“Io non voglio insegnarvi la vita
perché ognuno la impara da sé”
Marco Masini
Capitolo 9
Senza Parole
La sensazione di sentirmi sballottata a
destra e a sinistra diventava sempre più lucida e vivida, mano a mano che mi
sentivo sempre più cosciente. A tutto ciò si aggiungeva il fatto che improvvisamente
sentivo un freddo micidiale avvolgermi le ossa, e davanti agli occhi- quando
riuscii a trovare la forza minima per riuscire ad aprirli un po’- sentivo un
qualcosa di strano che poi constatai essere i miei capelli che ricoprivano il
volto. Mano a mano la mia vista si abituò a scacciare il buio precedente, e
l’unica cosa che vidi fu una luce fioca. Ma mi sentivo le palpebre così pesanti
che l’istinto di richiuderli e tornare a dormire si faceva sempre più forte, e
le avevo già serrate nuovamente quando sentii un piccolo: “Pssst!”.
Sobbalzai, sentendo quasi quel suono
rimbombare nelle mie orecchie nonostante fosse stato appena sussurrato a causa
del mio essere intontita, e lentamente riaprii gli occhi. Quello che vidi
attorno a me mi fece ritornare mano a mano una lucida consapevolezza che avrei
preferito tenere lontana, onestamente, a causa della visione che mi si parava
davanti. Di fronte a me c’erano Stella e Vittoria tutte scarmigliate, con
indosso vestiti eleganti, con la bocca occupata da un bavaglio.
Al mio fianco sentivo qualcosa di caldo, e
quasi ebbi paura di girarmi e vedere chi fosse l’altro soggetto. Però
probabilmente già lo conoscevo senza aver bisogno di controllare; tuttavia
presi coraggio e nemmeno sussultai vedendo Gabriele appoggiato contro la mia
spalla, addormentato e con il viso quasi beato, come se stesse facendo il più
piacevole dei sogni.
Solo in quel momento notai che ero stata
imbavagliata a mia volta, e il mio sguardo divenne un misto tra paura, voglia
di sapere e incredulità.
Vittoria e Stella capirono, perché cercarono
di comunicare con lo sguardo la loro evidente preoccupazione. A ciò si aggiunse
il fatto che vidi i loro polsi legati con delle corde, e compresi che anche
quello stesso trattamento era stato riservato a me dal fatto che me li sentivo
indolenziti.
Continuavo a sentirmi sballottata, come se
stessi correndo su un cavallo, e compresi di trovarmi su un camion.
C’era una sottile parete che divideva il
retro del furgone con i posti guida, e mi accasciai contro la parete di questo,
cercando invano di slegarmi i polsi.
Vittoria scosse il capo, come a dire: “E’
inutile, ci abbiamo provato anche noi!” e in quello stesso istante il furgone
si bloccò.
Non ci capivo nulla. All’improvviso il
ricordo del momento in cui qualcuno mi puntava la pistola contro la tempia si
fece più vivido che mai, poi… Poi avevo un buio totale. Mamma aveva detto che
Stella e Vittoria non erano ritornate a casa, da quel che riuscivo a ricordare.
Ovviamente, facendo i conti, era stato Hazel a farlo insieme al suo complice,
ma cosa volevano da noi? Soldi? Era l’unica spiegazione che mi venisse in
mente.
“Psss”.
Alzai lo sguardo e vidi che Stella mi
guardava in un modo assolutamente concentrato. “Ai inta i ormire, apito? Ome se
on ti ossi ‘gliata” sussurrò, per quello che il bavaglio le permetteva di dire
mentre sentivamo dei passi scendere dal camion. Per accentuare il concetto
piegò la testa di lato e chiuse gli occhi; annuii e ubbidii, dicendomi che
darle ascolto era l’unica cosa che potevo fare non avendo nessuna idea mia dal
momento che non potevo stabile un piano non conoscendo cosa dover affrontare.
La sentii fare un verso di approvazione e
poi le porte del retro del camion si aprirono, rivelando una fioca luce da quel
che potei capire a causa delle palpebre chiuse.
Che ore erano? Erano le quattro passate
quando quegli sconosciuti erano piombati in casa mia. Improvvisamente sentii
una voglia matta di urlare al solo ricordo dei vari accaduti. E pensare che
prima di sentire quel rumore di cocci infranti io me ne stavo nel mio letto al
caldo, con Cristian che mi stringeva a sé…
Cristian…
Dov’era? Gli avevano fatto qualcosa?
E mamma e papà? Avevano chiamato la polizia?
Di certo non se ne stavano con le mani in mano, ovvio. Mi immaginai le loro
facce piene di preoccupazione… Quanti fardelli avrebbe ancora dovuto sopportare
la nostra famiglia?
Nel frattempo, i due uomini si avvicinarono,
e mi sentii sollevare da un paio di braccia forti e possenti. Avrei tanto
voluto poter dare un bel pugno a chi mi stava sorreggendo, ma contai fino a
dieci mentalmente cercando di calmarmi.
Pochi minuti dopo, mentre i passi degli
uomini riecheggiavano come se si trovassero in una sorta di chiesa, mi sentii
poggiare su qualcosa di soffice e poi udii il rumore di una porta che si
chiudeva.
“Sabri, apri gli occhi”.
Ubbidii subito, e non fui mai più contenta
di quella volta in vita mia di vedere Stella, finalmente slegata e priva di
lacci. Al suo fianco, Vittoria- con una faccia cadaverica, occhiaie bluastre e
gli occhi gonfi- mi si gettò addosso, stringendomi in un abbraccio dalla presa ferrea.
Mi aiutarono a slegarmi quando mi rizzai a
sedere per bene sul lettino su cui mi avevano stesa.
“Potete spiegarmi cosa diavolo è successo?”
chiesi a bassa voce, con una voce un po’ roca a causa dell’eccessivo silenzio.
“E dov’è Gabriele?” aggiunsi, sentendo il cuore mancare di qualche colpo quando
non lo vidi.
“Se lo sono portati, non lo so…” rispose
Stella, preoccupatissima.
“Oh, Sabri, scusami! Scusami! Non dovevo
invaghirmi di Hazel, avevi ragione, mi ha solo usato!” disse afflitta Vittoria,
con le lacrime agli occhi.
“Ma potete spiegarmi cosa diavolo è successo
stasera?” chiesi, cercando di rassicurarmi che Gab stesse bene e che a breve lo
avrebbero riportato da noi. Ci avevano slegate perché evidentemente non avevamo
via d’uscita, chiuse com’eravamo in una cella alle mura di pietra, quasi come
se appartenesse ad un vecchio castello.
Vittoria annuì prontamente. “Ricordi l’altra
volta, quando successe il casino dell’sms?”.
“Si”.
“Ecco, volevo dirti che Hazel mi aveva detto
che non gli sarebbe dispiaciuto andare a mangiare una pizza con me, qualche
volta. Poi come sai mamma lo ha licenziato, e… E ieri pomeriggio l’ho
incontrato all’uscita di scuola. Mi stava aspettando! Non sai come mi sono
sentita quando ho visto che mi stava venendo incontro. Mi ha chiesto di vederci
quella sera, così ovviamente ho accettato. Siamo usciti e…” qui si bloccò,
scacciando ulteriori lacrime.
“E…?” chiesi, decisa di saperne di più.
“Si è comportato bene, mi ha baciato, ma era
solo un pretesto per chiedermi di salire a casa sua. Come una stupida ho
accettato e… E quando sono salita ho trovato lei con l’altro, Polsk”.
Mi voltai verso di Stella, e lei annuì. “Ho
conosciuto Polsk qualche settimana fa in un locale, e ci eravamo messi
d’accordo per uscire. Era così carino, sembrava così bravo… Comunque, sono
rimasta stupita nel vedere Vittoria, ma ho capito le loro intenzioni quando ci
hanno bloccate e legate. Ci hanno fatto addormentare con dei sedativi credo,
proprio come hanno fatto con te e Gabriele. Quando ci siamo svegliate eravamo
nel furgone e poco dopo hanno portato su sia te che Gab. Non abbiamo capito
cosa vogliono, parlavano nella loro lingua…” disse, scrollando le spalle
sconsolata, e mai come in quel momento vidi una Stella ingenua, semplice, umana,
a dispetto di quella altezzosa e menefreghista di sempre.
Ci abbracciamo tutte e tre, finchè non
sentii un qualcosa vibrare vicino la mia gamba. “Cosa…?”.
Tastai, e fu con grande gioia che scoprii di
avere un cellulare in tasca. Ma non era il mio, notai con una nota di stupore,
era quello di Cristian! Come facevo ad averlo?
Ma una piccola bolla di speranza prese il
sopravvento quando vidi che mi era arrivato un sms. Era da parte del mio
numero.
Sabri,
dove sei? Sono riuscito a metterti il mio cellulare in tasca quando ti stavano
portando via. Hanno chiamato quei polacchi e hanno chiesto un riscatto di
250000 euro per liberarvi, quindi tra un po’ vi raggiungeremo, tranquille, e
pagheremo. Cristian.
Più in fretta della luce, sperando che non
venissero quei tipi e me lo sequestrassero, mi affrettai a rispondere.
Grazie
Cristian per il cellulare! Noi siamo in
una sorta di cella, ma non so dove, con noi ci sono anche Stella e Vittoria e
non so però dov’è Gab, se lo sono portati con loro. Per favore fate presto.
Spiegai brevemente la faccenda alle ragazze,
che dissero che Cristian era stato un genio, finchè non arrivò un altro sms.
Siete
nei pressi di Castel Sant’Angelo, ce l’hanno detto ora e stiamo venendo a
prendervi anche se c’è il problema dei soldi visto che speriamo che
accetteranno un assegno. Tenete duro, andrà tutto bene.
Feci un sospiro di sollievo. Non vedevo
l’ora di rivederlo, abbracciarlo, e potermene stare stretta a lui per ore. La
questione del test di paternità quasi sembrava scivolata via dalla mia mente,
onestamente, tanto era lo spavento che stavo provando.
Cristian,
non ho parole, grazie, sentirti anche solo via sms mi fa sentire meglio. Non
dimenticarti che ti voglio bene, mai.
Non potei evitare di scrivere quest’ultima
affermazione, solo che mi affrettai a riporre il cellulare nella tasca dopo
aver messo il silenzioso senza nemmeno la vibrazione quando udii dei passi
vicini. Mi stesi sul letto, e sobbalzai vedendo le facce rudi e malefiche dei
due complici mentre riportavano Gabriele nella stanza, finalmente sveglio e
cosciente.
“Tutto bene, ora venire vostri genitori,
pagare riscatto e voi libere” disse Hazel con la sua solita voce melensa e di
una falsa tranquillità tale che ti faceva venire i nervi.
“Riscatto?”. Feci finta di non sapere nulla,
ovviamente.
“Si, riscatto. Perché mai allora tu credi
che noi abbiamo rapito voi?” rispose quell’altro.
“E perché vi siete intrattenuti con mio
fratello?” chiesi.
“Mi hanno fatto parlare con mamma e papà”
sussurrò lui, con lo sguardo basso.
Feci un piccolo cenno, e da lì iniziò il
periodo dell’attesa. Stando alla ricostruzione dei fatti, quindi, Hazel e
complice ci avevano rapiti per ottenere dei soldi, quindi era ovvio che si fossero
intrufolati nelle vite di Stella e Vittoria per riuscire a raggirarle.
Ma perché tutto questo doveva succedere la
notte in cui c’era stato il casino della probabile fratellanza nostra con
Cristian in mezzo?! Quando si dice il destino…
Intanto, pensare al viso di Cristian, alla
sua premurosità, era l’unica cosa che mi facesse sentire bene e tranquilla, e
ormai che potesse essere mio fratello, beh, non me ne fregava, nel senso che se
avessi scoperto di essere sua sorella, me ne sarei andata in un’altra città pur
di non vederlo, perché ero cosciente al 100%
del fatto che vedendolo di continuo non lo avrei mai dimenticato.
Mezz’ora dopo, i due uomini ci trascinarono
fuori da quella sorta di prigione, con le pistole puntate contro di noi con
aria intimidatoria, e scoprimmo di essere state rinchiuse in una sorta di
vecchia villetta.
Inutile descrivere il tuffo al cuore che
provai quando vidi l’auto di papà da lontano. Sentii invadermi da un senso di
protezione mai visto, e strinsi forte la mano di Gabriele e quella di Vittoria.
Stella sospirò, e ci guardammo.
Probabilmente, qualcosa tra di noi era cambiato in quel minimo arco di tempo
quando venti anni non erano serviti a farci comprendere un po’ a causa delle
nostre diversità eccessive.
Mezzo minuto dopo, la macchina si avvicinò e
vidi mamma, papà e Cristian scendere, quando anche altre due macchine
parcheggiarono lì vicino, che noi non avevamo visto, anzi notato, a causa della
forte gioia. Da una uscirono zia Eva e zio Giuseppe, dall’altra Niko e Eliana.
Io e Cristian ci guardammo in un modo mai
visto prima, quasi con una sorta di felicità repressa e lui mi sorrise. In quel
momento mi sentii le gambe tremare, e avrei dato chissà che cosa per poterlo
stringere a me.
Subito Hazel e Polsk puntarono loro le
pistole contro, e vidi papà alzare le mani.
“Va bene l’assegno? Potete controllare”
disse, con voce alta e lenta, per far comprendere bene le sue intenzioni. Anche
lui aveva una faccia da funerale, bianca come la cera e lacerata dalla
preoccupazione.
“Ma certo, signore. Noi sapere che tu ricco
e onesto” disse Hazel, sorridendo in un modo beffardo. Vidi zio Giuseppe
guardarlo con odio, e potevo comprenderlo: probabilmente si stava anche
rimproverando per averlo fatto entrare in casa sua come operaio…
Polsk porse la mano in avanti per prendere
l’assegno. “Sai che se tu chiamato polizia noi…”.
“Noi sapere, si, ora però ridacci i nostri
figli” s’intromise mamma, impaziente e schernendolo contemporaneamente.
“Ogni suo desiderio è ordine” mormorò Hazel,
dopo che Polsk ebbe preso l’assegno e controllato che tutto fosse in regola. Ci
spintonò lievemente verso di loro e subito si allontanarono con il loro
furgoncino.
Ero decisamente allibita. Non che credessi
che sarebbe successo qualcosa come nei film, ma era tutto troppo semplice. Ci
avevano lasciato da sole, slegate, ci avevano liberate subito, senza
esitazioni… Ma ciò non voleva dire che mi dispiacesse, ovviamente.
Appena incontrai gli occhi della mia
famiglia questi pensieri mi abbandonarono e ci trovammo tutti stretti in un
abbraccio stritola costole ed infinito.
“Mamma, papà, Cristian!” urlai, mentre
questi si dividevano tra me e mio fratello.
“Oh, tesoro, non sai quanto mi sono messo
paura!” urlò papà, alzandomi letteralmente da terra.
“Ecco cosa vuol dire essere conosciuti da
tutti, se non fossimo stati famosi nessuno avrebbe saputo gli affari nostri…”
aggiunse mamma, piangendo a dirotto.
Lei e papà se ne stavano incollati a me e
Gabriele, finchè non decisero di vedere anche le condizioni di Vittoria e
Stella, che al momento se ne stavano tra urla di sollievo e di rimprovero.
Mi voltai e quando vidi che Cristian mi
stava osservando da lontano non ce la feci più e gli gettai le braccia al
collo. Non so perché, ma lui prima rispose all’abbraccio e poi mi fece segno di
seguirlo nell’auto dei miei. Tutti erano presi dal racconto di Vittoria e
Stella così nessuno ci badò.
Non ebbi nemmeno il tempo di chiudermi la
porta alle spalle che avvertii un improvviso senso di calore sulle mie labbra
fredde e una mano che mi sosteneva per la schiena. Mi sentii il fiato mancare:
da quand’era che avevo atteso quel momento nelle ultime ore? Non riuscii a non
stringerlo più forte, accarezzargli i capelli. Il mio istinto mi diceva di
continuare ad approfondire quel bacio, che al momento sembrava voler
abbandonare ogni cenno casto. Cristian mi stava baciando in un modo così
caloroso che sentii i brividi lungo la schiena e un caldo opprimente invadermi,
ma non so con quale forza lo allontanai da me.
“Non è giusto, è una cosa orribile, forse io
e te…” iniziai, decisa, visto che lui mi guardava quasi come se non
comprendesse il mio rifiuto.
“Cosa?! Insomma, le cose non cambiano, tu mi
hai baciato anche due giorni Fa quando non sapevi tutta questa storia, è la
stessa cosa di ora. E poi io sono sicuro che noi non abbiamo sangue in comune,
credimi, è…”.
“Cosa ne puoi sapere tu? E poi credi che per
me sia facile? Io non chiederei altro che…”.
“Che?” mi chiese con aria di sfida.
“Che ributtarmi addosso a te e farti capire
quanto ci tenga, ma non possiamo, è contro natura, è orribile…”.
Lo zittii, cercando di fargli capire quanto
lo desiderassi nonostante tutto appoggiandomi contro il suo petto, e lui
annuii, passandomi il braccio sulle spalle, finchè quel semplice appoggiarmi
non mi portò ad addormentarmi. Si stava così bene lì, al caldo…
Riaprii gli occhi molto tempo dopo,
trovandomi Stella e Vittoria nella stessa stanza, entrambe con indosso uno dei
miei pigiami. Erano sveglie.
Stella se ne stava seduta sul mio pouf
bordeaux e Vittoria guardava fuori dalla
finestra, con un’aria così pensierosa che probabilmente nemmeno un rumore di
cannoni l’avrebbe ridestata.
“Ehi” sussurrai, mettendomi a sedere. Mai
come in quel momento mi sentivo il peso dell’ultima nottata sulle spalle.
“Oh, ti sei svegliata. Siamo rimaste qui con
te…” spiegò Stella.
“Grazie. Ma, perché, dove sono gli altri?”
chiesi.
“In ospedale per il test, no?” mi rispose
con aria di ovvietà. In quel preciso istante mi sentii investire da un secchio
di aria gelata e mi voltai di scatto verso la mia radiosveglia. Erano le dieci
e un quarto del mattino.
“Che cosa? E non mi hanno svegliato?”
domandai incredula.
Stella si parò le mani davanti, alzandosi e
avvicinandosi, per poi sedersi sul bordo del letto.
“Il risultato si saprà tra qualche ora, quindi
abbiamo tutto il tempo di vestirci e raggiungerli”.
Feci un piccolo cenno, sentendo l’ansia
invaderci. Mancavano poche ore e poi avremmo saputo la verità che ci avrebbe
legati o divisi per sempre.
Non aggiunsi nulla, finchè Stella non
sorrise. “Insomma, ho saputo che alla fine tu e Cristian avete capito di
esservi innamorati”.
“Si, ma non potevamo sapere….”.
“Non ti sto giudicando. Sono l’ultima
persona al mondo che può giudicare male qualcuno, per carità”. Fece un sorriso
mesto, riferendosi a tutte le bravate che aveva commesso nei suoi primi
ventisette anni di vita. “Volevo solo dire che, insomma, è buffo. Ricordi
quando io gli sbavavo dietro e tu non lo sopportavi?” mormorò, con aria
nostalgica, accentuata ancora di più da una sorta di mezzo sorriso.
“Si, sembra passata una vita! Ne abbiamo
combinate di cose…”.
“Eppure alla fine hai trovato in lui il
ragazzo che aspettavi, no? La vita è sempre così strana…”.
“E crudele” aggiunsi. “Stella, non so come
farò se siamo sul serio fratelli…”.
Lei non disse nulla e mi strinse a sé,
accarezzandomi la schiena. Sapevo che non era brava con le parole, ma quei
gesti nella loro totalità ci stavano aiutando a costruire un rapporto mai avuto
in precedenza.
“Quando vuoi ci iniziamo a vestire”
sussurrò.
“Ora” dissi con decisione.
Vittoria si girò e mi guardò. Probabilmente
aveva sentito tutto e non aveva avuto la forza di intromettersi nel discorso,
presa dalla sua delusione.
Ci vestimmo silenziosamente dopo che ebbi
prestato loro qualcosa di mio, e alle undici meno dieci eravamo già in
ospedale.
Cristian e papà se ne stavano isolati,
raccolti nei loro pensieri, mentre mamma, zia Eva ed Eliana e Niko parlottavano
tra loro. Di fronte, seduta da sola su una delle sedie di plastica blu della
sala d’attesa c’era Irene. Sembrava preoccupata e si guardava nervosamente
intorno.
Gabriele se ne stava appoggiato al muro della
sala, immerso nei suoi pensieri, e proprio in quel momento sentii dei passi
affrettati verso di noi. Era Belle, con l’espressione più decisa che le avessi
mai vista dipinta in volto. I lunghi capelli biondi sembravano volare al vento
mentre correva, e in un lampo si gettò addosso a Gabriele, che sembrava
sorpreso.
“Ho saputo, mamma e papà stano venendo… Stai
bene?” chiese, accarezzandogli il volto. Non gli lasciò nemmeno il tempo di
rispondere che aggiunse: “Seguimi un secondo, devo parlarti”.
Lui ubbidì e li vidi allontanarsi.
Sorrisi,quando restai ulteriormente sbalordita nel vedere Titti raggiungermi,
in compagnia di nientepocodimeno che Marco.
“Sabri, tua madre mi ha detto! Oddio, come
stai?” urlò quasi, gettandomi le braccia al collo. “E’ orribile, un rapimento!
E questa storia di Cristian…”.
“Lo so” borbottai.
“Io sono qui, e ho preso qualche giorno di
permesso…” aggiunse con dolcezza.
Spalancai gli occhi, con disapprovazione.
“Cosa? Ma no, non puoi perdere dei giorni di lavoro per me, io sto bene…”.
“Non mentire”.
“E poi non è un problema, tranquilla, mia
madre ha compreso, e se non lo avesse fatto l’avrei convinta io” aggiunse
Marco, sorridendomi cordiale.
Lo guardai stupita. “Che cosa?”.
“Si. Devo ringraziarti, Sabrina, mi hai
aperto gli occhi, si vede che vuoi davvero bene a Titti” rispose. “Ovviamente,
so che può risultare sciocco visto che ci siamo visti un paio di volte ma… Se
ti serve un parere maschile ci sono anche io” disse imbarazzato.
Era assurdo, in quel momento sembrava
stessero succedendo tutti i miracoli del mondo e l’unica non graziata ero io.
“Grazie, Marco” dissi, cercando di dissimulare la mia incredulità.
Ci sorridemmo, poi ci sedemmo. Dieci minuti
dopo Gabriele ritornò al fianco di Belle, entrambi raggianti.
Cristian ogni tanto mi lanciava qualche
occhiata ansiosa, mamma cercava di sfogare il suo nervosismo parlando a tutto
spiano, papà se ne stava zitto con il capo tra le mani e Irene scriveva
furiosamente qualcosa su un block notes.
Era ormai l’una passata quando arrivarono i
risultati. In quello stesso istante vidi un’Irene più inquieta che mai lasciare
qualcosa sul suo sediolino ed uscire dalla stanza di corsa, come una furia, l’espressione
del viso celata dai capelli, mentre papà leggeva il risultato.
Non riuscivo a capacitarmi che mancavano pochi
secondi per tracciare il destino mio e di Cristian, eppure avvertivo un altro
senso di inquietudine attanagliarmi lo stomaco.
Vidi papà passare il foglio a Cristian. Si
guardarono, e Cristian restò immobile.
“Allora…?” chiese mamma.
“Io… Io…”.
“E’ mio padre” concluse per lui Cristian,
abbassando il capo e stringendo i pugni.
Inutile dire cosa provocarono in me quelle
parole. Era come se un maremoto si fosse impossessato del mio stomaco, anzi, un
vero e proprio Tsunami. Le orecchie mi divennero di fuoco, proprio come il
resto del corpo, quando in realtà dentro sentivo un gran gelo, e tutte le voci che mi circondavano divennero
improvvisamente confuse.
Era finita. Non avrei mai più conosciuto
l’amore in vita mia, ne ero certa.
Corsi via dalla stanza, fino a giungere in
una sorta di terrazzo dell’ospedale. Ero così scombussolata che ci impiegai
qualche secondo per comprendere che c’era qualcuno dall’altra parte della
ringhiera che si affacciava su tutta Roma. Un qualcuno con i capelli biondi e
il corpo esile.
Irene.
“Ma che fai? Non sei contenta? Avevi
ragione, lui è mio frat…”.
Urlai come una forsennata. Irene, dopo
essersi girata verso di me e avermi guardato con intensità e aver sussurrato un
deciso: “Scusa”, si era lasciata cadere
in avanti, come se si fosse tuffata in mare, e avevo sentito un forte tonfo.
Si era suicidata! Si era gettata da lì sopra
come se nulla fosse!
Mi affacciai e repressi un ulteriore urlo
nel vederla senza vita, stesa sulla via che stava di sotto, con gli occhi
sbarrati. Impossibile, si era tolta la vita da sola! Ma perché?
“Sabrina!”.
Mi voltai, vedendo Cristian che mi veniva
incontro con un foglio di carta in mano. Mi vide sconvolta, e ovviamente pensò
che fosse dovuto alla notizia finchè non gli feci cenno di guardare giù.
Trattenne il respiro e assunse un’espressione sconvolta.
Ritirò lo sguardo, con una sorta di pura
paura dipinta in volto.
“Mi
dispiace, non ho potuto fare nulla…”.
Lui parve essere senza fiato. “A-Allora l’ha
fatto s-sul serio…”. Alcune lacrime gli solcarono il volto e mi porse un foglio.
Quello stesso foglio su cui Irene aveva scritto prima di fuggire via.
Hola chicas!
Scusatemi per il mostruoso ritardo ma
purtroppo, come ho anche scritto nell’account, non ho avuto un attimo libero
fino ad oggi a causa della scuola e dell’influenza che mi ha attanagliato per
una settimana. Per fortuna ora sto bene e oggi ho fatto la prima interrogazione
di italiano, che mi è andata molto bene, fiuuu!
Poi… Sono consapevole che questo è stato un altro
capitolo shock. Il rapimento, il riscatto, la paternità di Andrea… E Irene che
si suicida. Secondo voi cosa avrà scritto su quel foglio?
Comunque, volevo anche aggiungere che mi è
venuta l’idea per un’altra storia di cui oggi ho scritto solo il prologo, e
vorrei lasciarvene un pezzettino per vedere cosa ve ne sembra, anche se
ovviamente la scriverò quando avrò tempo e dopo il piccolo periodo di pausa che
avevo deciso di prendermi:
Presa da
un’idea improvvisa, mi diedi della stupida per non averci pensato prima e
chiamai il mio migliore amico di sempre, Marco, che probabilmente era l’unica
persona al mondo che mi avesse mai presa sul serio nonostante la nostra
lontananza.
“Marco,
preparati. Da domani la tua migliore amica abiterà nella tua stessa città”
dissi convinta appena rispose alla chiamata.
“Che cosa?”.
La sua voce matura, ma tuttavia con un qualcosa di affascinante, era iper
sorpresa. “Sei impazzita?”.
Risi. “No, non
ce la faccio più a stare qui. Voglio venire da te, così potrò recuperare il
tempo perso con Luna e…”.
“E pensi che
lei sia disposta a chiarire? L’ho vista l’altro ieri, e mi sembra davvero
felice da quando vi siete separate” mi tenne presente, con aria seria. “Ormai
sembra nemmeno più badarmi quando la infastidisco…”.
Scossi il capo,
ricordando il rapporto di puro odio che c’era tra il mio migliore amico e mia
sorella gemella. Entrambi stracolmi di orgoglio fino alla punta dei piedi,
entrambi con una sorta di vena tormentata che li caratterizzava, entrambi
facilmente soggetti ad incomprensibili sbalzi d’umore. Era ovvio che si
odiassero, solo gli opposti si attraggono, come si dice.
“Non
m’importa. Ho deciso. Ti va di venirmi a prendere alla stazione, domani?”
chiesi poi.
“E me lo
chiedi pure?”.
Spero mi farete
sapere cosa ve ne sembra e se vi ha incuriosito! Ho già in mente molte idee…
Comunque, grazie
mille alle 19 persone che hanno messo questa storia tra le storie seguite e le
24 che l’hanno messa tra i preferiti, e ovviamente coloro che hanno recensito:
piaciuque: Chi è che
resta immune davanti ad una foto di Taylor Lautner? ^^ Comunque, per ora il
test di paternità dice che sono padre e figlio, quindi non possiamo dire nulla.
Ma ovviamente bisogna anche vedere cosa ha scritto Irene su quel foglio, eheh!
xsemprenoi: Mi
dispiace ma il test ha stabilito che sono fratelli purtroppo… Ho aggiornato con
un po’ di ritardo a causa delle varie cose che ho elencato sopra, ma spero sia
valsa la pena attendere! ^^
lillay: Hazel&co
volevano solo dei soldi per quel che sappiamo, anche se Sabrina ritiene una
cosa strana che subito si siano fidati dell’assegno… E da quel che sappiamo
purtroppo sono fratelli, sigh… Ti prego, non lapidarmi via monitor xD
CriCri88: Eheh in
effetti anche io ti devo molto perché supplicandomi mi hai convinto ad elaborare
un’altra delle mie diabolicità… xD Beh, ora sai cosa voleva Hazel, e spero che
anche tu non ti aggiungerai al club delle lapidatrici via web per ciò che ho
scritto circa il test di paternità *_* Idiozie a parte, grazie mille per i
complimenti e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto… ^^
Angel Texas Ranger:
Ci credi se la prima ad essere sconvolta sono io? Non avevo mai messo pistole e
scene d’azioni simili, se così si possono chiamare, nelle mie storie
precedenti… Ma spero tuttavia che questo stato di shock passi in fretta
altrimenti mi sento dieci volte più in colpa! xD
paragni: Eheh, sono
d’accordo con te, è difficile scegliere chi dei tre sia più figo ihih! La scena
in cui Cristian dice che Andrea l’ha lasciato dormire da Sabri l’ho messa proprio
per far capire che Andrea ha capito che deve smetterla di fare il gelosone, ha
subito un’evoluzione come padre in questa fic e volevo farlo notare. Ti
ringrazio per i compimenti ^^
Spero di aggiornare
presto, anche se non vi prometto nulla, ma vi dico che il prossimo cap sarà
l’ultimo prima dell’epilogo…
Nel frattempo,
eccovi altre due foto:
http://media.panorama.it/media/foto/2009/02/03/49885816c61f3_normal.jpg
Adiòs, os quiero!
la vostra milly92