La
sede principale della rivolta silenziosa dei Venti non era altro che
un intricato sistema di cunicoli e gallerie sotterranee, una sorta di
piccola città parallela. Dalla botola nella capanna, si
scendeva in
una sorta di grotta, sulla cui entrata torreggiava un'incisione sul
legno.
Fuarbhruite
Aingeal. Gli angeli
dal cuore a metà.
Kayla
non ne aveva capito il significato sino alla sua prima metamorfosi;
il cuore l'aveva sentito spaccarsi davvero a metà. Ma era
ancora
convinta che "Angeli" fosse una parola troppo innocente.
Lei si vedeva come un demonio, e sapeva per certo che era un
sentimento condiviso.
Non
aveva mai creduto davvero agli angeli, al Paradiso e a tutto
ciò che
esso implicava; era convinta che fossero solo frutto di una fervida
immaginazione, ma l'umanità ha bisogno di qualcosa in cui
credere,
così evitava di smontare le speranze delle altre persone.
Silenziosamente,
col passo deciso che la contraddistingueva, attraversò
l'intero
corridoio, sfogliando con gli occhi i vari cunicoli che si
diramavano, come venature su una foglia.
Quel
luogo non aveva un vero e proprio nome; alcuni lo chiamavano
semplicemente il Tunnel, ed era diventato il nome convenzionale
ormai. Il Tunnel era la via più breve per tuffarsi nel
passato;
l'unico arredamento nei corridoi era costituito da torce di legno
appese alle pareti, e niente come quelle gallerie avrebbe ricordato
un film medievale.
Ogni
cunicolo portava a una zona precisa; i letti, il ritrovo, la sala
armi, la cucina. In fondo alla galleria principale si aprivano altri
tre rami che conducevano ai magazzini. E ad una grotta piccola,
bloccata da un cancello, dove l'unica persona che poteva entrare era
proprio lei.
Col
passare degli anni, Kayla aveva assunto il ruolo di leader dei
rivoltosi, nonostante quel ruolo non le calzasse per niente.Avere
sulle spalle tanta responsabilità era sempre troppo,
specialmente
per una che perdeva la pazienza così facilmente.
Gli
unici ad essere autorizzati a entrare, sotto il suo consenso, erano i
suoi "vice"; Hartz, un giovane licantropo che più volte le
si era dimostrato utile, e Nadine, quella che più si poteva
definire
come un'amica, per Kayla.
Era
una donna francese che dimostrava appena trent'anni; era forse la
donna più beòòa che Kayla avesse mai
visto, e l'intero Tunnel la
pensava così. Alta, formosa, con una chioma di capelli
castani che
sembrava fatta apposta per quegli occhi verdi.
Affianco
a lei, col suo metro e sessanta scarso, le forme aspre di una
ragazzina e i capelli tanto chiari da sembrare bianchi, Kayla si
sentiva sempre una bambina. Nadine aveva un figlio, Jeremy. Era un
cosino di otto anni, iperattivo e iper-stressante, ma nessuno
riusciva a volergli male, lì dentro.
Se
avesse dovuto salvare una ed una sola persona, probabilmente Kayla
avrebbe salvato lui.
Era
il genere di bambino che riesce a portare allegria anche nella culla
stessa del diavolo; impossibile resistergli.
Fu
proprio lui a venire in contro alla ragazza, correndo come una furia
mentre lei attraversava l'androne della grotta.
Lei
lo prese in braccio, al volo, sorridendo.
-Campione-,
lo salutò scompigliandogli i capelli. -Non
dovresti stare a studiare, tu?-
-Marcel
non è tornato ieri sera, e non si è visto
stamattina-.
Ribattè il bambino, giocando coi capelli della ragazza.
Kayla
lo fissò, turbata.
-Come,
non è tornato?-
Il
ragazzino fece spallucce, troppo impegnato ad intrecciare ciocche di
capelli per certe questioni da grandi.
La
ragazza lo lasciò a terra, voltandosi attorno, preoccupata.
Marcel
era forse il ragazzo più buono di questo mondo, mai che
avesse
sgarrato una volta, mai che avesse dato problemi. Era diventato il
maestro dei bambini della Resistenza; era troppo pericoloso
frequentare le scuole del paese, e inoltre ultimamente i bambini si
trasformavano sempre troppo presto.
Ormai
si viveva al limite; ogni compito, anche il più piccolo e
distratto
impiego, assumeva un'importanza assurda per quella grotta. E questo
Marcel lo sapeva bene, per cui Kayla non fu la prima a chiedere di
lui.
In
realtà i bambini erano gli unici a non sapere della
scomparsa di
Marcel; le "menti" della comunità erano già in
riunione.
Senza Kayla.
Imprecò,
quando glielo comunicarono, e si diresse a grandi falcate verso il
corridoio di quella che era stata adattata a Sala delle Riunioni,
poco più che una grotta chiusa da una porta malandata.
Proprio
quella porta sbattè violentemente al muro, quando Kayla la
spalancò
senza troppi problemi; entrò nella sala, furiosa, guardando
negli
occhi ognuno dei presenti. Su ognuno di quegli occhi si leggeva la
stessa cosa: Cazzo,
ci ha beccato.
-Kayla,
noi...- Esordì
l'uomo in fondo alla stanza,
quello a cui tutti si rivolgevano come al "Capo".
Lei
lo sapeva bene che non era altro che un subordinato. Erano anni che
Dean tentava di fregarle il posto. Ora erano arrivati a quei livelli,
e stava diventando una minaccia. Non solo per lei, ma per tutta
quella storia.
-Taci,
Dean.- Gli
ringhiò contro. -Dovevo
sapere di Marcel da un bambino, perchè i miei consiglieri
sono
troppo impegnati a tramare alle mie spalle?-.
Guardarono
in basso, tutti. Tranne Dean, ovviamente.
-Ti
abbiamo cercata. Ti cerchiamo da stamattina.-
-Oh,
sentiamo, Dean. Dov'è che vado ogni mattina da un po' di
tempo a
questa parte?-
Ribattè, afferrando uno dei
fogli poggiati sul grosso lastrone di pietra che usavano come tavolo.
-Se non andassi in
perlustrazione ogni santa
mattina, a quest'ora avresti il culo sotto terra, ricordatelo.-
Esaminò
velocemente il foglio che si trovava davanti; date, frasi, tabulati
telefonici. Tutto ciò che riguardava Marcel che fosse
successo nelle
ultime quarantott'ore.
Gli
lanciò un'occhiata in cagnesco, prima di tornare a leggere.
Nella
sala era calato il silenzio più completo.
-Da
chi le hai avute?-,
disse indicando il
foglio, pieno di annotazioni.
-Adrian.
Quello di Belfast.-
-Bene.
Di' ad Adrian, quello di Belfast, che se si azzarda anche solo
un'altra volta a passarti informazioni senza il mio consenso, gli
stacco la testa. Chiaro?-
Annuì,
alzandosi. Poi, come se non fosse successo nulla, riprese i suoi
fogli e se ne andò, lasciando in quella caverna un clima che
aveva
tutto, tranne dell'amichevole.
-Chi
l'ha visto per ultimo?-,domandò
Kayla, senza
staccare gli occhi dal foglio.
Una
mano si alzò dal fondo del tavolo; era una ragazza minuta,
sommersa
sotto a una cascata di riccioli rossi e nascosta dietro a una
maschera di lentiggini. Quando capì che Kayla non l'aveva
vista, si
decise a parlare.
-Io.
Dovevamo cenare insieme. Ha detto che sarebbe uscito a vedere se
riusciva a rimediare una pizza.- La ragazzina
tratteneva le lacrime, e la voce, incrinata, faticava ad andare
avanti. -Gli ho
detto che sarebbe stato
pericoloso...però, io...non ricordo cosa mi abbia risposto.-
Scoppiò
in lacrime, e fu la ragazza che le stava accanto a consolarla.
Kayla
volse lo sguardo al soffitto nero della caverna. Le fiamme delle
torce disegnavano degli arabeschi cangianti sulla pietra, per un
qualche gioco d'ombra e luce che sembrava così beffardo, in
quel
momento.
-Ho
bisogno di due volontari.-,
annunciò. La
prima ad alzarsi fu una ragazza, alta, dalla pelle scura e i capelli
tanto scuri che risaltavano nell'ombra; poi, contemporaneamente, due
ragazzi, uno alto e biondo, l'altro dalla corporatura massiccia e una
cascata di capelli scuri. -Daniel,
no.-,
intimò al moro, che sembrò protestare. Lei lo
fermò con
un'occhiataccia prima che potesse ribattere qualcosa, e lo rimise a
sedere, placido come un cagnolino.
-Andiamo
a cercare Marcel. Voi occupatevi dei bambini, e se qualcuno si
azzarda a chiedere qualcosa a Dean lo ammazzo.-
Uscirono
senza un'altra parola, guardandosi dritti di fronte a loro, senza
calcolare nemmeno i bambini che giocavano nei corridoi.
Era
una delle regole dei Venti: Niente distrazioni. Quando hai una
missione, pensa a quella.
Vai
avanti per la tua strada e fregatene di tutto. Bella filosofia,
duecento anni prima.
Non
era come nei film; non c'era una musica epica a risuonarti nelle
orecchie, nessuno sguardo comprensivo, nessun vento a fare effetti
speciali. Kayla camminava con un peso nel cuore che, più che
un
kolossal, trasformava tutto in un horror.
I
vampiri, c'erano anche loro.
Fuori
dalla galleria, era già mattino inoltrato, ma il cielo era
la solita
cappa perlacea che pendeva su Dubh, riflettendosi sulla neve
scintillante che si diramava sull'erba.
Bastò
uno sguardo, a dividere i tre licantropi per la perlustrazione.
Kayla
trovò riparo dietro a una grossa quercia spoglia, dal
maestoso
tronco scuro. Vi si acquattò dietro, e come il
più naturale dei
gesti, pian piano il suo corpo cominciò a mutare e ad
assumere forme
animali. Come animali sotto a una coperta, le ossa si spostavano, e
dovette sforzarsi con tutta sè stessa per non urlare; era
sempre la
stessa sensazione.
Ti
trasformavi che non te ne accorgevi nemmeno, e due secondi dopo
desideravi morire.
Sentiva
il corpo cambiare forma, il suo io selvaggio tornare a impadronirsi
del suo istinto, sentiva il mondo diverso sotto i suoi piedi. Il pelo
folto e argenteo del lupo la ricoprì completamente,
lasciando della
vecchia Kayla solo due scintille luminescenti al posto degli occhi.
Con una zampata nascose i vestiti di cui si era spogliata prima nella
neve, e senza esitare ancora corse.
La
corsa era senza dubbio la parte che preferiva di più; prima
era un
salto, prendevi il ritmo, dovevi trovare il tuo appoggio. Poi
cominciavi a familiarizzare col vento, con la terra, a sentire il
mondo che ti passava attorno come se fossi tu al centro
dell'universo.
E ti sentivi potente.
Corse
per miglia, chilometri, prima di avere una minima percezione di dove
si trovasse.
Il
freddo delle nevi invernali inibiva ogni minima percezione di
olfatto, in quel momento, per cui il lupo sobbalzò, quando
la sua
zampa sfiorò un qualcosa di liquido, e caldo.
Abbassò
il muso lentamente, come se sapesse già cosa l'aspettava.
Una
lunga striscia cremisi risaltava sul bianco candido, una slabbratura
di vernice rossa sulla neve. Con il cuore in gola, la seguì
dietro a
un albero.
Gli
occhi erano ancora aperti, vuoti come lo erano stati da vivo. Ma di
Marcel non era rimasto che un pupazzo senz'anima.
Chiudendo
gli occhi, il lupo ululò.