dalla vecchia Chiesa al limitare del villaggio, persino di macchie di sangue intraviste fra la vegetazione. Tali voci erano subito state messe a tacere dal Sindaco, che sembrava intenzionato a non lasciar assolutamente trapelare la notizia.
    Nonostante le dovute precauzioni, però, erano ancora in molti coloro che aizzavano l'argomento, soprattutto a causa dell'aria sconvolta della figlia dei defunti Rockbell e delle parole che ripeteva in continuazione da quando era successo. Non aveva voluto parlare con nessuno di ciò che aveva visto, ma aveva solo continuato a mormorare
«E' tornato» senza riuscire a dare spiegazioni ad anima viva. Per quanto ci fosse il divieto assoluto di parlarne, l'argomento trattato da quegli uomini nella locanda era esattamente quello. Vampiri.
    A quell'ora, su per giù le sei e mezza, le sette, la sala
principale della piccola locanda era affollatissima, calda e rumorosa, confortevole riparo per chi voleva proteggersi da un possibile acquazzone o per chi aveva voglia di sparlare di creature della notte. La locanda ospitava interessi di svariato tipo, da semplici persone che si intrattenevano per bere un bicchiere in compagnia dei propri amici ad uomini che chiacchieravano sottovoce di quella strana situazione, stando attenti che nessuno li sentisse.
    Quando la porta della taverna s'aprì per l'ennesima volta, molte teste si voltarono curiose per capire chi era entrato, e d'un tratto si zittirono per evitare richiami.
Il nuovo arrivato si fece spazio con la sua scorta in mezzo alla ressa della taverna, dove andò dritto al suo solito tavolo seguito dal suo accompagnatore. Squadrò, attraverso gli occhiali, i presenti per pochi secondi, quasi cercando di scrutare dentro di loro. Se li sistemò poi con un gesto svogliato della mano poggiando appena il dito indice sulla montatura, dirigendosi poi al bancone senza degnar più gli altri di uno sguardo.
    Il locandiere l'osservo quasi con un cipiglio divertito, mentre puliva distratto uno dei bicchieri.
«Il solito, Sindaco?» fece in tono spassoso, ricevendo uno sguardo smeraldo quasi assente. Quest'ultimo si strinse nelle spalle, annuendo e sorridendo appena.
    «Fa' portare qualcosa di caldo da Rose», rispose invece, mentre con la coda dell'occhio non perdeva di vista la figura dell'altro, che si era frattanto accomodato al tavolo. «Fuori si gela, ne avremmo davvero bisogno».
    «Lo consideri già fatto», replicò il locandiere, osservandolo allontanarsi e spostare la sedia per accomodarsi di fronte al biondo, che stava già bevendo un po' di whisky. Restarono entrambi in emerito silenzio fino a quando una ragazza, di vent'anni o poco più, con i lunghi capelli scuri legati in una coda e un grembiule a cingerle i fianchi, portò loro da mangiare non più di dieci minuti dopo.
    Per un po' si concentrarono sui bassi mormorii che si accalcavano al lato opposto della taverna, dove un uomo corpulento agitava svogliatamente una mano grassoccia in direzione altri due che lo ascoltavano attenti, lanciandosi di tanto in tanto sguardi obliqui. Ritornarono in breve a rivolgere la loro attenzione sulla ciotola
che avevano davanti, affondandovi i cucchiai quasi in contemporanea.
    «Che faremo, adesso?» chiese Havoc, assaggiando appena il suo porrige. Una domanda che anche il Sindaco si stava ponendo da quella mattina, ma che solo lui ebbe il coraggio d'esprimere a parole.
    Hughes lo squadrò un po' senza aprir bocca, poi scrollò le spalle.
«Davvero non lo so», fece semplicemente, inzuppando una fetta di pane nella sua ciotola prima di dargli un bel morso. «Potremo provare a farlo collaborare con la forza, ma non sono sicuro che questa sia la soluzione migliore».
    «Nessuna è la soluzione migliore, in realtà», gli tenne presente, fissando con finto interesse il suo cibo; sospirò amaramente, con il tepore del fuoco che si diffondeva in tutto l'ambiente in cui si trovavano riscaldando piano anche lui. Allungò distratto un braccio per prendere la caraffa di vino e riempirsi il bicchiere, bevendo un lungo sorso mentre faceva vagare lo sguardo sulla taverna, vedendo altre persone entrare, avvolte nei cappotti scuri e umidi. Quando lo posò, riprendendo a mangiare piano, rivolse un piccolo sguardo anche al Sindaco. Intorno a loro, da quella mattina, si era creata una bizzarra sorta di tensione che si increspava sempre più come un'onda anomala. «Mi spieghi perché vuoi tenerlo in vita?» gli bisbigliò, la voce chiara e udibile nonostante il brusio che regnava nella locanda. «Non vuoi ucciderlo ma vuoi torturarlo? È assolutamente privo di senso, il tuo ragionamento. E' una cosa inumana».
    Rigirando distratto la zuppa che ancora troneggiava nella sua scodella, Hughes trasse un lungo sospiro abbandonando ancora una volta il cucchiaio, gettandosi un'occhiata intorno prima di ritornare ad osservare attentamente lui.
«L'ho creduto morto per dieci anni, Jean», mormorò pacatamente, quasi sottovoce, scuotendo debolmente la testa. «Quando l'ho rivisto... non so cosa ho provato. Qualsiasi cosa sia diventato adesso, non riuscirei davvero a sparargli al cuore e vederlo diventare polvere sotto i miei occhi».
    «Lo sai che ciò che stai ritardando succederà comunque, vero?» fece quasi con voce ovvia il biondo, restando poi in silenzio ad osservare il volto vacuo dell'amico, aspettando che si decidesse a dire qualcosa o a ribattere le sue parole, ma non aprì bocca per un po', così si limitarono solo a guardarsi di tanto in tanto, intenti a finire il loro cibo mentre il caldo e il chiacchiericcio sommesso delle persone lì presenti si diffondevano piacevolmente intorno a loro.
    Guardatosi intorno, Havoc trasse un lungo sospiro, prendendo dal taschino del cappotto il suo solito pacco di sigarette, non trovandone nemmeno una.
 Aveva davvero bisogno di un tiro. «Cazzo», imprecò fra i denti abbandonando ben presto il pacchetto, lanciandolo sul tavolino; cercò nelle tasche l'accendino, facendolo scattare di continuo prima di provare ad accendere la piccola fiammella che non si accese. Lanciò anche quello sul tavolino, alzando esasperato lo sguardo al soffitto. «È anche finito il gas», si lagnò, vedendo con la coda dell'occhio Hughes sollevare ironicamente un sopracciglio. Sventolò poi una mano, sistemandosi con l'altra gli occhiali sul naso.
    Presto, Maes si riconcentrò distratto sul suo piatto rigirando il porrige nella ciotola con scarso entusiasmo, scansandolo poi lontano da sé per allungare un braccio e riempirsi un bicchiere di vino. Lo ingollò tutto senza nemmeno gustarlo, chiedendosi distrattamente se le cose fossero state diverse, se avesse cambiato tutto dieci anni prima, conoscendo ciò che era. Non avrebbe lasciato che suo padre vagasse da solo per la foresta, prima di tutto. L'avrebbe invece aiutato a liberarsi di quei mostri e, in particolar modo, il suo amico e fratello non avrebbe subito quel destino. Chissà se sarebbe mai riuscito a farlo tornare la persona che era stata una volta. Quell'uomo che si imbarazzava nel parlare di argomenti per lui, in un certo qual senso, proibiti.
    Un altro flebile sospiro gli sfuggì dalle labbra, giusto qualche attimo prima che la porta della locanda si aprisse nuovamente facendo entrare un vecchio e un altro uomo, che riconobbero come Breda non appena si fu avvicinato maggiormente. Li salutò con un gesto distratto della mano, scansando la sedia per accomodarsi a sua volta.

    «Sera», fece mesto, guardando quasi con interesse uno dei bicchieri di vino. Non chiese nemmeno, afferrò quello del biondo e lo ingollò tutto sotto il suo sguardo accigliato, contornato da un sopracciglio sollevato.
    «Prego, Heymas, fai pure», replicò sarcastico, poggiando un gomito sul bordo del tavolo.
    Il ramato gli lanciò un'occhiata, e dopo aver posato nuovamente il bicchiere, si leccò le labbra, rilassandosi sullo schienale.
«Grazie tante, ci voleva», ironizzò a sua volta, prendendolo in giro e guadagnandoci un'occhiataccia a cui non diede peso. «Bando alle ciance, comunque, dovete spiegarmi questa storia», soggiunse, assottigliando la voce per evitare che altri sentissero.
    I due interpellati si lanciarono uno sguardo che avrebbe potuto dire tutto, ma fu il Sindaco a parlare, dopo aver tratto un lungo sospiro.
«Hai ben visto chi abbiamo prigioniero, giusto?» bisbigliò, sporgendosi appena verso di lui.
    Breda annuì nervoso, gettandosi un'occhiata intorno per assicurarsi che i presenti si stessero dedicando ai loro affari e non prestassero loro attenzione.
«E' questo che non mi spiego... com'è possibile che sia proprio lui?» chiese in risposta.
    «Nemmeno io riuscirei a dare una spiegazione plausibile», rispose, stringendosi nelle spalle. «So solo che lui forse potrebbe esserci in qualche modo d'aiuto».
    «È un vampiro, Hughes», gli fece notare, con velato sarcasmo. «Come può una simile creatura esserci d'aiuto? Quello che può fare è ammazzarci tutti, non aiutarci».
    «È quello che continuo a ripetergli anch'io», si intromise Havoc nel discorso, riprendendo il suo bicchiere per riempirlo ancora un po' di vino.
    Il Sindaco non gli prestò la minima attenzione, lanciandogli appena uno sguardo d'ammonimento.
«Sa dove quegli esseri riposano», spiegò pronto a Breda. «Ci sono momenti in cui appare confuso e altri invece in cui non sembra neanche umano, ma sa qualcosa».
    «Non è detto che te lo riveli, o sbaglio?» replicò ancora una volta Heymas, scuotendo debolmente la testa per tutta quella situazione.
    Hughes restò in silenzio, con lo sguardo puntato sul bicchiere mezzo vuoto.
Prese poi a mangiare ancora un po' limitandosi ad inghiottire qualche morso di pane casareccio evitando di guardare negli occhi entrambi, a disagio e non poco.
    «La colpa è del prete», buttò lì tranquillo Havoc, e Hughes scattò subito in piedi, squadrando il biondo con uno sguardo indecifrabile.
    «Maledizione, Jean, Roy non c'entra nulla!» esclamò, richiamando l'attenzione di un bel po' di uomini. Questi ultimi cominciarono a borbottare fra loro lanciandogli di tanto in tanto degli sguardi, come per capire perché, dopo tanti anni, il nome del prete - che sapevano essere morto - sfuggisse dalle labbra del loro Sindaco.
    Havoc lo ammonì con lo sguardo, fulminando tutti gli altri che si voltarono e fecero finta di nulla.
«Maes, siediti», quasi gli ordinò, chiamandolo per nome. «Cerca di mantenere la calma, non risolvi nulla alzando la voce a quel modo».
    Il Sindaco deglutì, cercando di non dare a vedere il suo nervosismo. Poi, annuendo pian piano, ritornò a sedersi, con le mani abbandonate in grembo. Per minuti che parvero interminabili si limitò a squadrarli, per trarre poi un profondo sospiro. «Hai perfettamente ragione, scusami», disse, con in volto l'espressione di chi era stato costretto ad inghiottire un rospo. «Ma non sopporto che gli si venga affibbiata una colpa che è solo mia». Gli altri due gli lanciarono sguardi confusi e quasi compassionevoli, indecisi se parlare a meno. Uno di loro deglutì, poggiando entrambe le mani sul bordo del tavolo prima che il Sindaco continuasse il suo piccolo monologo. «Sarei dovuto andare con lui e fermarlo, non dovevo lasciarlo andare da solo», mormorò, con voce inconsapevolmente sussurrante. «Quei mostri l'hanno preso solo per colpa mia. Anche mio padre ha subito un destino impervio per colpa della mia ignoranza».
    «Non angustiarti così, Hughes», lo ammonì sottovoce Breda, con la fronte corrugata dalla preoccupazione. «Non potevi sapere ciò che eri, a quel tempo».
    «Questa non è una cosa che possa discolparmi».
    Non fiatarono oltre. Presero solo a concentrarsi sul loro cibo, riflettendo per un bel po' di tempo su ciò che avrebbero dovuto fare adesso, ma nessuno di loro avrebbe saputo cosa fare, in realtà. Ucciderli sarebbe stato facile se li avessero scovati? O sarebbero stati loro stessi, a perire sotto quelle mani immortali?

    Nemmeno loro seppero dire quanto tempo rimasero al caldo nella piccola locanda, ma quando uscirono, videro che il tempo s'era annuvolato e aveva cominciato a piovere a dirotto. L'aria era quasi sul punto di riempirsi di nebbia, che aveva cominciato a riversarsi nella valle dalle cime delle montagne che sorgevano a nord.
La gente presente nelle strade e nel mercato cominciò ad affrettarsi ad abbandonare le vie più in fretta che potevano con un chiacchiericcio sommesso e sciabordioso, con l'acqua che scendeva gorgogliante lungo i canali ripulendo le strade e diffondendo nell'aria umidità e pulizia, sebbene il frastuono dei primi tuoni sovrastasse qualsiasi altro rumore. I ritardatari cercavano riparo al di sotto dei piccoli portici delle altre case sguazzando anche nelle pozzanghere che in breve cominciarono a crearsi, quasi rischiando di impantanarsi negli spiazzi verdi e fangosi disseminati un po' dappertutto.
    Lui, invece, si stava recando insieme ad Havoc e Breda verso la stradina sterrata e fangosa, a coprirli solo i loro giacconi che non riscaldavano affatto. Per pochi minuti, furono accompagnati nella loro traversata persino da un cane che cercava riparo, vedendolo di sfuggita sfrecciare come un'ombra nera dinnanzi a loro e scomparire verso punti sconosciuti della cittadina. Gettando sguardi ai suoi compagni, Hughes si portò una mano a coprire il capo, i capelli completamente inzuppati gli si incollavano alla fronte gocciolando lungo il colletto della camicia, confondendosi con i rivoletti creati dalla pioggia, facendogli correre continui brividi lungo la schiena. Tossendo e starnutendo, si strofinò il naso con una mano umida e bagnata, ottenendo solo di bagnarsi maggiormente il volto. Sentiva persino l'acqua inzuppargli le scarpe. Era la prima volta che si ritrovava in un acquazzone del genere.
    Tremando dalla testa ai piedi, con i vestiti completamente zuppi, giunsero finalmente dinnanzi agli enormi portoni dell'Abbazia, che in quel crepuscolo uggioso appariva tetra e spaventosa quasi quanto il maniero in cui si erano ritrovati sere addietro. Quando vi entrarono, videro che la pioggia si era riversata sulla pavimentazione marmorea mescolandosi con le vetrate colorate che quella stessa mattina si erano infrante, e stava ancora continuando incessantemente a scrosciare all'interno della Chiesa. Il grande altare e la croce erano completamente umidi, ed entrambi rassomigliavano a piccole cascate che traboccavano quasi pigramente creando pozze tutt'intorno.
    Con il cuore in gola per l'ennesimo incontro che lo aspettava con il vampiro, Hughes fece cenno agli altri di seguirlo più silenziosamente possibile, anche se lui stesso sapeva che sarebbe stata inutile, tutta quella cautela. Colui che aveva l'aspetto di suo fratello era capace di leggere nei pensieri delle persone, e sarebbe stato pronto a scommettere che poteva anche udirli benissimo; ma si arrestarono tutti non appena si avvicinarono maggiormente alle panche disposte sul lato destro e sinistro della grande sala, gli occhi di tutti sbarrati e stupefatti.
    Havoc si accostò di corsa alla prima fila, restando immobile ad osservare le corde ridotte a brandelli che giacevano a metà tra il pavimento di marmo e la panca di legno.
«Lo sapevo, dannazione!» imprecò, passandosi furente una mano fra i capelli bagnati, scompigliandoli e facendo schizzare goccioline ovunque. «Quel vampiro è sparito!»
    Anche Hughes e Breda si mossero fulminei avvicinandosi, senza proferir parola mentre si guardavano ansiosi e quasi sconvolti intorno, alla vana ricerca del moro. Vagarono con gli occhi per ogni angolo della Chiesa, sondando le colonne e alzando lo sguardo per controllare le nove arcate e le volte a vela, nel tentativo di scorgere un minimo movimento, un'ombra più scura delle altre, ma non c'era nulla. Assolutamente niente.
    L'attenzione di Breda ritornò angosciata sul volto di Hughes e quello di Havoc, che si era chinato a raccogliere le corde e le fissava con uno sguardo indecifrabile, come se non credesse ai propri occhi.
«Come diavolo ha fatto?» domandò stupidamente, conscio che come lui, i suoi due compagni non avevano una risposta plausibile.
    Il silenzio regnò fra loro per minuti interminabili, a riempirlo c'era solo l'insistente scrosciare della pioggia e i rombi indistinti dei tuoni in lontananza.
 Assolutamente immobili dov'erano, non facevano altro che far scorrere lo sguardo sulla zona circostante o sul loro aspetto scarmigliato, dove i rivoletti d'acqua scorrevano ancora pigramente fra i loro capelli e sul loro viso. Poi, d'improvviso, una fioca risata rimbombò tra le vaste arcate della cappella, esplodendo ben presto in un tumulto d'acqua e vetri infranti. Persino la cupola che era sopra di loro si ridusse in frantumi, e dovettero portarsi le mani a coprire la testa per proteggersi dalla pioggia di vetri che si era creata e confusa con quella circostante.
    Gli occhi dei tre scattarono serpentini verso l'alto quando essa terminò e, precisamente tra l'architrave e il ballatoio, accucciato come un grosso gatto, lo videro.
Sorrideva sensuale e incantatore, i capelli gli ricadevano bagnati sul viso e sulle spalle, la camicia leggera che indossava gli si era incollata alla pelle, mettendo così in risalto la muscolatura slanciata che aveva ottenuto in quegli anni.
    Le iridi e le orbite erano completamente nere, tanto che sembrava osservarli attraverso pezzi di carbone assolutamente vuoti e senza vita, mentre un'altra flebile risata gli sfuggiva dalle labbra pallide e quasi rosate e si librava leggera nell'aria. Stregò tutti i presenti con quella risata, sedendosi disinvolto sul ballatoio. Con le mani poggiate sul bordo di esso, sostenne il suo intero peso senza sforzo
alcuno, accavallando le gambe e inclinando amabilmente la testa di lato, su una spalla. Sembrava un bambino che si apprestava tranquillo a giocare.
«Avete perso qualcuno, per caso?» chiese con voce ammaliante, alzando quasi svogliato un braccio per portarsi i lunghi capelli dietro alle orecchie, in modo che non gli dessero fastidio.
    Nell'osservarlo, i cuori dei presenti parvero accelerare inesorabilmente i battiti, e fiutando la loro paura mista allo sgomento, il vampiro non poté far altro che ridere ancora. Quella risata cristallina guizzò nella cappella fin sopra l'altare, dove lui stesso si ritrovò subito dopo con un balzo felino, una figura nera e immobile come una statua di marmo. Ma ciò che rendeva la scena suggestiva, non era solo il suo aspetto incantatore, ma tutto l'insieme degli strani eventi che si stavano susseguendo: i capelli fluttuavano intorno al suo viso come se avessero vita propria, docili e leggiadri, mentre l'acqua, che fino a poco prima scorreva dall'altare di marmo, era bloccata in un momento di stasi, come in un dipinto. Persino la pioggia che entrava dalle vetrate era immobile, si riuscivano a scorgere le goccioline di cristallo che riflettevano come piccoli specchi gli occhi scuri e il viso immacolato del prete. O meglio, del vampiro.
    Fu Hughes il primo a riprendersi parzialmente da quella scena mozzafiato. Si arrischiò a fare un passo avanti, stando attento a non avvicinarsi troppo all'altare. «Roy, vogliamo solo aiutarti!» esclamò con voce rassicurante, nel tentativo di farlo scendere da quel suo piedistallo per legarlo ancora una volta. Le sue parole, però, gli provocarono un'altra profonda risata.
    Il moro allargò le braccia e mise in mostra i muscoli sodi che guizzavano al di sotto della camicia ormai aderente, sorridendo con più crescente passione mentre si alzava in piedi sull'altare e puntava lo sguardo verso la grande croce di legno, che sembrava non temere più.
«E cosa potreste mai fare?» chiese con voce calda e sicura, gorgogliante. «Cosa vi da la convinzione di riuscire a salvare un'anima come la mia? Non ci è riuscito nemmeno il Dio a cui ero tanto devoto, come potreste mai farlo voi? Volete per caso sostituirvi a lui?»
    «Non dire così, ti prego!»
    «Maes, Maes, Maes», lo ammonì tranquillo il vampiro, agitando distratto un dito mentre scuoteva al contempo la testa. «C'è qualcosa, qualcosa d'oscuro in me che non comprendo. Ma quando ci riuscirò, forse capirò anche perché mi hanno risparmiato, perché non ho fatto la stessa fine di molti che li hanno incontrati tempo addietro».
    «Roy... ti supplico», riprovò Hughes, sentendo le lacrime minacciare di rigargli il volto. Da quella mattina era cambiato moltissimo, quasi non sembrava più nemmeno lui.
    «Non supplicarmi, Maes», disse sorridendo. «Non sono Dio».
    Roy si lasciò andare ad una risata liberatoria, dopo aver pronunciato quella frase. Flettendo il corpo, sembrò racchiudersi in se stesso, con la testa incassata inverosimilmente nelle spalle, prima che si gettasse in avanti e artigliasse le travi che sorreggevano il ballatoio, guardando in basso in precario equilibrio. Rise ancora nell'incontrare l'espressione sconvolta di quei volti, allentando la presa e lasciandola poi del tutto, voltandosi di schiena a braccia aperte. E prima che il suo corpo si schiantasse contro la pavimentazione, si girò atterrando su entrambi i piedi, quasi in ginocchio, proprio in mezzo a loro.
    Nell'impatto, la pavimentazione si era incrinata e sollevata, rompendo gran parte delle mattonelle e costringendo i tre uomini a scattare rapidi all'indietro per evitare i frammenti che si disperdevano furenti insieme alle gocce di pioggia e alla polvere, senza che scalfissero minimamente il vampiro. Lui li guardò con gli occhi d'onice innocenti quanto vuoti, prima di sparire completamente alla loro vista come risucchiato dall'oscurità.
    Fuori, finalmente, inspirò a fondo l'odore dell'umidità che circondava lui e la vegetazione, l'odore della terra bagnata dalla pioggia, spostandosi rapido e con un balzo aggraziato su uno dei tetti in legno delle sobrie case, favorito dalle tenebre che imperversavano sul paese. Un piacevole sorriso si fece largo sulle sue labbra, mentre faceva vagare lo sguardo d'onice sui dintorni di quella cittadina che gli sembrava vagamente familiare. Sotto di lui, le voci indistinte degli uomini che aveva appena seminato.
    Si ritrovò a ridere alle parole che pronunciavano e che riusciva ad udire perfettamente, come se fosse lì giù, accanto a loro. Divertito si lasciò cadere seduto sul tetto, con la testa sorretta appena su una mano mentre l'altra era abbandonata su un ginocchio, gli occhi scuri puntati giù, verso le stradine. Uno degli uomini, quello con i capelli rossi, stringeva fra le mani una pistola d'argento e
, nonostante il suo odore fosse quello d'un uomo terrorizzato, sembrava più che intenzionato ad usarla. Quando li sentì parlare di sé e del suo Signore, assottigliò lo sguardo facendo vibrare e tremare le assi di legno del tetto sul quale era seduto, serrando una mano lungo il fianco e mordendosi nel contempo il labbro inferiore.
    L'insanabile impulso di balzare tra loro e squarciare quelle gole per berne il sangue serpeggiò malevolo nel suo animo, ma a trattenerlo fu l'anima pia che ancora non era riuscito a scacciare e che lo costrinse a restare immobile su quel tetto, ad osservarli.
«Basta», intimò a se stesso, chiudendo gli occhi scuri. «Lasciami in pace, vattene». Ma quel qualcosa che si agitava in lui non accennava a scomparire. Artigliò una delle travi di legno, strappandola dalla sua postazione con uno schianto secco che risuonò come lo spezzare d'un osso, e che richiamò l'attenzione degli uomini nelle vie.
    «È lassù!» sentì gridare da uno di loro, e riaprì di scatto gli occhi, rimettendosi in piedi giusto qualche attimo prima che una pallottola lo colpisse al braccio sinistro.
    Mostrò le zanne a chi aveva sparato, vedendo il suo viso deformato in una maschera di sagacia. Era il biondo che non vedeva l'ora di piantargli un proiettile in corpo.
«Non farmi fare cose che non vorrei, Havoc!» tuonò inconsapevolmente, dissolvendo la pioggia insistente che ancora cadeva, come se fosse avvolto in una bolla di vapore. Li vide tapparsi le orecchie e contrarre i volti in smorfia di dolore, forse feriti da quell'urlo disumano che si era lasciato sfuggire.
    Tutto parve passare in un lampo, e un altro colpo risuonò vicinissimo al suo orecchio.
Le polle d'onice si infiammarono di furia selvaggia, mentre snudava le zanne e fletteva l'intero corpo in giù, vero il suo obiettivo, che stava già impugnando l'arma pronta a far fuoco. Balzò giù dal tetto e gli si avvicinò così velocemente che né Havoc né gli altri poterono fare qualcosa; il primo dilatò gli occhi per la sorpresa quando sentì un qualcosa d'acciaio artigliargli ferocemente il braccio, che prese a sanguinare copiosamente sotto il suo sguardo sbarrato e confuso. Non ebbe nemmeno il tempo di gridare per il dolore, tanto il colpo era stato fulmineo.
    Stornò bruscamente lo sguardo vedendo la mano del vampiro sporca del suo sangue, e indietreggiò sul terreno con il fucile puntato verso la creatura, che si stava ripreparando ad attaccarlo; ma, inverosimilmente, gettando un altro sibilo e fissando tutti con quegli occhi inespressivi, spiccò un salto deciso e veloce verso la foresta, lasciandoli lì
ad affogare nella loro sofferenza. Schivò un ramo con un balzo leggiadro di lato, riprendendo la sua traversata con slanci felini e sicuri, sfrecciando come se nulla fosse fra quelle fronde che al suo passaggio si muovevano lievi come mossi da un flebile vento, e che si richiudevano quasi con delicatezza dietro di lui, frusciando appena.
    Qualcosa, però, gli dardeggiò d'improvviso dinanzi agli occhi.
Atterrò pesantemente al suolo, con le mani poggiate sul terreno umido, quasi artigliandolo, puntellandosi su un ginocchio. Il suo corpo tremò e fu percorso da continui brividi e spasmi, la colonna della gola si contrasse, gli occhi fissarono un punto indefinito oltre il bosco. Cominciò a gettare sguardi disorientati fra la vegetazione, con una mano premuta contro la tempia, e prese a sussurrare tra sé e sé parole incomprensibili, sicuro che quella che sentisse fosse paura. Tentò di rimettersi in piedi e si guardò intorno con occhi vacui e lontani, mentre le gengive cominciavano a fargli sempre più male, e il sangue gli pulsava contro le tempie doloranti. Fu colto da una contrazione allo stomaco che lo costrinse a piegarsi in avanti con un rantolo sommesso, stringendo i denti.
    La testa aveva cominciato a dolergli in maniera indescrivibile; l'addome prese ancora una volta ad attorcigliarsi, e scosso da brividi violenti e dai crampi, sferzò l'aria con un braccio, nel tentativo di scacciare le sagome che vedeva dinnanzi a sé, solo entità fatte di fumo e nebbia che imperversavano nei suoi occhi. I sussurri della notte gli giunsero da punti lontani, mescolati d'improvviso con le solite voci che sentiva da più di dieci anni, e ancora una volta sentì quello strano dolore che gli colpiva il petto e il collo, quel freddo pungente che lo avvolgeva in un perpetuo ed eterno gelo, mentre polle d'ambra si facevano largo nelle tenebre che vedeva davanti agli occhi e il braccio si muoveva da solo in avanti, come a voler afferrare qualcosa che non c'era...

«La morte rende tutto più bello».

    Ringhiò in preda alle vertigini.
Si lasciò docilmente cadere a terra, completamente in ginocchio, mentre le mani artigliavano sempre di più il terreno bagnato e alle narici gli giungeva quell'odore penetrante d'umidità. Gli parve di star rivivendo quel momento. Conosceva quella radura, conosceva il freddo che gli avvolgeva il corpo, e anche il sentore improvviso della ruggine gli era familiare. Era il suo stesso sangue quello che sentiva!
    In preda al panico, gettò un'occhiata al suo corpo, cominciando a privarsi della camicia che indossava, lacerandola con mani ormai divenute artigli; sondò con lo sguardo ogni muscolo, ogni lembo di pelle, non trovando nulla. Nemmeno una ferita, solo la pelle bianca e marmorea bagnata dalla pioggia. Respirò a pieni polmoni, deglutendo mentre si lasciava cadere disteso all'indietro abbassando le palpebre, incurante dell'erba bagnata dietro alla schiena nuda. Quando aprì pian piano gli occhi, il battito del suo cuore era tornato stabile, e persino le vertigini e quello strano dolore si erano affievolite. Non sentiva neanche l'odore del sangue.
    Roy si rimise debolmente in piedi
, guardandosi intorno come se non capisse. Cosa diavolo gli era successo? Scosse con impeto la testa decidendo di riprendere svelto a correre per raggiungere colui che avrebbe saputo dargli una spiegazione, divenendo una sagoma scura che sfrecciava solitaria tra la boscaglia, lontana da ogni forma d'umanità.
    Fruscii e flebili rumori notturni si innalzavano dal sottobosco al suo passaggio, e le foglie bagnate dalla pioggia che era caduta in quei giorni si accartocciavano sotto i suoi passi sempre più veloci, sempre meno percettibili agli abitanti che popolavano quella foresta, ora nascosti per l'aver fiutato il possibile pericolo nell'aria. La brama di sangue aleggiava intorno alla creatura che non arrestava la sua corsa, spiccando balzi sia fra gli alberi che sul terreno, mentre la notte sempre più fitta inghiottiva tutto il resto nel suo manto oscuro puntellato di frammenti di stelle.



ATTO OTTAVO. FINE



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