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Autore: Tetide    13/10/2009    2 recensioni
Un mistero secolare e spaventoso si nasconde tra i monti della Transilvania; dipanarlo sarà compito di un gruppo di temerari giunti da lontano; ma, forse, più che l'oscuro nemico, i nostri dovrebbero temere di più i propri fantasmi personali... Si troveranno così a combattere su due fronti!
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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DAL TRAMONTO ALL'ALBA DAL TRAMONTO ALL’ALBA



Sebbene fosse ancora pieno pomeriggio, in quella stanza la luce del sole veniva quasi totalmente assorbita dai pesanti pannelli di legno scuro che rivestivano le pareti; l’uomo seduto alla scrivania rimaneva quasi totalmente in ombra, mentre i suoi occhi erano fissi sulla coppia che gli stava davanti.
Patrice Tavernier lo guardava in tralice, senza parlare, fissandolo dai suoi gelidi e bellissimi occhi azzurri, la bocca atteggiata ad una piega sospettosa; Edith, invece, non nascondeva la sua inquietudine, una luce di allarme che le brillava negli occhi, e teneva la mano del compagno, sotto il legno del pesante mobile davanti al quale stavano seduti.
Armand Troncan parlava con voce bassa e ferma, intervallando le parole con frequenti pause di silenzio, che facevano salire la tensione, già alta, di quell’ambiente cupo.
“Signori, per me è stato un piacere avervi come miei ospiti nel mio castello; ma sinceramente, ascoltando queste stupidaggini, potrei sentirmi offeso”;
Tavernier accavallò le gambe “E per cosa, se è lecito? Per averle esposto la situazione di quanto sta avvenendo in città?”,
“Signore, con tutto il rispetto, è la prima volta che sento queste storie sulla città vicino alla quale ho comprato casa!”,
“In questo caso, mi rammarico di essere stato il primo ad informarla”,
“Le sue sono favole!” l’uomo sbattè un pugno sulla pesante scrivania di legno, facendola tremare “Io non ho mai, dico mai, sentito nulla di simile qui! Se ci sono stati dei ritrovamenti di cadaveri, sarà stata opera del solito maniaco sessuale, e la paura popolare avrà fatto il resto!”,
“Il suo ragionamento è lineare; senonché, lei trascura un particolare importante: ci sono le prove! I cadaveri sono stati esaminati da tre autopsie diverse, e tutte e tre hanno dato gli stessi risultati: i referti, corredati di foto, non sono invenzioni del timore popolare, signore!”.
L’uomo si tirò indietro sulla poltrona “Se anche fosse, perché la causa dovrebbe essere soprannaturale? Il sangue di quelle donne potrebbe essere stato aspirato con delle siringhe!”,
“Come no! E quelle se ne sarebbero rimaste buone e tranquille ad aspettare che l’assassino terminasse i suoi “prelievi”, togliendo loro lentamente la vita! Signor Troncan, credo che lei non voglia ammettere l’evidenza, e basta”.
Troncan si fece ancora più indietro sulla sua poltrona, emettendo una specie di sommesso sibilo; Edith, che fino a quel momento non aveva aperto bocca, lo guardò e sobbalzò: quell’uomo le metteva addosso i brividi!
Il suo aspetto, certamente, non era quanto di più rassicurante si desiderasse: occhi inespressivi, piccoli e vicini, sotto ad una fronte lucida con un inizio di calvizie; una bocca con labbra inesistenti e baffi neri, ed una voce nasale e bassa.
Guardava tutti in tralice, con l’espressione di chi vuol mettere il prossimo sotto attento e minuzioso esame, squadrando da capo a piedi chiunque gli si presentasse davanti; così aveva fatto anche con i suoi ospiti, presentatisi quel pomeriggio, appena dopo il loro arrivo a Brasov.
Lo strano padrone del castello si alzò, dirigendosi verso una delle librerie che stavano accostate ai due lati della scrivania; iniziò ad armeggiare sugli scaffali.
“Patrice, ma perché siamo venuti qui?” fece Edith sottovoce al compagno, stringendogli ancor di più la mano,
“Perché speravo che potesse esserci di aiuto, ma a quanto pare mi sbagliavo: è indisponente come sua nipote!” le rispose lui,
“Io ho paura! Questo posto non mi piace per niente! Andiamo via da qui! Torniamo in albergo!”.
Il biondo professore fece un sorriso alla ragazza rossa, portandosi la mano di lei alle labbra per baciarla “Non possiamo, lo sai. Dobbiamo almeno aspettare che tornino gli altri”.

In quel mentre, il resto del gruppo, sotto la guida di Matilda, stava facendo il giro del castello.
Johann e Liesel, immediatamente dietro, si guardavano intorno con aria incuriosita.
“Signorina, scusi…”, chiese Johann
“Matilda, se non le dispiace!”,
“Matilda… come mai non avete servitù? Il castello è molto grande, chi si occupa di tutte le faccende?”,
“Oh, sì che abbiamo servitù! Abbiamo tre cameriere, il cuoco e l’autista; ma arrivati alle cinque e mezzo, staccano e se ne vanno. L’unico che resta è Jan, il guardiano, che fa anche il turno di notte”,
“E chi si occupa della cena? Ve la lasciano in frigo?”. Matilda rise nel suo modo querulo “No, naturalmente. Ci pensa Jan; sa fare di tutto, è insostitubile!”.
In fondo alla fila, Jeudi camminava al braccio di Lundi; anche lei non si sentiva affatto tranquilla, là dentro; sentiva un senso di oppressione, di insicurezza che mai aveva provato prima; poi, il ricordo delle parole dei suoi cari estinti, che le avevano preannunziato la presenza di un grave pericolo a Brasov e dintorni, non faceva che aumentare la sua inquietudine.
Allora, si girava alla sua sinistra ad incrociare i grandi, rassicuranti occhi viola di Leonhard; e bastava il suo sorriso a riportare un po’ di luce dentro al proprio cuore angosciato.
“Matilda, scusa… cosa c’è oltre quella porta?” fece ad un tratto Lundi, indicando un pesante uscio sprangato,
“Quello? Oh, niente! E’ soltanto un magazzino di vecchi mobili in disuso!”,
“Allora dovete averne parecchi, di mobili in disuso: è già la quarta porta chiusa che vedo!” aggiunse Jeudi.
Matilda la guardò in tralice, oltre la spalla, e la sua voce si fece ancor più querula, se possibile “Complimenti, sei un’acuta osservatrice! In effetti, in questo castello ci sono stanze vuote che non usiamo più”.
Salirono una stretta e buia scala, in fondo alla quale Matilda aprì una porta cigolante; entrarono in quella che sembrava una grande stanza da letto, non più in uso da tempo.
Addossato ad una parete, ma così grande da raggiungere in lunghezza il centro della stanza, stava lo scheletro di un letto a baldacchino, le cui colonne, spesse ed alte, erano fabbricate nello stesso legno scuro che era il materiale primario del mobilio dell’intero castello: un legno scuro, quasi nero, che risucchiava la luce, fino a mangiarla, e che rendeva tutti gli angoli ugualmente oscuri e sinistri.
Anche gli altri, per la verità pochi, mobili di quella stanza erano fabbricati nello stesso materiale: un cassone per gli abiti posto ai piedi del letto, due vecchie cassettiere ed un’antica scrivania.
“E questa” Matilda si girò con una piroetta “è il pezzo forte di tutto il castello: è la stanza del conte Dracula!”(1).
“Questa???” Lundi era esterrefatto “Me la aspettavo diversa! E’ così… insignificante!”.
Matilda rise in quel modo querulo che tanto infastidiva Jeudi “E che ti aspettavi? I corpi dissanguati delle sue vittime? Le tracce di sangue sull’impiantito(2)?”,
“Bé, no, ma… qualcosa di più… angosciante… terrificante…”;
Matilda rise di nuovo; si avvicinò a Lundi, cingendolo con un braccio e parlandogli sottovoce: i due intrapresero una conversazione che sembrava sfacciatamente intima.
Johann e Liesel si guardavano in giro, con la faccia per aria.
Jeudi non se ne era nemmeno curata; in realtà, per tutto il tempo del giro all’interno del castello, aveva sentito la sua angoscia aumentare sempre più; invano, aveva sperato di veder apparire qualcuno dei suoi cari in suo aiuto; ma nessuno si era fatto vedere, e lei capiva cosa questo significasse: quel luogo nascondeva una qualche forza malefica, ragion per cui le anime in pace non potevano entrarvi.
Ma quale poteva essere questa forza? Per quanto si guardasse attorno, non vedeva nulla di palese a riguardo; forse si nascondeva dietro una di quelle porte chiuse… nessuno poteva saperlo.
Lundi si era completamente dimenticato di lei, preso nella conversazione con la sua vecchia amica; quella, di contro, le lanciava continue, trionfanti occhiate.
Oh, tientelo pure!, pensava Jeudi; lei aveva ben altro di cui preoccuparsi, purtroppo.
Devo scoprirlo! Devo scoprirlo! Devo trovare il male per distruggerlo! E’ la missione per cui sono venuta qui! “Stai attenta! Un grave pericolo incombe su di te!”, mi hanno detto. Ma io DEVO stanare questa bestia!
Si incamminò giù per la scala percorsa poco prima assieme agli altri, questa volta da sola, addossandosi alla parete; sentiva spifferi provenire da chissà dove, come sussurri misteriosi che si chiamavano dai due lati del corridoio.
“Jeudi! Aspetta!”. Leonhard la raggiunse “Non andare da sola. Lascia che venga con te”.
Lei gli sorrise; si sentiva più sicura con lui accanto, anche se non avrebbe voluto coinvolgerlo; ma averlo vicino era una sensazione meravigliosa!
Le prese la mano, ed iniziarono a scendere insieme; la scala si faceva sempre più buia, ora che il tramonto era vicino, e più di una volta Jeudi rischiò di cadere; ma fu sempre sostenuta dalle forti braccia di Leonhard.
Ritornarono nell’atrio che avevano lasciato poco prima, adesso ovviamente vuoto; la ragazza giunse le mani e si guardò attorno, smarrita.
“Cosa cerchi, amore?” le chiese Leonhard,
“Non lo so… sento che qui c’è qualcosa… di indefinibile, vago… è come se mi chiamasse… ma non è una cosa buona!”,
“E allora perché la segui?” le si fece più vicino,
“Ecco… non so neanche questo, a dire il vero!”.
La donna tese l’orecchio: nel silenzio riuscì ad avvertire di nuovo quel senso di minaccia, di occhi che la osservavano dall’oscurità, che già aveva percepita nella casa abbandonata a Sibiu. Iniziò a tremare, scossa da un terrore senza nome.
Leòn se ne accorse e la prese tra le braccia, stringendola per farle coraggio con il proprio calore; ma lei non accennava a smettere, anzi tremava sempre più.
Occhi invisibili, occhi dal buio… mi vedono, lo sento. Un nemico invisibile mi minaccia… ed io sono in suo potere! E’ qui, da qualche parte, non posso sbagliare!
Quegli occhi… dove si trovava il loro proprietario? Lo sentiva vicinissimo, seppure invisibile. Da qualche parte, lontano nel castello, percepì il cigolio di una porta, stridulo come una risata sinistra che si allontanava.
Ed il suo cuore mancò un battito.
“Jeudi! Che hai? Jeudi!” Leòn la stava scuotendo.
Lei mugolava, come in trance. Lui l’abbracciò di nuovo, posandole piccoli baci sul viso, sui capelli “Amore mio, Jeudi… non aver paura, ci sono io con te…”.
Lentamente, si riebbe dalla trance; si appoggiò meglio col viso sulla spalla di lui, che ora la cullava dolcemente; il respiro di Jeudi divenne pian piano più regolare.
“Va meglio?” le chiese Leòn accarezzandole i capelli. Jeudi annuì.
“Prendi un po’ d’aria, su!” le indicò una finestra aperta.
Si affacciarono entrambi: la finestra dava sul cortile, un quadrato irregolare con un pozzo in un angolo: non c’era assolutamente nessuno, né c’era alcunché di sospetto.
Ma lei aveva capito che la cosa era lì dentro, da qualche parte.
Udirono delle voci avvicinarsi: gli altri stavano tornando.
Lundi era al braccio di Matilda; poi venivano i Wolfgang; Liesel era visibilmente scossa.
Non appena furono giunti nell’atrio, Matilda li vide “Volevate prendere aria?”,
“La signora Brendell non si sentiva bene” le rispose Leonhard, secco.
Poi, si incamminarono tutti insieme verso il salone centrale, dove li aspettavano Patrice ed Edith.
Liesel corse incontro a Tavernier “Patrice… andiamo via di qui, subito!”,
“Che ti prende, Liesel? Hai incontrato il conte Dracula?” cercò di sdrammatizzare lui,
“Andiamo via, per il bene di tutti noi!” incalzò lei. Il professore si stupì.
“Va bene. Come vuoi. Signor Troncan” si rivolse allora al loro ospite “noi togliamo il disturbo. Grazie lo stesso per la gentile collaborazione” disse, non senza sarcasmo.
“Permettetemi almeno di invitarvi a cena, domani sera. E’ il minimo che possa fare per scusarmi con voi!” insistette l’altro,
“Non mi sembra il caso”,
“Insisto” fece quello con un tono che, più che una richiesta, era un ordine.
Patrice si sentì sfidato “Va bene. Come desidera. A domani, allora”,
“Alle otto e mezzo va bene?”,
“Sì”.
Si congedarono e Matilda accompagnò gli ospiti fino in cortile e poi fuori, dove Jean li stava aspettando a bordo del loro pulmino.
Mentre si avviavano all’albergo, Tavernier cercò di calmare Liesel.
“Perché hai insistito a quel modo? Il signor Troncan si sarà offeso!”,
“Non potevo fare altrimenti!” tremava ancora “Là c’è… una grande malvagità, l’ho percepita chiaramente! Non voglio tornarci, né domani, né mai!”,
“Lo stesso vale per me, Patrice” fece eco Edith,
“Dunque, fatemi capire: quanti saremo, domani sera, a parte me?”,
“Io ci vengo” fece Lundi “la mia vecchia amica mi ha invitato espressamente; e l’invito vale anche per te, Jeudi: non puoi rifiutare!”.
No, non posso rifiutare! Ma non per la ragione che credi tu!
“Noi non veniamo”, fecero eco, in coro, Liesel e Johann,
“Io sì, invece” rispose Leòn,
“No, Leòn: stanne fuori!”, gli intimò Jeudi, sottovoce,
“Ma Jeudi…”,
“Niente ma! Non voglio che tu corra rischi per me!”.
L’uomo tacque.
Jeudi deglutì. Sarebbe stata da sola, lo sapeva bene: Lundi non si sarebbe certo occupato di lei, né tantomeno Patrice, sicuramente impegnato col signor Troncan. Ma questa, d’altronde, era la sua missione. Ora lo sapeva.
Lei era stata chiamata per questo, ed avrebbe adempiuto al suo dovere, a qualsiasi costo. Strinse la piccola croce che portava al collo. L’indomani sera, avrebbe stanato quel mostro, e gli avrebbe piantato un paletto nel cuore.
“Dunque, siamo io, Lundi e Jeudi, finora. Ci farà compagnia, dottore?” la voce di Patrice la risvegliò,
“Con vero piacere!”.

Più tardi, a cena, tutti esibivano facce tese ed angosciate, chi più, chi meno: ognuno aveva da pensare alle proprie preoccupazioni.
In albergo, c’era una gran confusione: era infatti in corso una festa di matrimonio(3), e la sala ristorante più grande era stata totalmente occupata dagli invitati di questo.
Edith fumava, la testa bassa sul piano del tavolo, mentre Patrice Tavernier si era versato più di un bicchiere di vino; Lundi non aveva mangiato quasi nulla, ad eccezione di un’insalata mista di verdure locali; Jeudi e Leonhard, ai due capi opposti della tavola, continuavano a scambiarsi occhiate preoccupate a vicenda.
Perché, perché non vuoi che ti accompagni, che venga con te?
Non ti fidi più di me? Non mi ami più? Stai correndo  un pericolo mortale, e soltanto io posso aiutarti, in questo frangente; di certo, non lui! Perché non vuoi che sia io ad accompagnarti in questo momento delicato e terribile?
Mi hai chiesto di restare: vuoi proteggermi o vuoi liberarti di me? E proteggermi da cosa, poi?
Lei lo guardava, gli occhi socchiusi.
Non posso portarti con me: perdonami, perdonami, Leonhard!
E’ me che ha attirato laggiù! E’ me che vuole! E non so cosa potrebbe accadere: non voglio che tu corra dei rischi, amore mio! Per quanto ne so, io potrei anche morirne, e tu non devi subire la mia stessa sorte: tu devi vivere, amore!
Non reclinerò la testa, mostro! Non conosco ancora il tuo volto, ma chiunque tu sia, ti distruggerò, in nome di Dio! Mi hai sfidato, ed hai fatto molto male: sarò la tua nemesi!

“Buonasera a tutti!”, Jean-Jacques entrò in quel momento nel cortile, accompagnato da una donna dall’aspetto giovanile, alta e mora, con un’espressione sorridente sul viso.
“Signore e signori, voglio presentarvi mia moglie Helena”,
“Piacere di conoscervi” disse quella; aveva un ottimo Francese.
Jeudi le porse la mano, sorridendole; lo stesso fecero gli altri.
Poi, Jean fece sedere la moglie, sedendosi a sua volta.
Jeudi la osservò: aveva due occhi scuri brillanti, di quello stesso brillìo tipico di chi possiede una naturale fermezza ed una forte carica di autostima. Decise che le piaceva.
“Così, abbiamo il piacere di sedere assieme ad un medico!” fece Tavernier,
“Troppo buono, signore! Il medico è mio marito; io sono solo la farmacista!”,
“Ed un farmacista non è forse un medico? Non sia modesta, dottoressa!”.
La donna abbassò gli occhi e sorrise, arrossendo. Jean le pose una mano sulla spalla.
“Non è facile essere medici, qua” disse “e noi, come gli altri, non ci sentiamo dei privilegiati, ma riteniamo solo di fare il nostro dovere, anche quando esso potrebbe costarci molto caro”,
“Che intende dire? Ci sono ancora nostalgici del passato regime in giro?”,
“Sì, ma non solo; la gente, qui, è naturalmente diffidente, e, come avrete avuto modo di notare, anche parecchio superstiziosa. Non si rivolge facilmente al medico, ed anche quando lo fa, lo fa di nascosto”,
“Da non credere!”, Tavernier esclamò a bocca aperta.
La donna rise.
“Sì, suppongo che molte nostre… abitudini possano sembrare un tantino… barbariche a voi. Ma anche questa, purtroppo, è un’eredità lasciata dal passato, e non soltanto da quello recente”,
“A che si riferisce?” Johann aveva intrecciato le braccia, tirandosi indietro sulla sedia,
“Al feudalesimo medievale: da noi, qui all’Est, è durato assai più a lungo che da voi, e pertanto, i suoi danni sono stati più persistenti e duri a morire”,
“Ma non ditemi che non li state sradicando!” sbottò Liesel,
“Ci stiamo provando, signora. Ma non sempre è così facile: richiede molto tempo, e soprattutto dedizione”,
“Come il vostro lavoro: non è così, forse?”,
“E’ diverso: quello richiede innanzitutto amore”,
“E lei ne ha molto, suppongo” Tavernier la guardò intensamente,
“Non lo potrei fare, altrimenti. Molti dei nostri pazienti non possono pagare, sapete?”,
“La stimo molto, dottoressa: nutro una grande ammirazione per coloro che hanno una vera abnegazione per il proprio lavoro e lo giudicano una missione, sacrificando ad esso anche la famiglia e gli affetti, a volte”, aggiunse Patrice.
Tutti annuirono.

Jeudi aveva preso parte poco o nulla alla conversazione; poco dopo  l’arrivo della dottoressa, infatti, qualcos’altro aveva attirata la sua attenzione, suo malgrado.
Gli occhi… gli occhi misteriosi nel buio che aveva chiaramente avvertito al castello, adesso erano lì, da qualche parte. Non avrebbe saputo dire perché, né come, ma quella silenziosa ed invisibile presenza l’aveva raggiunta e le stava addosso, come fa un giaguaro con la sua preda, in silenzio.
E nessuno poteva aiutarla. Nessuno lo sapeva.
Ricordò gli avvertimenti dei familiari estinti, di non rimanere mai sola quando fosse stata a Brasov, ed adesso ne capiva perfettamente la ragione.
Un nemico presente ed invisibile, che avrebbe potuto essere ovunque.

Più tardi, mentre si incamminavano verso le camere da letto, Leonhard le stava vicino e la sorreggeva, come sempre.
“Sei sicura della tua decisione?” le stava chiedendo,
“Assolutamente”,
“Io ho paura per te. Permettimi di insistere”.
Lei sentì una fitta al cuore: quanto avrebbe voluto averlo vicino! Ma si scosse, e si fece più dura: non voleva che lui capitasse nel suo stesso pericolo.
“No, Leòn: fallo per me! E poi,”, si sforzò di sorridere, per tranquillizzarlo “non vedo che pericolo ci possa essere: è soltanto una cena! Nella peggiore delle ipotesi, mangeremo male!”. Rise.
Senza convinzione, Leòn cercò di imitarla.
Ma se non c’è pericolo, perché stasera mi hai parlato di rischi?
Decise di chiederglielo; lei rispose: “L’unico rischio che posso correre è quello di farmi prendere da un’altra crisi isterica come quella che hai visto; e non voglio che tu debba prenderti uno spavento inutile!”,
“Ma al castello mi parlavi di una cosa, oggi pomeriggio!”.
Jeudi si rabbuiò.
“Leonhard… io non ho idea di che cosa potesse essere quella… cosa che ho sentito; ma qualunque cosa fosse, sembra che non abbia intenzione di farmi niente, a parte spaventarmi. E poi, non sarò mai da sola, rimarrò sempre con Patrice e gli altri”.
Mentiva. E lo sapevano benissimo tutti e due.
“Leòn, ti prego… rimani qui, domani. Se mi ami, promettimelo!”.
L’uomo esitò un poco; poi, le affondò le mani tra i capelli, ai lati del viso.
“Va bene, come vuoi. Ma tu promettimi che rimarrai sempre vicino a Lundi”.
Lei gli sorrise “Va bene, stà tranquillo. E porterò con me questo”, così dicendo, gli mostrò il piccolo crocifisso che portava al collo.

La mattina successiva trascorse abbastanza tranquilla; Tavernier diede istruzioni precise a coloro che lo avrebbero accompagnato quella sera, poi arrivò il capo della polizia accompagnato da padre Rabonu, il pope responsabile della parrocchia situata nel quartiere in cui erano stati rinvenuti alcuni corpi dissanguati, e tutti iniziarono ad esaminare gli indizi: era un caso di vampirismo, senza ombra di dubbio.
Si decise che, la notte successiva, il gruppo si sarebbe diviso in due ronde che avrebbero battuto la zona dove erano scomparse le vittime.
“Il vampiro è abitudinario: di solito, preferisce cercare le sue vittime negli stessi posti che già conosce” aveva detto il poliziotto.

Poi, alle otto all’incirca, la “spedizione” di temerari si radunò nell’atrio dell’albergo per recarsi al castello.
Tavernier, in smoking bianco, era una visione mozzafiato: Edith non riusciva a togliergli le braccia dal collo.
“Amore… mi devi promettere che starai attento… e che tornerete presto!”,
“Non stare in pensiero, tesoro: il tuo Patrice sa quel che fa! E stanotte, ce la spasseremo un po’!”,
“E piantala di scherzare! Io sto crepando di paura! Continuo a chiedermi cosa succederà se quello cercherà di trattenervi là con la forza!”,
“La mia principessa ha paura!” scherzava lui; poi le spostò i capelli e la baciò sul collo “Tornerò presto!” disse.
Johann e Liesel  stavano distribuendo consigli a Jeudi e Lundi.
“Stai attenta ai trucchi elettronici: quella Matilda è capace di farvene un paio, per divertirsi a vedervi impauriti” diceva Johann,
“Non preoccuparti, terremo gli occhi aperti”, Jeudi gli teneva una mano tra le sue,
“Lundi, stai vicino alla tua donna: lì c’è qualcosa che non va, e non è l’umidità!”, Liesel manifestava terrore già nel parlare,
“Allora non preoccuparti: la sola cosa che non sopporto è proprio l’umidità; a tutto il resto posso resistere!” scherzava lui.
“Che farete, stasera?” chiedeva Jean-Jacques a Leòn, tenendo una mano in una tasca e l’altra a reggere la giacca poggiata su una spalla,
“Magari, ne approfitteremo per dare un’altra occhiata agli indizi che ci ha portato la polizia oggi” rispondeva lui.
“Signori, è ora di andare!” fece Tavernier a voce alta.
Tutti gli si fecero intorno; poi, si mossero verso l’uscita, salutati dagli altri.
Leòn e Jeudi si scambiarono un’interminabile, tacita occhiata.

Ritorna, amore! Non posso vivere senza di te, ora che so di amarti!

Non so come andrà a finire, per me; ad ogni modo, grazie per avermi amata tanto, Leòn! Ti amo!

Piquet mise in moto, e si allontanarono nella sera.
Le strade di Brasov erano deserte, abitate dai soli lampioni illuminati: la paura del mostro aveva sortito un effetto coprifuoco.
Attraversarono la piazza principale, con la sua Cattedrale Nera: anche lì, era deserto. Poi, il pulmino prese ad inerpicarsi sulla strada extraurbana.
Percorsi alcuni chilometri, raggiunsero il castello(4). Nel cortile, c’era Matilda ad aspettarli.
“Bene arrivati! Vi stavamo aspettando!” fece.
Tutti scesero.
“Prego, da questa parte! Accomodatevi pure!”.
Entrarono e si diressero al piano superiore, attraverso il percorso che già conoscevano.
Troncan li stava aspettando, pure lui in abito da sera; li accolse con il suo solito fare distaccato e superiore, e li fece accomodare in una grande sala da pranzo illuminata soltanto da candele.
“Come mai questo risparmio sull’energia elettrica?” chiese Patrice, sarcastico,
“E’ più d’atmosfera. Non trovate, signori?”.
Presero posto. Matilda si era seduta accanto a Lundi.
“Vieni pure, Jan!” gridò con la sua insopportabile voce querula.
Una porticina laterale si aprì, ed uno strano ometto entrò nella stanza, recando in mano una specie di vecchia, grossa pentola; era vestito totalmente di nero, e portava una parrucca grigia, di stile settecentesco; aveva due mani ruvide e coperte di calli, ed emanava uno strano odore, un odore di fogli vecchi ammassati ad ammuffire in un vecchio baule.
Lundi fu colto da un attacco di nausea.
Lo strano ometto iniziò a servire una specie di brodo nei piatti, dentro al quale si vedevano galleggiare alcune verdure. Patrice Tavernier storse un sopracciglio, limitandosi a mescolare il brodo col cucchiaio.
Piquet mangiò di vero appetito; Jeudi, invece, rimase ferma, senza toccare nulla.
Aveva osservato già da un po’ che l’ometto non lasciava trasparire il suo volto: teneva sempre la testa bassa,  in modo che i ciuffi di capelli della parrucca gli coprissero il viso; l’odore nauseabondo che emanava, poi, costringeva a voltarsi dalla parte opposta.
Ma adesso, d’improvviso, sentiva nuovamente gli occhi muti addosso: e capiva che la cosa era lì vicino.
Alzò lo sguardo verso Matilda, e vide che la guardava, sogghignando lievemente.
E fu allora che capì.
Avrei dovuto capirlo prima, strega!!
Patrice aveva appena piluccato qualcosa: quella sorta di zuppa proprio non gli aggradava; ed ancor meno gli aggradava l’atteggiamento del padrone di casa, il quale invece di mangiare, continuava a fissarlo sogghignando; il suo volto sinistro, reso ancor più sinistro dall’irreale riflesso delle candele, era inquietante.
“Signor Troncan, il vostro cuoco ha fallito questa sera, o devo pensare che non avete fame nemmeno lei e sua nipote?”.
L’uomo allargò il suo sogghigno “Infatti, è così. Abbiamo fatto un pasto abbondante, oggi. Vi preghiamo di scusarci”.
Tavernier si adombrò: Questo individuo, più lo conosco e meno mi piace!, pensò.

Lundi aveva mangiato ed ora conversava con Matilda, la quale non gli toglieva gli  occhi di dosso un istante; solo di tanto in tanto, lanciava occhiate in tralice a Jeudi.
La seconda portata fu a base di carne, un po’ meglio della prima; poi fu servito uno strano dolce di noci.
Al termine della cena, Troncan invitò i tre uomini a bere un whisky nel suo studio.
“Perché non anche la dottoressa?” Tavernier era sempre più alterato,
“Perché ciò che vi debbo comunicare è roba da uomini; la signorina ne resterebbe troppo impressionata!”,
“La signorina, come la chiama lei, è una docente di storia medievale, che conosce benissimo certe usanze di qua!” Patrice aveva alzato la voce,
“Veramente vorrei mostrare a Jeudi la mia collezione di romanzi storici!” s’intromise Matilda.
Superbo, maleducato e pure sessista! Che schifo di individuo!!!, pensava Patrice.
Jeudi lanciò un’occhiata a Lundi, una disperata richiesta di aiuto.
“Vai pure, cara! Io ti aspetto qui” le rispose lui.
Matilda le porse il braccio “Vogliamo andare?”; Jeudi fu costretta a seguirla.
Piquet stava per andar loro dietro, quando Troncan lo prese per un braccio “Dottore, l’invito è rivolto anche a lei!” e lo tirò nel suo studio.

Le due donne si incamminarono lungo i corridoi bui del castello; Jeudi osservava a destra ed a sinistra: non c’era anima viva, e quei vecchi mobili mettevano davvero paura! Sembravano stregati, pronti a spostarsi al loro passaggio, per poi ammucchiarsi di nuovo per seguirle con lo sguardo.
Non restare mai sola, non restare mai sola!, le riecheggiarono nella mente le parole dei suoi cari.
Jeudi strinse il crocifisso.
“Allora, mia cara” Matilda le si rivolse “sembra che tu e Lundi non andiate più d’amore e d’accordo come una volta, o mi sbaglio?”, il suo tono, da caramelloso che era stato fino a poco prima, si era fatto sarcastico.
“Piantala con questa commedia, e dimmi dove stiamo andando!” fece Jeudi, in cui la paura stava cedendo il posto alla rabbia.
“In un posto dove capirai alcune cosette!” rise l’altra.
Percorsi altri interminabili corridoi, entrarono in quella che pareva una libreria; Matilda chiuse la porta, ma senza girare la chiave.
“Stai bene a sentire, ficcanaso: Lundi è mio solamente! Quando mi lasciò per tornare da te, giurai che mi sarei vendicata, e adesso è arrivato il momento! Non uscirai viva da qui: non tornerai a Ginevra con lui!” gridò Matilda.
Jeudi la guardava, gli occhi pieni d’odio “Strega! Avrei dovuto capire subito come stavano le cose! Sei stata tu a fare tutto, per attirarci qui! Era solo me che volevi! Non è così?”.
L’altra rise “Sì, è proprio così! Non mi è stato difficile fare fuori quelle stupide ragazzette e poi contattare la polizia affinché loro contattassero Gizan; sapevo che lui si sarebbe rivolto a voi! Non mi importa nulla degli altri: sei tu quella che voglio!”,
“E così, hai sguinzagliato i tuoi “amici” perché uccidessero quelle povere ragazze!”,
“Sei perspicace, vedo! Sapevi già che non ero io il vampiro!”,
“No, infatti: perché il vampiro è tuo zio!”,
“Hai indovinato! Lui è il signore di questo castello, il signore di noi tutti! Ma c’è anche chi gli ha dato la non-morte perenne; e tu lo conosci bene!”.
In quel momento, una porticina si aprì dietro una libreria addossata ad un muro, ed un’ombra comparve nella stanza. Jeudi riconobbe l’ometto misterioso che li aveva serviti a cena.
L’individuo alzò lo sguardo per la prima volta; e fu solo allora che Jeudi poté vedere i suoi occhi vuoti e vitrei, occhi morti da secoli.
Occhi che mi spiano dalle tenebre, occhi invisibili… mi sta seguendo da Sibiu, da quando mi ha predestinato come sua preda! E’ lui!!
“Il calzolaio!” gridò Jeudi.
La ragazza indietreggiò di qualche passo, mentre l’uomo dagli occhi morti le si faceva sempre più vicino.
“Ed è un bene che io sia ancora umana” Matilda le si era avvicinata con un balzo “perché altrimenti non potrei toglierti questa!”, disse, strappandole il crocefisso dal collo.
Sono senza difese! Sono perduta!
“Lundi! Lundi, aiuto!”, gridò. Matilda rideva; il vampiro le si faceva ancora più vicino.
“Và via, via da me!” gridava Jeudi, disperata e terrorizzata.
Quello allungò una mano adunca e lei si abbassò di scatto, sfuggendo alla sua presa. Immediatamente, il vampiro indietreggiò, cambiando espressione: i suoi occhi, ora, brillavano di una cupa luce rossastra.
Alzò le braccia e sembrò svanire; un attimo dopo, un grosso pipistrello svolazzava per la stanza.
Jeudi prese a correre su e giù, come impazzita; ma sapeva bene che era inutile: trasformato in pipistrello, il vampiro avrebbe potuto esserle addosso in qualunque momento: era solo questione di tempo.
E’ finita, finita! Addio, Leonhard! Addio, Lundi! Papà, mamma, nonni… tra poco sarò con voi! Fate almeno che non soffra troppo a lungo!
In un estremo istinto di autodifesa, Jeudi muoveva le braccia in aria con gesti convulsi, tentando di allontanare l’orrido volatile da sé; ma fu inutile, come aveva immaginato: approfittando di un attimo di distrazione, il pipistrello le si infilò tra le braccia, aggrappandosi al suo collo.
“Ahhhh!” la donna gridò di dolore, sentendo d’improvviso due lunghi, affilatissimi aghi che le si conficcavano nella gola; sentì grossi sorsi del suo sangue, che veniva risucchiato via da una forza incontrastabile, non umana; le forze le vennero meno.
L’orribile volatile si staccò da lei, ed uscì da una finestra aperta, svolazzando via nella notte; Jeudi cadde a terra, mentre poteva sentire il suo sangue colare giù per il colletto del suo abito rosa in grossi fiotti, che uscivano dalla ferita seguendo le pulsazioni regolari del cuore.
Si accasciò sul pavimento, gli occhi aperti.
Matilda, che si era gustata tutta la scena ridendo, le gettò il piccolo crocefisso a terra, vicino la mano aperta “Questo te lo restituisco, ora! Non ti può aiutare più!”.
Le diede le spalle, allontanandosi verso la porta; la aprì e rimase sulla soglia “E adesso dormi per sempre, sgualdrina!” le gridò; poi uscì.

Ma l’acuto grido di Jeudi non era passato inascoltato: all’udirlo, Jean-Jacques era scattato in piedi, nonostante le proteste di Troncan (che stava illustrando loro alcuni metodi di tortura medievali usati da quelle parti), ed aveva spalancato la porta, fiondandosi come un fulmine nella direzione da cui era provenuto il grido.
A quel punto, Troncan aveva cercato di rincorrerlo, ma Patrice gli era stato addosso subito, armato di una croce; il vampiro era balzato all’indietro, terrorizzato.
“Lo sapevo!” aveva gridato Patrice “Non mi ero sbagliato sul suo conto, Troncan! Lo avevo già capito ieri che era lei il colpevole delle morti! I suoi occhi rossi, che brillavano nell’ombra… ma adesso hai finito di rompere, mostro!!!”.
Gli si era rapidamente avvicinato, la croce nelle mani; ma l’altro si era trasformato in un pipistrello, ed era volato via da una finestra lasciata aperta.
Durante tutto il tempo, Lundi era rimasto pietrificato.
“E’… era lui? Oh, mio Dio…”,
“Dio ci ha risparmiato, ragazzo. Ma temo che alla tua donna non sia andata troppo bene”,
“Jeudi! Dove sei?” aveva gridato, affacciandosi nel corridoio.
Entrambi, erano corsi dietro a Piquet.
Questi, nel frattempo, aveva raggiunto Matilda che usciva dalla stanza dove giaceva Jeudi.
“Che le hai fatto, vampira?”, l’afferrò per le spalle, senza alcuna paura; lei, invece, ne fu molto spaventata.
Il medico tirò fuori un paletto di legno, puntandoglielo alla gola “Ti ammazzo, puttana! Che cosa hai fatto alla dottoressa Brendell?”,
“Fermo, Jean!” Patrice stava arrivando, trafelato “Lei non è un vampiro!”,
“Come fa a saperlo?”,
“Guarda i suoi occhi: sono crudeli, ma non sono come quelli di suo zio! E poi, guarda!” e la toccò con la croce.
Piquet si calmò ed allentò la presa “Comunque, lei sa dov’è Jeudi. Parla: dov’è?”.
Un flebile lamento proveniva da dietro una porta chiusa. Patrice e Lundi lo sentirono e si precipitarono in quella direzione.
“Jeudi!!” Tavernier spalancò la porta e rimase pietrificato per lo spavento.
La ragazza giaceva a terra, in un lago di sangue che si allargava di più ad ogni istante; “Leo… nha… rd…” mormorava, con voce appena udibile; il professore le si inginocchiò accanto, seguito da Lundi.
“Amore! Cosa ti ha fatto?”, piagnucolava questo, tenendole una mano fra le proprie.
Non ho saputo proteggerla! Perché? Perché? Perché?
Tavernier le esaminò il collo: presentava due grossi fori sanguinanti, da cui il sangue usciva a flusso continuo, senza arrestarsi; poco più in giù, vi era uno squarcio, probabilmente lasciato dagli artigli del pipistrello, che buttava sangue anch’esso.
Il sangue aveva già abbondantemente inzuppato il collo ed il busto dell’abito; nel tentativo di fermarlo con le mani, la ragazza si era anche imbrattata il viso, intorno alla bocca e sotto al naso. Respirava debolmente, con la bocca aperta.
“O.K, Jeudi, non preoccuparti! Adesso siamo qui noi; il Cielo ti ha voluto riguardare, mantenendoti in vita: ancora un sorso di più, e ti avrebbe uccisa! Adesso ce ne andiamo da qui!”.
Si sfilò il cravattino dal collo, e lo usò per fermare il sangue, premendolo forte sulla ferita della donna.
La prese in braccio, sollevandola.
“Professore… lasci che la porti io…!” fece Lundi, debolmente,
“No, ragazzo! Tu sei sotto choc: ci penso io. Dottore!”.
Entrando nella stanza attigua, videro Piquet che teneva ancora bloccata Matilda.
“Andiamocene, presto!” gli intimò Tavernier,
“Va bene” rispose quello.
Matilda si accasciò sul pavimento, piagnucolando; Lundi le si accovacciò accanto.
“Perché, Matilda?”,
“Perché… perché tu l’ami più di me!” e pianse.
Lundi scosse la testa “Sì, è vero, io l’amo. E’ lei che non mi ama più!”,
“Cosa?!?” Matilda alzò la testa, gli occhi pieni di lacrime.
“E’ proprio così!” disse lui, prima di andarsene.

Poco più tardi, un pulmino correva veloce per le vie deserte di Brasov, diretto al piccolo ambulatorio del dottor Piquet.



 
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(1)La stanza esiste davvero: ma il conte Dracula vi pernottò solo una notte, essendo in realtà, quel castello, di proprietà reale; la vera sede del principe (non conte) Dracula era il suo palazzo di Tirgoviste
(2)Antico pavimento di legno
(3)Anche questo è vero: gli invitati erano talmente tanti che tutti gli altri ospiti dell’albergo fummo spediti a cenare nel ristorante all’aperto, nel cortile; ma anche da là, riuscivamo a vedere benissimo la festa, e quelli hanno fatto un gran baccano, ed un banchetto che è durato circa cinque ore!
(4)In realtà, il castello è un poco più lontano: si trova in località Bran

Rieccomi qua, sono tornata!!! Mi scuso profondamente per il ritardo, ma sto passando un periodo un pò pesante; ad ogni modo, ecco qui il nuovo capitolo; che ve ne pare?
Ninfea 306: come avrai letto, questo capitolo è un tantino... truculento! Ma che ci vuoi fare, il vampiro qualche danno doveva pur farlo! O no? :-)
Vitani: siamo arrivati nel vivo della storia! Scusa se ti ho fatto attendere ;-) Dimmi se ti piace: aspetto i tuoi commenti, dato che so che sei un'esperta del tema "vampiri"
Un bacione anche a tutti coloro che stanno leggendo senza commentare (però, sarei ben felice di sentire anche la vostra voce...)




  
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