Titolo:
What do you live for? I live for you
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale
Autrice: Cicci12
Capitolo: Tu ci credi nel destino?
Personaggi: Robert Pattinson e Altro Personaggio inventato da me
Note dell’autrice: Ed ecco il fatidico incontro, miei cari. O forse dovrei dire
scontro?? O.o Mah, valutate voi. Intanto io vi
propongo questo capitolo, decisivo per la riuscita della ff. Come potete vedere
ogni cap ha un’immagine, realizzata da me! (e si vede,
fanno schifo! -.-‘’) Xò mi
piace l’idea e mi sto sbizzarrendo un sacco a farle, quindi spero che gradiate.
E soprattutto potete dare un volto ad Elettra. =) In questo cap entra in ballo anche un altro personaggio,
Gian, che sarà importante per alcuni capitoli futuri. Mmmh… penso non ci sia
altro, quindi, buona lettura. =)
What do you live for? I live for you
…Tu ci credi nel destino?…
Anche per quel giorno le lezioni erano finite.
Decisi di pranzare con Jenny e Chris alla mensa
dell’università, per poi impegnare il pomeriggio nel piccolo lavoro che mi ero
trovata in un bar poco lontano dal mio appartamento.
Non che i miei genitori non mi dessero una mano con le
finanze, anzi, mia madre era entusiasta che avessi fatto quel passo che lei non
era mai riuscita a compiere, e per questo si era offerta più di una volta di
pagarmi l’università e tutto ciò che mi serviva per vivere, incontrando sempre
il mio rifiuto: preferivo essere indipendente in tutto e per tutto.
Così, dopo aver salutato le
mie amiche, mi diressi verso il “Sweet Dreams Caffè”, in cui lavoravo da ormai 3 mesi.
Anche per quell’impiego dovevo ringraziare Jenny: il
proprietario era un suo amico di vecchia data e appena le avevo esposto il mio
desiderio di trovare un lavoretto, mi aveva spinto fuori casa
e trascinato in quel bar, in cui ero stata subito assunta.
Sorrisi al ricordo, mentre le mie gambe mi trasportavano per
le vie di Los Angeles.
Alzai il viso verso il sole, lasciando
che mi riscaldasse la pelle: adoravo il clima temperato della California e
forse era per quello che avevo lasciato l’Italia: io amavo il caldo.
In quell’istante la suoneria del mio cellulare si fece
sentire: i Muse cantavano a squarciagola nella tasca dei miei jeans.
Guardai il display e sorrisi.
- Pronto?- risposi.
- Ehi, piccola! Come stai?- mi chiese la voce dall’altro
capo del telefono, giungendo direttamente dall’Italia.
Gianluca, il mio migliore amico: era l’unico, a parte i miei
genitori, con cui ero ancora in contatto.
La maggior parte dei miei amici avevano
visto la mia partenza come una specie di tradimento, ma per fortuna lui non mi
aveva abbandonata: era l’unico legame che ancora mi ancorava alla mia patria.
- Ciao Gian. Tutto bene, tu? Sono appena uscita
dall’università.-
- Ancora studi? Ma basta, vai a
lavorare.- mi prese in giro lui, facendomi ridere.
- Non voglio rimanere un’ignorante come te. Voglio essere
una persona istruita, io.- gli risposi, scherzando.
- E poi, se proprio lo vuoi sapere un lavoro già ce l’ho. Dovrò pure mantenermi in un qualche modo.- aggiunsi.
- E cosa fai? Massaggi i piedi agli attori famosi?-
- Magari. Ho la sensazione che quelli siano pagati
profumatamente. No, lavoro in un bar, su suggerimento di Jen.-
- Addirittura? Bè, ormai sei una donna in carriera, allora.-
- La smetti di prendermi in giro? Quando mi vedrai girare
per le vie di Los Angeles in limousine farai meno il furbo.-
Continuammo la nostra chiacchierata, punzecchiandoci e
prendendoci in giro come era nostro solito fare.
Mi piaceva parlare con lui, non facevamo mai discorsi troppo
impegnativi, a meno che non fosse strettamente
necessario.
Era il mio migliore amico da ormai 4
anni e non avrei mai pensato di poter instaurare un rapporto così profondo con
una persona: era quasi come un fratello, un amico e un fidanzato messi insieme,
senza tuttavia coinvolgimenti maliziosi.
- Vabbè, ti saluto. Ti ricordo che qui sono le 10 di sera e ci terrei tanto ad andare a dormire.- disse lui
dopo qualche minuto.
- E io ti ricordo che sei stato tu
a chiamarmi, pollo.-
- Ok, pollastrella, messaggio ricevuto. Ci sentiamo. Ciao piccola, ti voglio bene.-
- Anche io ti voglio bene. Ciao Gian.- risposi con malinconia e riagganciai.
Stavo per rimettere il cellulare nella tasca quando qualcuno
mi urtò, facendolo cadere a terra.
- Ma che cavolo… Stai più attento
la prossima vol…- imprecai in italiano, abitudine che non avevo ancora perso.
- Scusami, non volevo. Tutto bene?- chiese una voce roca e
profonda.
Sollevai gli occhi per guardarlo in viso e il cuore mi si
fermò per quelli che mi sembrarono almeno 5 secondi.
Due occhi azzurri e profondi mi osservavano con un misto di
preoccupazione e fastidio.
Ma quello che mi fece rischiare l’infarto fu
il fatto che io conoscevo quegli occhi, anche se li avevo sempre e solo
visti in fotografie, film e programmi TV.
Quegli stessi occhi azzurri che spesso tormentavano i miei
sogni da ormai 2 anni, da quando li avevo incrociati
nel film cult dell’anno precedente, “Twilight”.
Quelli erano gli occhi di Robert Pattinson, il mio sogno
proibito ed impossibile.
Lo guardai a bocca spalancata, come se davanti a me avessi
una sottospecie di alieno, invece di un ragazzo bellissimo e meraviglioso che
sognavo d’incontrare da parecchi anni: aveva gli occhi limpidi, anche se un po’
agitati da una preoccupazione di cui non ero a conoscenza, e sul suo viso non
vi era traccia di barba o baffi.
Con mio grande stupore riuscii a formulare un pensiero di
senso compiuto, rendendomi conto che molto probabilmente, proprio in quel
periodo, stavano girando il sequel di “New Moon”,
“Eclipse”, che sarebbe uscito nei cinema da lì a pochi mesi.
Non feci in tempo a rispondere alla sua domanda, anche se
non ero del tutto certa di esserne in grado, quando la sua testa scattò verso
la direzione da cui era arrivato.
- Dannazione!- imprecò.
Poi, senza tanti complimenti, mi spinse contro il muro del negozio
alle nostre spalle e appoggiò una mano a lato del mio viso, stampandosi un
sorriso sulle labbra.
- Assecondami.- mi sussurrò svelto.
Ma non dovetti fare molto, dal momento che
si limitò ad osservarmi negli occhi, che probabilmente erano ancora spalancati
e increduli, mentre un gruppo di quelli che sembravano giornalisti, o peggio
ancora, paparazzi, ci passava davanti.
Troppo impegnati nell’inseguimento non si accorsero
che Robert si era fermato ed era a soli
Passarono oltre, senza degnarci di uno sguardo, fino a
scomparire in lontananza.
Quando finalmente non furono più visibili, il ragazzo
davanti a me tirò un sospiro di sollievo,
allontanandosi e chinandosi per raccogliere il mio cellulare.
- Ecco, tieni.- mi disse porgendomelo, con il sorriso più
bello che avessi mai visto.
Io lo afferrai come un automa, il volto ancora impietrito in
un’espressione di stupore.
- E scusami ancora per lo scontro, ma quando ci si mettono i giornalisti diventano impossibili.-
In quel preciso istante un cellulare prese a squillare.
Il mio sguardo riuscì ad allontanarsi dal suo volto per
posarsi sul telefonino che tenevo in mano, quando mi resi conto che il rumore
proveniva dalla tasca della giacca di Robert.
- Pronto?- rispose lui, distogliendo lo sguardo da me.
- Si, lo so, ma ho avuto qualche
problema con i giornalisti. Non mi sembrava il caso di farmi seguire, quindi ho
dovuto seminarli. Si, ci sono riuscito, tranquilla.-
Mi osservò per un momento con la coda dell’occhio, forse per
accertarsi che non me ne fossi andata, cosa del tutto impossibile, visto che le mie gambe sembravano essere andate in sciopero.
- Ok, vi raggiungo subito. Ciao.- e
riattaccò.
- Sei sicura che vada tutto bene?- chiese rivolgendosi a me:
dovevo avere un’espressione proprio allucinata per suscitare la sua
preoccupazione.
Ma la mia bocca non
era ancora in grado si emettere suoni (anche le corde vocali erano in
sciopero), così mi limitai ad annuire.
- Ok. Scusa ancora, ma ora devo scappare. Ciao.- disse e si
allontanò senza più guardarmi.
Non riuscivo a muovermi: il mio corpo non rispondeva ai
comandi del mio cervello e i muscoli cominciavano ad
indolenzirsi per essere rimasti tesi e immobili fino a quel momento.
Finalmente esalai un respiro, facendomi male ai polmoni:
probabilmente avevo trattenuto il fiato senza neanche accorgermene.
Era successo davvero oppure era stato tutto frutto della mia
immaginazione?
La cosa non mi avrebbe stupito, spesso mi capitava di avere
fantasticherie su un possibile incontro tra me e Robert, ma mai e poi mai avrei
immaginato che potesse accadere veramente.
Finalmente mi decisi a muovere le gambe, che mi
trasportarono verso il mio dovere, mentre la mia testa era ormai partita per
chissà quale destinazione.