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Autore: trullitrulli    08/10/2009    0 recensioni
Ormai è giunta l'ora per mirai no Bulma di lasciare la terra, ma lei porta ancora in fondo al cuore il lutto per la morte di Vegeta.Non nutre false speranze; sa che non sarà possibile rivederlo nell'aldilà perciò trova la forza di esprimere un desiderio che solo re Yhammer può esaudire.
Voleva una seconda chanse, voleva, per se stessa e per Vegeta, un'altra vita, per assolvere i peccati della precendente.
Genere: Romantico, Triste, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bulma, Goku, Nuovo personaggio, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La reincarnazione

La coda nell’estremo spasmo sboccò sangue scuro dalla radice recisa ed ebbe gli ultimi fremiti come la coda di una lucertola. Vegeta boccheggiò inerte, ma sveglio.
Era impressionante che non fosse svenuto dal dolore: aveva le palle degli occhi che gli volevano uscire dalle orbite, livide ed iniettate di rosso per il sangue che premeva dietro.
Sembrava molto più morto che vivo, tremava ed il fiato gli volava via in nuvolette rade, e gelide per il freddo.
Goku ebbe compassione di quella giovane vita, così audace, così tanto più forte ed esuberante delle altre, e del Vegeta bimbo, impuro e senza quel candore infantile che è alla natura del fascino dei bambini: era nato impuro perché l’acqua miracolosa del Lete non aveva eliminato fino al fondo le turpitudini dalla memoria.
L’acqua non avrebbe mai potuto cambiar l’anima a Vegeta, ma solo espiarla da tutta la sua vita, da tutte le sue colpe, dalla memoria, dal dolore, dall’amore che aveva portato con sè.
Seppur ingenuo Goku poteva vantar una rara qualità: la finezza di fiuto per l'animo umano, la stessa per cui aveva concesso a molti avversari, per istinto quell'istinto e per la sua bontà, una seconda occasione per passar dalla parte giusta.
Ed ora si accorgeva che della precedente vita di Vegeta era restato il peggio: il rancore cieco, sprofondato in recessi segreti, ma inobliabile.
Goku pensò l’avesse sempre conservato, senza saperlo, contro di lui, ed era più forte di Vegeta sentirlo per chiunque. Ma riapparso Goku, aveva ritrovato la valvola di sfogo originale.
Vegeta tremava di fragilità, gli occhi gli si chiudevano ed aveva già un piede sulla soglia di un sogno, Goku gli toccò la fronte e si accorse che scottava.
Lo sollevò delicatamente mezzo svenuto, lo strinse tra le braccia, sperando di scaldarlo col suo calore umano, e prese il volo.

 
Arrivato nei quartieri di livello più basso, toccato il piano terra del pianeta con il piede, ritornò nella casa del vecchio Sam. Consegnò nelle sue braccia il bambino e la coda.
-Cosa significa?- disse tenendo tra due dita, lontano da sè, l'appendice insanguinata.
-Gliela ho tagliata, per non correre un rischio- fece Goku, vago –l’ho fatto mentre dormiva, s’era addormentato sulla cima d’un palazzo- mentì con poca disinvoltura, mangiandosi le parole e prendendo grandi respiri.
-Che rischi va profetizzando? Cosa cercava di dirmi l’altra sera, lei?- il mal garbo delle parole faceva contrasto con la delicatezza e l’amorevolezza con cui riboccava le coperte al Vegeta bambino e gli sfiorava la fronte con una carezza sfuggente.
Goku l’asciò cadere le domande con uno stupido sorriso di circostanza.
-Ha la febbre- concluse –Comunque la coda ricrescerà. Vedrete; quando ormai avrete smesso di ricordare che l’aveva, bum!, Vegeta se la ritroverà tra le gambe. Ma non si preoccupi: per la coda di un bambino ci vorranno circa un paio di anni-
-Perché senza coda non si corre un rischio? Me lo spieghi-
Goku si passò una mano dietro la nuca, come per chi vuol tirarsi fuori d’impaccio dimostrando di esser genuino e ingenuo, ed anche un po’ fesso.
Poi vedendo che non funzionava e che il vecchio lo osservava con occhi brutali e duri, che pensò somigliassero a quelli del figlioccio, Goku sospirò ed in tono profetico bisbigliò controvoglia all’orecchio di Sam –Senza coda, con la luna piena, non ci saranno problemi-
-Che legame c’è tra uno stupido storpio e una maledetta luna pie…?- ribatté come se avesse
fatto finta di non capire cosa ci fosse tra la coda ed il plenilunio.
-Vegeta non è storpio, fa parte della sua specie aver la coda-
Sam impietrì e tutto il sangue gli defluì dalla faccia… ci fu un silenzio gravoso per entrambi gli uomini e quell'atmosfera fu indifferente solo al sonno di Vegeta. 
-Sapevo che di Sayan non ce ne fossero più…così, col tempo, ho pensato che il ragazzino fosse qualcosa come …un bastardo di qualche specie…un figlio illegittimo…-
-No, temo di no, quella coda è proprio ciò che sembra- disse e suonò come se volesse scusarsi per Vegeta. Poi gli rivolse il suo sorriso più pulito ed ingenuo –Comunque aveva ragione: di
Sayan non ce ne sono più in vita- e fece tintinnar l’aureola…

 
Dodici anni dopo

 Klareth osò passare le dita inguantate nella chioma turchina raschiando il grasso, si toccò anche la bella fronte diafana nell’atto di scostarsi la frangetta unta e sentì che anche sulla radice dei capelli e sulla pelle c’era una velatura di sudore, ma mai avrebbe puzzato tanto come l’odore della benzina che si portava sui vestiti.
Sospirò e striscò con la schiena a terra, stesa sotto il motore dell’astronave, mentre Paul la attrezzava quando gli chiedeva di passarle un saldatore o una pinza. 
Si aiutò con le gambe e quando vide la luce tese le braccia verso l’alto e Paul la sollevò di peso rimettendola in piedi.
Osservando lavorare Paul su tutti quegli attrezzi e quelle macchine, la meccanica, che aveva già aveva per lei un grande ascendente fin da piccola, l’aveva coinvolta e aveva cominciato a far prodigi di intelligenza e maestria con Paul e ad intendersene molto più di lui di macchine.
-Ahi, mi fa male il braccio- si era addormentato con le pinze in mano e si tastava la giuntura con la mano più reattiva. 
Neanche Paul riuscì ad aver la solita delicatezza e si tappò il naso con un fazzoletto -Vatti a fare una doccia, fai proprio schifo- disse voltandosi per non respirarle vicino.
Sotto la fuliggine gli occhi di Klareth mandarono lampi azzurri di rancore
-Si è vero, faccio schifo, ma sarebbe meno avvilente se tu facessi finta di non sentirlo-
-È impossibile starti vicino e far finta di nulla- protestò premendo di più il fazzoletto sul naso –quasi mi fai lacrimare gli occhi-
-E io che l’ho fatto per te, per aiutarti!- fece con una smorfietta di finta delusione –Sii gentile e passami quello straccio, vuoi?-
Paul lo gettò da una debita distanza, facendo finta di soffocarsi con una tosse da avvelenamento.
-Divertente- commentò Klareth con sarcasmo acido e si pulì il viso lasciando qualche macchia che faceva contrasto con il suo volto pieno e pallido come la luna, d’un candore sano e roseo sulle guance –Sei un uomo adulto, comportati bene- 
Decise di andar a farsi una doccia come pregava Paul senza sopportare oltre le sue frecciatine avvelenate, ma si accorse che, di nuovo, la osservava dietro il fazzoletto con quello sguardo curioso e fiero di una madre o una sorella che sta per dirti che sei cresciuta di qualche centimetro.
-Cosa c’è?! Non puzzavo?- fece esasperata.
-Niente, pensavo…sei così diversa dalla piccola Klareth, potreste non aver nulla a che fare l’una
con l’altra se non fosse per i capelli, gli occhi, e il caratterino irritante- scherzò.
Per lui era rimasta la bambina che teneva sulle spalle a sei anni.
-Sono sempre felice di sorprenderti- fece con un sorriso, un mezzo inchino e si buttò un asciugamano sulla spalla uscendo platealmente dal laboratorio: si fermò a controllare che Paul la stesse guardando per voltargli meglio la testa, lasciare la porta aperta e marciare verso il piano di sopra ridacchiando.
Tracciò una scia di impronte di suole di scarponi unti di grasso in direzione del bagno di casa; una volta occhi negli occhi con se stessa nello specchio, vedendo il suo doppio trasandato e antigienico, pensò che il suo aspetto fosse un affronto alla pulizia personale.
Si spogliò e si infilò sotto lo scroscio intenso dell’acqua calda e nel vapore al profumo di fragola pensando a come Paul fosse infantile e poco serio. 
La loro era quel tipo di amicizia sincera e poetica tra uomo e donna, che non può diventare amore, per lei era come aver un fratello che si ama con tutto il cuore di amore solo fraterno e di casi come i loro lei ne conosceva pochi esempi.
Paul in qualche modo nella scala della sua stima occupava un gradino più alto dei suoi genitori; aveva un animo infantile, tenero, ed anche un po’ incline alla tristezza e alla nostalgia. Simile al suo, ma meno saccente ed irritante. 
Si sfregò con molta forza perché con altrettanta ostinazione lo sporco si rifiutava di staccarsi dalla pelle e di cadere nello scarico.
Alla fine, quando le sembrò di esser di nuovo decente, pulita, con i capelli pesanti d’acqua e  goccioline brillanti afferrò l’asciugamano dietro la tenda e se lo avvolse sul corpo. 
Vestita e pulita, tornò da Paul.
-Allora funziona bene? Ci sono problemi?- si sfregò le mani provando quella moderata soddisfazione per i suoi lavori ben eseguiti.
Vide nelle lenti di Paul le immagini dello schermo che fissava e dietro di esse i suoi occhi azzurri, di solito pacifici, ora perplessi.
-C’è qualcosa che non va?- si avvicinò di più al computer e vide su uno schermo, diviso da una rete di linee in tanti quadrati, un puntino lampeggiare in modo irregolare e avvicinarsi ad un punto fermo, più grosso e arancione, al centro dello schermo.
-Cos’è?-
Paul continuò a fissarlo prima di accorgersi della seconda volta che glielo chiedeva e allora additò il punto arancione sfiorando con le dita lo schermo.
-Questo è il nostro pianeta- disse aggrottando la fronte e deglutendo – invece questo punto che lampeggia, quello rosso, si, è un corpo meccanico, una navicella. La vedo sullo schermo perché emana queste onde che la distinguono dai corpi celesti, ma qualcosa le disturba e perciò lampeggia. Non riesco a capire cosa possa essere…-

  
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