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Autore: SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate    07/10/2009    3 recensioni
Bella convive con la matrigna che la costringe a una vita di duro lavoro. Edward è la promessa nazionale del baseball con un sogno segreto a tutti. Si innamorano e iniziano a frequentarsi segretamente. Tutto va bene, finché Bella non si stanca dei segreti ed Edward è costretto a scegliere tra l'amore e l'amicizia. Riusciranno alla fine a stare insieme?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Storia Di Un Amore 

Capitolo Sei:La Scelta

Gli sguardi curiosi degli studenti mi stavano infastidendo, ma quel mattino non avrei sprecato fiato né mi sarei voltata a rivolgergli un’occhiataccia. Perché sapevo che in fondo mi meritavo quella penitenza. Ero stata una sciocca a credere che per me ed Edward ci sarebbe stato un futuro. Non eravamo fatti per stare insieme. Lui bello e popolare; io sciocca e al fondo della catena alimentare della scuola. Era troppo per me. Angela mi camminava affianco, rimproverando chi si fermava a fissarmi. Per il corridoio incontrammo anche Jessica Stanley, che ovviamente colse l’occasione per rinfacciarmi il fatto che Edward aveva chiaramente scelto di non continuare a frequentarmi.

“Mi dispiace che Jacob sia esploso così...” Mormorò Angela, mentre uscivamo dalla classe.

“Non riesco a capire per quale motivo però abbia reagito in quel modo...” Commentai, ricordando perfettamente il suo volto sfigurato dalla rabbia e l'indignazione. Cosa gli poteva importare a lui se io ed Edward ci frequentavamo? Potevo capire che era deluso dal fatto che il suo migliore amico abbia mantenuto per sé un segreto, ma non era il caso di reagire così!

Angela sospirò, attirando la mia attenzione. “Bella, possibile che non l'hai ancora capito?”

La osservai con le sopracciglia aggrottate. “A cosa ti riferisci?”

“Jacob è innamorato di te. Per questo Edward era restio a raccontargli di voi.”

Spalancai la bocca, esterrefatta. Non ci credevo.

“Pensi che sia davvero così?”

“Bella, lo sanno tutti che Jacob è cotto di te da quando siete bambini. Tutte le volte che Edward diceva di non voler farsi vedere in giro con te era per evitare che lo scoprisse come è successo oggi. Probabilmente aspettava l'occasione migliore per potergli parlare senza scatenare così la sua ira.”

Abbassai lo sguardo, triste. “Non l'avevo capito...”

Tutte le volte che Edward giurava di riuscire a dire a Jacob che aveva intenzione di lasciare la squadra di baseball quindi intendeva anche dire che doveva trovare il coraggio di dirgli che usciva con me... Ero stata una sciocca a non capirlo prima.

“Comunque adesso Edward non mi vuole più vedere...” Mormorai con voce tremula.

“È colpa di Jacob. È stato costretto a scegliere fra te e lui...” Sussurrò tristemente la mia amica. Repressi un singhiozzo.

“Coraggio Bella, andrà tutto bene...” Mi posò una mano sulla spalla, in un gesto di conforto. Proprio in quel momento lo vidi. Edward. Era solo, e camminava lungo il corridoio, circondato da sguardi curiosi. Era impassibile. Mi passò accanto, ignorandomi. Sentii il cuore stretto in un'orribile morsa.

Non era giusto.

“Vieni Bella, andiamo in bagno...” Sussurrò Angela, mentre calde lacrime salate scendevano lungo il mio viso.

 

Edward's PoV

Non era giusto, ma dovevo fare la mia scelta, sebbene ne soffrissi.

Osservai di sottecchi Bella, che appena mi vide si strinse contro l'armadietto, ansiosa. Ero un mostro.

Le passai accanto, ignorandola – mio malgrado – e dirigendomi con passo felpato verso la palestra. Sapevo che Jacob era lì.

Quando spalancai la porta ritrovandomi all'interno della struttura infatti il passaggio che portava al cortile della palestra era aperto. Presi un profondo respiro, mentre il rumore dello spara palline rimbombava nella sala. Quando fui all'aperto trovai Jacob intento a colpire con la sua mazza da baseball tutte le palline che la macchina gli lanciava contro.

“Vattene.” Sputò, senza nemmeno girarsi.

“No. Ho bisogno di parlarti.” Sbottai, avvicinandomi a lui.

“E per dirmi cosa? Altre bugie?!” Ribatté, colpendo con maggiore forza un'altra palla.

“No! Voglio spiegarti i motivi per cui non ti ho mai detto niente!” Urlai, sempre più infuriato.

“Non mi interessano. Tu sai benissimo cosa provo per Bella da parecchi anni, eppure non mi hai mai detto di essere nella mia stessa situazione e il giorno in cui ti chiesi se anche a te piaceva mi hai chiaramente risposto di no!”

“L'ho fatto per te, possibile che non lo capisci?!” Urlai ancora. “È vero, ti ho mentito e avrei dovuto parlarti fin dall'inizio di lei, ma non ho mai trovato il coraggio perché sapevo che avresti reagito male!” Tuttavia mi sentivo ancora estremamente in colpa. Era successo tutto per colpa mia, lo sapevo bene.

“È vero, forse mi sarei un po' arrabbiato, ma visto che eri mio amico avrei accettato di averti anche come rivale!” La palla che colpì finì oltre il recinto. Ormai tutti colpi della macchina erano terminati, ed essa si spense con un rumore sordo, facendoci catapultare nel silenzio totale.

“Tu... la ami?” Mi chiese, cogliendomi di sorpresa. Il suo tono era tranquillo, anche se nascondeva un tormento. Arrossii, sospirando.

“Non ha più importanza ormai. A me interessa solo che la nostra amicizia non finisca.”

“Cosa significa? L'hai lasciata?!” I suoi occhi scuri si scontrarono con i miei.

“Non voglio litigare con te per amore.” Dissi, con tono fermo. Jacob mi corse vicino, scuotendomi per le spalle.

“Sei un idiota!” Urlò. “Perché l'hai fatto?!”

“Ma... tu...” Provai a ribattere ma mi scosse con maggior forza.

“Sei uno stupido! Bella vuole te! Sono anni che cerco di uscire con lei ma non sono mai riuscito nel mio intento, tu invece che sei riuscito a farla innamorare la fai soffrire così?!” Sgranai gli occhi. Non ci capivo più niente.

“Ma tu vuoi o non vuoi che io stia con Bella?”

“Certo che non voglio, ma allo stesso tempo non voglio nemmeno che voi due soffriate per colpa mia!” Esclamò, lasciandomi le spalle.

Scossi il capo. “Sicuro che non ti farà male vederci insieme?”

“Forse all'inizio un po'... Però tu mi devi promettere che non la farai mai più soffrire, d'accordo?”

“Certo.” Sorrisi. Jacob sì che era un vero amico.

“Ora corri da lei e scusati, idiota.” Sghignazzò, nascondendo la tristezza, e tirandomi una possente pacca sulla schiena.

“Grazie Jake.” Sorrisi amaramente, sentendomi in colpa. “Prima però... c'è un'altra cosa di cui devo parlarti...” Ammisi, mentre i suoi occhi mi squadravano preoccupati.

“Di cosa si tratta...?”

“Ho deciso di iscrivermi alla Julliard... Quindi non verrò a Chicago e non giocherò nella squadra di baseball nazionale...” Mormorai, tenendo lo sguardo basso.

Sentii un sospiro che mi fece alzare il capo. “Lo sapevo sai?” Sorrise Jacob sebbene i suoi occhi fossero spenti.

“Come facevi a...” Iniziai a chiedergli, ma quando alzò gli occhi al cielo mi zittii.

“Edward, è risaputo che sei un fenomeno con il pianoforte, quindi è naturale che tu abbia scelto di iscriverti in una scuola che ti permetta di perfezionarti...” Disse con aria saccente.

“Davvero lo avevi capito? Ma allora perché continuavi a immaginarci al college insieme?” Chiesi non capendo.

“Perché speravo che così facendo ti spronassi a dirmi quello che avevi deciso di fare una volta preso il diploma, ma a quanto pare ho ottenuto solo l'effetto contrario...” Si passò una mano fra i corti capelli neri.

“Mi dispiace.” Mormorai, veramente dispiaciuto.

“Tranquillo, piuttosto, corri subito da Bella! Conoscendola a quest'ora sarà distrutta...” Mi riscossi quando nominò Isabella. Aveva ragione Jacob, mi ero comportato in modo terribile con lei quella mattina...

Annuii, voltandomi verso la porta lasciata spalancata per ritornare in palestra.

“Ah, Edward?” Mi chiamò il mio migliore amico, facendomi voltare. “So che non hai più voglia di giocare a baseball, ma potresti entrare in gioco almeno per un inning?” Mi chiese sorridendo amaramente. Non potevo rifiutare. Non dopo che aveva accettato tutti i cambiamenti e le bugie a cui avevo sottoposto la nostra amicizia. E poi anche per la mia promessa...

“Ci sarò.”

 

Bella PoV

“Bella, vieni alla partita?” Mi chiese Angela, mentre ritiravo le ultime cose nella cartella. Sentii una morsa al petto.

“Non so...” Mormorai.

“Vieni, ti prego. Sono sicura che non è come pensi te.” Mi disse la mia amica, mentre uscivamo dalla classe.

“Cosa te lo fa credere?” Sorrisi amaramente.

“Il fatto che per tutto il giorno abbia cercato di parlarti. Se non fossi scappata ogni volta sono sicura che a quest'ora saresti felice e non vedresti l'ora di vederlo giocare nella sua ultima partita.”

“Scusami Angela, ma non ce la faccio proprio a venire a vederlo...” Sussurrai, abbassando lo sguardo.

“Va bene, vuoi che venga con te a fare un giro?” Mi chiese, dolcemente.

“No, grazie. Preferisco restare sola...”

Appena uscimmo dalla classe ci separammo. I corridoi erano già vuoti poiché tutti gli studenti erano accorsi all'evento dell'anno: la finale di baseball.

Raggiunsi l'ingresso. Edward era riuscito a farmi provare ogni singola emozione in quell’ultimo periodo: amore, gioia, malinconia, tristezza, ira...

Sentii il forte bisogno di vederlo, almeno un'ultima volta per quel giorno. Sarei potuta andare alla partita, così sarei stata certa che non mi avrebbe potuto parlare. Sì, mi sarebbe bastato vederlo dall'ingresso degli spalti per alcuni secondi, poi sarei anche potuta andarmene.

Corsi verso il campo da baseball, da cui arrivavano chiari i canti da stadio e il suono delle trombe e dei tamburi d'incitamento. Quando arrivai quasi in cima alle scale che portavano allo stadio mi fermai, per riprendere fiato. La partita era già incominciata da alcuni minuti. Presi un profondo respiro e salii fino in cima. Gli spalti erano stracolmi di studenti, e il campo – vicinissimo – brulicava di giocatori. Rimasi nascosta vicino alla parete del corridoio, scrutando ogni singolo giocatore. Finalmente lo riconobbi. Non portava la divisa come tutti gli altri ragazzi, aveva solo indossato la giacchetta della squadra sopra alla camicia. Forse si era deciso a dire a tutti che non aveva voglia di giocare...

Era il lanciatore. Davanti a lui c'era un ragazzo dell'altra squadra, che con un tiro potentissimo mandò la palla che Edward gli aveva lanciato dall'altra parte del campo. Il battitore cambiò, ed Edward prima di lanciare fece vagare il suo sguardo sugli spalti. Inconsciamente mi ritrovai a sperare che fossi io la persona che stesse cercando. Sussultai quando i suoi occhi incontrarono i miei, a una decina di metri da lui.

Boccheggiai, mentre la respirazione si era fermata. Distolse lo sguardo, concentrandosi per lanciare. Basta. Mi doveva bastare. Senza aspettare il suo lancio scesi le scale, precipitandomi fuori dallo stadio, e lontano da lui.

I miei piedi percorsero tutta la strada fino a casa, fino a quando non mi richiusi la porta alle spalle.

“Isabella?!” Mi chiamò scioccata Jennifer, comparendo dal salone in accappatoio. Non volevo sapere per quale motivo era conciata in quel modo così...provocante? “Cosa ci fai qui?! Non dovresti essere alla partita?!”

Non le risposi, e la sorpassai per salire le scale e raggiungere la mia camera. Appena mi fui richiusa la porta alle spalle aprii l'armadio, estraendo la valigia e iniziando a riempirla con tutti i vestiti che riuscivo ad afferrare. Ero stufa di quella città. L'unica persona che probabilmente avrebbe sofferto della mia scelta di andarmene da Forks sarebbe stata Angela, che d'altra parte – insieme ad Edward – aveva rappresentato la mia unica ragione di permanenza in quel posto. Richiusi con uno strattone la zip del borsone e me lo issai in spalla. Non lanciai nemmeno un'ultima occhiata alla stanza prima di uscire da quella prigione. Quando tornai al piano terra Jennifer mi lanciò un'occhiataccia.

“Dove credi di andare con quel borsone?!” Sbraitò, ponendosi difronte alla porta.

“Dalla sorella di mia madre.” Calcai con estrema energia sulla parola madre.

“Non puoi.” Commentò Jennifer, incrociando le braccia al petto.

“Oh, sì che posso! Mi ha chiesto proprio lei di andarmene da qui! È da quando papà ci ha lasciati che insiste affinché mi trasferisca, e penso sia giunto il momento di accettare la sua offerta.” Ribattei, seria come non mai.

“Non hai abbastanza soldi per prendere nemmeno un biglietto del pullman, figurati dell'aereo! Jacksonville ti ricordo che è dall'altra parte degli Stati Uniti, Isabella.” Ghignò, muovendo le sue labbra pitturate di rosso.

“Ho lavorato abbastanza nel negozio dei Newton da riuscire a permettermi un biglietto, non ti preoccupare.” Ringhiai, avvicinandomi a lei. “Ora lasciami passare.”

Nei suoi occhi lessi qualcosa di strano. Terrore?

“Bella, io...” Sussultai. Mai mi aveva chiamata così. Il suono del telefono però ci riscosse entrambe.

“Per favore, aspetta. Ne riparliamo dopo, va bene?” Mi chiese, muovendo un passo verso il salone, dove era posizionato il telefono. Rimasi immobile, ma appena la sua mano fu sulla cornetta e la porta senza ostacoli, uscii dalla casa con una corsa. Il cielo era splendente, e rimasi per un attimo abbagliata dai forti raggi solari. Chiusi gli occhi, con l'intenzione di non fermarmi nemmeno per un momento, ma qualcosa contro cui sbattei mi costrinse ad aggrapparmi ad esso per non cadere all'indietro. Due mani mi afferrarono per le spalle, impedendomi di rovinare a terra. Inconsciamente sperai che fossero quelle di...

“Bella?” Mi chiamò una voce morbida. Aprii gli occhi, scioccata.

“Mi-Mi scusi dottor Cullen, non volevo...” Mormorai, allontanandomi da lui di alcuni passi. Non riuscivo ad incontrare i suoi occhi, troppo legati a quelli di Edward. “Devo andare...” Borbottai, per poi scappare via.

Raggiunsi il bordo della strada, in attesa del taxi che prima di uscire dalla mia stanza mi ero premurata di chiamare. Fortunatamente non dovetti attendere molto, e un'auto bianca con l'insegna 'taxi' apparve da dietro un angolo. Appena si fermò davanti a me non feci in tempo ad aprire la portiera che un'altra voce giunse alle mie orecchie.

“Bella!” Non mi voltai a guardare il nuovo arrivato, ma mi limitai ad aprire lo sportello dell'auto e a buttare dentro il borsone.

Una mano afferrò il mio braccio, proprio mentre mi accingevo ad entrare nell'abitacolo. “Cosa stai facendo?!” Sbraitò tormentata la 'sua' voce.

“Lasciami!” Urlai, strattonando con forza l'arto che mi teneva ferma.

“Solo se mi dici dove stai andando!” Questa volta mi girai, incontrando due occhi verdi.

“Via! Sto andando via, contento?!” Confessai, con voce stridula. Distogliendo lo sguardo da quegli occhi così profondi.

“Non puoi andartene!” Mi sgridò, avvicinandosi di più a me. Sussultai per quella vicinanza. “Io non...”

“Isabella Marie Swan, torna subito qui!” La voce di Jennifer si faceva sempre più vicina, e dalla porta di casa comparve la sua chioma bionda, sotto lo sguardo esterrefatto di Carisle Cullen, il padre di Edward, che solo in quel momento sembrò notare la presenza del figlio.

“Edward? Cosa ci fai qui?” Gridò il dottore per cercare di farsi sentire e venendo verso di noi.

“Oh no...” Sentii mormorare Edward, prima che in agitazione tentasse di spingermi dentro l'auto.

“Cosa...?” Tentai di chiedergli, senza successo.

“Sali, ti prego, sbrigati!” Mi esortò, e subito salimmo insieme a bordo dell'auto, mentre i nostri due famigliari si stavano avvicinando.

“Parta!” Incitò all'autista, che così fece, facendo sfrecciare l'auto sull'asfalto, diretto all'aeroporto.

“Cosa sta succedendo?” Sussurrai, sconvolta dalla piega che stavano prendendo gli avvenimenti.

“Mio padre mi ha chiesto di partecipare almeno a quest'ultima partita, e non so come ha preso questa mia assenza sul campo...” Mormorò Edward, incupendosi.

“Dovevi continuare a giocare...” Sussurrai, abbassando lo sguardo sulle mie mani che si contorcevano.

“Quando ho visto che te ne stavi andando sono corso qui...” Ammise, distogliendo lo sguardo e concentrandosi sul paesaggio che sfrecciava intorno a noi.

“Non dovevi...” Dissi sempre sottovoce, timorosa che mi sentisse.

“Ora spiegami cosa stai combinando con questo borsone.” Alzai lo sguardo, incontrando i suoi occhi verdi che mi osservavano ardenti.

“Io...”

“Non avrai intenzione di scappare, vero?!” Sbraitò, avvicinando il suo viso al mio.

“Io non... non...” Singhiozzai, mentre sentivo il petto premuto in una morsa che mi mozzava il fiato. “Non posso continuare a vivere qui... non così... non...”

Le sue braccia mi strinsero a sé, mentre una mano si intrufolò nei miei capelli, adagiando il mio capo sulla sua spalla.

“Scusami.” Sussurrò vicino al mio orecchio, mentre tentavo di soffocare i singhiozzi. “Sono stato uno sciocco questa mattina. Non voglio che te ne vada...”

Sgranai gli occhi. Cosa stava dicendo?

“Ma tu non... E Jacob?” Mormorai, confusa.

“Abbiamo parlato e risolto questa mattina...”

Chiusi gli occhi, beandomi di quel contatto così caldo e protettivo per non so quanto tempo. Ma...

Feci una leggera pressione con le braccia contro il suo petto, allontanandolo.

“Cosa c'è?” Mi chiese, confuso dal mio gesto.

“Non posso...” Sussurrai. In quel momento il taxi si fermò davanti le porte del piccolo aeroporto di Port Angeles. Presi alcune banconote dalla mazzetta di dollari che tenevo in tasca e le allungai al tassista, evitando lo sguardo disorientato di Edward. Afferrai il borsone e scesi dall'auto.

“Perché vuoi scappare?” Mi chiese, raggiungendomi mentre percorrevo con passi svelti l'atrio.

“Non sono fatti che ti riguardano.” Sbottai, acida, arrivando a pochi passi dal bancone delle vendite di biglietti.

“Sì che mi riguardano, accidenti!” Urlò, afferrandomi per un braccio e strattonandomi per farmi fermare. Rimasi voltata verso il bancone, cercando di trattenere le lacrime.

“Ti prego, parlami. Dimmi perché te ne vuoi andare, se posso fare qualcosa per farti cambiare idea...” Mi implorò con voce incrinata.

“Non c'è niente che tu possa fare...” Mormorai, affranta.

“Manca poco più di un mese al diploma... Se è perché non vuoi più vedermi nemmeno a scuola, farò del mio meglio per rendermi invisibile ai tuoi occhi, non...”

Singhiozzai.

“Bella, io non...”

“Zitto.” Sussurrai, trattenendomi dall'urlare. “Possibile che non capisci?”

Mi voltai lentamente, con gli occhi arrossati. Edward sembrava sconvolto, e la bocca era dischiusa.

“Non è per colpa tua che voglio andarmene.” Singhiozzai, sentendo il corpo scosso dai tremiti.

“Ma allora...” Scossi il capo, facendo colare sulle guance alcune lacrime.

“Sono stufa di dovermi nascondere Edward. Sono stanca di essere trattata come una schiava da quella che dovrebbe essere come una madre per me, e di essere lo zimbello di tutti. Non riesco ad avere una vita mia in questa città da quando mio padre è morto, e temo che continuando così non la avrò mai. L'unica ragione per cui finora sono rimasta qui eri tu... ma adesso...” Mi interruppi, singhiozzando. Strinsi i pugni, mentre le parole mi uscivano come un fiume in piena. “Adesso non ho più ragione di restare qui. Praticamente non ho nemmeno un posto che potrei chiamare casa... Perché dovrei...?”

Due braccia mi avvolsero, mentre accompagnavano il borsone a terra, liberandomi dal suo peso ingombrante. Il mio viso si nascose contro una camicia bianca, inzuppandola di lacrime e stropicciandola dove i pugni si stringevano in morse stritolanti.

“Non voglio che te ne vada...” Disse con voce tormentata, stringendomi di più a lui. “Non posso stare senza di te...”

Il mio cuore perse qualche battito, per poi iniziare a battere all'impazzata.

“Ma tu... tu mi odi...” Mormorai, sentendomi presa in giro. Quella mattina non sembrava tanto felice di avermi accanto...

Si allontanò da me tanto da potermi guardare negli occhi, lasciando le mie mani strette alla camicia all'altezza del suo petto, e le sue sulle mie spalle. Mi osservava... adirato?

“Cosa stai dicendo?” Mi chiese. “Sei impazzita? Da quando ti dovrei odiare?”

“Ma questa mattina... davanti la scuola...” Sussurrai, timorosa.

“Ero solo confuso, Bella.” Esclamò, esasperato, alzando gli occhi al cielo. “Con tutto il trambusto che c'è stato mi sembra naturale...”

“Quindi non mi odi?” Gli chiesi, sul punto di credergli.

“Certo che no.” Edward mi sorrise dolcemente. Arrossii. Mi accarezzò una guancia, delicatamente, cancellando la scia di una lacrima.

“Edward, io...” Iniziai, trovando improvvisamente il coraggio per aprirgli il mio cuore, ma una voce mi fece sussultare.

“Isabella! Cosa credi di fare qui in aeroporto?!” Mi voltai verso Jennifer, che avanzava velocemente – per quanto i suoi tacchi vertiginosi le permettessero – verso me ed Edward, che aveva fatto scivolare la sua mano dalla mia guancia al braccio, per stringermi di nuovo a lui.

“Jennifer?” Balbettai, stringendomi al fianco di Edward, che improvvisamente si irrigidì.

“Papà...?” Sgranò gli occhi quando vide il dottor Cullen a poca distanza dalla mia matrigna arrivare verso di noi.

Feci un passo indietro, senza lasciare Edward, inciampando nel borsone. Le braccia del mio 'amico' mi salvarono da una brutta caduta, facendomi tornare a pochi centimetri dal suo viso. Arrossii, dimenticandomi per alcuni secondi del 'pericolo' che incombeva su di noi.

Tuttavia mi riscossi non appena il rumore dei tacchi che sbattevano sul pavimento si fece molto, molto vicino. Rimasi aggrappata alla camicia di Edward, voltandomi verso Jennifer, che si fermò ad appena due metri da noi.

“Smettila di comportarti come una bambina, e torna subito a casa!” Mi ordinò la mia matrigna, portandosi le mani ai fianchi.

“Edward.” Carlisle si mise al fianco di Jennifer, guardando preoccupato suo figlio. “Puoi spiegarmi cosa sta succedendo?” Chiese, pacato.

“Dottor Cullen, la prego: resti fuori da questa faccenda, è una cosa che riguarda me e mia figlia.” Sbottò la donna.

“Non sono tua figlia!” Urlai, stringendo i pugni e cercando di fare un passo verso di lei, tentando di districarmi dalle braccia di Edward che mi tenevano stretta a lui. “Dimmi quando mi hai anche solo lontanamente trattato come una figlia! Mi hai sempre e solo sfruttato come una schiava! Io non merito un simile trattamento! Non da te! Non dalla donna che ha gioito quando mio padre è morto!”

Jennifer si immobilizzò, mentre Edward e suo padre si voltarono a guardarla allibiti.

“Io amavo tuo padre...” Mormorò, abbassando lo sguardo.

“Certo,” Sbottai, acida, “amavi il fatto che fosse ricco...”

“Non è vero!” Ribatté, risentita.

Rimasi in silenzio, osservandola con aria di sfida.

“Vuoi sapere per quale mi comporto così con te?!” Iniziò, facendo un passo avanti. “Semplicemente perché sono gelosa. Lo sono sempre stata se proprio vuoi saperlo! Tuo padre ti ha sempre messo davanti a tutto! Persino di me e del suo lavoro! Sai per quale motivo mi ha sposata? Perché sperava che tu potessi riprendere una vita normale dopo la morte di tua madre, senza che ti dovessi preoccupare per la casa e tutto il resto! E c'è un'altra cosa che non ti ha mai detto nessuno: è morto in un incidente stradale, non perché aveva ricevuto una chiamata dalla centrale, ma perché aveva deciso di farti una sorpresa per il tuo compleanno: voleva venire a prenderti dopo scuola e portarti a Jacksonville dai tuoi nonni e zii perché sa quanto ti mancano!” Jennifer prese un profondo respiro, mentre io cercavo di immagazzinare tutte le informazioni. “Sei soddisfatta ora?”

Quindi... mio padre è morto a causa mia...

Sentii le gambe molli. Le braccia di Edward mi sostennero, facendomi appoggiare al suo fianco, con il capo sulla spalla.

“Bella?!” La sua voce allarmata mi arrivava ovattata.

“Dobbiamo stenderla... Portiamola in macchina...” Questa doveva essere la voce del dottor Cullen... Chiusi gli occhi, del resto la vista era offuscata. Due braccia – quelle di Edward, supposi, dato che non mi ero ancora staccata da lui – mi sollevarono da terra, iniziando a trasportarmi in mezzo alla gente. Capii che eravamo di nuovo all'aperto quando avvertii la differenza di temperatura da fresca – per via dell'aria condizionata presente in aeroporto – ad afosa, tipica di quell'ultimo periodo.

Dopo circa un minuto di cammino sentii il rumore di una portiera aprirsi, e subito dopo il soffice contatto con il sedile di un'auto. La mia testa venne appoggiata su qualcosa, lasciando le gambe semidistese. Quando il motore dell'auto prese vita aprii lentamente gli occhi. Avevo il capo poggiato sulle gambe di Edward, che fissava ansioso fuori dal finestrino. Ruotai gli occhi, incontrando la figura di Jennifer. Le informazioni di poco prima tornarono alla memoria e questa volta chiusi gli occhi, perdendomi nell'oblio.

 

Mi rivoltai nel letto, senza riconoscere il materasso – troppo morbido per essere il mio. Non avevo ancora riaperto gli occhi ma la valanga di parole che Jennifer mi aveva rivolto il pomeriggio prima tornarono violente a farmi sussultare e tremare.

Singhiozzai, nascondendo il volto nel cuscino che aveva un profumo particolare.

Un tocco delicato alla spalla mi fece urlare per lo spavento.

“Shh... Bella, sono io...” Sussurrò una voce alle mie spalle. La riconobbi subito, e mi voltai tremante.

“S-Scusa... i-io non sape-vo ci fosse qual-cuno qui...” Balbettai, incontrando i suoi occhi verdi.

Edward mi sorrise dolcemente. “Non ti preoccupare, mi dispiace di averti spaventata...”

Abbassai lo sguardo, arrossendo.

“Da quanto sei qui?” Chiesi, con voce un po' più ferma.

Lo vidi abbassare lo sguardo, grattandosi la nuca.

“Da un po'...” Mormorò, arrossendo. In quel momento lo trovai davvero adorabile. “Hai urlato quasi tutta la notte, non volevo lasciarti da sola...”

“Tutta la notte?” Balzai a sedere, guardandomi per la prima volta intorno. Non era la mia stanza: era bianca e spaziosa. Il letto in cui mi trovavo era da una piazza e mezzo, dalla parte opposta c'era un divano di pelle nera, e contro il muro c'erano degli scaffali strapieni di cd. Inoltre un'enorme finestra mostrava il fiume che scorreva poco distante dalla casa in cui ci trovavamo. A giudicare dal sole che splendeva alto nel cielo doveva essere mattina.

“Questa è...” Incominciai, guardando Edward, seduto su una sedia a fianco del letto.

“La mia stanza, sì.” Disse, sorridendomi amaramente. “Avrei preferito mostrartela in un'occasione migliore, ma è andata così...”

“Perché sono qui?” Gli chiesi, curiosa.

“Ieri sei svenuta, e dopo quello che è successo mio padre ha preferito portarti a casa nostra...”

Annuii, abbassando lo sguardo.

“Come ti senti adesso?” Mi domandò, tastandomi la fronte. Arrossii a quel contatto, soprattutto quando il viso si avvicinò al mio.

“B-Bene...” Mormorai, rimanendo incantata da quegli occhi così verdi e profondi in cui avrei potuto perdermi.

“Ieri sera avevi anche qualche linea di febbre ma per fortuna sembra essere tutto a posto ora.” Mi sorrise, allontanandosi e tornando a mettersi comodo sulla sedia.

Rimasi in silenzio, torturando con le mani un lembo di lenzuolo.

“Cosa pensi di fare adesso...?” Mi chiese a un certo punto, esitante. Sussultai.

“I-Io... non lo so...” Sussurrai.

“Hai ancora intenzione di scappare?” Mi chiese con tono duro, stringendo i denti.

“Non sto scappando!” Esclamai, offesa.

“A me invece sembra proprio che sì! Non è scappando che si risolvono i problemi, ne hai avuto la conferma ieri mattina stessa!” Intuii che si riferiva alla sua litigata con Jacob, tuttavia la mia ira permaneva.

“Cosa ne sai te di quello che ho dovuto passare in tutti questi anni?!” Urlai, alzandomi dal letto. “Tu non puoi sapere cosa si prova a perdere i propri genitori e ritrovarsi con una matrigna e una sorellastra che ti trattano come una schiava e una nullità!”

Mentre parlavo mi allontanavo dal letto, infilandomi le mie scarpe vicino alla porta della camera e afferrando il borsone.

“Aspetta Bella!” Urlò Edward, che si era alzato dalla sedia ed era corso al mio fianco. “Non te ne puoi andare!” Disse, stringendomi un braccio.

“Sì, invece, ed è proprio quello che sto facendo adesso!” Sbottai, e con uno strattone mi liberai della sua presa, correndo lungo un corridoio fino alle scale, che scesi sperando di trovare in fretta l'uscita.

Inconsciamente mi ritrovai a sperare che Edward mi corresse dietro per fermarmi e chiedermi di restare per lui, ma mentre scendevo le scale di quella casa bianca capii che non sarebbe stato così. Una grossa porta di legno nel piccolo atrio in cui mi trovai mi indusse a pensare che si trattava dell'ingresso, così abbassai la maniglia d'ottone, ritrovandomi finalmente all'esterno.

Scesi le scale fino a ritrovarmi sulla ghiaia bianca. Accidenti. La casa era circondata dagli alberi, e l'unica strada asfaltata era piccola e sembrava essere abbastanza lunga. Ma non potevo fermarmi, e poiché non conoscevo l'indirizzo della casa di Edward non potevo nemmeno chiamare un taxi per farmi venire a prendere... Così iniziai a correre – sebbene avessi già il fiatone – lungo la strada circondata dagli alberi.

“Bella!” Il mio cuore, che già galoppava per la corsa, perse un battito, e sentii le gambe improvvisamente molli, ma mi ripresi subito. Non dovevo fermarmi. La voce continuava a chiamarmi, e sapevo che presto sarebbe riuscito a raggiungermi. Dopotutto era pur sempre un giocatore di baseball...

“Fermati, ti prego!” Urlò Edward, guadagnando sempre più terreno verso di me.

“Vattene!” Gridai, cercando di non soffocare a causa del fiato corto. Non sentii più rumori, a parte quello dei miei piedi che premevano contro l'asfalto asciutto, così – senza arrestare la mia corsa sfrenata – voltai leggermente il capo da un lato, sbirciando alle mie spalle. Enorme errore.

Incespicai nei miei stessi piedi, ritrovandomi in un attimo a terra. Il bruciore dell'asfalto che stregava contro i polsi e le ginocchia si fece sentire presto, così come i passi veloci del mio inseguitore.

Non tentai nemmeno di alzarmi, e lasciai che le lacrime scorressero veloci sulle mie guance, disegnandone il profilo e scivolando copiose sull'asfalto, creando tante piccole macchie scure.

“Bella!” Edward si inginocchiò al mio fianco, tendendo le mani verso di me.

“Lasciami in pace... Ti prego...” Singhiozzai, ringraziando che alcuni capelli mi fossero volati davanti al viso, coprendolo un poco.

“Per favore, lascia che ti aiuti...” Sussurrò, posando una mano sulla mia schiena.

“Tu non mi capisci...” Sussurrai, facendo forza sugli avambracci per alzarmi – i polsi mi bruciavano incredibilmente. Tenni le mani con il palmo rivolto verso il basso, per evitare che Edward li notasse, ma ovviamente aveva già intuito tutto; infatti, con delicatezza, mi portò ad aprire le mani davanti a noi. Non era niente di troppo grave, solo una leggera sbucciatura da cui fuoriusciva un po' di sangue, ma alcuni pezzi di terriccio rischiavano di infettarla.

“Dobbiamo disinfettare...” Mormorò, senza alzare gli occhi per incontrare i miei.

“Lo farò in aeroporto...” Scrollai le spalle, liberandomi dalla sua delicata presa.

“Per favore, vieni a casa mia. Ti medicherò e se vorrai ti chiamerò un taxi per andare ovunque tu voglia...” Mi supplicò, con il tono intriso di dolore. Sentii dei brividi scuotermi quando incontrai i suoi occhi verde smeraldo. Perché volevo accettare la sua proposta? E per quale motivo nello stesso momento una vocina dentro di me mi suggeriva di andarmene prima che la situazione precipitasse?

“Va-Va bene...” Sussurrai, senza rompere il nostro contatto visivo che mi stava facendo provare una strana sensazione di sconvolgimento dentro lo stomaco, molto simile a quella provata la prima volta che ci eravamo incontrati e a quando ci eravamo... baciati nello sgabuzzino della scuola.

Solo quando notai il suo sorriso e i suoi occhi illuminarsi leggermente capii ciò che avevo appena fatto: gli stavo dando false speranze. Io non avevo alcuna intenzione di restare in quella città... o forse sì?

“Vieni...” Mi aiutò a rialzarmi, ma non appena fui dritta feci una smorfia: da seduta non avevo capito che anche le ginocchia si erano sbucciate. Mi piegai leggermente, cercando di tirare un poco la pelle per alleviare il bruciore che provavo quando la parte lesa si aggrottava, entrando in contatto con altra pelle.

Edward capì il mio problema e mi passò un braccio intorno alla vita, sostenendo gran parte del mio peso, così che a mala pena i miei piedi toccavano terra. Arrossi sentendomi così a stretto contatto con lui, e dovetti cercare di concentrarmi sui miei passi, per evitare di pensare al suo respiro che a volte soffiava contro la mia guancia e i miei capelli, facendomi perdere la cognizione del tempo e dello spazio.

Quando arrivammo dentro casa mi fece accomodare su un enorme divano bianco, proprio come il salone in cui ci trovavamo. Sparì per alcuni minuti, per poi ricomparire con una cassetta del pronto soccorso fra le mani.

Si sedette al mio fianco, iniziando ad armeggiare fra le varie attrezzature mediche. Impregnò un pezzo di cotone idrofilo con dell'acqua ossigenata, e trattenni il respiro quando gli porsi i polsi per farmi medicare.

“Sai che non vorrei farti male ma...” Mormorò, guardandomi con aria colpevole. Scossi il capo, facendolo tacere. Lentamente iniziò a disinfettarmi la ferita, che bruciava più di quanto mi sarei aspettata.

Mentre armeggiava con il cotone osservai il suo volto perfetto, dalla pelle chiara a quegli occhi che mi avevano rapita fin da subito. I capelli erano più scompigliati del solito e la fronte era leggermente aggrottata, nel tentativo di... concentrarsi?

“Cosa...” Iniziò, fermando per un secondo il movimento della mano. “Cosa pensi di fare... dopo?”

Un brivido mi percorse la schiena. “Non lo so...”

“Se...” Strinse con forza il batuffolo sporco di sangue e terriccio, facendo colare un po' di acqua ossigenata. “Se ti chiedessi di restare...” Sussultai a quelle parole, “Cosa mi risponderesti?”

Abbassai lo sguardo, arrossendo. Dovevo cercare un modo per evitare quella domanda.

“Guarda...” Mormorai, afferrando la sua mano stretta a pugno. “L'acqua ossigenata ti sta rovinando la pelle... Vai a sciacquarti...”

“Ti prego, non cambiare discorso.” Mi disse con tono duro. Mi incupii. Sapevo che non sarebbe cascato nel mio tentativo di cambiare discorso. Visto il mio lungo silenzio mi incitò, “Per favore Bella, ho bisogno di sapere... Non voglio che te ne vada da questa città, ma non posso nemmeno costringerti a restare qui, rendendoti infelice...”

Non sarei riuscita a resistere oltre. Trattenendo il respiro mormorai a bassa voce “Devo andare.”

E così feci. Mi alzai dal divano facendo scivolare la mia mano dalle sue, ma questa volta la sua reazione fu immediata. Balzò in piedi, e mi fermò afferrandomi il braccio.

“No. Bella devi darmi una risposta. Una delle cose che ho imparato stando insieme a te in questi mesi è che non si può scappare per sempre ai propri problemi. Io... ho bisogno di sapere se c'è anche solo una piccola speranza che tu resti in questa città. Ti prego, rispondimi.” Disse tutto d'un fiato, mentre io restavo voltata di spalle.

Sentii il cuore in subbuglio. “Perché vuoi che resti?” Mormorai, sentendo il fiato mancarmi.

“Perché non sono in grado di vivere senza di te!” Urlò disperato Edward, facendomi voltare e scuotendomi leggermente.

Sgranai gli occhi, che minacciavano di riempirsi di lacrime. Lui rimase immobile, a fissarmi con il volto leggermente arrossato e le sopracciglia corrugate per la disperazione.

“I-Io...” Balbettai, non sapendo cosa dire, colta alla sprovvista da quella rivelazione. Tuttavia allo stupore iniziale si sostituirono la delusione e... la tristezza. Delusione perché ancora una volta mi stava mentendo, tristezza perché io come una sciocca stavo per credergli nuovamente, ma soprattutto perché avrei voluto che quelle parole fossero sincere. “Non ti credo.” Soffiai, sentendo gli occhi diventare lucidi.

Edward sgranò gli occhi, completamente stupito. “Come?”

“Non ti credo, Edward. Non è necessario che tu dica simili cose per farmi restare, solo perché ti senti in colpa.” Dissi d'un fiato, cercando di trattenere le lacrime. “Davvero, non devi preoccuparti per me, sto bene.”

Edward mi osservò confuso. “Bella, di cosa stai parlando?”

Scossi il capo, allontanandomi dalla sua presa. “Non serve che fingi ancora, ho capito benissimo cosa provi... Ma non devi preoccuparti per me... Sto bene...” Ripetei, sfoderando un sorriso che non esprimeva la benché minima gioia.

Edward mi guardava basito, con la bocca dischiusa e le mani tese a mezz'aria verso di me. Arretrai ancora di qualche passo, continuando a ripetere parole come un mantra. “Sto bene... Sto bene...” Ma ad ogni parola il mio sorriso diveniva sempre più fasullo, fino a trasformarsi in una smorfia di dolore, e le lacrime presero il sopravvento, riversandosi sulle mie guance.

Mi voltai, pronta a scappare per l'ennesima volta, ma mi ritrovai stretta in un caldo abbraccio, con il volto premuto dolcemente contro una camicia, che man mano iniziai ad inzuppare di lacrime. Singhiozzai contro il petto di Edward, sfogandomi di tutta la frustazione che in quel momento provavo, senza che lui si lamentasse.

Tuttavia anche quando terminai le lacrime rimasi stretta nel suo abbraccio. Lì mi sentivo protetta, al sicuro e... amata. Chiusi gli occhi, appoggiando la testa sul petto di lui, in attesa che il mio cuore riprendesse un ritmo normale, ma la sua vicinanza non me lo permise. Quando tornai abbastanza lucida da rendermi conto di quello che stavo facendo mi imposi di separarmi da lui. Non potevo rimanere ancora a lungo o avrei rischiato di cambiare idea e quindi rimanere ferita di nuovo...

Mi separai da lui dolcemente, senza movimenti bruschi.

“Devo andare...” Sussurrai, ma le sue braccia non sembravano volermi lasciare. Dopo alcuni secondo però sciolse la presa, sospirando frustato.

Mi allontanai senza dire una parola, raggiungendo l'ingresso.

“Come puoi non credermi?!” Sbraitò Edward, quando la mia mano era già sulla maniglia della porta. Mi voltai stizzita, ma le sue braccia mi spinsero contro la porta, bloccandomi. La distanza tra i nostri visi era bravissima, così corta che potevo sentire il suo respiro sfiorarmi le labbra. “Come puoi pensare, dopo tutto quello che abbiamo passato, che ti stia mentendo?!”

Fu un attimo. Annullò definitivamente la distanza fra di noi, facendo sfiorare le nostre labbra in un bacio delicato, che subito però divenne molto più profondo, e carico di un bisogno che entrambi provavamo.

Le mie mani corsero ad accarezzargli i capelli, mentre le sue sfioravano delicate il mio collo, infiltrandosi fra i capelli.

Quando le nostre labbra si separarono appoggiò la fronte alla mia, accarezzandomi una guancia accaldata con una mano, mentre l'altra rimaneva sul mio collo.

“Ti amo.” Sussurrò sulle mie labbra, guardandomi negli occhi. Il mio cuore, che già batteva all'impazzata, se possibile aumentò il suo ritmo, mentre un sorriso spontaneo nacque sulle mie labbra. Non mi stava mentendo, quella volta ne ero certa. Nei suoi occhi lessi tutta la sua sincerità, e un'intensità che mi sconvolse.

“Anch'io...” Soffiai, emozionata. Era la verità. L'avevo capito da tempo ormai.

Mi sfiorò dolcemente le labbra con le sue, facendomi venire i brividi.

“Non te ne andare...” Mormorò, stringendomi in un abbraccio.

“Promettimi che mi starai vicino...” Lo implorai, nascondendo il viso nel suo petto.

“Te lo prometto.” Disse. E un altro bacio suggellò quella sua promessa.

   
 
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