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Autore: LaRagazzaDelleMargherite    11/10/2009    0 recensioni
Una sopravvissuta di Leningrado raggiunge l'America con il cuore spezzato e tutte le speranze infrante dalla morte della sua ragione di vita, suo marito. Riuscirà a trovare la pace tra le mura di Ellis Island?
Genere: Triste, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ghost of Freedom

-Ellis Island-

A Shura.

Prologo: Agognata America.

Era il 25 Giugno del 1943. Un piovoso mercoledì pomeriggio alla foce dell’Hudson. La nave stipata di uomini e di donne avanzava lenta attraverso il mare nero e il cielo gonfio di pioggia.
Faceva freddo, era sola, ma era viva. Viva dopo la fuga, dopo il terrore, dopo la guerra, dopo la fame, dopo le purghe. Era sola e malata. Ma viva. Viva.
Svetlana L'vovna Zarkovskaja, quel pomeriggio del 1943, attraverso il minuscolo oblò al quale era vicina, sotto una pioggia fitta, davanti ad un mondo del tutto nuovo, con il sangue alle labbra e le dita irrigidite dal freddo, scorse la Statua della Libertà. Così alta e così maestosa, un simbolo di speranza e di nuove occasioni per tutte le persone che giungevano nel nuovo continente. Erano tutti lì a fissare la grande donna, sguardi consapevoli e sguardi spaventati di chi non aveva idea di cosa fosse quell’ammasso di ferro.
Nessuno aveva gli aveva mai spiegato cosa fosse. La paura e la libertà erano una cosa sola in quel momento.
Svetlana era giunta al capolinea e all’inizio della sua nuova vita. Ma come poteva esserci una nuova vita dopo quello che aveva lasciato? Dopo quella che era stata la sua vita?
La nave attraccò con un sobbalzo. Trascorse un’ora prima che la grande nave aprisse la poppa.
Davanti a loro apparve Ellis Island. Il lasciapassare dell’America.

Tutti i cinquecento rifugiati furono ammassati davanti alla banchina in attesa che le infermiere di Ellis radunassero le attrezzature e aprissero i cancelli di Ellis Uno. Svetlana non ce la faceva più. Non sapeva niente di quello che sarebbe venuto nel suo futuro, aveva paura, dopo tutte le sue azioni aveva una paura folle del futuro. Una paura così profonda che la immobilizzava. Alzò al viso al cielo che continuava a gettarle addosso la sua acqua, come a purificarla da tutti mali che aveva su di se.
Dio, se ci sei, ti prego fa’ che posso vivere in America e trovare pace.
Chiese questo e, mentre i medici e le infermiere di Ellis aprivano i cancelli, perse i sensi.

Si risvegliò in una stanza azzurra, su un letto, un letto! Era sola nella stanza e questo la stupì. Tossì e sputò sangue, ma si sentiva meglio rispetto a poco prima. Più in forze. Com’era possibile? Lentamente, con un peso sul petto, che non era dovuto al fatto che tossisse sangue, avanzò verso la finestra e guardò fuori. Il tempo era ancora peggiore di prima, ma la sorprese l’ingente numero di uomini e donne, almeno duecento, che venivano caricati a forza sulla nave con cui era arrivata.
Svetlana era basita. Lui, non riusciva a nemmeno a pensare il suo nome, le aveva detto che in tantissimi venivano rispediti indietro, perché non c’era posto per loro in America, perché erano malati, o perché non erano d’aiuto allo sforzo economico e bellico di quel paese. Lei aveva pianto, chiedendosi come si potesse rimandare i profughi dall’inferno dal quale venivano, avevano un po’ di cuore? Ma l’America era anche quello. Ogni mese in migliaia venivano rispediti a casa. Era la legge.
Lei sapeva che con lui non sarebbe successo, l’America era il suo paese, come potevano rimandarlo indietro? Anche lei si sarebbe salvata.
Ma quando era partita da sola, non aveva molte speranze di restare. Ancora di meno quando si accorse, con orrore, di avere la TBC. Non l’avrebbero mai accettata, malata e senza un diritto all’America. Mai.
Eppure…eppure Svetlana era in quella stanza, e vedeva sotto di se le persone che venivano mandate indietro. Non sapeva come, non sapeva bene il perché. Le era stato concesso di restare. Per ora.
La porta si aprì con uno scatto e un medico fece capolino, il volto coperto da una mascherina.
“Mi capisci?”, chiese in inglese.
Svetlana lo guardò e tacque, incapace di dire una parola.
Il medico ripetè la domanda in francese, in tedesco e in italiano. Lei continuò a tacere.
Le si avvicinò con cautela cominciando a segnare qualcosa sulla sua cartella. La richiuse e fece per uscire.
“Aspetta!”, disse Svetlana con impeto in un perfetto inglese. Temeva che il dottore dicesse che non sapeva nessuna lingua e che quindi era da rimandare indietro.
“Allora mi capisci”, le sorrise tornando indietro. “Non aver paura, è tutto a posto. Sono il dottor Thomas
Leighton. Sai dire Leighton?”
“Leighton”, ripetè sempre con perfetto inglese.
“Ottimo! Allora come ti senti?”, le domandò gentilmente.
Svetlana aveva le lacrime agli occhi e non riuscì a trattenerle. Il medico era così gentile, pulito, affabile…così americano.
“No, no. Non devi piangere. Starai bene, è una promessa.”
“A voi americani piace fare promesse”, replicò tra le lacrime.
“E le manteniamo sempre. Avanti, asciugati gli occhi e dimmi come ti senti”, le disse facendola sedere sulla branda con delicatezza e sedendole accanto.
“Grazie. Sto meglio. Meglio di quando sono arrivata.”
“Sono contento, ti abbiamo dato dei sulfamidici, per fortuna la TBC non è che al primo stadio. Guarirai. Ci vorrà un po’ ma guarirai”, disse soddisfatto sorridendo.
Svetlana guardò in quegli occhi verdi così sinceri.
Aveva perso la fede. Aveva perso la speranza. Aveva visto tutte le persone che amava morire sotto i suoi occhi.

Sua sorella le teneva la mano ghiacciata sul capo.
“Ti voglio bene Sveta. Vivi, vivi per noi. Vivi e diventa grande, vivi e ama e ricordati di noi. Ti amo sorella mia. Sei stata la migliore sorella del mondo”. La mano di Lena cade dolcemente sulla guancia della sorella, priva di lacrime, priva di qualsiasi emozione. Anche lei l’ha lasciata.

Ma quegli occhi le diedero un barlume di fiducia. Decise di fidarsi.
“Perché sono ancora qui? Tutti sono stati mandati via, ho visto da finestra metterli su nave e…”
Il dottore la interruppe.
“Abbiamo trovato un certificato della Croce Rossa Internazionale tra i tuoi vestiti, un passaporto con un nome americano…sappiamo che non è il tuo nome vero, molti inventano dei nomi diversi quando vengono qui. Ma c’era il certificato della Croce Rossa e siamo sicuri che non è un falso. Hai il diritto di rimanere, vuol dire che hai un lavoro, poi parli la lingua e guarirai. Sei stata ammessa nel paese. Sei un’infermiera vero?”
Svetlana aveva ripreso a piangere.
“Si, lo sono. Dal posto da cui vengo ho lavorato con dottore americano che mi ha dato certificato per uscire da paese con lui.”
Il dottore la scrutò, fissandola intensamente.
“E’ tutto a posto allora. Quando ti rimetterai potrai renderti utile. E’ una buona notizia, perché piangi?”, le chiese ridendo sommessamente.
Lei alzò lo sguardo triste sul dottore.
“E’ notizia troppo bella per me. Non credevo di riuscire ad arrivare fin qui. Dio è sempre stato contro me e mia famiglia. Mai avuto conforto e pace”.
“Ma adesso sei salva. Da dove vieni?”
“Unione Sovietica.”
Il dottore fischiò sorpreso.
“Accidenti, come diavolo sei riuscita a fuggire da quell’inferno?”
“Se glielo raccontassi non mi crederebbe, dottore”, ribadì calma.
“Sei stata davvero coraggiosa. Un’ultima cosa, Clare Callaghan…è il suo vero nome?”
Sentire quel cognome fu come una pugnalata. Si ritrasse automaticamente ma non abbassò lo sguardo dal dottor Leighton.
“Era nome madre di mio marito…”, disse in un sussurro.
“Vede? Un vantaggio in più, suo marito..era americano”, disse spostando lo sguardo da quello penetrante della ragazza. Così doloroso.
“Avrà più diritto di rimanere in America”, aggiunse poiché lei taceva. “Qual è il tuo vero nome?”
“Puoi chiamarmi Sveta, se tu vuoi”, disse leggermente impaurita.
“D’accordo Sveta. Tra poco verrà un impiegato dell’ufficio registrazioni per farti un passaporto e un certificato. Sarai americana. Ora devo proprio scappare, ci vediamo più tardi”, disse e raggiunse la porta. Si scostò la mascherina e le sorrise.
Lei rispose al saluto tirando le labbra.
Svetlana, guarda, guarda dalla finestra. La vedi l’America? Vedi la Statua della Libertà che ti chiama a sé? La vedi? Per quanto tempo hai desiderato raggiungere questo posto, con quanto trasporto pensavi all’Oceano e al fiume Hudson, con quanta passione amavi tuo marito sperando in un futuro a Manhattan insieme.
Ora guarda la tanto agognata America dalla tua finestra. Guardala e ammira la tua fortuna.
Ma lui non c’è.
Guarda il mare gonfio e nero che si schianta sulla base della Statua della tua libertà. Ti piacerebbe prendere un traghetto per visitarla vero? Ti piacerebbe visitare New York, dall’altra parte del porto? L’hai sempre sognato, fin da quando scopristi le sue origini.
Ma lui non c’è.
L’America….ti piacerebbe vederla, Svetlana?
A mio marito piacerebbe.

 

 

[ L’uomo annuì. “Si che ce la fai. Ce la puoi fare. Lo vedo… in te adesso è inverno.” Sorrise.

“Non preoccuperti. Fra poco arriva l’estate. Il ghiaccio si scioglierà.”

Tatiana si alzò a fatica dalla panchina. Mentre si allontanava disse in russo:

“Non è più il ghiaccio, caro il mio filosofo di mare. E’ un rogo”. ]

 

 

 

Citazione finale: “Il cavaliere d’inverno”, Paullina Simons.

 

   
 
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