Capitolo 2
Sua madre gli aveva detto di starsene lontano da quella faccenda:
forse allora era proprio per quello che lui era lì a godersi
l'ennesimo spettacolo raccapricciante. Questa volta l'aveva fatta
grossa, rubando la radio alla volante di Yamato-san; le due donne di
casa Inuzuka gliela avrebbero fatta pagare cara, ma adesso tutto
quello a cui riusciva a pensare era un modo per risolvere la
situazione.
La vittima questa volta era una ragazza, probabilmente
di qualche anno più grande di lui, forse addirittura una
decina, ma comunque molto, troppo, giovane.
Le ginocchia
lisciarono il tessuto dei pantaloni della divisa quando si piegò;
osservò le mani curate, i vestiti firmati, i capelli lucenti e
di un colore insolito, poi gli occhi blu, sbarrati, allucinati, privi
di vita. Il conato si fece strada improvviso e violento, si voltò
per non inquinare la scena del delitto, ma principalmente per
rispetto. Quando lo stomaco smise di contrarsi alzò la testa e
si ritrovò davanti due occhi conosciuti, ma così
malinconici e privi di luce da far male.
“Non avvicinarti
tanto se ti fanno questo effetto.”
Kiba si morse il labbro,
voltando il capo nella direzione del corpo inerme nell'ennesimo
vicolo di periferia.
“Credevo la cosa non ti toccasse
affatto, sai che potrei infilarti nei sospettati, dal momento che
sembra tu ti diletti a gironzolare sulle scene dei crimini, senza
provare alcun tipo di malessere alla vista di tali scene?”
Finito
di parlare si voltò nuovamente per accogliere la risposta
dell'altro; lo trovò invece ancora più vicino di quello
che già era pochi istanti prima.
Shikamaru scrutava il viso
di quell'umano: gli occhi ora sorpresi, ora spaventati, ora adirati o
frustrati, ed era bellissimo vedere tanto fervore, tanta vita, era
bellissimo stargli così vicino. Tanto vicino da sentirne il
calore e l'odore. Odore che lui non poteva permettersi di inalare,
vita che lui non poteva osare sfiorare con quelle sue dita sporche di
morte e cenere.
“Forse non hai azzeccato il lavoro,
dopotutto.” Ignorando il suo tono confidenziale e la voglia di
smorzare l’atmosfera davanti allo schifo della vita, lui optò
per l’indifferenza immortale, schermandosi così da ogni
riverbero che quella persona vera, viva ed incredibilmente diversa
dalle altre, emanava prepotentemente.
Il poliziotto rimase fermo,
un odore strano gli si intrufolò nelle narici. Sapeva di
antico come i libri della biblioteca comunale, sapeva di resa come la
nonna che era spirata in compagnia di un cancro e sapeva di sigaretta
come, ricordava bene, suo padre, quando un tempo lo era stato.
Odorava di cose conosciute, diverse tra loro e difficili da trovare
insieme, ma anche di qualcosa che non riusciva a ricordare. C'era
forse paura da qualche parte?
Shikamaru si sentì male ad
essere così vivisezionato e compreso da qualcuno tanto
distante da lui, ma allo stesso tempo quel che lesse in quella mente
semplice fu qualcosa di ristoratore, qualcosa che, per la prima volta
dopo centinaia di anni e nonostante i suoi due insostituibili amici,
lo fece sentire confortato, compreso. Meno solo.
Distolse lo
sguardo puntandolo a terra, colpevole, colpito.
No, non avrebbe
più letto quella mente, aveva fatto un giuramento e lo avrebbe
onorato ogni singolo giorno della sua eterna vita.
Si voltò
facendo qualche passo avanti.
“Ehi, aspetta! Chi sei? Dove
abiti?” Ma quello non sembrava intenzionato a fermarsi e tanto
meno a rispondere. “Posso sapere almeno il tuo nome?”
Il
Nara si fermò di colpo. Il suo nome.
Importava davvero come
si chiamava? Ad una vita mortale probabilmente cose come nome,
cognome, luogo e data di nascita erano indispensabili, ma lui non
aveva motivo di confidare in regole e convenzioni sociali. Il tempo,
comunque, avrebbe sbiadito tutto ciò che lo circondava,
incluso quel ragazzo di una bellezza semplice, quasi selvaggia; con
quegli occhi, dal taglio leggermente ferino, di quel verde-marrone
così chiari da risultare del colore del miele, da risultare
gialli, come quelli di un lupo.
“Dovresti provare ad
arrivare prima che muoiano.” suggerì con un tono molto
poco sarcastico, prima di sparire nell'oscurità di un parco,
lasciando l'altro alla fioca luce di un lampione.
Così
sarebbe andata: il giovane sarebbe rimasto sotto la luce a consumarsi
mentre lui avrebbe camminato, immutato, nell'oscurità, fino
alla fine dei tempi.
Era furioso.
Una volta rientrato aveva ricevuto IL trattamento
completo da madre e sorella e, solo dopo quarantasette minuti
di sani e cordiali scambi di insulti misti a categoriche proibizioni,
era riuscito a svignarsela in camera sua.
Come aveva potuto
pensare che quell'essere insensibile avrebbe potuto aiutarlo in un
qualsiasi modo? Era già tanto che gli avesse fatto il favore
di elargirgli quelle poche parole odiosamente sarcastiche.
Qualcosa
comunque stonava, qualcosa di quel ragazzo lo stordiva, lo faceva
sentire attratto e le sue difese si abbassavano sempre in sua
presenza, come se non vi fosse pericolo alcuno, come se tutto quello
che di più giusto ci potesse essere fosse avvicinarsi a
lui.
In qualche modo gli ricordava quelle folli creature ubriacate
dal senso di onnipotenza che poteva dare l'immortalità, che
popolavano i libri che leggeva sempre la piccola Hinata che, più
coraggiosa di tutti, si avventurava nei meandri della letteratura
cupa di questi personaggi e spesso sembrava capirne l'essenza con
fine e rispettoso fangirlismo.
Fuori albeggiava e la sua giornata
libera sembrava improvvisamente qualcosa di fin troppo denso e
pesante da inghiottire in sole ventiquattro ore. Piano, lasciò
che il torpore del sonno mancato lo cullasse in un caldo dormiveglia.
Guardando la luna che cedeva il posto al chiarore dell'enorme e
vitale astro, gli venne da chiedersi che cosa spingesse un suo
coetaneo a frequentare scene di crimini orribili.
L'attimo che
venne dopo questa sua domanda, sembrò dilatarsi come le sue
pupille, di scatto si alzò a sedere, improvvisamente lucido.
Si ritrovò il respiro affannato e sentì la sudorazione
aumentare quando realizzò quanto assurdo e stupido e reale
poteva essere ciò che stava pensando.
In un attimo di
follia prese il cellulare e digitò un numero che conosceva da
troppi anni per non saperlo a memoria. Seduto sul bordo del letto si
passò una manica sulla fronte imperlata di sudore,
tamburellando con i piedi sul pavimento, ascoltando con nevrotica
attenzione il suono che dava libero che usciva dal
telefonino.
“Eee... pronto? Hinata? Disturbo?” Certo
che disturbava: erano appena le sette, quale mostro si sarebbe alzato
a quell'ora di Domenica? In quelle mattine gelide poi.
Ma Hinata,
gentile come solo la gentilezza stessa avrebbe potuto essere, ascoltò
con leggera ed assonnata curiosità i farfugliamenti
dell'amico.
“Ti volevo chiedere, cioè, scusa per
l'orario, è che... vedi... ipotizziamo per un momento...
Hinata ci sei?” Nessun tipo di rassicurazione poteva farlo
sentire meglio, perché non era paura di ciò che
poteva essere quella che sentiva, ma paura di ciò che
non avrebbe potuto avere. Troppo distante, in ogni singolo
aspetto delle loro esistenze, come linee parallele che mai si
sarebbero potute sfiorare. “Ecco, ipotizziamo per un attimo
che... che... oddio, che possa esistere uno... uno di quegli esseri
che tu tanto adori.” Il silenzio dall'altra parte invece di
agitarlo lo rasserenò un minimo e lo incoraggiò a
continuare. Hinata non lo stava deridendo, lo ascoltava come aveva
sempre fatto con tutti.
“Che...? Insomma, come...? Sarebbe,
ecco, possibile verificare? Evitando soluzioni drastiche però.
Stiamo... stiamo sempre ipotizzando eh! Eheheh.” ridacchiò,
sentendosi ancora più stupido di quanto avesse potuto suonare
la sua risatina isterica.
La vocina angelica che aveva sempre
avuto la sua piccola amica gli accarezzò l'orecchio con parole
precise ed assurdamente professionali, tanto da lasciarlo confuso.
Solo dopo che il silenzio arrivò anche dall'altra parte
dell'apparecchio si arrischiò a respirare di nuovo.
“Grazie,
Hinata-chan, scusa se ti ho disturbata. Ti prego, torna a dormire.”
chiuse così la telefonata, sussurrando le ultime parole come
se avesse avuto timore di dire qualcosa di sbagliato.
Nel silenzio
della sua camera, le poche e precise parole che l'amica gli aveva
riferito, rimbalzavano ovunque, creando un'immensa confusione dentro
di lui.
La sera giunse troppo in fretta secondo il Nara, avrebbe voluto
ritardare il più possibile.
Uscì di corsa, subito
dopo il tramonto, gli ultimi riverberi nel cielo multicolore
accarezzavano la sua pelle senza danno alcuno. Entrò nella
periferia e, a passo svelto, si diresse nella piccola piazza al
centro di quell'insieme periferico. Da lì avrebbe preso a fare
tutte le strade circostanti. Una volta arrivato però, un
grumetto di vestiti destò la sua blanda
curiosità.
Senza divisa, con tanto di giaccone imbottito e
giubbotto antiproiettili, gli strati di vestiti si ammonticchiavano
sulla figura del poliziotto e, in un primo momento, non lo aveva
riconosciuto.
“Ti cercavo.” disse il grumo e
due occhioni dorati uscirono fuori da uno spesso cappuccio.
Shikamaru
non rispose, ma percepì improvvisamente qualcosa che non
sentiva da tanto di quel tempo da averlo dimenticato: calore.
Kiba
strinse l'oggetto che aveva in tasca.
“Volevo darti un
portafortuna.”
Il Nara sbuffò e finalmente degnò
l'altro di qualche parola.
“Non ho bisogno di una cosa così.
Tienilo tu.”
“Non so se ne hai bisogno o meno, quel
che so è che sei tu quello che gira di notte disarmato.”
Detto questo Kiba allungò il pugno chiuso verso
l'altro.
Shikamaru osservò la mano tesa poi, la sua
attenzione scivolò sul ragazzo. Si era ripromesso di non
leggergli nel pensiero e così avrebbe fatto. Però era
davvero un bel ragazzo, e più lo guardava più aveva
voglia di avvicinarsi; prendere qualcosa da lui non gli avrebbe fatto
male, lo avrebbe comunque ricordato per tutta l'estenuante durata
della sua non vita, ma avere qualcosa di suo gli avrebbe fatto
piacere.
Aprì, così, la mano sotto il pugno chiuso
dell'altro.
Kiba tentennò. Sospirò agitato, il
ragazzo davanti a lui continuava a guardarlo, senza mettergli alcuna
fretta. Abbassò il pugno di poco e sfiorò quella mano,
sobbalzando leggermente nel sentirla così fredda.
Quel tipo
si stava fidando di lui: se avesse voluto fargli del male lo avrebbe
già fatto, non era comunque il ragazzo che aveva di fronte a
portare la morte nella sua tranquilla periferia. Chiuse gli occhi
interrompendo il contatto visivo e ritirò la mano.
Il Nara
si accigliò.
“Che c'è? Ci hai ripensato?”
Ma l'altro non diede risposta a quella domanda anzi, la ignorò.
“Mi
dispiace.” Shikamaru confuso alzò un sopracciglio. “Non
voglio farlo. Non voglio farti male, sono abbastanza sicuro di quel
che sei. Voglio sentirtelo dire.” Questa fu la volta del Nara
di trasalire.
Non si aspettava quella conversazione, non si
aspettava niente del genere. La mano dell'Inuzuka si aprì
sotto i suoi occhi e un ciondolo argentato a forma di croce fece
capolino nell'oscurità.
Si guardarono ancora come se
parlare fosse superfluo, ma Kiba aveva ragione: a volte è
necessario dire certe cose, anche se sono già più che
ovvie.
“Sono un non morto, un vampiro.” rivelò
Shikamaru, abbassando gli occhi sulla croce. Prese la mano del
ragazzo e la portò più vicino al suo corpo freddo; Gli
tolse il ciondolo e portò quella mano calda sul proprio petto.
“Il mio cuore non batte più da secoli.”
Kiba
rimase fermo, gli occhi gli si erano sgranati e la bocca era rimasta
leggermente aperta. Tremava senza sapere come smettere. Pensava che
quelle tonnellate di cinismo e menefreghismo fossero dovute alla noia
che, un essere come lui, poteva provare nel misurarsi con degli
insignificanti mortali. Pensava che, la sua immortalità, lo
avesse reso impermeabile al fiume di emozioni che perfino lui, una
volta, doveva aver provato. Credeva che niente facesse più
male di un cuore che batte.
Ed invece, realizzò con
infinita amarezza, un cuore che non batte è devastante e non
c'è rimedio; Non sentire è peggio, molto peggio, di
sentire troppo. Quando un velo nebbioso gli scorse davanti, Kiba uscì
da quella catatonica situazione e si ritrovò a fissare la mano
del ragazzo che bruciava, sfrigolava, creando del fumo.
In un
gesto veloce gli strappò il ciondolo, guardando la pelle
rigenerarsi mentre il braccio tornava accostato al fianco.
Kiba si
sentì invaso da un'onda anomala di rabbia e tristezza per
quello che avrebbe dovuto capire da subito.
Quel ragazzo non era
affatto menefreghista e cinico, non era esaltato all'idea
dell'eternità che aveva davanti, non amava quella
condizione.
La sua era solo una difesa, un modo per tenere lontani
quelli come lui, che non sarebbero sopravvissuti, che non
avrebbero potuto fargli compagnia in eterno. Solo, era così
che doveva sentirsi: enormemente, incredibilmente e insostenibilmente
solo.
Alzò lo sguardo dalla sua mano ormai rigenerata e lo
puntò in quelle iridi stanche. Il suo corpo si mosse e, prima
che l'altro potesse reagire, lo abbracciò.
La pelle fredda
del viso a contatto con quella calda del suo, gli provocò un
brivido e gli odori che aveva avvertito la sera prima si riproposero
più limpidi. Sentì l'altro sobbalzare, sorpreso, e
strinse ancora di più le braccia con cui gli aveva circondato
i fianchi.
Dopo un po' avvertì le mani dell'altro sulla
propria schiena, si sentì stringere a sua volta e ne fu
felicissimo. Qualcosa si sciolse dentro di lui: percepì la
voglia di non farlo mai più sentire solo farsi strada a
gomitate, fino alla vetta delle sue priorità.
Si staccò
da quel corpo freddo tenendo gli occhi bassi, si vergognava di ciò
che aveva fatto, magari l'altro non aveva neanche gradito.
“Scusa.
Mi dispiace.” disse con una smorfia, sentendo la nausea salire,
sentendosi uno schifo.
Shikamaru guardò la piccola goccia
che uscì dalle ciglia dell'altro con apparente indifferenza,
ma avrebbe tanto voluto abbracciarlo di nuovo.
“Non
preoccuparti.” mormorò assente, senza riuscire a
trattenersi dal raccogliere la lacrima sulla guancia calda
dell'umano. “Dovrei ritenermi fortunato, in fondo: si muore
una volta sola ma per tanto tempo.” finì, in un
sussurro che sembrava crepare la sua gola come il tempo fa con le
montagne, lentamente, straziandole e lacerandole in secoli e secoli.
Così, Kiba capì in quel momento, con quella frase, come
si sentiva quel ragazzo. Questo doveva sopportare: di essere già
morto, e di non poterlo fare ancora. Questa era la sua dannazione.
Seduti sulla scalinata, si osservavano quando l'altro non
guardava, chiusi in un silenzio che non era affatto silenzioso.
Kiba
prese la mano dell'altro e la sfiorò: non era rimasto niente
della bruciatura, nemmeno una piccola traccia.
“Posso sapere
il tuo nome?- Soffiò a voce bassa, senza distogliere
l'attenzione dalla pelle chiara e liscia del giovane seduto accanto a
lui -per favore.” Aggiunse poi, voltandosi.
L'altro torse il
polso fino a prendere la mano del poliziotto.
Qualcosa era
cambiato: sentirsi compreso gli faceva provare una strana sensazione
di completezza, lo faceva sentire meno solo, meno abbandonato. Meno
disumano.
Kiba guardò le loro mani toccarsi, godendo
dei brividi che la temperatura corporea dell'altro gli
procurava.
Voltandosi nuovamente, si trovò il viso del
ragazzo a pochi centimetri dal suo. Rimase immobile chiudendo gli
occhi.
Nara si avvicinò piano e, quando arrivò ad
una distanza ridicola, si fermò.
“Shikamaru.”
sussurrò flebile, prima di allontanarsi un poco e far
scivolare lo sguardo sulle labbra dell'Inuzuka.
Lo vide
avvicinarsi inconsapevolmente: le labbra leggermente aperte, gli
occhi chiusi. Sentì chiara la voce che gli urlò di
spostarsi, di portarsi ad una distanza di sicurezza, ORA!,
urlò quella voce a pieni polmoni. Si scansò alzandosi e
scendendo quei due o tre gradini del monumento che faceva sfoggio in
mezzo alla piccola piazza, lo spostamento d'aria creato da quel gesto
destò Kiba dalla trance in cui si era sentito catapultato.
“Dì
ai tuoi colleghi che questo tipo potrebbe essere fotosensibile, digli
di portarsi dietro delle torce ad ultravioletti.” proferì
composto, prima di accendersi una sigaretta, “ci vediamo.”
e sparì in una coltre di nebbia, lieve ed improvvisa.
“Senti Hatake non discutere, non vi costa niente, gli
ultravioletti sono in dotazione e non hanno un peso ed un ingombro
eccessivo.”
“Ma non ha senso! Il fatto che non faccia
vittime di giorno non sta automaticamente a significare che sia
fotosensibile, allora perché non portarsi dietro dell'aglio?
Magari è un vampiro!” ridacchiò l'uomo portandosi
la sigaretta alle labbra.
“Potrebbe essere. - Rispose Kiba
inacidito - Dovresti comprare anche dell'argento: se è un
licantropo l'aglio lo userà per condirti.”
“Calma
ragazzi, o le prendete tutti e due.” li ammonì Hana,
“effettivamente Kiba non abbiamo validi motivi per pensare che
abbia quel raro tipo di disturbo, ma dal momento che, è vero,
non ci costa fatica, ci muniremo ugualmente di torce ad
ultravioletti. La riunione è conclusa.” Hana si alzò
e lanciò uno sguardo al fratellino. A volte avrebbe davvero
voluto aprire quella testolina, per vedere che diavolo ci potesse
essere dentro da farlo sembrare un tipo tanto anomalo quanto
contorto.
Kiba era finalmente riuscito a strappare un permesso alla madre.
Non era entrato nel caso, ma almeno poteva pattugliare per dare un
po' d'aiuto. Un contentino, insomma.
Mentre camminava per quelle
strade deserte si chiedeva che cosa stesse facendo Shikamaru, magari
non era davvero un vampiro, magari usciva di notte perché gli
serviva tutta la luce diurna per farsi quello strano codino.
Ridacchiò delle idiozie che la sua mente, malata, riusciva a
partorire. Il secondo dopo, infatti, stava pensando a quanto sexy
avrebbe potuto essere con indosso solo il laccio del codino,
oppure con i capelli sciolti, nudo e il laccio in bocca da cui
spuntavano i canini. Si morse le labbra schiaffeggiandosi
mentalmente: non avrebbe dovuto distrarsi in quel modo, probabilmente
non avrebbe fatto la differenza neanche con tutti i sensi all'erta,
ma distrarsi sarebbe stato un macabro invito.
Fu proprio in quel
momento che udì del tramestio provenire da dietro l'angolo
della via che stava percorrendo.
Si avvicinò cauto, l'arma
in una mano, carica, e la torcia nell'altra. Si sporse con la testa
oltre l'angolo e gli occhi gli si sgranarono sulla scena di un uomo
che strattonava quello che doveva essere un ragazzo.
Avanti
kiba, che stai facendo? Sveglia! Si staccò dal muro e
puntò l'arma sul carnefice.
“EHI, FERMO! Sono della
polizia, sei circondato, arrenditi!” L'uomo si voltò
sorpreso ed irritato per essere stato interrotto, facendo cadere la
vittima al suolo. “tieni in alto le mani, allontanati da lui
lentamente, o giuro che ti fotto un occhio.”
L'altro, come
se l'Inuzuka non avesse neanche parlato, lasciò le braccia
lungo i fianchi, il viso tutto sporco di sangue si deformò in
un ghigno e una risata folle riempì l'aria.
“Brutta
testa di cazzo, io sono immortale, non puoi uccidere un immortale!
Fottermi un occhio, AH! Fammi vedere come fai.” sibilò
un momento prima di saltargli addosso.
Kiba si lasciò
cadere spalle a terra, tenendo il vampiro lontano con le gambe giusto
il tempo di puntargli la torcia ad ultravioletti nell'occhio
sinistro. Un urlo animalesco squarciò la quiete della
notte.
“Piccola puttana mortale, come hai osato? IL MIO
OCCHIO! IL MIO OCCHIO!” ululò la bestia ferita, “me
la pagherai scarafaggio! ME LA PAGHERAI CARA, stanne certo.” e
scomparve in una folata di vento.
Il poliziotto che era in lui si
sentì fiero del suo operato, il ragazzo invece rilassandosi
per poco non se la fece addosso.
Si alzò, le gambe e le
mani tremanti, si spolverò la divisa e poi spostò lo
sguardo sull'ennesima vittima, immobile. Era arrivato in ritardo,
ancora una volta. Si avvicinò al neo cadavere, preferendo
essere ovunque tranne che lì, lo voltò e lo stomaco si
accartocciò su se stesso mentre la nausea improvvisa lo
costrinse a deglutire. Cadde in ginocchio sentendosi risucchiare da
un vortice di malessere, la testa gli dolse tanto da portarlo a
premere istintivamente le dita nel punto dolorante, si voltò e
vomitò copiosamente. Puntando una mano a terra per non cadere,
portò l'altra alla bocca mentre il primo singhiozzo si fece
spazio nella sua gola facendo male come una coltellata: sdraiato
supino, nella pozza creata dal suo sangue, quel poco che il vampiro
non aveva fatto in tempo a bere, c'era il suo migliore amico,
Shino.
Si sentì gridare tante cose, ma non ebbe cognizione
alcuna dell'entità delle parole dette; si sentì
trascinare via di peso, ma non seppe chi ringraziare per avergli
tolto quell'immagine da davanti agli occhi.
Sotto shock, si sentì
stringere ed accarezzare quando ancora lacrime intrise di dolore
scendevano senza fine, mentre tutto sembrava assumere sfumature
sempre più chiare, mentre tutto sembrava sbiadire e perdere
importanza. Mentre la sua mente spossata, distorta dall'orrore e la
disperazione, si chiudeva su quell'osceno teatrino.
La prima cosa che vide fu rosso, rosso ovunque. La stanza sarebbe
stata buia se non fosse stato per qualche cero mezzo consumato,
quindi strizzò gli occhi. Mise a fuoco e, prendendo coscienza
degli altri sensi, si accorse che giaceva in un letto che non era il
suo: rosso, a baldacchino.
Sobbalzò sentendo qualcosa
muoversi in quel letto e voltandosi scoprì che la ragazza
bionda dormiva placida accanto a lui.
Si sentiva consumato come il
suo cuore, come se lo avessero usato per pulire le aule
dell'università che frequentava, come se non avesse mai fatto
altro che correre. Shino. Non c'era più, e non sarebbe più
tornato. Non lo avrebbe rivisto. Mai più.
Un paio di
lacrime sfuggirono al suo blando controllo.
Avrebbe voluto tirarsi
a sedere, ma si accorse di avere una mano bloccata e voltandosi si
trovò la testa di Shikamaru appoggiata a qualche centimetro
dal suo fianco; i capelli sciolti, il viso rilassato, le braccia
incrociate sotto la testa e la mano stretta nella sua. Non resistette
alla tentazione e spostò, in una carezza, una ciocca d'ebano
che gli era finita sul viso.
Il vampiro aprì gli occhi e si
voltò incrociando quelli arrossati e spenti dell'umano. Le
guance rigate, la pelle anch'essa arrossata e lo sguardo perso, quasi
vacuo.
Kiba gli fece un'altra carezza e Shikamaru mandò al
diavolo quella stupida ed insistente vocina, si sporse in avanti e lo
abbracciò. Kiba si lasciò scappare un lamento e fece
una leggera pressione affinché l'altro capisse che voleva si
sdraiasse con lui. E il Nara, ancora una volta, si lasciò
guidare dall'istinto.
Poggiò la fronte sulla sua osservando
da vicino quegli occhi dorati brillare, lucidi di dolore.
“Mi
dispiace.” sussurrò ed abbassò lo sguardo, non
riuscendo a sostenere tutta la devastazione che aveva visto e che
leggeva nell'anima dell'Inuzuka.
Le sue grida lo avevano raggiunto
così disperate che non aveva fatto altro che correre, prima di
trovarlo sporco di sangue, abbracciato al corpo senza vita di quello
che, aveva capito dalle poche parole cacciate tra i singhiozzi, era
il suo migliore amico. Era rimasto una manciata di secondi quasi
scioccato a sentirlo piangere e urlare, devastato, dilaniato. Poi era
corso a tirarlo su, lo aveva chiamato per nome, Kiba lo aveva
guardato, ne era sicuro, ma forse neanche lo aveva riconosciuto; lo
aveva però abbracciato, tanto forte da fargli sentire le ossa
scricchiolare, in barba al fatto che quello con più forza
fisica avrebbe dovuto essere il vampiro.
Shikamaru lo aveva poi
trascinato via da quel posto che puzzava di morte e sangue, come solo
il luogo in cui era morto Asuma-sensei aveva fatto. Arrivati nella
cripta aveva chiesto aiuto e i suoi compagni erano stati molto
disponibili, anche se stava chiedendo loro di trasgredire ad una
regola da lui stesso imposta. Ino aveva pulito l'umano, Chouji era
andato nel bosco e aveva trovato foglie indicate per fare una tisana.
Il Nara lo aveva accarezzato e cullato tutto il tempo, perché
appena uno degli altri due aveva cercato di far allontanare il
poliziotto dall'amico, quello cominciava ad urlare rifiutando di
staccarsi. Alla fine, stremato, gli si era addormentato tra le
braccia, con ancora le lacrime che uscivano grandi come sfere di
cristallo in cui si scorgeva solo sconforto.
“Dimmi che sto
facendo un brutto sogno, dimmi che mi sveglierò e che Shino
tornerà a rompermi le scatole con le sue frasette criptiche.”
Il bisbiglio del ragazzo lo riportò al presente, alzò
gli occhi su di lui, desiderando davvero potergli dire che, sì,
il suo amico sarebbe tornato perché quella era solo una morte
apparente. Ma non lo avrebbe mai fatto, non lo avrebbe mai illuso,
anche se non riuscì neanche a dirgli il contrario. Riuscì
solo a stringerlo di nuovo, in un abbraccio gelido che non avrebbe
mai potuto scaldarlo come avrebbe voluto fare. Inaspettatamente però,
Kiba sembrò rilassarsi in quella gradita manifestazione di un
affetto richiesto a gran voce dal suo cuore, strangolato da un dolore
troppo forte per essere smaltito in solitudine.
“Shikamaru.”
sussurrò il suo nome al suo orecchio aspettando che voltasse
il viso e lo guardasse, “aiutami, ti prego, aiutami a
prenderlo.” Un'ennesima lacrima solcò la pelle arrossata
della sua guancia e il Nara si maledisse più di quanto già
non fosse per cedere in quel modo a quel fragile umano.
Annuì,
ricevendo in cambio un bacio vicino alle labbra che gli fece chiudere
gli occhi e stringere la mano sul fianco dell'altro.
Kiba gli
regalò un sospiro e lui si morse l'interno guancia con forza,
sentendo i pantaloni divenirgli un poco più stretti.
Si
guardarono negli occhi, anche nella semi oscurità si poteva
distinguere il rossore per la pelle irritata dal pianto e quello
dell'imbarazzo che invece colorava, in quel momento, quel visetto
triste.
“Sei bellissimo con i capelli sciolti.” disse
Kiba in un bisbiglio, che sembrò rimbombare ovunque, mentre
infilava le dita in quei fili neri.
Anche tu, anche tu,
Shikamaru avrebbe tanto voluto dirgli che non aveva mai visto niente
di più bello della persona che era, volendo tralasciare che
fosse davvero un bel ragazzo. Ma come al solito non lo disse, anche
se non riuscì ad evitarsi di lasciargli un bacio freddo sulla
fronte bollente.
“Adesso dovresti tornare a casa, i tuoi
genitori saranno in pena da morire.”
“Ma chi? Mia
madre e mia sorella? Staranno festeggiando, probabilmente.”
fece un sorriso tirato, amaro.
“Non dire sciocchezze.”
quasi si sentì urlare il Nara, addolcendo il tono subito dopo,
“vieni.” disse, porgendogli la mano per aiutarlo ad
alzarsi.
L'Inuzuka osservò la ragazza dormiente accanto a
lui, trovando anomalo che non si fosse svegliata, con tutto il
baccano che erano riusciti a fare, anche solo bisbigliando.
“Non
preoccuparti, Ino dorme come un sasso: praticamente niente
riuscirebbe a destarla.”
Quando fu pronto salirono le poche scale per andare alla stanza
superiore, qui vi trovarono Chouji che dormiva e russava come un
trombone, il fascio di luce che filtrava nel mezzo alla stanza stupì
Kiba.
“Credevo fosse notte.” disse stropicciandosi un
occhio.
“La nostra notte è il tuo giorno.”
spiegò, anche se ovvio, togliendo la mano dell'umano dal suo
occhio già arrossato.
“Giusto.” sorrise mesto
l'Inuzuka “Allora mi aiuterai?” Shikamaru lo accompagnò
alla porta e lo guardò serio.
“Ti aiuterò.”
promise, lasciandolo andare. Si allontanò dalla porta e quando
fu aperta si rintanò maggiormente nell'oscurità
minacciata da quella fetta di luce accecante. Kiba si voltò
un'ultima volta.
“Grazie.” e se ne andò,
facendo calare ancora una volta le tenebre nel mondo di
Shikamaru.
Camminò senza realmente vedere niente di quello
che lo circondava, camminò per inerzia, fino a trovarsi
davanti al portone del suo palazzo. Quando aprì, la signora
del terzo piano ne uscì con un sorriso sdentato ed un
“buonasera” che venne ampiamente ignorato. Gli
scricchiolii ed i cigolii emessi dall'ascensore gli ricordarono dei
lamenti strazianti, chiuse gli occhi sospirando. Dire che era stanco
era un eufemismo.
La chiave non fece in tempo a girare nella toppa
che la porta di casa si spalancò e Tsume Inuzuka lanciò
un lamento peggiore di quello dell'ascensore, abbracciandolo di
slancio e piagnucolando una nenia simile a “grazie al cielo sei
qui, stavo per impazzire, dove cacchio sei stato? Ora ti spezzo tutte
le ossa che ti ho fatto.”
Sua sorella, comparsa oltre la
porta, aveva più o meno la stessa cera, la stessa aria
stropicciata e gli stessi occhi rossi.
“Dio Kiba, ci
dispiace un sacco per Shino.” la voce si incrinava, gli occhi
bassi, le mani strette all'altezza dello stomaco.
“Santo
cielo Kiba, ci dispia...” si bloccò sua madre avvertendo
l'inutilità di tutto quello, “lo prenderemo Kiba. Fosse
l'ultima cosa che faccio. Lo prenderò” Esplose risoluta
e minacciosa come solo sua madre poteva essere, anche in momenti come
quello, anche con le lacrime agli occhi e la voce rotta.
“Grazie.”
la strinse forte a sé, cogliendola in fallo, dopo anni di
distanza, perché il suo bambino le ricordava in modo
impressionante l'uomo che l'aveva abbandonata, perché avevano
lo stesso odore e gli stessi occhi, perché avevano la stessa
capacità di farla uscire dai gangheri. “Scusate, ma
vorrei farmi una doccia.” Concluse flebile e sconsolato, ma
sentendosi un filino meno teso.
“Oh certo! Certo, ti preparo
il bagno.”
“E il letto Hana, sarà spossato. Ma
dove sei stato amore mio? Me la sono fatta addosso.”
Che
bella la famiglia! Anche se non era completa, anche se non poteva
essere del tutto sincero, anche se spesso si urlavano dietro; le due
matte erano comunque sempre quelle che lo amavano di più, in
assoluto.
Ino squittì una risatina mentre Chouji, serio come la
morte, chiese a Shikamaru se aveva bevuto vino al posto del
sangue.
“No, Chouji, per l'ultima volta, sono sanissimo.
Vogliamo concentrarci un attimino per cortesia?” urlò
portando un silenzio di tomba. Inacidito il Nara tirò su gli
occhi al cielo mentre i suoi due amici si guardavano, una esilarata,
l'altro perplesso e preoccupato.
“Lo prenderemo, lo
prenderemo!” gioì la bionda fanciulla, nel suo chiaro
abitino di seta, ilare come non le succedeva da tempo, “mi
piace! Io ci sto!” continuò ad agitarsi sul divano dove
era appollaiata. Chouji arricciò il naso, scontento.
“Ecco,
lo sapevo, visto che hai fatto? Adesso vorrà andare là
in mezzo a farsi impalare.”
“Smettila Chouji, per
l'amor del cielo, ti sto dicendo che non correrete pericoli, ho solo
bisogno che mi aiutiate materialmente a fare delle cose, non dovrete
prendere a pedate un orso che non mangia da settimane.”
Shikamaru si alzò dalla poltrona logora su cui era seduto,
sbuffando si massaggiò le tempie, cercando di rimanere
calmo.
“Una volta ci hai detto...” iniziò
l'Akimichi, pacato.
“Lo so che cosa ho detto Cho, voglio
solo che vi fidiate di me come avete sempre fatto.” Si
guardarono tutti e tre per un istante. “Vi prego, è
importante per me.” Ino scoppiò in una risatina
maligna.
“Il signorino si è innamorato hihihi...”
e continuò a ridacchiare mentre l'amico paffuto sorrideva
complice.
“Sì, va bene, ok, a parte questo?”
l'interessato agitò in aria, in un gesto vago, la mano libera,
quella che non teneva premuta sugli occhi, “mi darete una
mano?”
Chouji gli si avvicinò e gli posò una
mano sulla spalla facendogli alzare il viso.
“Farei di tutto
per poterti veder sorridere di nuovo come facevi un tempo. E Ino già
non vede l'ora.”
Il suo amico sembrava davvero la
reincarnazione del Buddha quando si comportava in quel modo ed
assumeva quell'espressione da illuminato, con quel faccione rubicondo
che esprimeva bontà da ogni lato, Shikamaru pensò che
sarebbe stata davvero dura, passare attraverso tutti quei secoli, se
accanto a lui non ci fossero stati quei due raggi di sole
inestinguibili.
Si svegliò di soprassalto per la quinta volta in due ore.
Era ormai sera inoltrata e quello non era riposare, non ci si
avvicinava nemmeno, e lui ne aveva le tasche piene.
Prese l'arma e
la torcia, la radio e tutto il suo coraggio e si buttò dalla
finestra finendo sul terrazzo dell'anziano signore del piano di
sotto. Un'orchidea dondolò sul ciglio del vuoto, prima che lui
la prendesse al volo. Il tetto della palazzina di fronte era molto
vicino e con un balzo ci fu sopra, la strada era accessibile da lì
tramite un'arrugginita scala antincendio. Una volta in strada sentì
l'aria farsi più fredda, come se essere davvero là in
mezzo, in quelle stesse strade dove era morto il suo migliore amico,
lo facesse sentire più male, come se gli ricordasse che era
colpa sua, che non era arrivato in tempo.
Si scosse di dosso la
voglia di piangere che aveva ancora radicata nel cuore, e prese a
camminare nelle vie più grandi e frequentate, almeno di
giorno.
Fuori, la campagna sembrava ingoiarlo in un gelo asciutto
che gli seccava la gola ed il cimitero era molto più lugubre e
spettrale di quel che ricordava. Trovò subito la cripta giusta
e bussò con decisione.
Dopo pochi istanti la porta cigolò
e gli occhi scuri che tanto si era accorto di amare fecero
capolino.
“Ehi, potevo non essere io. Dovresti stare più
attento.” Shikamaru alzò un sopracciglio facendolo
passare.
“Lo dice uno che è appena entrato in una
cripta con tre vampiri dentro.” Kiba mise il broncio come i
bambini, gonfiando leggermente le guance.
“Sì, ok,
come facevi a sapere che ero io?” bofonchiò risentito,
incrociando le braccia al petto.
Il Nara gli si avvicinò
sporgendo il naso verso il suo collo.
“Riconoscerei il tuo
odore a miglia di distanza.” sussurrò poi incontrando il
suo sguardo sorpreso.
L'Inuzuka colse l'occasione per avvicinarsi,
lo prese per un polso un momento prima che si allontanasse.
“Perché
ti avvicini e poi scappi appena tento di farlo io?”
Shikamaru
indietreggiò, colpito.
“Perché lo fai?”
La
testa già gli faceva male prima.
“Che cosa ti
spaventa?”
“Io sono morto Kiba.” urlò
alla fine, riportando il silenzio, “vivrò per sempre,
senza vita, senza sole e senza anima. E tu? Tu vivrai una vita piena,
vera, ma mortale. E mi lascerai solo. E ti dovrò guardare
invecchiare e morire.” Finì con un tono basso e amaro
che fece venire la nausea ad entrambi.
Il silenzio ancora una
volta andò in frantumi mentre Kiba fece un passo avanti.
“Sono
io quello che dovrà morire, se non interessa a me perché
è così frenante per te?”
“Perché
sono io che ti perderò, che vivrò il resto di questo
schifo senza di te.”
“Allora preferisci vivere solo
per sempre, piuttosto che lasciarti amare per il tempo di una vita
mortale?” quasi urlò Kiba e sentì la sua voce
incrinarsi sulla fine della frase. Vide chiaramente gli occhi
dell'altro seguire lentamente il percorso di una goccia salata che
scendeva dai suoi, e stufo di quella sua debolezza, stufo di quel
nulla, di quella distanza, si avvicinò facendo un altro passo.
Prese la mano del ragazzo che aveva di fronte e di cui, sentiva, non
poteva più fare a meno, e la portò sul suo petto,
avvicinandosi ancora. “Non so se te lo ricordi, ma di solito
non va così veloce.” mormorò ad un paio di
centimetri dal viso dell'altro. Lasciò lì la sua mano e
portò le sue a sfare lo strano codino. Infilò le dita
in quel mare di petrolio che profumava di tabacco sentendo una mano
fredda toccargli il viso.
Shikamaru imprecò mentalmente
mentre chiudeva quella stupida distanza; premette le labbra sulle sue
sentendo l'altro sciogliersi tra le sue braccia, avvertendo mani
calde infilarglisi nei capelli, dandogli brividi.
Kiba non riuscì
a non pensare che avrebbe voluto di più, così poggiò
una mano sul suo collo e si spinse contro di lui. Dischiuse le labbra
e sfiorò la sua lingua.
L'altro, in quel momento, superò
il limite: prese Kiba in braccio e lo portò nella stanza di
Ino, lo lasciò andare solo quando si trovarono sul letto e
senza smettere di baciarlo lo privò dei pesanti
indumenti.
“Accidenti, sei freddissimo...” ridacchiò,
senza fiato, alla sensazione delle mani fredde del vampiro sulla sua
pelle calda.
“E tu sai di buono.” si lasciò
sfuggire Shikamaru mentre faceva passare la lingua sul collo del
ragazzo, fino all'orecchio, mentre lottava contro la sua natura e
frenava il desiderio di morderlo, pensando a quanto quell'umano si
stava fidando di lui. Pensando a quanta vita aveva tra le mani, e che
non poteva non essere rispettata.
Kiba buttò la testa
indietro ed un gemito uscì dalla sue labbra. Strinse i fianchi
del ragazzo sopra di lui e li spinse contro i suoi, sentendo la
durezza dell'altro cozzare con la sua.
Shikamaru, accantonata
l'idea dei preliminari con l'ultima prodezza di quel ragazzino, si
succhiò due dita prima di tornare a baciarlo.
“No,”
lo interruppe, sfuggendo al bacio, “non ho bisogno di
questo.”
Il Nara si leccò ugualmente una mano e si
toccò l'erezione, inumidendola un po'. Nonostante le parole
dell'altro, fece entrare un dito sentendosi scivolare dentro con
facilità.
Allo sguardo interrogativo che ricevette, Kiba si
sentì in debito di spiegazioni. Si alzò sui gomiti e
sospirò.
“Shino non è stato solo il mio
migliore amico: con lui ho scoperto di essere gay. Poi ci siamo resi
conto che era amore fraterno e non c'era nessun altro tipo di
coinvolgimento, quindi siamo tornati ad essere amici come un tempo,
forse eravamo ancora più uniti.” spiegò con un
po' di tristezza nella voce.
Shikamaru annuì spiccio, e il
bacio che venne dopo fu accompagnato da un gemito più alto e
soffocato. Portandosi nuovamente sopra di lui si appoggiò
all'entrata sentendosi poi inghiottire dal calore dell'altro ed
ansimando pesantemente nel suo orecchio. Kiba mosse il bacino
facendolo scivolare dentro di un altro paio di centimetri, facendoli
boccheggiare entrambi. E, prima che la razionalità lo
abbandonasse, riuscì solo a pensare ad un ultima cosa: quello
che sentiva provenire dal vampiro, per quanto potesse risultare
assurdo, era inequivocabilmente calore.
Si sentirono morire e
rinascere, con le dita di uno che cercavano quelle dell'altro, con
baci roventi e spinte mirate a togliere la ragione, e sospiri e
gemiti e mugolii lussuriosi.
Si amarono senza misura e, mentre si
rotolavano tra le lenzuola rosse come il peccato, ad entrambi era ben
chiaro che stavano facendo l'errore più grande della storia
degli errori. E nessuno dei due riusciva a pentirsene.
Chouji e Ino dormirono insieme quella volta, lasciando i due
aggrovigliati insieme, senza disturbare tanto amore anche in un posto
morto come quello in cui vivevano.
Fuori, nella piccola piazza,
tutto era pronto.
Oooh sono commossa... sigh. Ben due recensioni!
Dico sul serio,
non me le aspettavo. Magari mi aspettavo quella di Nali; perché
lei è una pazza che si rilegge i miei papponi anche tre o
quattro volte, non so come faccia - e se rientri nel masochismo
semplice o ne sia una forma evoluta - ma lo fa e va rinchiusa.
La
frase scelta per il contest probabilmente è stata trattata
poco e in maniera superficiale, ma cambiare ora quella parte, che
credo sia comunque cruciale, mi sembra sbagliato e neanche mi
riuscirebbe senza creare disordine con le altre parti già
esistenti. Mi dispiace, ma non la cambierò, spero se ne colga
il significato e l'importanza che non è riuscita a cogliere la
giudicia, per vari motivi - esclusa ovviamente la sua competenza -
tra cui la mancanza di tempo adeguata.
Urdi: lo sai che ci pensavo qualche giorno prima di postare lo scorso capitolo? Tu davvero mi segui dalla prima fic che ho postato XD. Che cosa carina, no? Cioè, è banale. Però mi fa piacere aver legato con qualcuno fin dall'inizio: aver trovato tante cose in comune, oltre che tante idee simili, sulla vita in generale come anche su concetti un po' più complicati ed astratti, che però non ci risparmiamo u.u - perché siamo delle masochista, in realtà. Sono contenta che la trovi carina questa scemata ^ ^, la sento un po' distante a volte perché non è un argomento facile, almeno se ci infili personaggi di un manga. Poi però lo trovo vicino, quasi inaspettatamente perché sono abbastanza contenta di quel che è venuto fuori. La storia in sé non sembra presentare quelle melensità proprie del mio stile e questo mi rallegra. La virgola dopo il punto esclamativo ed interrogativo è colpa di suni XD lei la mette così e siccome mi piaceva come suonava la frase una volta letta, ho provato anch'io! Se non copicchio un po' mica ce la posso fare, sono un sacco vuoto, per lo meno di ortografia e sintassi, quindi devo riempirmi XDD ok paragone infelice, ma non è per schernirmi eh. E' per dire che voglio e devo imparare e quando nessuno mi insegna o non posso attingere da qualche parte raccatto un po' in qua e in là, quindi scusa se ti faccio ammattire con il betaggio di cose assurde lol. Ciao cara, grazie mille davvero.
_Resha_: oh santi numi! Quanti complimenti! Che gioia
sapere che a qualcuno che non mi conosce nemmeno come writer - anche
se di cazzate, si scrive così u.u' - ha letto e gradito una
mia storia. Spero che questo capitolo sia almeno sulla stessa linea
dell'altro e che riesca a collegarcisi in modo fluido. Spero anche di
aver mantenuto l'ic il più possibile. Cammino sul filo del
confine tra ic e ooc, lo so, ma la situazione, la au e un sacco di
altre cose, non mi permettono di fare altrimenti. Se facessi vedere
un essere umano forte e baldanzoso davanti, o rispetto, ad un vampiro
sarei fuori luogo e l'ic mi servirebbe a ben poco. Ti ringrazio dal
profondo del mio cuoricino sonnacchioso per tutte le belle parole che
hai detto, non sai quanto mi ha fatto piacere cara. Ino è
adorabile, infantile sì, perché diciamo che ho preso
come modello Drusilla, di Buffy. Non avendo letto libri su vampiri ed
avendo visto anche pochi film, non ho potuto che basarmi sul vecchio
e caro Dracula, su 'intervista col vampiro' e Buffy. E' una forza il
fatto che abitiamo così vicine, davvero! Mi ha fatto uno
strano effetto scoprire una cosa del genere e - siccome sono sempre a
corto di amiche ç__ç - farò un salto al Minas
Tirith, una di queste sere, molto volentieri. Kakuzu e Hidan sono
odiosi e viscidi, ma sono i cattivi perfetti ed in questo caso anche
i vampiri perfetti, immortali e disgustosi. E zombie-osi
XD.
Ps: grazie mille anche per la recensione che mi hai lasciato a
“Farei di tutto”. Quando ti vedrò ti abbraccerò
stritolandoti. Sei stata avvisata! u.u
Grazie anche a chi ha messo questa scemenza tra i preferiti, che
sono: girlstreet e Urdi.
Un grazie anche a chi l'ha messa nelle
seguite, ovvero: lady moon, Bel Oleander, Urdi, _Resha_.