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Autore: slice    17/10/2009    2 recensioni
Kiba è un semplice ragazzo che fa il poliziotto, nella stessa centrale dove lavorano madre e sorella, per pagarsi gli studi universitari. Shikamaru è un vampiro, un ragazzo morto secoli prima che ha perso speranze e fiducia in quasi tutto, specialmente nell'umanità. Non hanno niente in comune, apparentemente, ma scavando un po' si scopre che entrambi stanno cercando qualcosa di preciso, qualcosa che troveranno nell'altro. A farli incontrare ci penserà una serie di eventi ed omicidi notturni. Questa fic ha partecipato - stendiamo un velo pietoso sul risultato - al contest "dark behind the light... vampires" di theforgottendreamer.
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kiba Inuzuka, Shikamaru Nara
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2



Sua madre gli aveva detto di starsene lontano da quella faccenda: forse allora era proprio per quello che lui era lì a godersi l'ennesimo spettacolo raccapricciante. Questa volta l'aveva fatta grossa, rubando la radio alla volante di Yamato-san; le due donne di casa Inuzuka gliela avrebbero fatta pagare cara, ma adesso tutto quello a cui riusciva a pensare era un modo per risolvere la situazione.
La vittima questa volta era una ragazza, probabilmente di qualche anno più grande di lui, forse addirittura una decina, ma comunque molto, troppo, giovane.
Le ginocchia lisciarono il tessuto dei pantaloni della divisa quando si piegò; osservò le mani curate, i vestiti firmati, i capelli lucenti e di un colore insolito, poi gli occhi blu, sbarrati, allucinati, privi di vita. Il conato si fece strada improvviso e violento, si voltò per non inquinare la scena del delitto, ma principalmente per rispetto. Quando lo stomaco smise di contrarsi alzò la testa e si ritrovò davanti due occhi conosciuti, ma così malinconici e privi di luce da far male.
“Non avvicinarti tanto se ti fanno questo effetto.”
Kiba si morse il labbro, voltando il capo nella direzione del corpo inerme nell'ennesimo vicolo di periferia.
“Credevo la cosa non ti toccasse affatto, sai che potrei infilarti nei sospettati, dal momento che sembra tu ti diletti a gironzolare sulle scene dei crimini, senza provare alcun tipo di malessere alla vista di tali scene?”
Finito di parlare si voltò nuovamente per accogliere la risposta dell'altro; lo trovò invece ancora più vicino di quello che già era pochi istanti prima.
Shikamaru scrutava il viso di quell'umano: gli occhi ora sorpresi, ora spaventati, ora adirati o frustrati, ed era bellissimo vedere tanto fervore, tanta vita, era bellissimo stargli così vicino. Tanto vicino da sentirne il calore e l'odore. Odore che lui non poteva permettersi di inalare, vita che lui non poteva osare sfiorare con quelle sue dita sporche di morte e cenere.
“Forse non hai azzeccato il lavoro, dopotutto.” Ignorando il suo tono confidenziale e la voglia di smorzare l’atmosfera davanti allo schifo della vita, lui optò per l’indifferenza immortale, schermandosi così da ogni riverbero che quella persona vera, viva ed incredibilmente diversa dalle altre, emanava prepotentemente.
Il poliziotto rimase fermo, un odore strano gli si intrufolò nelle narici. Sapeva di antico come i libri della biblioteca comunale, sapeva di resa come la nonna che era spirata in compagnia di un cancro e sapeva di sigaretta come, ricordava bene, suo padre, quando un tempo lo era stato. Odorava di cose conosciute, diverse tra loro e difficili da trovare insieme, ma anche di qualcosa che non riusciva a ricordare. C'era forse paura da qualche parte?
Shikamaru si sentì male ad essere così vivisezionato e compreso da qualcuno tanto distante da lui, ma allo stesso tempo quel che lesse in quella mente semplice fu qualcosa di ristoratore, qualcosa che, per la prima volta dopo centinaia di anni e nonostante i suoi due insostituibili amici, lo fece sentire confortato, compreso. Meno solo.
Distolse lo sguardo puntandolo a terra, colpevole, colpito.
No, non avrebbe più letto quella mente, aveva fatto un giuramento e lo avrebbe onorato ogni singolo giorno della sua eterna vita.
Si voltò facendo qualche passo avanti.
“Ehi, aspetta! Chi sei? Dove abiti?” Ma quello non sembrava intenzionato a fermarsi e tanto meno a rispondere. “Posso sapere almeno il tuo nome?”
Il Nara si fermò di colpo. Il suo nome.
Importava davvero come si chiamava? Ad una vita mortale probabilmente cose come nome, cognome, luogo e data di nascita erano indispensabili, ma lui non aveva motivo di confidare in regole e convenzioni sociali. Il tempo, comunque, avrebbe sbiadito tutto ciò che lo circondava, incluso quel ragazzo di una bellezza semplice, quasi selvaggia; con quegli occhi, dal taglio leggermente ferino, di quel verde-marrone così chiari da risultare del colore del miele, da risultare gialli, come quelli di un lupo.
“Dovresti provare ad arrivare prima che muoiano.” suggerì con un tono molto poco sarcastico, prima di sparire nell'oscurità di un parco, lasciando l'altro alla fioca luce di un lampione.
Così sarebbe andata: il giovane sarebbe rimasto sotto la luce a consumarsi mentre lui avrebbe camminato, immutato, nell'oscurità, fino alla fine dei tempi.





Era furioso.
Una volta rientrato aveva ricevuto IL trattamento completo da madre e sorella e, solo dopo quarantasette minuti di sani e cordiali scambi di insulti misti a categoriche proibizioni, era riuscito a svignarsela in camera sua.
Come aveva potuto pensare che quell'essere insensibile avrebbe potuto aiutarlo in un qualsiasi modo? Era già tanto che gli avesse fatto il favore di elargirgli quelle poche parole odiosamente sarcastiche.
Qualcosa comunque stonava, qualcosa di quel ragazzo lo stordiva, lo faceva sentire attratto e le sue difese si abbassavano sempre in sua presenza, come se non vi fosse pericolo alcuno, come se tutto quello che di più giusto ci potesse essere fosse avvicinarsi a lui.
In qualche modo gli ricordava quelle folli creature ubriacate dal senso di onnipotenza che poteva dare l'immortalità, che popolavano i libri che leggeva sempre la piccola Hinata che, più coraggiosa di tutti, si avventurava nei meandri della letteratura cupa di questi personaggi e spesso sembrava capirne l'essenza con fine e rispettoso fangirlismo.
Fuori albeggiava e la sua giornata libera sembrava improvvisamente qualcosa di fin troppo denso e pesante da inghiottire in sole ventiquattro ore. Piano, lasciò che il torpore del sonno mancato lo cullasse in un caldo dormiveglia. Guardando la luna che cedeva il posto al chiarore dell'enorme e vitale astro, gli venne da chiedersi che cosa spingesse un suo coetaneo a frequentare scene di crimini orribili.
L'attimo che venne dopo questa sua domanda, sembrò dilatarsi come le sue pupille, di scatto si alzò a sedere, improvvisamente lucido. Si ritrovò il respiro affannato e sentì la sudorazione aumentare quando realizzò quanto assurdo e stupido e reale poteva essere ciò che stava pensando.
In un attimo di follia prese il cellulare e digitò un numero che conosceva da troppi anni per non saperlo a memoria. Seduto sul bordo del letto si passò una manica sulla fronte imperlata di sudore, tamburellando con i piedi sul pavimento, ascoltando con nevrotica attenzione il suono che dava libero che usciva dal telefonino.
“Eee... pronto? Hinata? Disturbo?” Certo che disturbava: erano appena le sette, quale mostro si sarebbe alzato a quell'ora di Domenica? In quelle mattine gelide poi.
Ma Hinata, gentile come solo la gentilezza stessa avrebbe potuto essere, ascoltò con leggera ed assonnata curiosità i farfugliamenti dell'amico.
“Ti volevo chiedere, cioè, scusa per l'orario, è che... vedi... ipotizziamo per un momento... Hinata ci sei?” Nessun tipo di rassicurazione poteva farlo sentire meglio, perché non era paura di ciò che poteva essere quella che sentiva, ma paura di ciò che non avrebbe potuto avere. Troppo distante, in ogni singolo aspetto delle loro esistenze, come linee parallele che mai si sarebbero potute sfiorare. “Ecco, ipotizziamo per un attimo che... che... oddio, che possa esistere uno... uno di quegli esseri che tu tanto adori.” Il silenzio dall'altra parte invece di agitarlo lo rasserenò un minimo e lo incoraggiò a continuare. Hinata non lo stava deridendo, lo ascoltava come aveva sempre fatto con tutti.
“Che...? Insomma, come...? Sarebbe, ecco, possibile verificare? Evitando soluzioni drastiche però. Stiamo... stiamo sempre ipotizzando eh! Eheheh.” ridacchiò, sentendosi ancora più stupido di quanto avesse potuto suonare la sua risatina isterica.
La vocina angelica che aveva sempre avuto la sua piccola amica gli accarezzò l'orecchio con parole precise ed assurdamente professionali, tanto da lasciarlo confuso. Solo dopo che il silenzio arrivò anche dall'altra parte dell'apparecchio si arrischiò a respirare di nuovo.
“Grazie, Hinata-chan, scusa se ti ho disturbata. Ti prego, torna a dormire.” chiuse così la telefonata, sussurrando le ultime parole come se avesse avuto timore di dire qualcosa di sbagliato.
Nel silenzio della sua camera, le poche e precise parole che l'amica gli aveva riferito, rimbalzavano ovunque, creando un'immensa confusione dentro di lui.





La sera giunse troppo in fretta secondo il Nara, avrebbe voluto ritardare il più possibile.
Uscì di corsa, subito dopo il tramonto, gli ultimi riverberi nel cielo multicolore accarezzavano la sua pelle senza danno alcuno. Entrò nella periferia e, a passo svelto, si diresse nella piccola piazza al centro di quell'insieme periferico. Da lì avrebbe preso a fare tutte le strade circostanti. Una volta arrivato però, un grumetto di vestiti destò la sua blanda curiosità.
Senza divisa, con tanto di giaccone imbottito e giubbotto antiproiettili, gli strati di vestiti si ammonticchiavano sulla figura del poliziotto e, in un primo momento, non lo aveva riconosciuto.
“Ti cercavo.” disse il grumo e due occhioni dorati uscirono fuori da uno spesso cappuccio.
Shikamaru non rispose, ma percepì improvvisamente qualcosa che non sentiva da tanto di quel tempo da averlo dimenticato: calore.
Kiba strinse l'oggetto che aveva in tasca.
“Volevo darti un portafortuna.”
Il Nara sbuffò e finalmente degnò l'altro di qualche parola.
“Non ho bisogno di una cosa così. Tienilo tu.”
“Non so se ne hai bisogno o meno, quel che so è che sei tu quello che gira di notte disarmato.” Detto questo Kiba allungò il pugno chiuso verso l'altro.
Shikamaru osservò la mano tesa poi, la sua attenzione scivolò sul ragazzo. Si era ripromesso di non leggergli nel pensiero e così avrebbe fatto. Però era davvero un bel ragazzo, e più lo guardava più aveva voglia di avvicinarsi; prendere qualcosa da lui non gli avrebbe fatto male, lo avrebbe comunque ricordato per tutta l'estenuante durata della sua non vita, ma avere qualcosa di suo gli avrebbe fatto piacere.
Aprì, così, la mano sotto il pugno chiuso dell'altro.
Kiba tentennò. Sospirò agitato, il ragazzo davanti a lui continuava a guardarlo, senza mettergli alcuna fretta. Abbassò il pugno di poco e sfiorò quella mano, sobbalzando leggermente nel sentirla così fredda.
Quel tipo si stava fidando di lui: se avesse voluto fargli del male lo avrebbe già fatto, non era comunque il ragazzo che aveva di fronte a portare la morte nella sua tranquilla periferia. Chiuse gli occhi interrompendo il contatto visivo e ritirò la mano.
Il Nara si accigliò.
“Che c'è? Ci hai ripensato?” Ma l'altro non diede risposta a quella domanda anzi, la ignorò.
“Mi dispiace.” Shikamaru confuso alzò un sopracciglio. “Non voglio farlo. Non voglio farti male, sono abbastanza sicuro di quel che sei. Voglio sentirtelo dire.” Questa fu la volta del Nara di trasalire.
Non si aspettava quella conversazione, non si aspettava niente del genere. La mano dell'Inuzuka si aprì sotto i suoi occhi e un ciondolo argentato a forma di croce fece capolino nell'oscurità.
Si guardarono ancora come se parlare fosse superfluo, ma Kiba aveva ragione: a volte è necessario dire certe cose, anche se sono già più che ovvie.
“Sono un non morto, un vampiro.” rivelò Shikamaru, abbassando gli occhi sulla croce. Prese la mano del ragazzo e la portò più vicino al suo corpo freddo; Gli tolse il ciondolo e portò quella mano calda sul proprio petto. “Il mio cuore non batte più da secoli.”
Kiba rimase fermo, gli occhi gli si erano sgranati e la bocca era rimasta leggermente aperta. Tremava senza sapere come smettere. Pensava che quelle tonnellate di cinismo e menefreghismo fossero dovute alla noia che, un essere come lui, poteva provare nel misurarsi con degli insignificanti mortali. Pensava che, la sua immortalità, lo avesse reso impermeabile al fiume di emozioni che perfino lui, una volta, doveva aver provato. Credeva che niente facesse più male di un cuore che batte.
Ed invece, realizzò con infinita amarezza, un cuore che non batte è devastante e non c'è rimedio; Non sentire è peggio, molto peggio, di sentire troppo. Quando un velo nebbioso gli scorse davanti, Kiba uscì da quella catatonica situazione e si ritrovò a fissare la mano del ragazzo che bruciava, sfrigolava, creando del fumo.
In un gesto veloce gli strappò il ciondolo, guardando la pelle rigenerarsi mentre il braccio tornava accostato al fianco.
Kiba si sentì invaso da un'onda anomala di rabbia e tristezza per quello che avrebbe dovuto capire da subito.
Quel ragazzo non era affatto menefreghista e cinico, non era esaltato all'idea dell'eternità che aveva davanti, non amava quella condizione.
La sua era solo una difesa, un modo per tenere lontani quelli come lui, che non sarebbero sopravvissuti, che non avrebbero potuto fargli compagnia in eterno. Solo, era così che doveva sentirsi: enormemente, incredibilmente e insostenibilmente solo.
Alzò lo sguardo dalla sua mano ormai rigenerata e lo puntò in quelle iridi stanche. Il suo corpo si mosse e, prima che l'altro potesse reagire, lo abbracciò.
La pelle fredda del viso a contatto con quella calda del suo, gli provocò un brivido e gli odori che aveva avvertito la sera prima si riproposero più limpidi. Sentì l'altro sobbalzare, sorpreso, e strinse ancora di più le braccia con cui gli aveva circondato i fianchi.
Dopo un po' avvertì le mani dell'altro sulla propria schiena, si sentì stringere a sua volta e ne fu felicissimo. Qualcosa si sciolse dentro di lui: percepì la voglia di non farlo mai più sentire solo farsi strada a gomitate, fino alla vetta delle sue priorità.
Si staccò da quel corpo freddo tenendo gli occhi bassi, si vergognava di ciò che aveva fatto, magari l'altro non aveva neanche gradito.
“Scusa. Mi dispiace.” disse con una smorfia, sentendo la nausea salire, sentendosi uno schifo.
Shikamaru guardò la piccola goccia che uscì dalle ciglia dell'altro con apparente indifferenza, ma avrebbe tanto voluto abbracciarlo di nuovo.
“Non preoccuparti.” mormorò assente, senza riuscire a trattenersi dal raccogliere la lacrima sulla guancia calda dell'umano. “Dovrei ritenermi fortunato, in fondo: si muore una volta sola ma per tanto tempo.” finì, in un sussurro che sembrava crepare la sua gola come il tempo fa con le montagne, lentamente, straziandole e lacerandole in secoli e secoli. Così, Kiba capì in quel momento, con quella frase, come si sentiva quel ragazzo. Questo doveva sopportare: di essere già morto, e di non poterlo fare ancora. Questa era la sua dannazione.

Seduti sulla scalinata, si osservavano quando l'altro non guardava, chiusi in un silenzio che non era affatto silenzioso.
Kiba prese la mano dell'altro e la sfiorò: non era rimasto niente della bruciatura, nemmeno una piccola traccia.
“Posso sapere il tuo nome?- Soffiò a voce bassa, senza distogliere l'attenzione dalla pelle chiara e liscia del giovane seduto accanto a lui -per favore.” Aggiunse poi, voltandosi.
L'altro torse il polso fino a prendere la mano del poliziotto.
Qualcosa era cambiato: sentirsi compreso gli faceva provare una strana sensazione di completezza, lo faceva sentire meno solo, meno abbandonato. Meno disumano.
Kiba guardò le loro mani toccarsi, godendo dei brividi che la temperatura corporea dell'altro gli procurava.
Voltandosi nuovamente, si trovò il viso del ragazzo a pochi centimetri dal suo. Rimase immobile chiudendo gli occhi.
Nara si avvicinò piano e, quando arrivò ad una distanza ridicola, si fermò.
“Shikamaru.” sussurrò flebile, prima di allontanarsi un poco e far scivolare lo sguardo sulle labbra dell'Inuzuka.
Lo vide avvicinarsi inconsapevolmente: le labbra leggermente aperte, gli occhi chiusi. Sentì chiara la voce che gli urlò di spostarsi, di portarsi ad una distanza di sicurezza, ORA!, urlò quella voce a pieni polmoni. Si scansò alzandosi e scendendo quei due o tre gradini del monumento che faceva sfoggio in mezzo alla piccola piazza, lo spostamento d'aria creato da quel gesto destò Kiba dalla trance in cui si era sentito catapultato.
“Dì ai tuoi colleghi che questo tipo potrebbe essere fotosensibile, digli di portarsi dietro delle torce ad ultravioletti.” proferì composto, prima di accendersi una sigaretta, “ci vediamo.” e sparì in una coltre di nebbia, lieve ed improvvisa.





“Senti Hatake non discutere, non vi costa niente, gli ultravioletti sono in dotazione e non hanno un peso ed un ingombro eccessivo.”
“Ma non ha senso! Il fatto che non faccia vittime di giorno non sta automaticamente a significare che sia fotosensibile, allora perché non portarsi dietro dell'aglio? Magari è un vampiro!” ridacchiò l'uomo portandosi la sigaretta alle labbra.
“Potrebbe essere. - Rispose Kiba inacidito - Dovresti comprare anche dell'argento: se è un licantropo l'aglio lo userà per condirti.”
“Calma ragazzi, o le prendete tutti e due.” li ammonì Hana, “effettivamente Kiba non abbiamo validi motivi per pensare che abbia quel raro tipo di disturbo, ma dal momento che, è vero, non ci costa fatica, ci muniremo ugualmente di torce ad ultravioletti. La riunione è conclusa.” Hana si alzò e lanciò uno sguardo al fratellino. A volte avrebbe davvero voluto aprire quella testolina, per vedere che diavolo ci potesse essere dentro da farlo sembrare un tipo tanto anomalo quanto contorto.





Kiba era finalmente riuscito a strappare un permesso alla madre. Non era entrato nel caso, ma almeno poteva pattugliare per dare un po' d'aiuto. Un contentino, insomma.
Mentre camminava per quelle strade deserte si chiedeva che cosa stesse facendo Shikamaru, magari non era davvero un vampiro, magari usciva di notte perché gli serviva tutta la luce diurna per farsi quello strano codino. Ridacchiò delle idiozie che la sua mente, malata, riusciva a partorire. Il secondo dopo, infatti, stava pensando a quanto sexy avrebbe potuto essere con indosso solo il laccio del codino, oppure con i capelli sciolti, nudo e il laccio in bocca da cui spuntavano i canini. Si morse le labbra schiaffeggiandosi mentalmente: non avrebbe dovuto distrarsi in quel modo, probabilmente non avrebbe fatto la differenza neanche con tutti i sensi all'erta, ma distrarsi sarebbe stato un macabro invito.
Fu proprio in quel momento che udì del tramestio provenire da dietro l'angolo della via che stava percorrendo.
Si avvicinò cauto, l'arma in una mano, carica, e la torcia nell'altra. Si sporse con la testa oltre l'angolo e gli occhi gli si sgranarono sulla scena di un uomo che strattonava quello che doveva essere un ragazzo.
Avanti kiba, che stai facendo? Sveglia! Si staccò dal muro e puntò l'arma sul carnefice.
“EHI, FERMO! Sono della polizia, sei circondato, arrenditi!” L'uomo si voltò sorpreso ed irritato per essere stato interrotto, facendo cadere la vittima al suolo. “tieni in alto le mani, allontanati da lui lentamente, o giuro che ti fotto un occhio.”
L'altro, come se l'Inuzuka non avesse neanche parlato, lasciò le braccia lungo i fianchi, il viso tutto sporco di sangue si deformò in un ghigno e una risata folle riempì l'aria.
“Brutta testa di cazzo, io sono immortale, non puoi uccidere un immortale! Fottermi un occhio, AH! Fammi vedere come fai.” sibilò un momento prima di saltargli addosso.
Kiba si lasciò cadere spalle a terra, tenendo il vampiro lontano con le gambe giusto il tempo di puntargli la torcia ad ultravioletti nell'occhio sinistro. Un urlo animalesco squarciò la quiete della notte.
“Piccola puttana mortale, come hai osato? IL MIO OCCHIO! IL MIO OCCHIO!” ululò la bestia ferita, “me la pagherai scarafaggio! ME LA PAGHERAI CARA, stanne certo.” e scomparve in una folata di vento.
Il poliziotto che era in lui si sentì fiero del suo operato, il ragazzo invece rilassandosi per poco non se la fece addosso.
Si alzò, le gambe e le mani tremanti, si spolverò la divisa e poi spostò lo sguardo sull'ennesima vittima, immobile. Era arrivato in ritardo, ancora una volta. Si avvicinò al neo cadavere, preferendo essere ovunque tranne che lì, lo voltò e lo stomaco si accartocciò su se stesso mentre la nausea improvvisa lo costrinse a deglutire. Cadde in ginocchio sentendosi risucchiare da un vortice di malessere, la testa gli dolse tanto da portarlo a premere istintivamente le dita nel punto dolorante, si voltò e vomitò copiosamente. Puntando una mano a terra per non cadere, portò l'altra alla bocca mentre il primo singhiozzo si fece spazio nella sua gola facendo male come una coltellata: sdraiato supino, nella pozza creata dal suo sangue, quel poco che il vampiro non aveva fatto in tempo a bere, c'era il suo migliore amico, Shino.
Si sentì gridare tante cose, ma non ebbe cognizione alcuna dell'entità delle parole dette; si sentì trascinare via di peso, ma non seppe chi ringraziare per avergli tolto quell'immagine da davanti agli occhi.
Sotto shock, si sentì stringere ed accarezzare quando ancora lacrime intrise di dolore scendevano senza fine, mentre tutto sembrava assumere sfumature sempre più chiare, mentre tutto sembrava sbiadire e perdere importanza. Mentre la sua mente spossata, distorta dall'orrore e la disperazione, si chiudeva su quell'osceno teatrino.





La prima cosa che vide fu rosso, rosso ovunque. La stanza sarebbe stata buia se non fosse stato per qualche cero mezzo consumato, quindi strizzò gli occhi. Mise a fuoco e, prendendo coscienza degli altri sensi, si accorse che giaceva in un letto che non era il suo: rosso, a baldacchino.
Sobbalzò sentendo qualcosa muoversi in quel letto e voltandosi scoprì che la ragazza bionda dormiva placida accanto a lui.
Si sentiva consumato come il suo cuore, come se lo avessero usato per pulire le aule dell'università che frequentava, come se non avesse mai fatto altro che correre. Shino. Non c'era più, e non sarebbe più tornato. Non lo avrebbe rivisto. Mai più.
Un paio di lacrime sfuggirono al suo blando controllo.
Avrebbe voluto tirarsi a sedere, ma si accorse di avere una mano bloccata e voltandosi si trovò la testa di Shikamaru appoggiata a qualche centimetro dal suo fianco; i capelli sciolti, il viso rilassato, le braccia incrociate sotto la testa e la mano stretta nella sua. Non resistette alla tentazione e spostò, in una carezza, una ciocca d'ebano che gli era finita sul viso.
Il vampiro aprì gli occhi e si voltò incrociando quelli arrossati e spenti dell'umano. Le guance rigate, la pelle anch'essa arrossata e lo sguardo perso, quasi vacuo.
Kiba gli fece un'altra carezza e Shikamaru mandò al diavolo quella stupida ed insistente vocina, si sporse in avanti e lo abbracciò. Kiba si lasciò scappare un lamento e fece una leggera pressione affinché l'altro capisse che voleva si sdraiasse con lui. E il Nara, ancora una volta, si lasciò guidare dall'istinto.
Poggiò la fronte sulla sua osservando da vicino quegli occhi dorati brillare, lucidi di dolore.
“Mi dispiace.” sussurrò ed abbassò lo sguardo, non riuscendo a sostenere tutta la devastazione che aveva visto e che leggeva nell'anima dell'Inuzuka.
Le sue grida lo avevano raggiunto così disperate che non aveva fatto altro che correre, prima di trovarlo sporco di sangue, abbracciato al corpo senza vita di quello che, aveva capito dalle poche parole cacciate tra i singhiozzi, era il suo migliore amico. Era rimasto una manciata di secondi quasi scioccato a sentirlo piangere e urlare, devastato, dilaniato. Poi era corso a tirarlo su, lo aveva chiamato per nome, Kiba lo aveva guardato, ne era sicuro, ma forse neanche lo aveva riconosciuto; lo aveva però abbracciato, tanto forte da fargli sentire le ossa scricchiolare, in barba al fatto che quello con più forza fisica avrebbe dovuto essere il vampiro.
Shikamaru lo aveva poi trascinato via da quel posto che puzzava di morte e sangue, come solo il luogo in cui era morto Asuma-sensei aveva fatto. Arrivati nella cripta aveva chiesto aiuto e i suoi compagni erano stati molto disponibili, anche se stava chiedendo loro di trasgredire ad una regola da lui stesso imposta. Ino aveva pulito l'umano, Chouji era andato nel bosco e aveva trovato foglie indicate per fare una tisana. Il Nara lo aveva accarezzato e cullato tutto il tempo, perché appena uno degli altri due aveva cercato di far allontanare il poliziotto dall'amico, quello cominciava ad urlare rifiutando di staccarsi. Alla fine, stremato, gli si era addormentato tra le braccia, con ancora le lacrime che uscivano grandi come sfere di cristallo in cui si scorgeva solo sconforto.
“Dimmi che sto facendo un brutto sogno, dimmi che mi sveglierò e che Shino tornerà a rompermi le scatole con le sue frasette criptiche.” Il bisbiglio del ragazzo lo riportò al presente, alzò gli occhi su di lui, desiderando davvero potergli dire che, sì, il suo amico sarebbe tornato perché quella era solo una morte apparente. Ma non lo avrebbe mai fatto, non lo avrebbe mai illuso, anche se non riuscì neanche a dirgli il contrario. Riuscì solo a stringerlo di nuovo, in un abbraccio gelido che non avrebbe mai potuto scaldarlo come avrebbe voluto fare. Inaspettatamente però, Kiba sembrò rilassarsi in quella gradita manifestazione di un affetto richiesto a gran voce dal suo cuore, strangolato da un dolore troppo forte per essere smaltito in solitudine.
“Shikamaru.” sussurrò il suo nome al suo orecchio aspettando che voltasse il viso e lo guardasse, “aiutami, ti prego, aiutami a prenderlo.” Un'ennesima lacrima solcò la pelle arrossata della sua guancia e il Nara si maledisse più di quanto già non fosse per cedere in quel modo a quel fragile umano.
Annuì, ricevendo in cambio un bacio vicino alle labbra che gli fece chiudere gli occhi e stringere la mano sul fianco dell'altro.
Kiba gli regalò un sospiro e lui si morse l'interno guancia con forza, sentendo i pantaloni divenirgli un poco più stretti.
Si guardarono negli occhi, anche nella semi oscurità si poteva distinguere il rossore per la pelle irritata dal pianto e quello dell'imbarazzo che invece colorava, in quel momento, quel visetto triste.
“Sei bellissimo con i capelli sciolti.” disse Kiba in un bisbiglio, che sembrò rimbombare ovunque, mentre infilava le dita in quei fili neri.
Anche tu, anche tu, Shikamaru avrebbe tanto voluto dirgli che non aveva mai visto niente di più bello della persona che era, volendo tralasciare che fosse davvero un bel ragazzo. Ma come al solito non lo disse, anche se non riuscì ad evitarsi di lasciargli un bacio freddo sulla fronte bollente.
“Adesso dovresti tornare a casa, i tuoi genitori saranno in pena da morire.”
“Ma chi? Mia madre e mia sorella? Staranno festeggiando, probabilmente.” fece un sorriso tirato, amaro.
“Non dire sciocchezze.” quasi si sentì urlare il Nara, addolcendo il tono subito dopo, “vieni.” disse, porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi.
L'Inuzuka osservò la ragazza dormiente accanto a lui, trovando anomalo che non si fosse svegliata, con tutto il baccano che erano riusciti a fare, anche solo bisbigliando.
“Non preoccuparti, Ino dorme come un sasso: praticamente niente riuscirebbe a destarla.”

Quando fu pronto salirono le poche scale per andare alla stanza superiore, qui vi trovarono Chouji che dormiva e russava come un trombone, il fascio di luce che filtrava nel mezzo alla stanza stupì Kiba.
“Credevo fosse notte.” disse stropicciandosi un occhio.
“La nostra notte è il tuo giorno.” spiegò, anche se ovvio, togliendo la mano dell'umano dal suo occhio già arrossato.
“Giusto.” sorrise mesto l'Inuzuka “Allora mi aiuterai?” Shikamaru lo accompagnò alla porta e lo guardò serio.
“Ti aiuterò.” promise, lasciandolo andare. Si allontanò dalla porta e quando fu aperta si rintanò maggiormente nell'oscurità minacciata da quella fetta di luce accecante. Kiba si voltò un'ultima volta.
“Grazie.” e se ne andò, facendo calare ancora una volta le tenebre nel mondo di Shikamaru.
Camminò senza realmente vedere niente di quello che lo circondava, camminò per inerzia, fino a trovarsi davanti al portone del suo palazzo. Quando aprì, la signora del terzo piano ne uscì con un sorriso sdentato ed un “buonasera” che venne ampiamente ignorato. Gli scricchiolii ed i cigolii emessi dall'ascensore gli ricordarono dei lamenti strazianti, chiuse gli occhi sospirando. Dire che era stanco era un eufemismo.
La chiave non fece in tempo a girare nella toppa che la porta di casa si spalancò e Tsume Inuzuka lanciò un lamento peggiore di quello dell'ascensore, abbracciandolo di slancio e piagnucolando una nenia simile a “grazie al cielo sei qui, stavo per impazzire, dove cacchio sei stato? Ora ti spezzo tutte le ossa che ti ho fatto.”
Sua sorella, comparsa oltre la porta, aveva più o meno la stessa cera, la stessa aria stropicciata e gli stessi occhi rossi.
“Dio Kiba, ci dispiace un sacco per Shino.” la voce si incrinava, gli occhi bassi, le mani strette all'altezza dello stomaco.
“Santo cielo Kiba, ci dispia...” si bloccò sua madre avvertendo l'inutilità di tutto quello, “lo prenderemo Kiba. Fosse l'ultima cosa che faccio. Lo prenderò” Esplose risoluta e minacciosa come solo sua madre poteva essere, anche in momenti come quello, anche con le lacrime agli occhi e la voce rotta.
“Grazie.” la strinse forte a sé, cogliendola in fallo, dopo anni di distanza, perché il suo bambino le ricordava in modo impressionante l'uomo che l'aveva abbandonata, perché avevano lo stesso odore e gli stessi occhi, perché avevano la stessa capacità di farla uscire dai gangheri. “Scusate, ma vorrei farmi una doccia.” Concluse flebile e sconsolato, ma sentendosi un filino meno teso.
“Oh certo! Certo, ti preparo il bagno.”
“E il letto Hana, sarà spossato. Ma dove sei stato amore mio? Me la sono fatta addosso.”
Che bella la famiglia! Anche se non era completa, anche se non poteva essere del tutto sincero, anche se spesso si urlavano dietro; le due matte erano comunque sempre quelle che lo amavano di più, in assoluto.





Ino squittì una risatina mentre Chouji, serio come la morte, chiese a Shikamaru se aveva bevuto vino al posto del sangue.
“No, Chouji, per l'ultima volta, sono sanissimo. Vogliamo concentrarci un attimino per cortesia?” urlò portando un silenzio di tomba. Inacidito il Nara tirò su gli occhi al cielo mentre i suoi due amici si guardavano, una esilarata, l'altro perplesso e preoccupato.
“Lo prenderemo, lo prenderemo!” gioì la bionda fanciulla, nel suo chiaro abitino di seta, ilare come non le succedeva da tempo, “mi piace! Io ci sto!” continuò ad agitarsi sul divano dove era appollaiata. Chouji arricciò il naso, scontento.
“Ecco, lo sapevo, visto che hai fatto? Adesso vorrà andare là in mezzo a farsi impalare.”
“Smettila Chouji, per l'amor del cielo, ti sto dicendo che non correrete pericoli, ho solo bisogno che mi aiutiate materialmente a fare delle cose, non dovrete prendere a pedate un orso che non mangia da settimane.” Shikamaru si alzò dalla poltrona logora su cui era seduto, sbuffando si massaggiò le tempie, cercando di rimanere calmo.
“Una volta ci hai detto...” iniziò l'Akimichi, pacato.
“Lo so che cosa ho detto Cho, voglio solo che vi fidiate di me come avete sempre fatto.” Si guardarono tutti e tre per un istante. “Vi prego, è importante per me.” Ino scoppiò in una risatina maligna.
“Il signorino si è innamorato hihihi...” e continuò a ridacchiare mentre l'amico paffuto sorrideva complice.
“Sì, va bene, ok, a parte questo?” l'interessato agitò in aria, in un gesto vago, la mano libera, quella che non teneva premuta sugli occhi, “mi darete una mano?”
Chouji gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla facendogli alzare il viso.
“Farei di tutto per poterti veder sorridere di nuovo come facevi un tempo. E Ino già non vede l'ora.”
Il suo amico sembrava davvero la reincarnazione del Buddha quando si comportava in quel modo ed assumeva quell'espressione da illuminato, con quel faccione rubicondo che esprimeva bontà da ogni lato, Shikamaru pensò che sarebbe stata davvero dura, passare attraverso tutti quei secoli, se accanto a lui non ci fossero stati quei due raggi di sole inestinguibili.





Si svegliò di soprassalto per la quinta volta in due ore. Era ormai sera inoltrata e quello non era riposare, non ci si avvicinava nemmeno, e lui ne aveva le tasche piene.
Prese l'arma e la torcia, la radio e tutto il suo coraggio e si buttò dalla finestra finendo sul terrazzo dell'anziano signore del piano di sotto. Un'orchidea dondolò sul ciglio del vuoto, prima che lui la prendesse al volo. Il tetto della palazzina di fronte era molto vicino e con un balzo ci fu sopra, la strada era accessibile da lì tramite un'arrugginita scala antincendio. Una volta in strada sentì l'aria farsi più fredda, come se essere davvero là in mezzo, in quelle stesse strade dove era morto il suo migliore amico, lo facesse sentire più male, come se gli ricordasse che era colpa sua, che non era arrivato in tempo.
Si scosse di dosso la voglia di piangere che aveva ancora radicata nel cuore, e prese a camminare nelle vie più grandi e frequentate, almeno di giorno.
Fuori, la campagna sembrava ingoiarlo in un gelo asciutto che gli seccava la gola ed il cimitero era molto più lugubre e spettrale di quel che ricordava. Trovò subito la cripta giusta e bussò con decisione.
Dopo pochi istanti la porta cigolò e gli occhi scuri che tanto si era accorto di amare fecero capolino.
“Ehi, potevo non essere io. Dovresti stare più attento.” Shikamaru alzò un sopracciglio facendolo passare.
“Lo dice uno che è appena entrato in una cripta con tre vampiri dentro.” Kiba mise il broncio come i bambini, gonfiando leggermente le guance.
“Sì, ok, come facevi a sapere che ero io?” bofonchiò risentito, incrociando le braccia al petto.
Il Nara gli si avvicinò sporgendo il naso verso il suo collo.
“Riconoscerei il tuo odore a miglia di distanza.” sussurrò poi incontrando il suo sguardo sorpreso.
L'Inuzuka colse l'occasione per avvicinarsi, lo prese per un polso un momento prima che si allontanasse.
“Perché ti avvicini e poi scappi appena tento di farlo io?”
Shikamaru indietreggiò, colpito.
“Perché lo fai?”
La testa già gli faceva male prima.
“Che cosa ti spaventa?”
“Io sono morto Kiba.” urlò alla fine, riportando il silenzio, “vivrò per sempre, senza vita, senza sole e senza anima. E tu? Tu vivrai una vita piena, vera, ma mortale. E mi lascerai solo. E ti dovrò guardare invecchiare e morire.” Finì con un tono basso e amaro che fece venire la nausea ad entrambi.
Il silenzio ancora una volta andò in frantumi mentre Kiba fece un passo avanti.
“Sono io quello che dovrà morire, se non interessa a me perché è così frenante per te?”
“Perché sono io che ti perderò, che vivrò il resto di questo schifo senza di te.”
“Allora preferisci vivere solo per sempre, piuttosto che lasciarti amare per il tempo di una vita mortale?” quasi urlò Kiba e sentì la sua voce incrinarsi sulla fine della frase. Vide chiaramente gli occhi dell'altro seguire lentamente il percorso di una goccia salata che scendeva dai suoi, e stufo di quella sua debolezza, stufo di quel nulla, di quella distanza, si avvicinò facendo un altro passo. Prese la mano del ragazzo che aveva di fronte e di cui, sentiva, non poteva più fare a meno, e la portò sul suo petto, avvicinandosi ancora. “Non so se te lo ricordi, ma di solito non va così veloce.” mormorò ad un paio di centimetri dal viso dell'altro. Lasciò lì la sua mano e portò le sue a sfare lo strano codino. Infilò le dita in quel mare di petrolio che profumava di tabacco sentendo una mano fredda toccargli il viso.
Shikamaru imprecò mentalmente mentre chiudeva quella stupida distanza; premette le labbra sulle sue sentendo l'altro sciogliersi tra le sue braccia, avvertendo mani calde infilarglisi nei capelli, dandogli brividi.
Kiba non riuscì a non pensare che avrebbe voluto di più, così poggiò una mano sul suo collo e si spinse contro di lui. Dischiuse le labbra e sfiorò la sua lingua.
L'altro, in quel momento, superò il limite: prese Kiba in braccio e lo portò nella stanza di Ino, lo lasciò andare solo quando si trovarono sul letto e senza smettere di baciarlo lo privò dei pesanti indumenti.
“Accidenti, sei freddissimo...” ridacchiò, senza fiato, alla sensazione delle mani fredde del vampiro sulla sua pelle calda.
“E tu sai di buono.” si lasciò sfuggire Shikamaru mentre faceva passare la lingua sul collo del ragazzo, fino all'orecchio, mentre lottava contro la sua natura e frenava il desiderio di morderlo, pensando a quanto quell'umano si stava fidando di lui. Pensando a quanta vita aveva tra le mani, e che non poteva non essere rispettata.
Kiba buttò la testa indietro ed un gemito uscì dalla sue labbra. Strinse i fianchi del ragazzo sopra di lui e li spinse contro i suoi, sentendo la durezza dell'altro cozzare con la sua.
Shikamaru, accantonata l'idea dei preliminari con l'ultima prodezza di quel ragazzino, si succhiò due dita prima di tornare a baciarlo.
“No,” lo interruppe, sfuggendo al bacio, “non ho bisogno di questo.”
Il Nara si leccò ugualmente una mano e si toccò l'erezione, inumidendola un po'. Nonostante le parole dell'altro, fece entrare un dito sentendosi scivolare dentro con facilità.
Allo sguardo interrogativo che ricevette, Kiba si sentì in debito di spiegazioni. Si alzò sui gomiti e sospirò.
“Shino non è stato solo il mio migliore amico: con lui ho scoperto di essere gay. Poi ci siamo resi conto che era amore fraterno e non c'era nessun altro tipo di coinvolgimento, quindi siamo tornati ad essere amici come un tempo, forse eravamo ancora più uniti.” spiegò con un po' di tristezza nella voce.
Shikamaru annuì spiccio, e il bacio che venne dopo fu accompagnato da un gemito più alto e soffocato. Portandosi nuovamente sopra di lui si appoggiò all'entrata sentendosi poi inghiottire dal calore dell'altro ed ansimando pesantemente nel suo orecchio. Kiba mosse il bacino facendolo scivolare dentro di un altro paio di centimetri, facendoli boccheggiare entrambi. E, prima che la razionalità lo abbandonasse, riuscì solo a pensare ad un ultima cosa: quello che sentiva provenire dal vampiro, per quanto potesse risultare assurdo, era inequivocabilmente calore.
Si sentirono morire e rinascere, con le dita di uno che cercavano quelle dell'altro, con baci roventi e spinte mirate a togliere la ragione, e sospiri e gemiti e mugolii lussuriosi.
Si amarono senza misura e, mentre si rotolavano tra le lenzuola rosse come il peccato, ad entrambi era ben chiaro che stavano facendo l'errore più grande della storia degli errori. E nessuno dei due riusciva a pentirsene.

Chouji e Ino dormirono insieme quella volta, lasciando i due aggrovigliati insieme, senza disturbare tanto amore anche in un posto morto come quello in cui vivevano.
Fuori, nella piccola piazza, tutto era pronto.







Oooh sono commossa... sigh. Ben due recensioni!
Dico sul serio, non me le aspettavo. Magari mi aspettavo quella di Nali; perché lei è una pazza che si rilegge i miei papponi anche tre o quattro volte, non so come faccia - e se rientri nel masochismo semplice o ne sia una forma evoluta - ma lo fa e va rinchiusa.
La frase scelta per il contest probabilmente è stata trattata poco e in maniera superficiale, ma cambiare ora quella parte, che credo sia comunque cruciale, mi sembra sbagliato e neanche mi riuscirebbe senza creare disordine con le altre parti già esistenti. Mi dispiace, ma non la cambierò, spero se ne colga il significato e l'importanza che non è riuscita a cogliere la giudicia, per vari motivi - esclusa ovviamente la sua competenza - tra cui la mancanza di tempo adeguata.



Urdi: lo sai che ci pensavo qualche giorno prima di postare lo scorso capitolo? Tu davvero mi segui dalla prima fic che ho postato XD. Che cosa carina, no? Cioè, è banale. Però mi fa piacere aver legato con qualcuno fin dall'inizio: aver trovato tante cose in comune, oltre che tante idee simili, sulla vita in generale come anche su concetti un po' più complicati ed astratti, che però non ci risparmiamo u.u - perché siamo delle masochista, in realtà. Sono contenta che la trovi carina questa scemata ^ ^, la sento un po' distante a volte perché non è un argomento facile, almeno se ci infili personaggi di un manga. Poi però lo trovo vicino, quasi inaspettatamente perché sono abbastanza contenta di quel che è venuto fuori. La storia in sé non sembra presentare quelle melensità proprie del mio stile e questo mi rallegra. La virgola dopo il punto esclamativo ed interrogativo è colpa di suni XD lei la mette così e siccome mi piaceva come suonava la frase una volta letta, ho provato anch'io! Se non copicchio un po' mica ce la posso fare, sono un sacco vuoto, per lo meno di ortografia e sintassi, quindi devo riempirmi XDD ok paragone infelice, ma non è per schernirmi eh. E' per dire che voglio e devo imparare e quando nessuno mi insegna o non posso attingere da qualche parte raccatto un po' in qua e in là, quindi scusa se ti faccio ammattire con il betaggio di cose assurde lol. Ciao cara, grazie mille davvero.

_Resha_: oh santi numi! Quanti complimenti! Che gioia sapere che a qualcuno che non mi conosce nemmeno come writer - anche se di cazzate, si scrive così u.u' - ha letto e gradito una mia storia. Spero che questo capitolo sia almeno sulla stessa linea dell'altro e che riesca a collegarcisi in modo fluido. Spero anche di aver mantenuto l'ic il più possibile. Cammino sul filo del confine tra ic e ooc, lo so, ma la situazione, la au e un sacco di altre cose, non mi permettono di fare altrimenti. Se facessi vedere un essere umano forte e baldanzoso davanti, o rispetto, ad un vampiro sarei fuori luogo e l'ic mi servirebbe a ben poco. Ti ringrazio dal profondo del mio cuoricino sonnacchioso per tutte le belle parole che hai detto, non sai quanto mi ha fatto piacere cara. Ino è adorabile, infantile sì, perché diciamo che ho preso come modello Drusilla, di Buffy. Non avendo letto libri su vampiri ed avendo visto anche pochi film, non ho potuto che basarmi sul vecchio e caro Dracula, su 'intervista col vampiro' e Buffy. E' una forza il fatto che abitiamo così vicine, davvero! Mi ha fatto uno strano effetto scoprire una cosa del genere e - siccome sono sempre a corto di amiche ç__ç - farò un salto al Minas Tirith, una di queste sere, molto volentieri. Kakuzu e Hidan sono odiosi e viscidi, ma sono i cattivi perfetti ed in questo caso anche i vampiri perfetti, immortali e disgustosi. E zombie-osi XD.
Ps: grazie mille anche per la recensione che mi hai lasciato a “Farei di tutto”. Quando ti vedrò ti abbraccerò stritolandoti. Sei stata avvisata! u.u



Grazie anche a chi ha messo questa scemenza tra i preferiti, che sono: girlstreet e Urdi.
Un grazie anche a chi l'ha messa nelle seguite, ovvero: lady moon, Bel Oleander, Urdi, _Resha_.



  
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