Questione di scelte



– Sì stiamo bene. A colazione? I soliti biscotti col latte. Sì è qui vicino a me, aspetta. Dai Sora, saluta papà –
– Ciao papà! Si, sto facendo il bravo. Sì papà, adesso ti passo la nonna, vado a giocare. Sì faccio attenzione papà. Anch’io ti voglio bene papà –

Sasuke guarda una vecchietta e suo nipote, impegnato a rincorrere un pallone da calcio. La signora lo richiama, si è sporcato tutti i pantaloni, alla fine dovrà lavare anche quelli. Un altro bambino si avvicina ai due, chiedendo al più piccolo se può fare una partita insieme a lui. Questo si illumina e ignora immediatamente la nonna, che sorride bonaria.
Cosa si prova ad avere un bambino?
Il moro se lo chiede mentre li guarda. Allattarlo, cambiargli i pannolini, svegliarsi la notte per riaddormentarlo, vale davvero la pena? Perché tutte le donne lo vogliono, è così importante? Vederlo muoversi, imparare, divertirsi, sorridere, è bello? Non sarebbe molto difficile, per lui: in fondo avrebbe dovuto scegliere tra Sakura, Ino e tutte le altre ragazze che gli andavano dietro all’università, innamorarsene, sposarla, fare l’amore con lei e poi…poi avere quel batuffolo rosa tra le mani, con i suoi occhioni che ti guardano incuriositi. Diventare impiegato, medico, idraulico, professore o qualunque altra cosa, tornare a casa la sera e trovare una bella cena pronta, tua moglie che ti sorride, e il tuo bambino. Dargli un bacio sulla guancia, sollevarlo dal seggiolone e ammirarlo ridere, mentre cerca di articolare qualche parola, di chiamarti “papà”. Guardarlo crescere lentamente, anno dopo anno, prendersi le prime cotte, le prime batoste, innamorarsi, sposarsi. Osservarlo, ormai da vecchio, abbracciare un bambino identico a lui tanto tempo fa, accanto a una bellissima donna, sua moglie, e ricordare gli anni passati, quando hai compiuto le stesse identiche azioni.
Se lo chiede, mentre li guarda. Poi lui spazza via tutto con una sola parola.
– Sasuke –
Un uomo dai capelli biondi e gli occhi color cielo lo guarda, sorridendo radioso. Si siede sulla sua stessa panchina, e il moro gli cinge le spalle con un braccio. Lui lo bacia, poi si alza nuovamente in piedi:
– Andiamo? –
Ci pensa, mentre lo prende per mano e si incammina lontano da quel luogo. Avrebbe potuto averlo, certo, ma a lui va bene così.











Note dell'autrice:
Sono particolarmente affezionata a questa storia. Era partita che doveva essere una cosa totalmente diversa, ma poi è venuta così. Ma non me ne dispiaccio, anzi. È una (piccola) riflessione sul problema che secondo me affligge di più una coppia omosessuale:  tutti, chi più chi meno, almeno una volta nella vita credo abbiano desiderato avere un bambino, il frutto dell'amore di due persone. Due uomini, nonostante questo sentimento possa essere forte, non possono ovviamente aspirare a una cosa del genere. C'è sempre l'adozione, certo, ma non credo sarebbe la stessa cosa.
Spero di essermi spiegata bene. So di essere contorta a volte (mamma mia sono anche mooolto spiritosa, "a volte" ahah).
Per chi non l'abbia capito, le prime due battute sono una conversazione al telefono tra una nonna e il proprio nipotino con il padre di quest'ultimo. Le ho lasciate come piccolo tributo all'ispirazione per questa storia: ero al parco e ho assistito a una scena simile; certo, il bambino non ha sostenuto un discorso così elaborato (avrà avuto al massimo due anni), ma l'ho adattato al meglio con la storia. Per concludere, il nome Sora è giapponese e vuol dire "cielo", ed è il nome maschile jappo che preferisco. Se mai dovessi andare a vivere nel paese del Sol Levante e avessi un maschio lo chiamerei così.
Mi raccomando, recensite!
Un ringraziamento a Eragoon1001 per l'editing.