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Autore: Bellis    23/10/2009    1 recensioni
Il celebre investigatore di Baker Street si trova alle prese con un mistero che lo trascinerà nel profondo di torbide acque, un abisso che affonda le sue radici negli oscuri eventi del suo passato. Riuscirà Watson a far luce su un enigma che coinvolge tanto gravemente lo stesso suo amico? Come potrà Mycroft Holmes essere d'aiuto?
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buondì! Rispondo immediatamente alla stupenda recensione di Bebbe5: ti dirò, anche a me piacerebbe molto che esistessero più amicizie come quella tra Holmes e Watson... però hai ragione. E' un'amicizia speciale proprio per questo, probabilmente: perchè è rara e fondata su solidi pilastri di un onore ed una moralità ormai svaniti dal nostro Mondo.
Ora la smetto di deprimere il prossimo, XD, e ti ringrazio per l'incoraggiamento e per le puntualissime recensioni :D Spero di non deluderti nel proseguimento della storia: siamo quasi alla fine.

Lesti, lesti! Subito al...


Capitolo XI – Presagi
[continuazione dei resoconti personali di John H. Watson, MD]


Non fui affatto sorpreso che Holmes, non appena giunto finalmente a Baker Street, si fosse immediatamente ritirato nella sua stanza, lasciando me e Mycroft nel salotto a scambiare brevi affermazioni distratte.
Quando un manovale dall'aria svogliata, con favoriti rossi, la postura accasciata di chi è abituato a portare notevoli pesi, berretto incrostato di fuliggine, un naso da pugile e un ruvido soprabito stracciato uscì dalla camera nella quale poco prima era entrato il detective, il funzionario di Whitehall quasi balzò sulla poltrona, facendola scricchiolare pericolosamente.

"Escott? [1]" chiesi, innocentemente.

"Edward Willoughby, capo, cerco lavoro come stalliere o tuttofare, vitto e alloggio e poca mancia." biascicò il mio amico, con la voce roca d'un villico, ed un accento tanto chiuso che sembrava sentir parlare il piccolo Wiggins.

"Così sono questi i tuoi metodi, Sherlock? Sinceramente, mi sorprende che tu sia ancora vivo e in attività." mugugnò l'altro Holmes, squadrando con occhio critico lo sconosciuto apparso come per magia.

Holmes vibrò d'una risata silenziosa, avvicinandosi al portaombrelli e prelevandone un rozzo bastone di legno. Recuperò chissà dove una borsa sgualcita e si avviò alla porta. "Ti assicuro, fratello mio, che i miei metodi funzionano!" esclamò, già sulle scale, togliendosi il cappello di fronte alla signora Hudson, che, avvezza a tale genere di strane presenze, ebbe il buon senso di non commentare.

Mentre la porta d'ingesso si chiudeva con gran fragore, Mycroft Holmes alzò gli occhi al cielo, borbottando a mezza voce qualcosa sulle più comuni regole di buona educazione. Incontrò il mio sguardo divertito e si limitò a scuotere il capo, con quel misto di esasperazione e superiorità che solo un fratello maggiore si può permettere.

La sera passò, ed anche il mattino seguente, senza che di Holmes si sapesse nulla. Già non era solito dare proprie notizie, mentre era nel corso delle investigazioni: avrebbe inoltre rischiato, in quel caso, di compromettere la propria identità, se avesse mandato telegrammi o lettere. Ne approfittai per aiutare la buona padrona di casa a rassettare le stanze del nostro appartamento, che gli efficienti conestabili avevano messe nel più completo disordine durante la perquisizione.

Solamente verso l'imbrunire una violenta scampanellata mi risvegliò dal torpore della lettura nella quale mi ero immerso. Mi stavo giusto chiedendo per quale motivo Holmes avrebbe dovuto suonare il campanello, quando, aprendo la porta del salottino, mi ritrovai ad udire la vocetta infantile di Ron, uno degli Irregolari di Baker Street. Lasciò un enorme fascio di carte nelle braccia della signora Hudson e battè in ritirata dopo aver agguantato uno dei biscotti che la donna aveva appena finito di preparare.

Mi affrettai a liberare la signora dal peso di quei documenti per lasciarla ai rimproveri conseguenti da quella cattiva azione, e risalii le scale, avvicinandomi al primo tavolo libero che trovai e depositandovi gli incartamenti.

Su di essi troneggiava un appunto, scritto con la calligrafia regolare di Mycroft Holmes.
"Spero che possano servire." diceva la nota, "Pregovi non contattarmi se non per motivi di indiscutibile ed improrogabile urgenza."
Il che stava a significare che l'anziano funzionario governativo era stato ben contento di ripristinare quel che restava della sua maltrattata routine giornaliera.

Sparpagliai i fogli sul ripiano di legno scuro, osservandoli con attenzione, e distendendo gli angoli dei più stropicciati. Sembravano planimetrie, progetti edili. Su alcuni di essi era segnalato in chiaro il nome dell'abitazione alla quale si riferivano: non lo riconobbi subito, ma, una volta scorse brevemente le informazioni relative al posizionamento della casa, mi fu chiaro che si trattava di Cardside's.
Evidentemente, il più anziano Holmes era riuscito a recuperare quei vecchi piani di costruzione.

Abbozzai un sorriso, al pensare come anche l'onesto, retto ed incorruttibile Mycroft si fosse infine piegato al desiderio di aiutare il fratello ad assicurare alla giustizia l'uomo che aveva minacciato e ricattato la loro famiglia più volte.

Non potevo fare a meno di sentirmi pienamente coinvolto nella faccenda, e non ebbi alcun ripensamento né esitazione sul buon esito del piano di Holmes, ignorando qualsiasi scrupolo morale, di fronte a una tale prova di corruzione e malvagità quale mi era fornita dal comportamento del nostro avversario.
Tuttavia, era destino che qualcosa giungesse a scrollare la mia fiducia nel futuro: mentre, con poco sonno ed una gran agitazione in corpo, mi stavo per accomodare sul divano – da me designato come improvvisato giaciglio per quella notte – udii, con notevole sorpresa, alcuni strani rumori provenire dal piano terreno.

Depositai sulla poltrona la coperta leggera che mi ero procurata e mi affacciai alle scale.
Evidentemente, la signora Hudson si era già ritirata nel suo appartamento. Sgranai gli occhi nel buio, avvertendo distintamente il rumore della serratura che girava lentamente, nella porta d'ingresso, come se qualcuno la stesse forzando dall'esterno.

Allungai la mano destra verso la rastrelliera ed afferrai il bastone preferito dal mio amico, quello col manico rinforzato in metallo. Chiusi le dita sull'impugnatura e, serrando le labbra, iniziai a discendere lentamente i gradini.

La maniglia si abbassò appena, con una certa esitazione, e la serratura scattò del tutto, lasciando che l'anta di spesso legno si dischiudesse, riversando l'oscurità fredda della strada in quella dell'abitazione. Quando ciò accadde, io ero solamente a metà della serie di scalini che portavano a piano terra. Mi fermai dov'ero, avvicinandomi istintivamente al muro ed attendendo, col cuore in gola.

Una figura magra ed alta fece il suo ingresso, con incredibile rapidità, chiudendosi in fretta la porta alle spalle ed appoggiandovi la schiena.

"Holmes!" esclamai, terminando la mia discesa in pochi balzi e gettando da parte il bastone. Mi accostai al mio amico – giacchè lo avevo riconosciuto immediatamente – ed alzai la mancina verso la manopola della lampada, accendendola.

Il pallore del suo viso mi comunicò, ad un primo sguardo, che il suo rientro a Baker Street non doveva esser stato una passeggiata. Se non altro, sembrava illeso. Sospirai, sollevato.

"Non era mia intenzione che lei si preoccupasse tanto, vecchio mio." commentò Holmes, quietamente, accennando col capo al bastone e lanciando verso il sottoscala un fagotto che supponevo ora contenesse i mascheramenti da lui utilizzati, dato che in quel momento l'unica traccia del manovale Willoughby presente su di lui era il berretto, che sporgeva a metà da una tasca del soprabito scuro.

"Cosa le è successo?" chiesi, con una certa misura di ansia in quelle parole, mentre ci avviavamo entrambi verso il salotto.

"Sono stato pedinato." replicò lui, centrando l'attaccapanni col peculiare proiettile costituito da un involto di cappello e soprabito, e spalancando la porta della sua stanza.

"Pedinato!" ripetei, sollevando le sopracciglia.

"Precisamente."
Holmes corredò questa sua sintetica spiegazione con un cenno del capo, mentre affondava le mani nel piccolo lavabo e provvedeva a rinfrescarsi da quella lunga spedizione.

Io, con la fronte corrugata, sedetti, in attesa, riflettendo intanto su quelle poche parole e ponendomi mille interrogativi: chi poteva averlo riconosciuto? Uno degli uomini di Cardside? E per quale motivo pedinarlo? Forse per verificare il fatto che Holmes non fosse più in stato d'arresto?

Stavo appunto concludendo che quest'ultima deduzione non aveva senso, quando una voce familiare ebbe la grazia di trascinarmi via da quella affrettata serie di considerazioni spaiate.

"Watson, Watson." mormorò Sherlock Holmes, in tono ammonitore, "Eviti di costruire il suo schema logico su fondamenta inesistenti. E' un'abitudine distruttiva per il ragionamento."

Era in piedi di fianco a me, e sedette a poca distanza, rilassandosi per qualche momento sul divano. I suoi occhi grigi ed attenti perlustrarono la stanza, posandosi infine su di me, che, con una certa impazienza, aspettavo che raccontasse cosa esattamente gli era accaduto.
Mi guardò di sottecchi, accennò un sorriso ed esordì, "La mia... ricognizione, per così dire, non è stata del tutto infruttuosa. Ho raccolto molti dati che ci potranno essere oltremodo utili. Sono stato riconosciuto, è vero." il suo volto s'indurì per un momento, "Ma credo di essere riuscito a seminare il mio inseguitore. Bene, come vuole, amico mio: le dirò tutto dal principio.

"Deve sapere che la villa di Maidstone ha tutto l'aspetto di una fortezza. Un alto muro di cinta, sormontato da una inferriata. Una solida casa in stile primo Ottocento, circondata da un ampio appezzamento di terreno ed una folta boscaglia, che si stende ad anello nelle vicinanze del maniero. Manca solamente il fossato, un ponte levatoio: ed ecco pronto il castello per qualche signore dell'antico Medioevo.

"Inutile dire che il signor Cardside non cerca lavoranti, in questo periodo, e che non è generalmente lieto di avere estranei che vagano liberamente attraverso i suoi possedimenti. Ad ogni modo, sono riuscito a scambiare qualche parola con i domestici. Un giovanotto molto simpatico, di nome Hubert, molto stanco della vita di contadino, mi ha confessato che di rado il suo padrone esce di casa, e che nemmeno la servitù lo vede molto spesso. Sua madre, Theresa, che lavora per Cardside da quasi vent'anni, si è rivelata molto diffidente, all'inizio, per poi parlare a ruota libera per quasi un'ora, una volta maturata un po' di fiducia nei miei confronti."

Prendevo diligentemente appunti, mentre lui narrava il risultato delle sue discrete investigazioni. A quell'ultimo commento alzai gli occhi dal mio taccuino, un po' demoralizzato. "Da quel che ho capito, non sarà affatto semplice introdursi a Cardside's. Ha già un'idea di come fare?"

"Sì, amico mio, e ben precisa, in effetti." mi assicurò lui.

"Oh." feci io, sorpreso.

Holmes piegò il busto in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, ed il suo sguardo intento mi spinse a prestare la massima attenzione a ciò di cui mi avrebbe messo a parte.
"Vede, Watson, ogni occasione in cui il padrone lascia la villa è vista come un vero evento da parte dei popolani, tanto che Theresa, tra mille racconti del tempo passato, mi ha informato con gran sussiego che Thomas Cardside intende recarsi a Londra, doman l'altro, per svagarsi coi suoi amici del club. In quelle rare giornate, di solito, il cancello viene lasciato aperto sino al rientro del principale. La sorveglianza è attenuata. L'ala dell'abitazione a lui riservata è semivuota."

Un lieve sorriso affiorò alle labbra di entrambi.

"E' il nostro momento, Dottore – irripetibile. Non possiamo perderlo."

Chiusi il libretto rivestito di pelle con un piccolo tonfo, "Ma, Holmes – come potremo entrare materialmente entro la cinta delle mura? E come riusciremo a passare inosservati, due estranei in un settore abbandonato della casa?"

"Vedo che lei ha una vera e propria predisposizione naturale per questo genere di imprese." rimarcò il mio amico, con calma, "Sono domande perfettamente lecite, alle quali risponderemo presto." balzò in piedi e si avvicinò al muro, sollevando il telo che copriva la piccola lavagna con uno svolazzo e lasciandolo cadere ai piedi della poltrona.
"Dunque, Watson, vediamo un po'. Cardside's si trova a circa due miglia da Maidstone, e possiamo rappresentarla come un appezzamento di terreno i cui confini seguono un contorno approssimativamente rettangolare. Le mura circondano la casa, ed il perimetro è punteggiato di alberi, una boscaglia abbastanza fitta, come le ho spiegato prima."

Mentre parlava, disegnava con tratto fermo e nitido sulla superficie nera. Io mi ero avvicinato al tavolo sparecchiato sul quale erano ancora impilati i documenti mandati da Mycroft.

"La villa è situata più o meno a..." esitò, assottigliando gli occhi grigi nella valutazione della distanza.

"Esattamente a un quarto di miglio dalla cinta muraria, al centro della tenuta." puntualizzai, scorrendo i vari dati tecnici elencati sui piani di costruzione.

Quando ritornai a guardare Holmes, si era voltato verso di me, con le sopracciglia inarcate.

"Suo fratello ha fatto pervenire questi documenti." spiegai, con aria vagamente colpevole.

"Eccellente." approvò il mio amico, annotando sul suo schizzo anche quella informazione e facendo qualche passo indietro. Scorse il disegno con atteggiamento critico, corresse alcuni dettagli borbottando che 'non erano in scala' e si avvicinò a me per esaminare i documenti. Il suo ingegno vivido ed inarrestabile non chiedeva di meglio che immergersi in una fase di pura ed astratta progettazione di quella che avrebbe dovuto essere la nostra avventura notturna, alla ricerca della chiave per la soluzione di un mistero losco quanto intricato. Io ero restìo, comunque, ad abbandonare il discorso dal quale tutte quelle elucubrazioni si erano originate.

"Mi ha detto di essere stato seguito." ricordai, "Come è andata?"

"Mmh?" mugugnò il detective, distrattamente, "Ah, giusto. Mentre mi accingevo a ritornare alla stazione di Maidstone, ho notato uno degli stallieri della villa che indiscutibilmente mi seguiva. Il mio primo istinto è stato di lasciarlo fare, dal momento che non avevo alcun interesse a rafforzare i sospetti del suo padrone nei miei confronti. Tuttavia, giunto in paese, mi sono accorto che era ancora lì. Non potevo prendere il treno e rivelare la mia destinazione. Ho vagabondato per i sobborghi del piccolo villaggio, ma l'uomo non mi perdeva di vista.

"Mi sono intrufolato in un locale... una vecchia osteria. Era affollata, e lì mi sono potuto liberare del mio travestimento senza attirare troppo l'attenzione. Credevo di averlo seminato, e per sicurezza mi sono affrettato a tagliare per qualche stradello malfamato, per escludere ogni possibilità che continuasse a seguirmi." serrò le labbra, con disapprovazione, "Nonostante i miei sforzi quando sono sceso dal treno a Victoria, giurerei di averlo scorto sul marciapiede, appena fuori dall'edificio centrale."

"Pensa che Cardside sia a conoscenza del fatto che ora è in libertà, dunque?"

"Sarei piuttosto ottuso a non tenerne conto." sbottò il mio amico, agitando uno schema tecnico vagamente nella mia direzione, e sprofondando sul divano. "Tuttavia," riprese, con fare più meditabondo, "non ho intenzione di lasciar perdere. Anche se non posso pretendere di obbligarla a seguire il mio esempio."

Non fu questa affermazione in sé a suscitare la mia indignazione, quanto il fatto che, mentre egli la pronunziava, era perfettamente serio, e pareva più preoccupato per la mia sicurezza, che per la prospettiva di doversi inoltrare in territorio palesemente ostile senza alcun ausilio.

"L'idea di abbandonarla non ha neppur sfiorato la mia mente, Holmes." misi subito in chiaro, genuinamente amareggiato per quella sua uscita; rovistai tra le carte per ritrovare le planimetrie dell'interno, a sguardo basso. "Ha notizia di qualche cambiamento apportato alla disposizione delle stanze, dal momento della costruzione?" proseguii, senza lasciargli il tempo di aggiungere null'altro all'argomento precedente.

Il silenzio che seguì la domanda mi spinse a riportare gli occhi su di lui. Mi stava osservando, ed accennò un sorrisetto divertito, portandosi al mio fianco.
"Vuole la verità? Mi sentirei più sicuro sapendola qui a Londra. Ma, egoisticamente, temo di perdere la mia capacità di giudizio, lasciato solo con me stesso. Come lei mi ha fatto notare, sono personalmente coinvolto in questo caso, e non posso ignorare il fatto. Lei è la mia àncora nella tempesta, Watson – e ho bisogno del suo buon senso."

Le sue parole mi rinfrancarono alquanto, e mi lasciarono profondamente colpito, perchè era assai raro che il mio amico si rivolgesse a me con tanta familiarità. La sua natura austera gli imponeva il distacco, nella sua professione come nella vita.
Battei goffamente una mano sulla sua spalla.
"Può contare su di me."

Annuì lentamente diverse volte. "Come sempre." mormorò, e un velo di rimembranza passò sui suoi occhi già normalmente persi nelle vastissime distese del ragionamento. Si riscosse presto da quel vago torpore, comunque, ed assunse l'aria efficiente che spesso notavo in lui mentre si occupava di un problema.
"Per rispondere alla sua domanda, non ho notizia di cambamenti nella collocazione delle stanze della villa. Dovremo considerare questo punto come una variabile tra le tante. Definiamo intanto le costanti, e poi ci preoccuperemo delle variabili."

Passammo la notte di fronte a quella lavagna, Holmes col gesso in mano, intento a tracciare linee e segnalare con opportuni simboli i punti chiave di quella sinistra e pittoresca ambientazione, io immerso nei vetusti documenti, con il preciso incarico di trarne tutte le informazioni che avrei potuto. Grazie al suo spiccato talento per il disegno, ereditato probabilmente dalla francese antenata, il mio amico riusciva a dettagliare la sua raffigurazione con una chiarezza strabiliante, e l'alba ci sorprese nella medesima posizione, permettendoci di spegnere le candele e le lampade a olio che ci avevano tenuto compagnia.

Ero spossato, e il mio fisico reclamava a gran voce qualche ora di sonno. Al mio camerata questo non era certo sfuggito, e per suo stesso consiglio mi distesi sul divano, appoggiando il capo su uno dei braccioli. Mi addormentai quasi subito, l'immagine del silenzioso e intento detective impressa nella mente.
I miei sogni seguirono Holmes nella sua fuga: furono inquieti e claustrofobici.


************************************

[1] : E' vero, è vero! La Avventura di Charles Augustus Milverton è una delle ultime narrate nel Ritorno... e quindi dopo che questa Amara Vicenda avesse luogo. Ma... vorrei ricordare le prime righe della storia: "Gli eventi che mi accingo a narrare risalgono a molti anni fa, eppure è con una certa difficoltà che accenno ad essi. Per molto tempo, sia pure usando la massima discrezione e la massima reticenza, sarebbe stato impossibile renderli di pubblico dominio [...]." (trad. Nicoletta Rosati Bizzotto). Sir Arthur non ci dà molte informazioni in proposito, ma mi piace immaginare che questo sia stato uno dei casi pre-Hiatus, e quindi che la mia fanfiction possa tenerne conto senza uscire dalla linea temporale del Canon.
Inoltre, CHAS è la mia Avventura Sherlockiana preferita. Non potevo ignorarla. Semplicemente non potevo. -- Torna SU

Note dell'Autrice
Che 'allungata di brodino' (come si dice in gergo), eh, Lettore? Ebbene, avevo bisogno di questo capitolo per separare due macrosequenze narrative principali. Ancora le informazioni sono ben poche, per capire in che modo Holmes intenda penetrare nella fortezza.
Ma non Ti preoccupare: nel prossimo capitolo, saprai ogni cosa. Vedrai che Watson sarà così buono da disegnarTi anche una mappa :P
E quale sarà il ruolo di Mycroft? Come potrà essere d'aiuto?
... a presto!


   
 
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