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Autore: hotaru    10/10/2009    4 recensioni
“Nell’Ade, il regno dei morti,
vi sono le tre Moire,
che reggono le sorti degli dei e degli uomini:
Cloto dipana il filo della vita,
Lachesi ne misura la lunghezza,
Atropo lo recide.”

Ed guardò attentamente gli arnesi che si trovavano accanto all’anziana signora. Oltre a un ammasso di reti e qualche ago in un puntaspilli, c’erano anche un fuso e un lungo paio di forbici in ferro, che gli misero inconsciamente i brividi.
- No, Ed – replicò tranquillamente l’altro, con lo stesso tono dolce che aveva sua madre quando lui faceva il testardo. Non si era mai accorto di quanto Al le assomigliasse – Non ha funzionato a causa nostra. Non abbiamo stretto il patto di sangue al momento giusto -.
Prima classificata al contest "E' in arrivo l'estate" di Hikaru_Zani e al "Contest a Multisquadre" di Rota23 e Happy_Pumpkin
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Dante, Edward Elric, Winry Rockbell
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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6- Lappate sulle orecchie Lappate sulle orecchie


“Altre tre donne sedevano in cerchio a uguale distanza,
ciascuna sul proprio trono:
erano le Moire figlie di Ananke,
Lachesi, Cloto e Atropo,
vestite di bianco e col capo cinto di bende;
sull’armonia delle Sirene
Lachesi cantava il passato,
Cloto il presente,
Atropo il futuro.”

(dalla “Repubblica” di Platone)



Steso per terra fra l’erba della radura, guardava senza vederlo il cielo limpido di quel giorno.
Al era accanto a lui, vicino eppure così lontano, ma non ne sentiva la voce da quasi un’ora. Le formiche avevano iniziato a camminargli lungo braccia e gambe, e gli scarabei l’avevano scelto come “masso prediletto” per prendere il sole. Ma non gli importava.
Come poteva splendere il sole?
Un sole limpido in una giornata calda, non troppo afosa, semplicemente perfetta. Niente pioggia, venti, uragani o trombe d’aria. Niente che rispecchiasse quella violenta tempesta che sentiva dentro.
Quella luce calda e dorata sembrava una beffa vera e propria, un’assurda presa in giro, com’era stato forse tutto ciò che avevano vissuto in quei giorni.
Non aveva funzionato. Non era servito a niente. Quella vecchia li aveva ingannati. Ma forse non avrebbero mai dovuto fidarsi di una creatura della morte.
Continuava a stringere spasmodicamente la mano sinistra, tormentandosi la ferita sull’indice, incapace di accettare la realtà.
Le cicale cantavano forte anche quel giorno, unica cosa a cui era grato perché per parlare con Al avrebbe dovuto quasi gridare. E non gli andava proprio di farlo.
Ma si era sbagliato, perché quando il fratello aprì bocca Ed sentì la sua voce arrivare limpida e chiara al suo orecchio.
- Abbiamo sbagliato noi -.
Ed deglutì piano prima di rispondere, cercando di assumere un tono arrabbiato senza far tremare la voce.
- Siamo stati degli stupidi a fidarci di lei. Che fosse una Parca è fuori da ogni dubbio, ma quello che le interessava davvero era tagliare il suo filo. Figurarsi se avrebbe detto la verità a degli stupidi esseri umani -.
- No, lei non ci ha ingannato. È stata colpa nostra -.
Fu come se Al gli avesse lanciato una pietra sulla fronte. Non era abituato al fatto che suo fratello lo contraddisse così, e che la sua voce fosse tanto tranquilla nel dire una cosa del genere.
No. Non era stata colpa loro.
- Ti sbagli – disse Ed con voce atona, irrigidendosi.
- No, Ed – replicò tranquillamente l’altro, con lo stesso tono dolce che aveva sua madre quando lui faceva il testardo. Non si era mai accorto di quanto Al le assomigliasse – Non ha funzionato a causa nostra. Non abbiamo stretto il patto di sangue al momento giusto -.
- Che cosa… cosa dici? – fece Ed, esterrefatto.
- Non abbiamo giurato sulla mamma – continuò Al, la voce colpevole ma pacata di fronte alla realtà dei fatti – Forse l’abbiamo fatto a parole, ma non è arrivato al sangue. Non l’abbiamo fatto per lei -.
Ed non rispose. Gli era venuta una gran voglia di picchiare suo fratello.
- Il vero patto l’abbiamo stretto dopo, vicino al bosco. Abbiamo giurato su di noi -.
- No che non l’abbiamo fatto. Non abbiamo detto niente – scandì Ed a denti stretti.
- Le parole non servivano. Non l’abbiamo fatto veramente per la mamma… l’abbiamo fatto per noi -.
Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Ed si girò, saltò addosso al fratello e lo prese per il colletto, inchiodandolo a terra.
- NON È VERO! – urlò, con quanto fiato aveva in corpo. Non sapeva cosa lo stesse trattenendo dal dargli un pugno – Noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo! Eravamo disposti ad accorciare le nostre vite… abbiamo usato il nostro sangue! -.
- Sì, ma non l’abbiamo fatto per lei -.
Le parole di Al erano quanto di più affilato avesse mai sentito in vita sua. Non ricordava che una semplice frase gli avesse mai fatto così male.
Eppure… eppure Al non lo stava provocando. Era come la mamma: diceva solo la verità, solo ciò in cui credeva davvero.
Al era come la mamma e lui… lui… come chi? Come suo padre?
Fu questo pensiero a fargli alzare definitivamente la mano e fargli colpire Al con un pugno ben assestato.
Ciò che lo mandò più in bestia fu che il fratello non accennò minimamente a reagire.
Aveva già rialzato il braccio, pronto a colpire di nuovo, quando un peso sconosciuto gli si avventò contro, allontanandolo da Al e scaraventandolo a terra.
Fu solo dopo aver ricevuto un sonoro schiaffo che sembrò tornare in sé, e si accorse di essere bloccato da qualcuno la cui figura si stagliava contro il sole, il che gli rendeva difficile riconoscerla.
- Si può sapere che diamine stavi facendo? – lo apostrofò una voce arrabbiata sopra la sua testa. Una voce inconfondibile.
- Winry? – chiese, cercando di riprendere il controllo della mandibola colpita.
- Non azzardarti a colpire Al un’altra volta, mi sono spiegata? -.
- Spostati, stupida. Non sono affari tuoi -.
Sciaf. Un altro colpo sembrò davvero mettergli fuori uso la mandibola.
- Non-darmi-della-stupida! – urlò lei, rossa e furiosa – Sei tu lo stupido qui, l’idiota più idiota che conosco! -.
- Winry, no! Aspetta… - la voce di Al si intromise, sbalordita dalla veemenza dell’amica - Ed è solo sconvolto… -.
- Non è un buon motivo! – sbraitò lei – Sconvolto o no, io non sono andata in giro a picchiare la gente quando sono morti i miei! -.
- Lui non è “la gente” – puntualizzò Ed, sicuro di rischiare un altro schiaffo – Lui è mio fratello, quindi non ti devi intromettere… -.
La mano di Winry si era già alzata, minacciosa e decisa.
- … che ne sai tu, di queste cose? Fratelli non ne hai! – sbraitò infine.
Il braccio della ragazzina si fermò a mezz’aria, mentre la furia sul suo viso lasciava posto ad un’espressione ferita.
- Non hai bisogno di ricordarmi che sono sola – mormorò piano – Lo so già da me. E anche per questo sei un idiota a prendertela con tuo fratello -.
Abbassò il braccio e si alzò, togliendosi dallo stomaco di Ed. Che in mezzo secondo tornò in sé e si rese conto di ciò che aveva detto.
- Ehi, Winry! No, aspetta! – la chiamò, anche se lei continuò a camminare imperterrita verso il campo.
Per raggiungerla dovette rincorrerla, seguito da Al, e lo stesso lei non si fermò.
- Mi… mi dispiace! Non dovevo dirti quelle cose! Non… non dovevo picchiare Al! – parlava camminando, perché lei aveva allungato il passo e non lo guardava nemmeno in faccia – Hai ragione, sono stato uno stupido! Non ho alcuna scusante… -.
Le si parò davanti all’improvviso, e lei si bloccò per non finirgli addosso.
- Puoi darmi un altro schiaffo, se vuoi -.
Quell’offerta, e forse anche l’espressione da cane bastonato che aveva sul viso, fecero sì che Winry sorridesse piano.
- Va bene, non importa – disse, anche se l’amarezza sul suo volto era ancora ben visibile – In fondo ero venuta qui per un altro motivo -.
Guardò anche Al, prima di annunciare: - La compagna di Black Hayate ha avuto i cuccioli -.


Una folla di tanti altri ragazzini impediva loro di vederli, assiepati com’erano nell’angolo in cui si trovava la cesta con i cuccioli.
Li accolse un coro di “Che teneri”, “Sono bellissimi!”, “A me piace quello lì”, e nessuno dei presenti sembrava disposto a spostarsi per far vedere i piccoli anche agli altri.
Non che Ed, Al e Winry avessero fretta. Aspettavano pazientemente il loro turno all’esterno del gruppo, quando sentirono una mano spingerli avanti e Roy Mustang che li faceva passare per primi.
Tutti e tre, in prima fila di fronte alla cesta.
Anche i cuccioli erano tre, minuscoli e ciechi, ammassati l’uno sull’altro per raggiungere il latte e il calore confortante della madre. Avanzavano per istinto, seguendo il muso e sbattendo di frequente contro i fratelli, ma in breve si attaccarono ciascuno a una mammella rosea e turgida di latte e iniziarono a succhiare.
Beati e tranquilli, mandavano giù senza quasi respirare, iniziando già a scuotere quel moncherino di coda che si ritrovavano.
Riza era sullo stipite, con Black Hayate al proprio fianco. Il padre li guardava confuso, con l’aria di chi si stava chiedendo da dove diamine saltassero fuori quei tre salsicciotti. Quando aveva provato ad avvicinarsi la sua compagna aveva ringhiato sommessamente, quindi aveva ritenuto più opportuno restare vicino alla sua padrona per un po’. Ci avrebbe riprovato più tardi.
Winry era in estasi. Le erano sempre piaciuti i cani, così fedeli ed affettuosi.
- Sono maschi o femmine? – chiese, rivolgendosi a Mustang.
Lui indicò Riza, dicendo: - È lei l’esperta in queste cose -.
Quindi Winry si voltò verso di lei, e la signorina Hawkeye sorrise: - Due maschi e una femmina -.
- Scommetto che la femmina è quella più a destra, che è tranquilla e si è quasi addormentata – azzardò la ragazzina.
Riza scosse la testa.
- Veramente è quella che sta litigando con il fratello per la stessa mammella. Quello tranquillo è un maschio – puntualizzò.
- Oh – fece Winry, un po’ sorpresa – Quella che adesso ha battuto il fratello e sta succhiando il latte da dove voleva? -.
- Precisamente -.
- Le femmine sono sempre violente – commentò Ed.
- Che cosa vorresti insinuare? -.
- Oh, niente. È un dato di fatto -.
A bloccare il litigio sul nascere fu uno “Yap” lanciato dal cucciolo che aveva perso la contesa. Deluso e seccato dalla presenza della sorella, dovette cercarsi un altro posto per mangiare, ma la mamma lo mise a tacere con un paio di amorevoli lappate sulle orecchie.
Ed e Al si lanciarono un’occhiata nello stesso istante. Anche la loro madre era solita accarezzare i capelli dei figli quando si lamentavano per qualcosa, sorridendo comprensiva mentre cercava di consolarli.
Il dolore era ancora sordo, e se provavano a pensarci si sentivano fischiare le orecchie. Ed dovette deglutire parecchie volte, facendo violenza su se stesso per non scoppiare a piangere davanti a tutti.
- Ne volete uno? – chiese all’improvviso la signorina Hawkeye, voltandosi verso di loro – Non credo di poterli tenere tutti, almeno due dovrò darli via. Vi piacerebbe avere un cane? -.
- Ne è… ne è sicura? – domandò Winry, incredula.
- Mi sembrate dei ragazzini responsabili – spiegò la donna – Ovviamente dovrete aspettare almeno tre mesi, il tempo di svezzarli e allontanarli dalla madre -.
- A me… a me piacerebbe molto – riprese Winry con aria estatica – Andrò ad vivere con la nonna, che abita in campagna. Credo che un cane vi si troverebbe molto bene -.
- D’accordo, allora. Possiamo chiederglielo quando verrà a prenderti – concordò Riza – E voi, invece? -.
Ed e Al non dissero nulla. Stavano pensando la stessa cosa: probabilmente il padre avrebbe storto il naso, ma se si fossero coalizzati avrebbero ottenuto il permesso. Dopotutto sarebbero stati loro a prendersene cura, perché in ogni caso il padre non aveva tempo.
Sarebbe stato bello, molto bello.
- Dai, prendetelo anche voi. E quando poi mi verrete a trovare li faremo incontrare, così da riunire la famiglia! – esclamò Winry.
Ed sorrise piano.
- Piacerebbe anche a noi – ammise, con Al che annuiva vigorosamente.
- Va bene, allora. Ne parleremo con vostro padre quando arriva – rispose pratica la signorina Hawkeye.
Ora bisognava solo sceglierne uno. Winry aveva già optato per il maschio più irrequieto: - Così in campagna potrà sfogarsi quanto gli pare – disse.
Quindi restavano la femmina e il maschio più tranquillo.
Quale dei due?
Al si voltò verso Ed, sorridendo.
- Ehi, fratellone. Una femmina fa i cuccioli! – esclamò, come se si fosse appena ricordato di questa grande verità.
Ed annuì. L’aveva pensato anche lui.
Ancora cuccioli, la ruota gira. E avanti.

L’avevano imparato. Avevano visto che la morte non si può fermare, qualunque cosa si cerchi di fare.



Ma nemmeno la vita.
 


       
 

Stephany345_Chan: in realtà non è chiaro se le loro vite sono state veramente accorciate, ma questo è voluto. Quello che volevo dire, e spero si sia intuito in quest’ultimo capitolo, è che il vero patto di sangue è stato stretto dopo gli avvenimenti nella casa della Parca. In poche parole, sembrava che il primo avesse funzionato, invece quello vero è avvenuto dopo. Sembra crudele che abbia fatto sì che il giuramento sulla madre non fosse valido, eppure è quello che penso di “Full Metal Alchemist”… liberi di non essere d’accordo con me, ma ne sono convinta.
Rinalamisteriosa: vedi sopra, comunque spero che in quest’ultimo capitolo si sia capito il “meccanismo” che ho voluto dare al patto di sangue. È un po’ contorto, e volutamente vago, ma spero sia intuibile. Che ne pensi? ^^
Siyah: beh, sì, le “tempistiche” le ho per forza di cose  adattate ai fini della storia, cercando però di mantenere le linee generali. Il capitolo precedente era effettivamente- come hai detto tu- misterioso e oscuro, ma spero che quest’ultimo risulti più sereno. Almeno, questa era l’intenzione. ^^

Ed ora che siamo giunti alla fine, mi farebbe davvero piacere sapere che cosa ne pensate, tutti voi che avete letto la storia. Un commentino me lo lasciate?

   
 
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