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Autore: Bec Hale    24/10/2009    11 recensioni
La secondogenita dei Greengrass non era né bionda, né tantomeno aveva splendidi occhi azzurri. Astoria era bassina, magra e con lunghi boccoli bruni che le cadevano lungo la schiena; gli occhi erano di un marrone profondo, e Daphne - non sapeva se per renderla aumentare la sua autostima o perchè lo pensava veramente - le aveva sempre detto che sembrava il colore del cioccolato.
A quell'affermazione, Astoria sorrideva sempre mestamente, sapendo di non poter competere con la sorella.
{Astoria/Draco}
Genere: Generale, Romantico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy, Pansy Parkinson, Tracey Davis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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sense&sensibility
the other Greengrass




Chapter 7 - Happy Christmas, Astoria!
Fu con enorme divertimento che Astoria osservò i mille tentativi di Daphne di eludere i ragazzi sotto grossi mazzi di vischio, con il Natale alle porte e la neve che vorticava dietro le grandi finestre di Hogwarts.
Le vacanze natalizie si avvicinavano sempre di più e Astoria fu presa da un'insolita allegria che la coglieva sempre durante il periodo natalizio. Nonostante quello non fosse esattamente un periodo per festeggiare o divertirsi, per Astoria fu impossibile non allargarsi in grossi sorrisi più spesso del solito. Almeno la distraevano da quello che sembrava un periodo poco felice per lei e Draco.
Il tempo che passavano assieme ormai era nullo. Ormai lui aveva imparato come liberarsi d'impaccio quando si scusava con lei del poco tempo che le dedicava; borbottava qualcosa di incomprensibile, lanciandole qualche occhiata sfuggente e vagamente colpevole, per poi scappare via diretto nella Stanza delle Necessità.
Astoria, d'altro canto, aveva imparato a non colpevolizzarlo di nulla. Non era colpa sua se c'era qualcosa di molto più importante della loro relazione che lo attendeva, anzi. C'era in gioco la vita di Draco, in quella guerra a cui nessuno dei due apparteneva veramente, e se per salvarsi la pelle diminuiva il tempo che passavano assieme Astoria ne era più che felice. Lei poteva anche aspettare. Lo aveva aspettato per anni e l'avrebbe fatto ancora, se necessario.
Tuttavia, Astoria non riuscì a impedirsi di pensare alle conseguenze, a ciò che sarebbe successo se Draco fosse riuscito in quel compito assurdo e folle. Era la vita di Draco contro quella di Albus Silente, ma Astoria, perfettamente consapovole di quanto fosse, in fondo, sbagliato il suo desiderio, non aveva dubbi su chi preferisse che restasse in vita.
«Oh, dai, Daph», esclamò Astoria, i boccoli scuri pieni di neve che aveva preso mentre rientrava al castello dalle serre, «potresti accettarne almeno uno».
Daphne, che aveva rifilato uno sguardo disgustato all'ultimo ragazzino che le si era parato davanti, guardando con aria desiderosa il vischio appeso sopra di loro, sbuffò passandosi una mano sugli occhi.
«Gli altri anni non è successo!», protestò afflitta, stringendosi meglio la sciarpa attorno al collo. «Non capisco cosa sia tutta questa voglia di baciare me... Potrebbero anche lasciarmi in pace, una buona volta, per le mutande di Merlino...». Le sue parole presto diventarono incomprensibili sussurri che Astoria non riuscì più a percepire, finché non capì che aveva scambiato i sibili del vento fuori dalle finestre con i mormorii di Daphne.
Astoria camuffò una risatina con un colpo di tosse, sperando che la sorella non se ne accorgesse, e cercò con tutte le sue forze di non scoppiarle a ridere in faccia. Continuarono a camminare lungo il corridoio - le lezioni ormai erano finite ufficialmente e quella sera ci sarebbe stata la classica festicciola nell'ufficio di Lumacorno, alla quale, con sua enorme felicità, Astoria non fu invitata.
«Mi chiedo perché non lo facciano anche con te», borbottò Daphne, continuando a camminare con la sua consueta eleganza che contraddistingueva lei e sua sorella. Intanto lanciava occhiatacce a chiunque avesse la cattiva idea di guardarla per più di due secondi di fila, irritata.
«Probabilmente perché non sono bella come te», replicò con leggerezza Astoria, le guance arrossate dal freddo. In quel momento desiderava solo un bel pasto caldo e magari un paio di guanti, dato che le sue mani erano diventate rigide e rosse.
«Ma per favore», commentò Daphne energica, fermandosi e mettendosi le mani suoi fianchi in una posa che ad Astoria ricordò vagamente quella di sua madre quando scopriva che il signor Greengrass non voleva concederle abbastanza liquidi per fare shopping a Diagon Alley.
«Oh, ma lo sai che a me non importa», si affrettò a dire Astoria, «mi va benissimo così. Dico sul serio.»
«Oh, dai. Non dovresti buttarti a terra così».
«Certo, certo.»
Daphne rise, una risata argentina e gioiosa come quella di una bambina che fece sorridere Astoria di cuore.
«Oh, questa è la mia Astoria», trillò con affetto Daphne circondando con un braccio le spalle della sorella e riprendendo a camminare. «La piccola Ria sarcastica, che odia la moda e per assecondarmi risponde sempre dicendo "certo, certo"».
Astoria si unì alla risata di Daphne, che le scompigliò i capelli. Arrivate in Sala Grande si andarono a sedere al tavolo di Serpeverde, come di consueto, e Daphne si mise immediatamente a parlare fitto fitto con Blaise Zabini. Probabilmente sarebbero andati assieme alla festa di Lumacorno, pensò Astoria mentre si serviva del roast beef.
Spesso e volentieri il suo sguardo guizzava sull'ingresso della Sala Grande, chiedendosi come mai Draco stesse tardando così tanto. Quando finalmente arrivò non aspettò neanche di sedersi per aprire bocca.
«Non ci possiamo vedere neanche oggi», la avvisò con voce priva di intonazione, accomodandosi di fronte ad Astoria. La ragazza lo fissò con le labbra sigillate, rigida, sforzandosi di non ribattere con nulla di tagliente. Tante volte aveva accettato in silenzio la cosa, ma quel giorno la infastidì più del solito, forse perché prima dell'inizio delle lezioni non si sarebbero visti... e già in quel periodo i giorni in cui erano riusciti a vedersi si potevano contare sulle dita di una mano...
«Oh, non c'è problema», sputò con sarcasmo Astoria, senza riuscire a trattenersi. «In fondo l'ultima volta che abbiamo passato del tempo assieme è stato... tipo... un mese fa?».
Sussultò quando si accorse di aver dato voce ai suoi pensieri, mordicchiandosi mortificata il labbro inferiore. Draco incassò il colpo in silenzio, senza alzare lo sguardo dal tavolo, e non aprì bocca lasciando Astoria a bollire nel suo brodo, pentendosi sempre di più di aver aperto bocca. Una parte di lei, però, le suggeriva che aveva fatto bene: non poteva farsi mettere i piedi in testa a quel modo. Se al posto di Draco ci fosse stata un'altra persona non ci avrebbe pensato due volte e avrebbe detto anche di peggio.
Astoria, sempre più mortificata, non sapeva cosa dire. Temeva di risultare patetica e preferì adottare il suo stesso sistema, ovvero rimanere in silenzio. Quando finì il pranzo, lo sguardo di Astoria guizzò irrimediabilmente su di lui che si alzò, senza incrociare i suoi occhi.
«Vieni?», le chiese. Astoria si alzò, in imbarazzo, seguendolo fuori dalla Sala Grande. Daphne, dal suo posto, le fece l'occhiolino e Astoria alzò gli occhi al cielo, esasperata.
Diretti verso la Sala comune fecero un buon pezzo in totale silenzio, durante il quale Astoria fece più volta per aprire bocca, per poi richiuderla immediatamente, a disagio.
«Stavo pensando...», esordì alla fine Draco, lentamente, mentre Astoria alzava subito la testa per guardarlo, «Credo che Blaise abbia bisogno della tua taglia... sai, per il vestito... sono sicuro che vi divertirete...»
Astoria corrugò la fronte, perplessa. «Ma di cosa stai parlando?», gli chiese, fermandosi di botto.
Draco inspirò, evitando accuratamente di guardarla in viso.
«Sto dicendo che, se lo desideri, potresti andare con lui alla festa di Lumacorno, dato che come ti ho detto prima stasera sono impegnato».
«Be', io non voglio andarci.», si impuntò Astoria, testarda, strappandogli un sorrisetto tirato ma comunque divertito.
«E perché mai? Blaise non è una compagnia abbastanza piacevole?», le domandò Draco, mentre lei scuoteva la testa. «Senti, lui probabilmente vorrà andarci con Daphne: la cosa non farebbe piacere nè a me nè a lui. Quindi non ci andrò, non me ne frega nulla dei festini di Lumacorno. E odio ballare, non vorrei che mi toccasse farlo, poi.» Astoria storse il naso ripensando a tutte le lezioni di danza che la signora Greengrass aveva fatto fare a lei e Daphne: l'insegnante veniva dalla Francia e oltre a parlare un inglese stentato pretendeva che venisse fatto tutto alla perfezione, e nonostante Astoria avesse sempre amato i balli come il valzer, li aveva eseguiti meccanicamente tante di quelle volte che ormai le davano il voltastomaco e ormai perfino Daphne arricciava il naso quando si trattava di balli e festicciole varie - anche se il suo animo leggermente frivolo a volte prendeva il sopravvento.
Draco ridacchiò. «Immaginavo che avresti risposto così.» Astoria fece un sorrisetto, riprendendo a camminare guardando dritto di fronte a sè.
«E quindi, cosa farai? Studierai tutta la sera immaginando come sarebbe stata la tua serata con il tuo principe azzurro?».
«Ormai non credo più al principe azzurro da molto tempo», mormorò cupamente Astoria, scura in viso. Draco la fissò in silenzio, prima di annuire e seguirla dentro la Sala Comune.

***

Il treno lentamente si fermò al binario 9 ¾ e Astoria, con l'aiuto di Theodore, prese il baule rischiando di farlo atterrare sul suo piede.
Gonfiò le guance, tentando di trascinarlo e imprecando a mezza voce, maledicendosi per essersi caricata così tanto. Tracey raccolse un ciuffo ribelle nella lunga treccia e Daphne, che stranamente era rimasta nel loro scompartimento, mulinò i lunghi capelli biondi e tentò di portare il baule da sola. Blaise, vedendola in difficoltà, molto cavallerescamente si offrì di portarglielo al posto suo. Daphne gli rivolse un sorriso radioso e lui abbassò il capo, imbarazzato.
Intanto, scesi dal treno, Astoria si guardò in giro e si accorse con delusione che i suoi genitori non erano ancora arrivati. Con uno sbuffo da far invidia al luccicante treno a vapore si trascinò dietro il pesante baule, rischiando di inciampare nei suoi stessi piedi e imprecando contro Merlino e Morgana.
Poi una mano, come un ceppo freddo, le artigliò il polso e Astoria sussultò, mollando la presa sul baule che atterrò con un piccolo tonfo.
«Ah. Sei tu», bofonchiò mentre Draco la fissava con un sopracciglio inarcato. Non l'aveva visto neanche una volta durante tutta la durata del viaggio ed era un poco offesa, ma decise di non darlo a vedere. Voleva salutarlo come si deve e augurargli buone vacanze, magari facendogli capire quanto gli sarebbe mancato...
«Che allegria», commentò Draco, senza l'ombra di un sorriso, il volto sempre più smunto.
«Senti chi parla!», esclamò Astoria, con tono fintamente sprezzante.
Lui sbuffò, roteando gli occhi, e prima che Astoria potesse aggiungere altro le prese il mento e la baciò come non faceva ormai da molto tempo. Il cuore di Astoria cominciò a battere all'impazzata, mentre avvertiva le farfalle nello stomaco, troppo sorpresa per rispondere al bacio. Da quanto tempo non le dedicava un'attenzione del genere? Ormai aveva perso il conto dei giorni, e nonostante di tempo ne fosse passato dalla prima volta che l'aveva baciato si sentiva sempre come quella sera. Si sentiva completamente inerme di fronte a un sentimento forse troppo grande per lei, mai provato prima, ed era certa che non avrebbe mai sentito per nessun'altro.
«Che c'è?», domandò Draco, scostandosi immediatamente dalla ragazza con aria preoccupata.
«L'ultima volta che mi hai baciata», rispose piano Astoria, fissandosi i piedi, «è stato un sacco di giorni fa.» Alzò gli occhi, sorridendo e circondandogli il collo con le braccia sottili. «Era solo sorpresa, tutto qui.»
«Vuoi rimediare?».
Astoria scoppiò a ridere, nonostante il tono incolore di Draco, che sembrava completamente assente, come se la cosa non lo toccasse. In realtà Astoria aveva imparato a conoscerlo molto bene e sapeva che, anche se con la testa altrove, una parte di lui stava dedicando quel momento a lei, forse per scusarsi di tutti quegli attimi perduti che avrebbero dovuto passare assieme.
Questa volta fu lei a baciarlo per prima, avvertendo uno strana sensazione di addio che non riusciva a scrollarsi di dosso, anche se le mani di lui sui suoi fianchi le davanto talmente tanto il batticuore da farle quasi dimenticare tutto il resto.
«Mi scriverai, vero?», sussurrò Astoria quando si separarono per riprendere fiato, il viso ancora vicino a quello di lui.
«Certo.», rispose lui senza convinzione. A quel punto Astoria ne era certa, era certa che quello fosse davvero un addio, e avrebbe voluto continuare a stringersi a Draco per imprimerselo per bene nella mente, ma una voce la fece staccare frettolosamente da lui, in imbarazzo.
«Ma siete ancora lì ad amoreggiare?», commentò Daphne, osservandoli qualche metro più indietro fra l'imbarazzato e il divertito, le braccia incrociate. «Comunque ero solo venuta per avvertire Ria che i nostri genitori sono arrivati», si giustificò svelta, evitando le occhiate storte di Draco.
Astoria sospirò, afflitta. La voglia di rivedere i suoi genitori le era passata tutta d'un colpo; avrebbe desiderato prolungare quel momento all'infinito, ma quando incrociò con aria di scusa gli occhi grigi di Draco si sentì sollevata quando vide che anche lui sembrava dispiaciuto. Lo baciò brevemente sulla guancia un'ultima volta, prima di liberarsi della sua presa e salutarlo con la mano.
«Ciao. E buon Natale.», sussurrò flebilmente, le guance ancora in fiamme per essersi fatta scoprire a quella maniera dalla sorella maggiore. Lui annuì e Astoria gli diede le spalle, incamminandosi dietro Daphne e ricordandosi di non aver ancora salutato Tracey e Theodore.
Quando si voltò per vedere che Draco se era ancora lì, scoprì invece che il vapore bianco l'aveva già inghiottito.

***

Esattamente una settimana dopo, Astoria fu svegliata da un invitante odorino di biscotti allo zenzero che era filtrato da sotto la porta della sua camera.
Poi strilli entusiasti invasero la stanza e un enorme fascio di luce le illuminò il viso, facendola borbottare frasi sconclusionate, infastidita.
«Fra un po' è Natale, fra un po' è Natale...», stava cantando ad alta voce sua sorella Daphne, spalancando la finestra e facendo entrare un po' di fiocchi di neve che si sciolsero sul pavimento. Astoria, infreddolita ed ancora ad occhi chiusi, si tirò di scatto le coperte fino al mento e i suoi borbottii si fecero indignati, mentre Daphne rideva e le tirava un cuscino in faccia.
«Sveglia, dormigliona! Il mattino ha l'oro in bocca», esclamò Daphne con voce compiaciuta, sfoggiando un altro detto Babbano. Ormai gliene rifilava uno ogni mattina; Astoria non sapeva come facesse a conoscerne così tanti.
«Un altro detto Babbano, no?», mugugnò Astoria, sbattendo le palpebre ed aprendo finalmente gli occhi. Si tirò su a sedere e sbadigliò vistosamente, coprendosi la bocca con una mano e soffocando il desiderio di buttarsi di nuovo fra i cuscini.
«Ma immagino che tu non sia compiaciuta solo per questo», aggiunse Astoria studiando con gli occhi ancora semichiusi la sorella che sfoggiava un'espressione decisamente soddisfatta. Daphne annuì: sembrava che da un momento all'altro avrebbe cominciato a saltellare per la stanza cantando qualche stupida canzoncina natalizia.
«Esattamente!», rispose Daphne, telegrafica. Astoria si chiese perché quella mattina avesse deciso di essere così misteriosa, ma si accinse a chiederle ulteriori spiegazioni, per paura di offenderla con il suo disinteresse.
«Perché, di grazia?», bofonchiò insonnolita, scendendo dal letto e infilando le pantofole. Strofinandosi le braccia con le mani nel tentativo di riscaldarle, corse a chiudere la finestra che Daphne aveva volontariamente aperto, sbuffando quando mise il piede in una piccola pozza che si era formata con la neve sciolta.
«Sono riuscita a fare i biscotti», sussurrò con aria cospiratoria Daphne, dicendolo in maniera tale che sembrasse un segreto di stato, «Quelli allo zenzero, con la ricetta della nonna. Li ho fatti tutti da sola, Ria!».
«Ah sì?», domandò Astoria, mentre i tentativi di sembrare interessata alla cosa fallirono miseramente. «Wow. Brava.»
Daphne non sembrò affatto scalfita dallo scarso interesse che la sorella dimostrava per i suoi adorati biscotti allo zenzero: al contrario un grosso sorriso le illuminò il viso e la trascinò in cucina, facendole fare la grossa scalinata a chiocciola di marmo praticamente di corsa. Arrivate al piccolo tavolo - quello grosso e maestoso l'avevano piazzato, ovviamente, nella sala più grande, quella per i pranzi e le feste fra Purosangue che tanto piacevano alla signora Greengrass -, Astoria poté finalmente vedere i biscotti di Daphne: dovette ammettere che avevano un bell'aspetto. Erano tutti a forma differenti e varie grandezze; Astoria fece per prenderne uno, quando si accorse che la casa era stranamente silenziosa.
«E mamma e papà?», disse Astoria interrogando la sorella. «Dove sono?».
«Sono già usciti», spiegò Daphne versandosi un po' di succo di zucca in un bicchiere. Solitamente i loro genitori usavano gli elfi domestici anche per le mansioni più piccole e meno faticose, ma lei e Astoria, quando erano sole, li chiamavano il meno possibile.
«Probabilmente mamma lo avrà convinto a fare di nuovo compere a Diagon Alley.»
«Sicuro.»
Astoria, con la vestaglia ormai un po'corta che le svolazzava all'altezza delle ginocchia, andò a versarsi anche lei del succo di zucca e si sedette accanto alla sorella, che sembrava sul punto di iniziare quello che - sicuramente a parer suo - sarebbe stato un discorso molto interessante.
«E con Draco come va?», chiese Daphne, placida, prendendo un biscotto dal cesto e posandolo su un piattino. Astoria a quella domanda rischiò di strozzarsi col succo e arrossì, assumendo una gradevole sfumatura di rosso.
«Come dovrebbe andare?», tossì, tentando di mascherare l'imbarazzo e la vergogna. Senza grandi successi, ne era certa.
«Be'», fece Daphne, mangiando un biscotto, «da come vi baciavate, sembrava non vi vedeste da mesi», proseguì ignara della reazione della sorella a quelle parole. Astoria ormai era sicura di essere diventata talmente rossa da potersi confondere con i capelli dei Weasley, e il paragone non le faceva poi così tanto piacere.
«Ma che stai dicendo?», biascicò imbarazzata, fissando con improvviso interesse il paesaggio fuori dalla finestra. Daphne rise sotto i baffi, ma non aggiunse altro; però, siccome - al contrario della sorella - lei amava parlare della sua vita privata, decise quindi di discutere finalmente della sua situazione amorosa.
«Sai», iniziò, attorcigliandosi una ciocca biondissima di capelli attorno al dito, «Credo di provare qualcosa per Blaise», ammise senza vergogna, mentre Astoria la ascoltava con sincero interesse. «Sai, è così... be', non so proprio come descriverlo», continuò, lo sguardo lontano - come la mente, probabilmente -, persa in un mondo tutto suo. Astoria non si sarebbe stupita se per caso gli occhi della sorella fossero diventati improvvisamente a forma di cuore.
«Mi chiedevo...», rilanciò Daphne, «se per Natale rivedrai Draco».
Astoria scosse la testa, tentando di nascondere la delusione. «No, non ci vedremo.», disse, usando un tono volutamente leggero, mentre Daphne la guardava scettica.
«Non dirlo come se ne fossi contenta», la rimbrottò, mettendole una mano sul braccio. «Tanto è palese che ti dispiaccia.»
Poi, impedendo ad Astoria di ribattere, emise un gridolino sbattendosi una mano sulla fronte.
Astoria sobbalzò sulla sedia, chiedendosi perché di punto in bianco sua sorella si stesse comportando come una pazza. Daphne si alzò in piedi, cominciando a guardare per terra e a frugare in giro e a mormorare qualcosa di incomprensibile.
"Dove l'ho messa" e "Merlino" furono le uniche cose che Astoria riuscì a captare, prima che Daphne afferrasse bruscamente una lettera da sotto una teiera d'argento, che faceva parte del servizio preferito della signora Greengrass.
«Eccola qua!», esultò trionfante, mettendo la lettera sotto il naso di Astoria.
«Credo che sia per te», aggiunse, leggermente perplessa, facendo spallucce. «E' arrivata poco fa, quando dormivi ancora. Comunque non l'ho aperta, tranquilla.» Si sentì in dovere di dire, perché Astoria le aveva rifilato un'occhiata sospettosa.
Inizialmente Astoria non riconobbe subito la grafia; poi, quando lo fece, srotolò subito la pergamena - che a quanto pare doveva avere un contenuto davvero breve, data la lunghezza - e si accinse a leggere. Quando finì la lettura, però, preferì non averlo mai fatto.

E' stato sicuramente piacevole, ma aveva ragione Pansy.
Sei come tante altre, in fondo.
E' finita, quindi puoi anche risparmiare inchiostro per scrivermi una risposta.
Buon Natale.



Astoria gettò la lettera sul tavolo, come se scottasse, e sentì mancarle il respiro.
«Buon Natale anche a te», sussurrò fra le labbra, incredula. Le parole si rifiutavano si fissarsi nel cervello e il cervello stesso si rifiutava di elaborarle; Daphne la guardava stupita, ma non le chiese nulla, mentre la sorella fissava con sguardo vacuo il tavolo.
Com'era possibile? Cosa era successo in una settimana? Aveva fatto qualcosa di male?
No, si ritrovò a pensare Astoria con rabbia, non aveva fatto nulla. Nulla, se non stargli vicino per mesi, andando contro qualunque suo principio, contro tutti e soprattutto ciò che lei stessa credeva. Non l'aveva dimostrato in centinaia di modi? Non gli aveva fatto capire in mille maniere quanto ci tenesse a lui, quanto lo amasse, addirittura?
Ma certo. Lei era una qualunque, come tante altre. Probabilmente Pansy Parkinson per lui valeva cento volte più di lei. In fondo, l'aveva detto lui stesso che era finita. Magari si era stufato di stare con lei. Magari Astoria non era la ragazza per lui.
Magari non erano destinati a stare insieme.
Astoria ne era certa: era finita una volta per tutte. Ed ora lei era destinata a non vedere più nessun ragazzo tranne lui e ad essere risucchiata nell'abisso che le aveva fatto da amico l'anno prima, ma questa volta per sempre. Forse un giorno ne sarebbe uscita. Forse avrebbe trovato qualcuno migliore di lui, qualcuno che avesse il coraggio di dirle che non la voleva più in faccia, invece che con una stupida lettera.
Codardo, pensò Astoria con cattiveria, è solo un codardo.
«Ehi? Ria?», le chiese Daphne con dolcezza, scrollandola piano. Astoria puntò gli occhi scuri su di lei ed erano talmente vuoti che Daphne non seppe cosa dire. Arretrò, spaventata, chiedendosi cosa fosse mai successo per ridurre sua sorella così; quando finalmente comprese, però, si chiese come avesse fatto a non arrivarci prima. Era così evidente...
«Cosa... cosa è successo? Chi ti ha scritto?», chiese piuttosto stupidamente, ben sapendo la risposta. Astoria, le labbra sigillate, le lanciò in grembo la minuscola lettera senza mittente - anche se non serviva il mittente per capire di chi fosse - e Daphne la afferrò, leggendola in fretta. Quando poco dopo finì era senza parole.
«Ma... alla stazione... la vendetta con Pansy...», biascicò senza dare un senso logico a ciò che diceva. «Non è possibile», decretò subito, decisa. Posò la lettera sul tavolo, sicura di sè, e proseguì: «E' uno scherzo di cattivo di gusto di quella sciocca di Pansy, Ria, sta' tranquilla.»
Astoria le sorrise debolmente. I tentativi di non vedere la verità di sua sorella erano sicuramente mirati a farla stare meglio, ma aveva capito cosa volesse dire quella lettera molto prima di Daphne.
«Oh, Daphne», sospirò. «E' finita. Dovevo aspettarmelo, no? Aveva ragione Pansy, l'ha sempre avuta. Non siamo fatti per stare assieme».
Respirò a fondo, stringendo i denti. «Loro sì che sono perfetti per stare assieme», sputò con cattiveria, incapace di trattenersi. «Sono fatti l'uno per l'altra.»
Daphne scosse la testa, ancora incredula. Era sempre stata sicura che sua sorella e Draco fossero semplicemente perfetti assieme e che fossero destinati a durare; e inoltre aveva sempre creduto che lui la amasse - inconsapevolmente, certo, ma era certa che il suo sentimento per Astoria andasse oltre il semplice affetto.
«E' talmente codardo da darmi il voltastomaco», dichiarò sprezzante, una smorfia disgustata sul volto. «Uno che non ha il coraggio di dirti certe cose in faccia non ti merita, Ria».
Astoria sapeva che con la sorella sarebbe riuscita a trattenersi. Temeva il momento quando sarebbe rimasta da sola in camera sua, di sera. Era a conoscenza del fatto che le lacrime l'avrebbero raggiunta subito e gli incubi sarebbero tornati. Le sfuggì un singhiozzo, mentre si copriva la faccia con le mani.
Daphne si alzò subito, facendo stridere la sedia contro il pavimento, e corse a circondare con un braccio le spalle di Astoria. Le accarezzò i capelli, aspettando che la crisi finisse; Astoria tentò di calmarsi, prendendo grossi respiri, e ricacciò indietro le lacrime con forza.
«Sai cosa dovresti fare, Ria cara?», le disse Daphne, sfoderando il sorriso che utilizzava sempre quando aveva qualcosa in mente.
La sorella scosse la testa, togliendosi le mani dal viso arrossato e desiderando più che mai di rimanere sola.
«Cosa?» chiese con voce soffocata, domandandosi cosa diamine dovesse fare in quel momento.
«Vendetta», replicò in fretta Daphne, la voce velata dell'eccitazione. «Ti sentirai subito meglio.»
Astoria strabuzzò gli occhi, sconvolta. «Cosa? Oh, andiamo, Daphne, figurati se Draco avrà tempo di badare alla mia vendetta». Fece una smorfia - a metà fra il dolore e il disgusto - quando si accorse di aver pronunciato il nome del ragazzo con una carezza nella voce sin troppo chiara.
«Se ne accorgerà, mia cara, se ne accorgerà», rispose tranquilla Daphne. Astoria assottigliò gli occhi, riflettendo, prima che sul suo viso apparisse lo stesso sorriso maligno della sorella.

***

«Vaisey?».
«Merlino, Tracey, ma sai chi è Vaisey?».
Il tono di disgusto nella voce di Daphne era evidente.
Astoria, che in quel momento avrebbe preferito restare in camera sua a fissare il vuoto, si chiese perché mai sua sorella avesse praticamente creato un libro con i nomi di tutti i Serpeverde di qualunque anno per scegliere quello che fosse più adatto a farle da finto-fidanzato. Astoria, che non si aspettava di certo che la vendetta sarebbe stata una cosa del genere, si era limitata a inarcare un sopracciglio per non intaccare il buonumore della sorella, che aveva chiamato pure Tracey per dar loro una mano. Si trovavano nella camera di Daphne - che finalmente l'aveva spuntata e ora ne aveva una tutta sua - e dicevano ad alta voce i nomi dei presenti nella lista. Astoria partecipava passivamente: la mente era completamente altrove, persa con una buona dose di masochismo nei ricordi più belli che aveva di lui, chiedendosi come avesse fatto ad illudersi a quella maniera. Era ovvio che non sarebbero durati molto. Non avrebbe potuto andare altrimenti.
Astoria negli ultimi anni si era abbastanza temprata ed ora era più o meno capace di trattenere le lacrime, anche se, come le diceva sempre Tracey, a volte era meglio sfogarsi una volta per tutte. Astoria avrebbe davvero voluto farlo, ma temeva che nel preciso momento in cui si fosse lasciata andare avrebbe completamente accettato ciò che era successo.
Lui non era più suo, ora, e forse tutto sommato non lo era mai stato.
Tracey depennò il nome di Vaisey dalla lista, mentre Daphne continuava a guardare le foto - prese da chissà dove - esaminandole accuratamente.
«Urquhart!», esclamò all'improvviso, con l'aria di chi ha appena avuto l'illuminazione del secolo. «E' perfetto, e poi si odiano da un sacco di tempo...»
Astoria, che fino a quel momento era stata completamente apatica, si riscosse immediatamente, strabuzzando gli occhi.
«Non se ne parla neppure!», protestò. «E poi, Daph, ti ho già detto che...» balbettò il nome di Draco, «sarà troppo occupato per accorgersi di qualcosa oltre il suo naso.»
«E allora gli metteremo la cosa sotto il naso», replicò Daphne, serafica, sottolineando il nome di Urquhart sulla lista. Astoria alzò gli occhi al cielo, niente affetto convinta. In realtà lei aveva ideato di molto peggio, ma forse era meglio attenersi al piano della sorella; ma era sicura che Draco, oltre a non accorgersi di nulla, se ne sarebbe altamente fregato. In fondo non gliene importava più niente di lei.
«Se è come penso io, gli importerà eccome», le diede manforte Tracey, che tirava fuori solo in occasioni del genere il suo lato più Serpeverde.
Astoria decise che tanto valeva assecondarle, quindi annuì senza aggiungere altro e si gettò di nuovo sul letto della sorella, ficcando la testa sotto il cuscino. L'idea di usare a quella maniera una persona non le piaceva affatto, anche se si trattava di Urquhart. Ma d'altro canto Daphne aveva ragione: le avrebbe fatto bene. Far vedere che non gliene importava neppure a lei l'avrebbe fatta stare meglio, e al diavolo il fatto che a lui la cosa non avrebbe fatto nè caldo nè freddo.
Sentì una mano posarsi delicatamente sulla sua spalla e sobbalzò.
«Passerà», sussurrò piano Tracey, in tono rassicurante. «Passa sempre.»
E invece no, pensò debolmente Astoria, non passerà mai.
E capì di essere caduta di nuovo in quel maledetto baratro.

***

Natale era passato in un lampo e Astoria aveva sperato fino all'ultimo che le vacanze natalizie si prolungassero all'infinito, ovviamente senza successo.
Daphne l'aveva tenuta occupata durante tutto il resto delle vacanze natalizie, trascinandola ovunque; il tentativo di non farle pensare a Draco era palese e decisamente andato a vuoto, ma Astoria apprezzò comunque con tutto il cuore il gesto della sorella.
Il piano Urquhart era già iniziato, con grande malumore di Astoria, che oltre a dovergli dare una spiegazione per il bacio che gli aveva dato Pansy nelle sue sembianze, aveva perfino dovuto andare a pattinare sul ghiaccio con lui sotto consiglio di Daphne e Tracey. Fu una tortura: Urquhart non sapeva affatto pattinare ed era rimasto tutto il tempo aggrappato a lei, cosa che si vedeva non gli dispiaceva per nulla. Di certo non si poteva dire lo stesso di Astoria, che si ritrovò costretta a baciarlo con suo grande disgusto chiedendosi perché diamine si fosse ficcata in una situazione così assurda.
L'unico, piccolo sollievo era che l'avrebbe scaricato presto. Il tempo di farsi vedere con lui davanti a Draco, giusto per poter dire a Daphne di aver fatto quel che le aveva detto, e poi sarebbe finita lì. Dorian Urquhart l'Appiccicoso sarebbe stato un capitolo chiuso e richiuso della sua vita, pronto a finire nel dimenticatoio o a cancellarlo alla pare dei ricordi imbarazzanti di cui tutti almeno una volta nella vita si vogliono sbarazzare. L'occasione ideale per attuare il famoso piano le si presentò davanti quando meno se lo aspettava. Era il primo giorno di lezione; arrivati il dì prima, Astoria aveva già sperimentato quanto Urquhart potesse essere ancora più appicicoso a scuola. Un vero incubo. Fu solo per amor di vendetta che decise di proseguire, facendosi forza. E poi almeno aveva qualcuno che le portava la borsa, sempre pesantissima e piena di libri.
Se c'era una qualità da evidenziare in Dorian Urquhart era sicuramente la sua cavalleria.
Astoria non aveva ancora visto Draco e forse era meglio così. Non si sentiva ancora pronta a rivederlo; ricordò con un brivido tutte le notti delle vacanze di Natale passate a piangere e ad avere incubi su incubi, tutti che lo riguardavano. La mattina si alzava sempre sfinita e con la certezza che avrebbe dovuto arrendersi al fatto che non l'avrebbe dimenticato facilmente, nè avrebbe smesso di amarlo molto presto. Ormai l'aveva capito e l'aveva accettato. Lo amava da anni, ormai, era ovvio che il suo sentimento non sarebbe sparito improvvisamente nel nulla.
Diretta a Trasfigurazione, decise di utilizzare un corridoio quasi sempre vuoto per non farsi vedere per la centesima volta con Dorian. In realtà era l'ideale, secondo Daphne: ma le voci si erano già sparse talmente in fretta che perfino Colin Canon di Grifondoro le aveva chiesto se fosse vero. Astoria aveva arricciato il naso guardandolo dall'alto in basso e se n'era andata a testa alta, dicendoli chiaramente e con cortesia che non erano fatti suoi. Be', a Canon sarebbe potuta andare peggio.
Si guardò indietro, svoltando per un altro corridoio e alzando gli occhi al cielo quando si accorse che Urquhart lottava con la sua borsa, che a sua detta era "pesante come un macigno di dimensioni cosmiche".
Con un tuffo al cuore, però, si accorse che nella direzione opposta alla sua stavano arrivando Theodore e Draco. Il primo era esattamente come l'aveva lasciato, l'altro aveva decisamente un aspetto più stanco e trasandato.
Astoria lo scrutò con freddezza, trattenendosi dall'impulso di correre ad abbracciarlo, e vide che lui sotto il suo sguardo era diventato, se possibile, più pallido del solito.
Theodore si bloccò, a disagio, facendo saettare lo sguardo da Draco a Astoria, che aveva assunto l'espressione di chi vede un paio d Scarafaggi a Grappolo.
Con enorme sollievo della ragazza finalmente li raggiunse Urquhart, sbuffando.
«Ria, ma cosa ci hai messo qui dentro?», le chiese stancamente, mentre Astoria si domandava come facesse uno come lui che sembrava avesse - almeno apparentemente - un bel po' di muscoli a faticare a portare due borse che contenevano dei semplici libri. Ma in quel momento decise di non curarsene.
«Non ti preoccupare, tesoro», trillò con voce zuccherosa, «sei stato bravissimo. Se vuoi ora la porto io, la mia borsa.»
E prima di attendere risposta gli fu immediatamente vicina e gli circondò in fretta il collo con le braccia, maledicendosi per quello che stava per fare. Urquhart la baciò per prima e Astoria si trattenne dallo staccarsi da lui disgustata; sorrise contro le sue labbra facendo finta di essere estremamente felice di quelle attenzioni e, quando si staccò, osservò con piacere che la mascella di Draco si era irrigidita e osservava livido Urquhart, che invece guardava Astoria compiaciuto.
Astoria si voltò verso Draco e gli sorrise, afferrando la mano di Dorian. Draco li guardò un ultima volta, prima di voltarsi, ancora più pallido di prima, e sparire dietro l'angolo. Aveva sentito che Astoria si era messa con quel... coso, ma non riusciva a crederci. Il desiderio di spaccare la faccia a quel tizio era stato davvero grande. Adesso il pensiero di lui che la baciava e la toccava l'avrebbe tormentato per giorni, quando invece avrebbe dovuto occupare tutto il suo tempo per portare a termine quella maledetta missione. Come aveva potuto Astoria fargli una cosa simile? Con Urquhart? Dopo tutto quello che aveva fatto per lui? Mentre rifletteva, si accorse che in fondo era lui che l'aveva lasciata. Se solo Astoria avesse saputo il vero motivo...
Theodore era semplicemente scombussolato. Aggrottò la fronte, perplesso, domandandosi in quali abissi sconfinassero le ragazze per amor di vendetta.
Abissi troppo profondi, pensò affranto mentre Urquhart circondava i fianchi di Astoria con un braccio e la trascinava via, mentre lei, anche se ancora col sorriso sulle labbra, non desiderava altro che piangere.



Angolo Autrice
Uhm, questo capitolo mi convince davvero poco, ma vabbè.
Per la cronaca, quella frase - quella degli abissi, per intenderc XD - è presa dal Principe Mezzosangue.<3
Non ho tempo di rispondere alle recensioni, ma sappiate che vi adoro, tutti quanti.
Grazie a chi recensisce, ai preferiti, ai seguiti, e a chi legge soltanto.
A presto,
v.
  
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