La reincarnazione
La coda
nell’estremo spasmo sboccò sangue scuro dalla
radice recisa ed ebbe gli ultimi
fremiti come la coda di una lucertola. Vegeta boccheggiò
inerte, ma sveglio.
Era
impressionante che non fosse svenuto dal dolore: aveva le palle degli
occhi che
gli volevano uscire dalle orbite, livide ed iniettate di rosso per il
sangue
che premeva dietro.
Sembrava molto
più morto che vivo, tremava ed il fiato gli volava via in
nuvolette rade, e gelide
per il freddo.
Goku ebbe
compassione di quella giovane vita, così audace,
così tanto più forte ed
esuberante delle altre, e del Vegeta bimbo, impuro e senza quel candore
infantile che è alla natura del fascino dei bambini: era
nato impuro perché l’acqua
miracolosa del Lete non aveva eliminato fino al fondo le turpitudini
dalla
memoria.
L’acqua
non avrebbe mai potuto cambiar l’anima a Vegeta, ma solo
espiarla da tutta la
sua vita, da tutte le sue colpe, dalla memoria, dal dolore,
dall’amore che aveva
portato con sè.
Seppur ingenuo Goku poteva vantar una rara qualità: la
finezza di fiuto per l'animo umano, la stessa per cui aveva concesso a
molti avversari, per istinto quell'istinto e per la sua
bontà, una seconda occasione per passar dalla parte giusta.
Ed ora si
accorgeva che della precedente vita di Vegeta era restato il peggio: il
rancore cieco, sprofondato in recessi
segreti, ma inobliabile.
Goku
pensò l’avesse sempre conservato, senza saperlo,
contro di lui, ed era più
forte di Vegeta sentirlo per chiunque. Ma riapparso Goku, aveva
ritrovato la
valvola di sfogo originale.
Vegeta
tremava di fragilità, gli occhi gli si chiudevano ed aveva
già un piede sulla
soglia di un sogno, Goku gli toccò la fronte e si accorse
che scottava.
Lo sollevò delicatamente mezzo svenuto, lo
strinse tra le braccia, sperando di scaldarlo col suo calore umano, e
prese il
volo.
Arrivato
nei quartieri di livello più basso, toccato il piano terra
del pianeta con il
piede, ritornò nella casa del vecchio Sam.
Consegnò nelle sue braccia il
bambino e la coda.
-Cosa
significa?- disse tenendo tra due dita, lontano da sè,
l'appendice insanguinata.
-Gliela ho tagliata, per non correre un rischio- fece Goku, vago
–l’ho fatto mentre
dormiva, s’era addormentato sulla cima d’un
palazzo- mentì con poca
disinvoltura, mangiandosi le parole e prendendo grandi respiri.
-Che
rischi va profetizzando? Cosa cercava di dirmi l’altra sera,
lei?- il mal garbo
delle parole faceva contrasto con la delicatezza e
l’amorevolezza con cui
riboccava le coperte al Vegeta bambino e gli sfiorava la fronte con una
carezza
sfuggente.
Goku
l’asciò cadere le domande con uno stupido sorriso
di circostanza.
-Ha la
febbre- concluse –Comunque la coda ricrescerà.
Vedrete; quando ormai avrete smesso di
ricordare che l’aveva, bum!, Vegeta se la
ritroverà tra le gambe. Ma non si
preoccupi: per la coda di un bambino ci vorranno circa un paio di anni-
-Perché
senza coda non si corre un rischio?
Me
lo spieghi-
Goku si
passò una mano dietro la nuca, come per chi vuol tirarsi
fuori d’impaccio
dimostrando di esser genuino e ingenuo, ed anche un po’ fesso.
Poi vedendo
che non funzionava e che il vecchio lo osservava con occhi brutali e
duri, che
pensò somigliassero a quelli del figlioccio, Goku
sospirò ed in tono profetico
bisbigliò controvoglia all’orecchio di Sam
–Senza coda, con la luna piena, non
ci saranno problemi-
-Che legame
c’è tra uno stupido storpio e una maledetta luna
pie…?- ribatté come se avesse
fatto finta di non capire cosa ci fosse tra la coda ed il plenilunio.
-Vegeta
non è storpio, fa parte della sua specie aver la coda-
Sam
impietrì e tutto il sangue gli defluì dalla
faccia… ci fu un silenzio gravoso per entrambi gli uomini e
quell'atmosfera fu indifferente solo al sonno
di Vegeta.
-Sapevo che di Sayan non ce ne fossero
più…così, col
tempo, ho pensato che il ragazzino fosse qualcosa come …un
bastardo di qualche
specie…un figlio illegittimo…-
-No, temo
di no, quella coda è proprio ciò che sembra-
disse e suonò come se volesse
scusarsi per Vegeta. Poi gli rivolse il suo sorriso più
pulito ed ingenuo
–Comunque aveva ragione: di
Sayan non ce ne sono più in vita- e fece tintinnar
l’aureola…
Dodici anni
dopo…
Sospirò e
striscò con la schiena a terra, stesa sotto il motore
dell’astronave, mentre
Paul la attrezzava quando gli chiedeva di passarle un saldatore o una
pinza.
Si
aiutò con le gambe e quando vide la luce tese le braccia
verso l’alto e Paul la
sollevò di peso rimettendola in piedi.
Osservando
lavorare Paul su tutti quegli attrezzi e quelle macchine, la meccanica,
che
aveva già aveva per lei un grande ascendente fin da piccola,
l’aveva coinvolta
e aveva cominciato a far prodigi di intelligenza e maestria con Paul e
ad
intendersene molto più di lui di macchine.
-Ahi, mi
fa male il braccio- si era addormentato con le pinze in mano e si
tastava la
giuntura con la mano più reattiva.
Neanche Paul riuscì ad aver la solita
delicatezza e si tappò il naso con un fazzoletto -Vatti a
fare una doccia, fai
proprio schifo- disse voltandosi per non respirarle vicino.
Sotto la
fuliggine gli occhi di Klareth mandarono lampi azzurri di rancore
-Si è
vero, faccio schifo, ma sarebbe meno avvilente se tu facessi finta di
non sentirlo-
-È
impossibile starti vicino e far finta di nulla- protestò
premendo di più il
fazzoletto sul naso –quasi mi fai lacrimare gli occhi-
-E io che
l’ho fatto per te, per aiutarti!- fece con una smorfietta di
finta delusione
–Sii gentile e passami quello straccio, vuoi?-
Paul lo
gettò da una debita distanza, facendo finta di soffocarsi
con una tosse da
avvelenamento.
-Divertente-
commentò Klareth con sarcasmo acido e si pulì il
viso lasciando qualche macchia
che faceva contrasto con il suo volto pieno e pallido come la luna,
d’un
candore sano e roseo sulle guance –Sei un uomo adulto,
comportati bene-
Decise
di andar a farsi una doccia come pregava Paul senza sopportare oltre le
sue
frecciatine avvelenate, ma si accorse che, di nuovo, la osservava
dietro il
fazzoletto con quello sguardo curioso e fiero di una madre o una
sorella che
sta per dirti che sei cresciuta di qualche centimetro.
-Cosa
c’è?! Non puzzavo?- fece esasperata.
-Niente,
pensavo…sei così diversa dalla piccola Klareth,
potreste non aver nulla a che
fare l’una
con l’altra se non fosse per i capelli, gli occhi, e il
caratterino
irritante- scherzò.
Per lui
era rimasta la bambina che teneva sulle spalle a sei anni.
-Sono
sempre felice di sorprenderti- fece con un sorriso, un mezzo inchino e
si buttò un asciugamano
sulla spalla uscendo platealmente dal laboratorio: si fermò
a controllare che
Paul la stesse guardando per voltargli meglio la testa, lasciare la
porta
aperta e marciare verso il piano di sopra ridacchiando.
Tracciò
una scia di impronte di suole di scarponi unti di grasso in direzione
del bagno
di casa; una volta occhi negli occhi con se stessa nello specchio,
vedendo il suo doppio
trasandato e antigienico, pensò che il suo aspetto fosse un
affronto alla pulizia
personale.
Si
spogliò e si infilò sotto lo scroscio intenso
dell’acqua calda e nel vapore al
profumo di fragola pensando a come Paul fosse infantile e poco
serio.
La loro
era quel tipo di amicizia sincera e poetica tra uomo e donna, che non
può diventare
amore, per lei era come aver un fratello che si ama con tutto il cuore
di amore
solo fraterno e di casi come i loro lei ne conosceva pochi esempi.
Paul in
qualche modo nella scala della sua stima occupava un gradino
più alto dei suoi
genitori; aveva un animo infantile, tenero, ed anche un po’
incline alla tristezza e alla
nostalgia. Simile al suo, ma meno saccente ed irritante.
Si sfregò con molta forza perché con altrettanta
ostinazione lo
sporco si rifiutava di staccarsi dalla pelle e di cadere nello scarico.
Alla
fine, quando le sembrò di esser di nuovo decente, pulita,
con i capelli pesanti
d’acqua e goccioline brillanti afferrò
l’asciugamano dietro
la tenda e se lo avvolse sul corpo.
Vestita e pulita, tornò da Paul.
-Allora
funziona bene? Ci sono problemi?- si sfregò le mani provando
quella moderata soddisfazione per i suoi lavori ben eseguiti.
Vide
nelle lenti di Paul le immagini dello schermo che fissava e dietro di
esse i suoi occhi azzurri, di solito pacifici, ora perplessi.
-C’è
qualcosa che non va?- si avvicinò di più al
computer e vide su uno schermo,
diviso da una rete di linee in tanti quadrati, un puntino lampeggiare
in modo irregolare e avvicinarsi
ad un punto fermo, più grosso e arancione, al centro dello
schermo.
-Cos’è?-
Paul continuò a fissarlo prima di accorgersi della seconda
volta che glielo chiedeva e allora
additò il punto arancione sfiorando con le dita lo schermo.
-Questo è
il nostro pianeta- disse aggrottando la fronte e deglutendo –
invece questo punto che
lampeggia, quello rosso, si, è un corpo meccanico, una
navicella. La vedo sullo
schermo perché emana queste onde che la distinguono dai
corpi celesti, ma
qualcosa le disturba e perciò lampeggia. Non riesco a capire
cosa possa essere…-