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Autore: Astry_1971    17/10/2009    4 recensioni
“Ce la faremo anche questa volta, lui non tornerà.” Lo rassicurò, poi fissò la macchia scura sulla parete, accanto al ritratto di Silente. Era ciò che restava della cornice d’argento che ospitava la sua effige, sparita magicamente dopo che Potter l’aveva riportato in vita.“E farò anche in modo che quella parete resti vuota ancora per molto tempo.” Affermò deciso.
Questa storia è il seguito di “Per amore di un figlio” ed è dedicata a tutti quelli che hanno storto il naso per finale di quella storia. Evidentemente non mi conoscono bene. A tutti gli altri è severamente sconsigliata la lettura, per il bene dell’autrice che non ama guardarsi le spalle.
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, Harry Potter, Lucius Malfoy, Neville Paciock, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ernil Mi fa sempre piacere sapere che trovi IC il mio Piton, è il complimento che mi fa gongolare di più. Amo troppo questo personaggio e spesso mi ci immedesimo. Per questo ho sempre paura di metterci troppo di me, allontanandomi dall’originale. Sapere di non averlo tradito è davvero una gioia. Severus è Severus, è meraviglioso così com’è.
Allison91 Già, molte cose sono cambiate, ma tra Silente e Piton ormai c’è sempre quell’Avada di mezzo. Qualcosa che Severus non si perdonerebbe mai nemmeno in una seconda vita.
Piccola Vero Sì, Silente gli rivela dove trovare l’ES e Piton… andrà a ficcanasare?
Manuel Lanhart Tu sai già quanto mi fanno piacere i tuoi commenti. Sì, l’hai notato, il mio Severus è soprattutto un uomo. Non gli risparmio difetti, paure e dubbi, forse le mie stesse paure, ma lui le affronta con l’intelligenza e il coraggio. L’uomo coraggioso non è quello che non ha paura, bensì quello che la vince, quello che nonostante non voglia morire, è capace di sacrificarsi per quello in cui crede, che sia il dovere, la lealtà, o l’amore. Son sempre qui con le dita incrociate, attendo il verdetto. Siamo al penultimo capitolo, prendi fiato che mo arriva la batosta per te e le cruciatus per me.


Buona lettura!


Cap 12 Fuga da Hogwarts

Poco dopo, il preside stava percorrendo, per la quarta volta in dieci minuti, il corridoio del settimo piano.
Aveva scrutato ogni fessura, ogni mattone di quelle pareti, ma non c’era nulla.
Era abituato alle stramberie di Silente. Di solito c'era sempre un indizio, una chiave per aprire porte segrete, nell'intricato mistero delle sue parole.
“Una stanza dove esercitarsi.” Sussurrò.
Nulla.
Continuò a camminare avanti e indietro, dandosi dello sciocco. Cosa c’era in quel corridoio di tanto particolare? Perché Silente avrebbe voluto ‘sgranchirsi le gambe’ proprio al settimo piano?
“Una stanza per esercitarsi.” ripeté esaminando tutte le porte.
Conosceva quei locali: erano tutti troppo piccoli per servire allo scopo.
Passò per l’ennesima volta davanti ad un orrendo arazzo, i cui margini sembravano essere stati aggrediti da fiamme magiche, infatti, nonostante l’impeccabile restauro, le giunture erano ancora evidenti.
Piton immaginò che dovesse essere accaduto durante la guerra. Eppure lo trovò insolito. Se c’era stato un incendio in quel corridoio, perché non se ne vedeva traccia nelle pietre del pavimento o nella parete?
Si fermò davanti all’arazzo e ripeté, questa volta con più forza:
“Una stanza per esercitarsi.”
Improvvisamente una grande porta lucida comparve dietro l’arazzo.
Scostò appena le ante e si sporse all’interno.
In una sala spaziosa col pavimento tappezzato di cuscini, gruppi di ragazzi si fronteggiavano borbottando incantesimi e cercando di colpirsi a vicenda.
Non si accorsero di lui, e il preside si infilò silenzioso nella stanza restando appoggiato alla parete. Poi qualcosa o, meglio, qualcuno gli piombò ai piedi, cozzando contro le sue scarpe.
Severus guardò in basso con un’espressione stupita. Un ragazzino dalla chioma rossiccia si dibatteva borbottando parole incomprensibili, mentre cercava di districarsi dal suo mantello.
Un incantesimo lo aveva fatto volare all’indietro, facendolo finire proprio ai piedi di Piton.
Quando finalmente il malcapitato, uno studente del primo anno, riuscì a liberarsi da quelle ampie ali di stoffa nera, sollevò il viso lentigginoso fissando l’uomo che lo sovrastava. Gli occhi si spalancarono appena realizzò a chi appartenevano le scarpe sulle quali aveva sbattuto il naso.
“Pre… pre… pre…!” balbettò
Le labbra di Piton si piegarono in una smorfia.
“Presumo voglia dire ‘preside’, signor Thomas.”
All’udire la sua voce tutti si voltarono verso Piton e il ragazzo accovacciato ai suoi piedi.
Restarono in silenzio, aspettandosi un rimprovero, ma Piton, aggirando Thomas, che era ancora in terra, si avvicinò ad una poltrona e si accomodò.
“Allora? Siete stati forse pietrificati?” tuonò.
I ragazzi si rivolsero a vicenda sguardi interrogativi.
Ma il preside, dopo aver gustato per alcuni secondi il loro imbarazzo annunciò:
“Sono venuto a vedere se questo” il sopracciglio si sollevò, e le sue iridi scurissime esaminarono, uno ad uno, i giovani maghi schierati di fronte a lui. “Esercito…” accentuò particolarmente quest’ultima parola, mentre lo sguardo si fermava su Albus Severus. “…è degno del nome che porta.”
Ci fu ancora un lungo silenzio poi James Potter prese l’iniziativa.
“Bene ragazzi, allora continuiamo”.
Con un gesto delle braccia richiamò i suoi compagni.
Gli studenti, una nutrita rappresentanza di tutte le case, dal primo fino all’ultimo anno, si schierarono in due file, in modo che ognuno potesse fronteggiare il proprio avversario.
Nel prendere il suo posto nella fila, Albus passò trotterellando davanti al preside, e gli regalò uno dei suoi migliori sorrisi, che Piton, naturalmente, finse di non notare.
Le esercitazioni ripresero da dove erano state interrotte. I primi imbarazzati tentativi, furono piuttosto deludenti. Dopo ogni Expelliarmus e ogni Schiantesimo, sguardi furtivi correvano per cercare di carpire un qualsiasi cambiamento nell’espressione del loro ‘giudice’. Ma Piton li osservava senza fare una piega.
Se ne stava immobile, con le mani appoggiate ai braccioli della poltrona e un’espressione indecifrabile. Gli occhi vagavano per la stanza posandosi su ogni oggetto, ogni pilastro, ogni attrezzo dell’insolita palestra, come se volesse leggerci una parte di quella storia della quale era stato tenuto all’oscuro.
Ecco, ora si spiegava tante cose. Era qui che i ragazzi si nascondevano durante la sua odiata presidenza. Una stanza segreta che Silente non aveva mai voluto rivelargli. Forse non la conosceva nemmeno lui? O forse faceva parte di quelle cose che Severus la spia non doveva conoscere?
Probabilmente l’anziano Preside voleva evitare che il suo zelo nel cercare di rispettare la volontà dell’uomo che aveva dovuto uccidere lo portasse ad impedire quelle riunioni clandestine. Infatti, se da una parte Silente gli aveva chiesto di difendere gli studenti di Hogwarts, e non di addestrarli per una guerra, dall’altra non aveva mai fatto nulla per fermarli, per tenerli lontano dal pericolo, anzi, li aveva sempre incoraggiati.
Forse, l’E.S. doveva esistere dopotutto. Ma per far cosa?
Per mantenere vivo l’entusiasmo e la voglia di combattere nei giovani studenti, perché potessero andare orgogliosi incontro alla morte?
Severus scrollò il capo.
Sì, quel vecchio pazzo ne sarebbe stato capace.
Forse avrebbe fatto bene a sigillare la stanza e rimandare quegli sciocchi ragazzini a studiare sui libri, invece di spingerli a giocare a fare gli eroi.
Eppure, ora che la decisione di sciogliere l’ES dipendeva da lui, qualcosa gli diceva che non sarebbe stato giusto farlo.
Perché?
Di nuovo il suo sguardo percorse la sala, registrando uno ad uno i volti dei giovani maghi, cercando di carpire le loro emozioni.
Ia loro passione era evidente e anche la sincerità dei loro intenti. Avevano molta voglia di rendersi utili, e forse di dimostrarsi degni della pace che i loro genitori gli avevano regalato a costo di enormi sacrifici. Probabilmente per molti di loro era difficile vivere all’ombra di così tanti eroi. Fissò il piccolo Albus e una ruga si disegnò sulla sua fronte. ‘Potter’ era un cognome pesante da portare, e il figlio del Prescelto non avrebbe tardato molto a ficcarsi in qualche guaio pur di emulare suo padre.
La sua vocetta infantile lo distolse per un istante dal proprio ragionamento.
Mentre il giovane Serpeverde gridava l’incantesimo, le labbra di Severus presero una piega insolita somigliante ad un sorriso carico di tenerezza che il mago si affrettò a camuffare e seppellire dietro una smorfia stizzita.
Non poteva permettere ai suoi muscoli di manifestare sentimenti che non voleva e non poteva provare. Non per un ragazzino pelle e ossa che malauguratamente portava il suo nome.
In quel momento avrebbe desiderato poter comandare le proprie emozioni nello stesso modo in cui riusciva a obbligare i suoi nervi a tendersi a suo piacimento, mutando il volto in quella maschera che per tanti anni lo aveva protetto e al tempo stesso isolato dal mondo.
Doveva riuscire ad ignorare Albus Potter, il destino del ragazo non lo riguardava. Poco importava se l’aver contribuito a salvargli la vita gli dava la sensazione di aver partecipato, in un certo senso, ad una sua nuova nascita.
Un profondo sospiro sfuggì dalle sue labbra, quando il ragazzo, dopo aver mandato a segno l’ennesimo incantesimo, gli rivolse ancora un radioso sorriso.
Non doveva affezionarsi a lui, specialmente vista la situazione. E soprattutto non doveva preoccuparsi nel caso il giovane mago avesse voluto fare qualcosa di avventato. Non stava a lui impedirglielo. Se Albus possedeva almeno la metà della caparbietà di suo padre, unita all’ambizione tipica degli studenti della sua casa, niente e nessuno avrebbe potuto indirizzarlo su una strada diversa da quella che si era scelto. L’ES evidentemente faceva parte di questa scelta.
Si costrinse a distogliere lo sguardo che rivolse agli altri partecipanti a quell’allenamento.
Gli studenti avevano cominciato ad acquistare maggiore fiducia nelle loro capacità e lampi colorati avevano preso ad illuminare la stanza come un festoso fuoco d’artificio.
Ad un cenno di James Potter, tutti smisero di pronunciare ad alta voce i loro incantesimi. S’udivano solo i tonfi dovuti agli Schiantesimi, appena attutiti dai cuscini. Di nuovo un ragazzo rotolò ai piedi del preside, che si chinò in avanti ad osservarlo, con aria curiosa.
“Non ne ha avuto ancora abbastanza, signor Collins?” chiese, le labbra sottili atteggiate in un sorrisetto ironico. Infatti era la terza volta che Zachary Collins, un alunno del terzo anno, finiva in terra.
Ma il giovane si alzò di scatto, si spolverò la divisa scolastica, e si gettò di nuovo contro il proprio avversario, più determinato che mai.
Dopo circa mezzora, stanchi ma soddisfatti, i componenti del nuovo ES si voltarono verso Piton, in attesa di un suo commento sui loro progressi, ma la sua sedia era vuota. Presi dagli esercizi non si erano accorti che nel frattempo Severus si era allontanato, in silenzio come era entrato.
Rimasero tutti a fissare il posto che il mago aveva occupato solo qualche minuto prima, piuttosto delusi, tuttavia consapevoli del fatto che, se ne avesse avuto il motivo, Piton non avrebbe certo risparmiato di esprimere loro tutto il suo disappunto.


* * *



La porta della sala dei professori si aprì. Neville, che era intento a scrivere una lettera, sollevò il capo fissando l’uomo sulla soglia con aria abbattuta. Estragone se ne stava in piedi, con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo chino. Prese un profondo respiro e fece qualche passo avanti.
“La pozione è pronta.”
Neville non rispose. Strinse con forza la penna d’oca fra le dita e prese a maltrattare la pergamena che aveva davanti, come se stesse incidendo le parole su una superficie di marmo.
“Ho già avvertito il preside, ci raggiungerà nel sotterraneo.” La voce di Estragone era bassa e pacata.
Paciock continuò a sfogare la sua frustrazione sul foglio chiudendosi in un ostinato silenzio.
Wilkinson si avvicinò ancora e, oltrepassando la scrivania, si fermò alle spalle del collega. Si appoggiò con una mano al tavolo e si sporse per osservare la lettera che Neville stava scarabocchiando. Le sue labbra si piegarono in una smorfia di commiserazione.
“Ho bisogno di te. Lui ne ha bisogno. Se avrà un’altra crisi dovrai aiutarmi ad immobilizzarlo.” Disse dopo un po’, chinandosi e guardandolo negli occhi.
“Quanto durerà ancora?” sbottò l’altro, spazzando via dal tavolo la penna e la lettera, con un ampio e repentino movimento del braccio.
Si portò le mani nei capelli chiudendo gli occhi.
“Quanta altra pozione ci vorrà? Sono due settimane che andiamo avanti così, e il Marchio sembra diventare sempre più potente.”
“Non lo so. Nemmeno il preside lo sa.”
Neville si voltò fissando a sua volta il collega.
“L’ultima volta è stato terribile.” Strinse i pugni. “Ogni volta è peggio della precedente.” sospirò. “Sai, per un momento sono stato tentato di liberarlo. E se lo avessi fatto?”
“Avresti liberato Voldemort.” disse gelido il Capocasa dei Serpeverde.
Neville si alzò di scatto facendo cadere la sedia dietro di lui.
“Ma non era Voldemort a gridare. Maledizione! Era Piton.” urlò scuotendo il capo. “Io… io non so se me la sento. Forse sono un vigliacco, magari lo sono sempre stato, ma non riuscirò a torturare ancora quell’uomo, nemmeno per il bene del mondo magico.” Si voltò dando le spalle all’altro. “Forse Piton aveva ragione: ci sono compiti che non si dovrebbero mai affidare ad un Grifondoro.” mormorò amareggiato.
Estragone lo afferrò per le spalle costringendolo a voltarsi e a guardarlo di nuovo negli occhi.
“Credi che io mi diverta? Sei tu che mi hai coinvolto. O pensavi di cavartela dando a Piton la sua brodaglia per poi squagliartela?” soffiò.
“No, ma non credevo di doverlo tenere fermo mentre quel maledetto Marchio gli fa patire le pene dell’inferno. E poi per cosa? Quella pozione non funziona. Quanta ne ha usata finora? Quattro, cinque calderoni? Eppure il Marchio e ancora lì.”
Estragone lo lasciò e fece un passo indietro. Le braccia di nuovo abbandonate lungo i fianchi, e le spalle curvate dal peso della sconfitta. Si morse il labbro.
“Credo… beh, credo che la Pozione non lo eliminerà mai del tutto. Forse riesce a renderlo innocuo. Il Marchio è come addormentato, ma tornerà non appena il preside smetterà di usarla.”
“Quindi dovrà prenderla per sempre?” Neville si portò la mano alla bocca colto da un improvviso attacco di nausea.
Estragone annuì.
“Abbiamo abbastanza Euriale. Dovrebbe bastare per un altro mese. Poi ce ne procureremo ancora.” Continuò Wilkinson, con voce atona.
Paciock si lasciò cadere sulla poltrona, sospirando.
Wilkinson distolse lo sguardo chinando il capo, poi si voltò e si diresse verso l’uscita. Si bloccò ad un metro dalla porta.
“Essere coraggiosi non sempre è semplice come affrontare il nemico con una spada. Un Grifondoro dovrebbe saperlo.” disse rivolgendo all’altro uno sguardo provocatorio. “Forse dovresti prendere esempio da lui.” Accennò con lo sguardo alla finestra, dalla quale si poteva vedere la torre in cui si trovava l’ufficio del preside. Fece ancora qualche passo e afferrò la maniglia. “Ti aspetto nel sotterraneo”. Concluse chinando il capo in un gesto di saluto, poi se ne andò, chiudendo la porta alle sue spalle.


* * *



Poco dopo Estragone percorreva svogliatamente i lunghi corridoi del Sotterraneo.
Neville non era il solo a non voler assistere all’ennesimo disperato tentativo del preside di sfuggire alla sua condanna. Come Pozionista sapeva bene che Piton non avrebbe potuto continuare per molto ad usare quel filtro. Ogni nuovo calderone sembrava meno efficace del precedente. Presto la Pozione sarebbe diventata del tutto inutile.
Giunto alla porta del laboratorio, prese un grosso respiro e si accinse ad entrare, quando un rumore di passi attirò la sua attenzione. Si voltò e vide Neville in fondo al corridoio.
Estragone sorrise e Paciock marciando verso di lui con aria risoluta, annunciò. “Sai, detesto dar ragione ad un Serpeverde, ma ti sono grato per avermi ricordato il vero significato del coraggio. Non mi tirerò indietro.” Piegò le labbra in un sorrisetto ironico. “Anche se non sarà facile come ‘affrontare un nemico con la spada’.”
Il sorriso dell’altro si allargò maggiormente. E senza ribattere protese il braccio e spinse l’anta della porta spalancandola.
Entrò per primo, ma si bloccò non appena varcato l’ingresso, e Neville, che era dietro di lui, per poco non andò a cozzare contro la sua schiena.
La stanza era a soqquadro. Lo sguardo del Pozionista corse al calderone che era rotolato in un angolo, mentre la pozione, fuoriuscendo, aveva colorato di blu le pietre del pavimento. La testa di Neville fece capolino da dietro il mantello del collega che era praticamente pietrificato sulla soglia e gli bloccava il passaggio. Le labbra di Paciock si spalancarono e un’espressione mista di terrore e disperazione gli si disegnò sul volto.
Libri e ampolle frantumate erano sparsi per tutta la stanza. In un angolo, vicino al tavolo, c’era un mucchietto di cenere e tutt’attorno le pietre erano annerite.
I due uomini avanzarono quasi con timore, mentre i loro sguardi vagavano disorientati, in quella devastazione. Neville si stropicciò gli occhi: un forte odore di fumo mescolato all’irritante aroma delle pozioni distrutte aleggiava in quel luogo.
Poi un flebile lamento attirò la loro attenzione. I due maghi si voltarono di scatto.
In un angolo, proprio dietro di loro, c’era Piton. Era in terra, raggomitolato nel suo ampio mantello come per proteggersi.
“Professore!” Neville corse e si gettò in ginocchio al suo fianco, lo circondò con le braccia sollevandolo abbastanza da poterlo guardare in volto.
Il preside teneva gli occhi serrati con forza, i capelli scompigliati erano incollati alle guance.
Appena si sentì stringere da Paciock, tremò e si aggrappò a sua volta all’ex alunno.
“Devo… allontanarmi da qui.” ansimò.
“Ma cosa sta dicendo? Ora l’accompagneremo in infermeria. Estragone farà altra Pozione e…”
“Ho bruciato l’Euriale.” Disse con fatica, mentre lo sguardo correva ad indicare il mucchietto di cenere ai piedi del tavolo. “Non ce n’è più.”
Estragone impallidì.
“Ne procurerò altra, allora.” insistette Neville con decisione.
Le dita di Severus si strinsero sul suo mantello come artigli, e lo strattonò.
“No, non c’è tempo. Stanno arrivando. Devo lasciare Hogwarts immediatamente, me li trascinerò dietro.”
“Chi sta arrivando?” domandò Estragone che, nel frattempo, si era avvicinato.
“I Mangiamorte!” annunciò una voce dietro di loro facendoli trasalire.
Lucius Malfoy avvolto in un ampio mantello da viaggio si era materializzato davanti alla porta. Neville ed Estragone si voltarono puntando le loro bacchette sul nuovo arrivato, che, per tutta risposta, arricciò le labbra in una smorfia di sufficienza.
“E’ riuscito a risvegliare il mio Marchio. Anche gli altri staranno bruciando.” disse.
Estragone lo fissò perplesso abbassando la sua arma.
“Sta richiamando i suoi servi.” continuò Lucius.
Neville saltò in piedi. “Ma i Mangiamorte sono…”
“Ad Azkaban?” lo anticipò l’altro. “Molti dei seguaci del Signore Oscuro sono stati imprigionati, e altri sono morti, ma qualcuno, come me,” le labbra si piegarono in un ghigno cattivo. “E’ ancora vivo e, soprattutto, libero.”
Si avvicinò al preside chinandosi per controllare le sue condizioni. Accanto a lui, in terra c’era la sua bacchetta. Lucius la raccolse riponendola nella propria cintura, poi tornò a rivolgersi agli altri due. “Sono pochi, ma ognuno di loro avrà al seguito decide di fanatici pronti a farsi Marchiare.”
“Un nuovo esercito?” ansimò Paciock, mentre l’improvvisa consapevolezza si faceva strada nella sua mente.
Lucius annuì.
Estragone e Neville si scambiarono un’occhiata preoccupata, mentre Lucius si passò il braccio di Severus intorno al collo, e lo aiutò ad alzarsi da terra.
“Immagino che il tuo intruglio non abbia funzionato.” disse malevolo.
Severus si limitò ad un cenno del capo, permettendo all’altro di sostenerlo.
“Cosa vuol fare?” Neville afferrò il mago biondo per un braccio, trattenendolo.
“Lo porto fuori di qui.”
“Ma dove? Dove andrete?”
“Ovunque ci trascinerà il Marchio.”
“Preside, la prego, ci permetta di aiutarla.” Neville si rivolse a Piton, allargando supplichevole le braccia. “Non può andarsene! Perché vuole combattere da solo?”
Severus allora si drizzò sulla schiena, sostenuto dall’amico.
“Non c’è più nulla che possiate fare per me.” Parlava lentamente, ma con decisione. “Paciock, lei ora deve proteggere la scuola. E’ la sola cosa importante. Quando ce ne saremo andati, dovrà ripristinare la barriera antimaterializzazione.”
“Io… no, no, aspetti! Come farete a tornare? Se vi trovaste in pericolo, non sapremmo come aiutarvi.”
“Paciock!” Il tono di voce di Piton aveva qualcosa di tragico e definitivo che fece rabbrividire l’altro. Scosse il capo, poi rivolse lo sguardo verso il soffitto, come se attraverso la roccia e i mattoni che lo sovrastavano riuscisse a vedere l’intera scuola.
“Neville…” continuò con un tono insolitamente dolce per lui. “Io non tornerò a Hogwarts.”
Paciock sentì qualcosa spezzarsi dentro di sé. Fece per rispondere, ma Piton e Lucius si erano già Smaterializzati. L’ultimo suono che si udì nella stanza fu l’urlo roco e disperato di Neville che, protendendo il braccio verso il suo ex insegnante, aveva tentato invano di trattenerlo.
Poi fu solo il silenzio: lui e Wilkinson rimasero a fissare allibiti il vuoto di fronte a loro.
Nessuno dei due osava parlare, nessuno aveva il coraggio di guardare la disperazione nel volto dell’altro.



Continua…






  
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