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Autore: Ely79    25/10/2009    0 recensioni
Per i suoi amici, Jill vive una vita tranquilla ed ordinaria. Ma che direbbero se sapessero che lavora al Ministero della Magia? Ecco una sua "normale" giornata di lavoro, tra scartoffie, bacchette e colleghi un po' speciali.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nimphadora Tonks, Nuovo personaggio, Remus Lupin
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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- Questa storia fa parte della serie 'Ministero della Magia'
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Dalle 11 alle 13
Le inferriate dorate dell’ascensore si aprono. Mi sento uno straccio. Uscendo dall’ufficio ho salutato Luke. Non si è mosso. Non avrei voluto lasciarlo solo. Gli ho detto che può giocare tranquillamente col mio portatile, ma non credo proprio lo farà. Vuole solo andarsene a casa.
Qualche collega di passaggio mi saluta. Ricambio cercando di sorridere.
Non ho voglia di andare al Victoria Park, ma forse un po’ d’aria fresca mi farà bene.
Attraverso l’atrio e raggiungo l’entrata della rimessa. Non c’è una porta, ma un grande quadro del vecchio autista del Nottetempo, morto un paio d’anni fa.
«Salve, Ernie!» strillo.
Negli ultimi anni era diventato duro d’orecchi. Si aggiusta gli occhialoni spessi e pieni di ditate, mi squadra e sorride. Il quadro si apre, girando sulle cerniere.
La rimessa si trova esattamente sotto un parcheggio multipiano, a cui è collegato attraverso passaggi occultati con la magia. Di solito i maghi non usano le auto, ma la zona dove dobbiamo recarci è in prossimità di alcune case, è molto aperta e frequentata. Non è il caso di sbucare dal nulla, grazie al cielo.
Nella luce bassa, vedo due persone. Oltre a me e loro dovrebbe essercene una terza che, a quanto pare, è in ritardo.
Mi avvicino. Una è Benevola Dippet, una strega degna di questo nome. Per noi Babbani le streghe sono brutte e cattive, lei ne è il ritratto sputato. Ha capelli lunghissimi e stopposi, color grigio topo, occhi porcini ed un orrendo naso a banana, lungo e ricurvo da qualunque parte lo si osservi. Dice che è colpa di uno Schiantesimo se è così, ma quando le si domanda perché non l’abbia fatto sistemare, cambia discorso. Vorrei sapere chi ha scelto il suo nome quando è nata. Ha un carattere insopportabile, è una lunatica nevrastenica che non sa farsi andar bene niente. E infatti, mi accoglie con un simpatico:
«Sei-in-ritardo-dov-è-quell-altra-non-dovevi-esserci-tu-perché-nessuno-mi-ha-informata-di-questo-cambio-non-stiamo-giocando».
«Andiamo, Benny!» esclama ridacchiando l’altra persona. «Non è così tardi!»
Si chiama Harry Potter e, come Benevola, è un Auror. Per i maghi è un autentico eroe: pare abbia salvato il mondo otto anni fa, dopo essersi sorbito un’infanzia infelice e sette anni di scuola durante i quali ha rischiato di lasciarci continuamente la pelle. Non so perché, ma quando Hermione mi ha fatto leggere la sua biografia, mi è parso di venir catapultata in uno di quei libri che leggevo abitualmente prima di lavorare qui. Invece era tutto vero, e mi fido della sua parola: era con lui.
«Bene» faccio io, già stufa di sopportare la Dippet. «Andiamo?»
«Aspettiamo l’autista» dice Harry indicando dei fari in movimento.
I maghi che sanno guidare un’auto sono pochi. Che la sanno guidare bene poi, sono una rarità. Sto per offrirmi come conducente, quando la macchina si ferma davanti a noi. Il finestrino si abbassa e il mio umore migliora.
«Ehilà!» saluta l’uomo al volante.
«Ehilà!» rispondo entusiasta.
Sono letteralmente in brodo di giuggiole. Al volante c’è Philip Cross, un Obliviatore. È simpatico, carino, divertente. Stravedo per lui.
«Prego, le signorine davanti».
«Cross, ne abbiamo due qui» osserva Potter sogghignando.
«Ah, davvero?»
Si sporge e guarda perplesso la Dippet. Lei lo fissa inferocita.
Mi viene da ridere, Harry nemmeno si trattiene. Benevola sbraita, ma davanti mi siedo io.
«Questa-la-paghi-brutto-maleducato-mio-nonno-non-avrebbe-mai-permesso-che-uno-come-te-mi-parlasse-così-e-tu-non-ridere-Potter-o-ti-faccio-rapporto-poi-vedremo-se-trovi-ancora-divertenti-queste-battute».
È persino peggio di Percy Weasley.
La luce di Londra ci abbaglia per un momento mentre ci immettiamo nel traffico. Non ho visto il passaggio dal Ministero al parcheggio interrato. Lo ammetto, ero concentrata sul Philip. Jeans, camicia azzurra e maglione beige di cotone. Per strada lo si potrebbe scambiare per un impiegato qualunque. Guida con una certa disinvoltura, qualcosa di molto distante dalla media dei maghi.
«Hermione non sta bene?» chiede una voce dal sedile posteriore.
Mi volto quel tanto che mi consente la cintura di sicurezza.
«No, Harry. Non esattamente. Stamattina abbiamo avuto un caso… spinoso. Gli interessati non erano ancora andati via, così sono venuta io».
Non so trovare parole migliori per non dover dipingere la cosa come l’autentica tragedia che è.
La faccia di Harry non cambia, eppure dal suo sguardo so che ne ha compreso la gravità. Lui e Hermione si conoscono da anni, sa che non molla l’ufficio per un motivo non meno che serio.
«Capisco» risponde, e si mette a guardare la gente sui marciapiedi fuori del finestrino.
Ogni tanto mi chiedo se è davvero l’eroe che tutti dicono. Dennis Canon, il fotografo ufficiale del Ministero, lo elogia in toni degni di Jimmy Olsen quando parla di Superman. Non voglio mettere in dubbio le parole del mio capo ma, parlando francamente, a vederlo è un tipo piuttosto insignificante. Non farebbe paura ad un bambino, con quell’istrice in testa e gli occhiali rotondi. Non è uno spaccone dalla voce tonante, né una persona carismatica, di quelle che ascolti per ore a bocca aperta anche quando sparano stupidaggini a tutto spiano. Non è neanche dotato di clericale modestia. Harry è la quintessenza della normalità. Mister Anonimato e lasciatemi lì per favore perché è da una vita che lo aspetto.
A me sembra il perfetto vicino di casa. Quello a cui lasceresti il gatto per andare in ferie, certa di ritrovarlo felice e contento al tuo ritorno. Quello che non si lamenta se tieni lo stereo troppo alto per un paio di minuti. Quello di cui noti l’esistenza solo durante la partita della squadra del cuore, perché al primo gol abbatte i muri di casa per festeggiare.
Nel frattempo, Benevola ha ricominciato a sproloquiare. Se la sta prendendo col motivo della nostra visita al Victoria Park. Un gruppo di gnomi ha assalito due vecchiette, la cui unica colpa è di aver portato i nipotini a fare una passeggiata troppo vicino ai cespugli dove questi omuncoli vivono. I malcapitati hanno riportato solo dei graffi e qualche livido, per fortuna. Il problema è che non si può farli andare in giro a sbandierare l’accaduto.
Obbiettivamente, in quanti crederebbero a due anziane ottantenni che raccontano di un attacco da parte di persone alte poco meno di trenta centimetri? Nessuno. Nessuno che non fossi io, chiaro. Purtroppo qualche mente aperta è sempre disposta ad ascoltare, creando più danni del necessario.
«Come interveniamo?» m’informo.
Siamo quasi arrivati e ancora non abbiamo parlato del piano d’azione.
«Li Schiantiamo tutti!»
«Benny, non mi pare il caso. Al Victoria c’è sempre gente» obbietta Harry, stiracchiandosi.
Uno a zero per lui. Considerando che chi ha perso è il suo diretto superiore, aggiungerei un ulteriore punto. Molti dicono che l’anno prossimo passerà lui alla guida degli Auror.
«Alle nonnine penso io. Mi dicono sempre che ho l’aria del bravo ragazzo che non hanno i nipoti!» sghignazza Philip.
Gli credo sulla parola. Ha l’aria furbetta di un bambino che sta ficcando le mani nel barattolo dei biscotti ed ha già la scusa pronta per giustificarsi. Ammicca. Ha gli occhi color caramello.
Ci siamo conosciuti quattro anni fa, sull’ascensore. Io ero sommersa da una decina di faldoni alti un metro l’uno, e non l’ho visto salire. Appena ripartiti, la sua faccia ha fatto capolino a lato delle scatole. Era convinto che le gambe che vedeva sbucare al di sotto fossero finte: secondo lui nessuno sano di mente avrebbe portato a spasso tutta quella roba in una volta sola. Ha usato un Incanto Locomotor, permettendomi di mantenere le braccia attaccate alle spalle. Ci siamo incrociati altre volte, quasi sempre sull’ascensore o nelle sue immediate vicinanze, parlando come se ci conoscessimo da sempre. Questa però è la prima volta che passo tanto tempo con lui.
«Bene, allora Phil pensa alle signore. Inventati qualcosa di credibile per i loro ricordi» suggerisce Harry.
«Pensavo ad una discesa di ufo…»
«Phil!»
Non lo sta sgridando. Potter sta ridendo perché probabilmente la faccia di Benevola sta virando al magenta. Non credo abbia voglia di sentirla riattaccare con le sue solfe.
«Okay, okay!» si scusa Philip, sbirciando nel retrovisore interno. «Pensavo che un paio di gatti poco amichevoli potrebbero giustificare i graffi. Che ne dite? E poi i bambini non possono contraddire le nonne, dovrebbero avere uno o due anni, no?»
«Non sbagli» conferma, aggiustandosi gli occhiali. «Ottimo. Jill?»
«Cercherò di far capire loro che non possono restare in quei cespugli, sono troppo vicini ai percorsi pedonali. Farò leva sul loro desiderio di quiete e presenterò la nostra proposta».
«Parli gnomico?»
La voce della Dippet ha un suono che non mi piace. Non è sorpresa, sembra schifata.
«Non è difficile. Speriamo che vogliano ascoltarmi…»
«Se io fossi uno gnomo, ti ascolterei di sicuro» sentenzia serissimo Philip.
Gli sorrido grata. È uno splendido incoraggiamento. Vorrei essere capace di farne di simili. Luke ne avrebbe davvero bisogno.
«Io-non-capisco-come-sia-possibile-che-una-come-te…» attacca la megera, ma viene interrotta dal collega spazientito.
«Siamo arrivati».
L’auto si ferma dietro un gruppo di case a Iveagh Close. Scendiamo e ci addentriamo nel parco. C’è parecchia gente, nonostante sia una giornata lavorativa. Persone che fanno jogging, che portano a passeggio il cane o i bambini, turisti che fotografano il parco, un senzatetto rannicchiato su una panchina, netturbini e giardinieri all’opera…
Arriviamo al luogo dell’appuntamento, nei pressi di un laghetto. Due vecchie signore, avvolte in pesanti giacche, ci osservano di sottecchi. Hanno i capelli bianchi e la faccia tonda. Mi fanno venire in mente certe vecchie pubblicità di detersivi e merendine.
«Merlino, quella sembra la Cooman » bisbiglia perplesso Harry.
Non so chi sia questa Cooman, mai sentita nominare.
Ci avviciniamo, presentandoci come gli inviati dell’Ufficio Rapporti col Pubblico.
«La signora… Cartman e la signora Miller, dico bene?» domando incerta.
«Emily Cartman e Stephany Miller, signorina» precisa una, stizzita.
«Mi perdoni, dall’Ufficio ci sono stati forniti solo i cognomi. Una deplorevole mancanza» mi scuso.
Ho già capito che sarà una lagna. Queste due hanno l’aria odiosa, tipica di certe donne vecchio stile. Mi ricordano mia nonna.
«Signore, volete dirci cos’è accaduto?»
«Per cosa vi mandano? Pubblica Sicurezza? Sanità?» s’informa sospettosa la Miller, aggiustando gli enormi occhiali sul naso.
«Siamo una equipe interministeriale» mente Philip, convincente. «Per certi interventi un Ministero solo non basta. Abbiamo il compito di fornire un miglior servizio al contribuente».
«Da quali Ministeri?» insiste l’occhialuta vecchina, i bulbi oculari delle dimensioni di due tinozze per via delle lenti.
«Sanità e Interni» spiega Harry. «Segnalazioni come la vostra sono prese in seria considerazione…»
«A chi vuol darla a bere, eh giovanotto?»
Lui ammutolisce, non sa più che dire. La Dippet (che potrebbe essere la sorella minore di quelle arpie) non spiccica parola. Persino Philip è interdetto.
«Voi siete qui per tenerci buone! Perché non andiamo in televisione a raccontare cosa avete fatto!»
«Noi?» chiedo perplessa indicandoci.
«Sì! Voi! Voi del Governo! Fate esperimenti segreti su di noi, senza dirci nulla! Diglielo! Diglielo Fanny!»
«Certo! Quelle cose che ci fate prescrivere dai medici non sono per guarirci! Il mio sciroppo per la tosse non me l’ha fatta passare, mi ha fatta restringere! Vede? Vede come mi sta larga la giacca? Sono esperimenti per modificarci geneticamente! E li date anche a quei barboni là e li riducete così, piccoli piccoli per nasconderli ai turisti e alle autorità! Poi ci saltano addosso dai cespugli, perché diventano matti! Il cervello si stringe troppo e non entra l’aria!»
Ci scambiamo un’occhiata tutti e quattro. Neppure Benevola trova il coraggio di ribattere. Queste due sono davvero le donne più assurde che abbiamo mai incontrato.
«E poi» riprende la Cartman imperterrita, «chi ce lo dice che voi non siete qui per ridurci peggio di quelli? Eh? Magari ci volete far diventare due dementi, di quelle che stanno a ciondolare in giro senza meta, che perdono la bava dalla bocca, che gli dicono che hanno l’Alzheimer! Ah, ma noi non ci facciamo prendere in giro, noi! Basta guardare che facce avete! Non c’è da fidarsi di quelli che fanno i vaghi, che fanno discorsi senza senso! Per me voi non siete di nessun Ministero, vi manda il Primo Ministro perché così dobbiamo stare zitte! Eh, ma quel buono a nulla…».
Improvvisamente sia lei che l’amica perdono tutta la grinta e sembrano stare in piedi appese ad un filo invisibile.
Spazientito dalla giaculatoria, Harry gli la lanciato un incantesimo. Non so quale, ma le mie orecchie ringraziano. Dovrebbe usarlo anche su Benny.
«Peggio di zio Vernon!» sbuffa, riponendo la bacchetta nella giacca. «Riesci a obliviarle anche così o devo liberarle?»
«Se ci provi, ti Crucio!» lo minaccia Phil. «E tu? Non dici niente?»
«Uh?» replica sommessa l’Auror.
«Paura di far la stessa fine?» la stuzzica.
«Io?!? Io-non-ho-proprio-paura-di-un-bel-niente-men-che-meno-di-uno-come-te-che-non-si-merita-l-onore-di-far-parte-di-una-istituzione-come…».
«Bene, tutto normale!» sospiro io. «Cerchiamo quei piccoli teppisti, così la facciamo finita».
Mentre Philip modifica i ricordi delle due insopportabili, ci spostiamo in cerca degli gnomi. Seguiamo la pista che gira intorno al laghetto, aguzzando la vista sulle sponde. Non si vede nulla, così, all’ansa nord, Benevola decide che non c’è miglior soluzione di affatturare le creaturine perché rivelino la loro presenza saltando in aria come pop-corn. Non riusciamo ad impedirglielo.
Ci guardiamo attorno terrorizzati. Io sono verde dallo spavento. Non so chi abbia potuto metterci una pezza, guardando dall’alto: in quel momento non passava nessuno.
«Benny! Ma ti sembrava il caso di… Yehoo! Lasciami!»
Uno gnomo piuttosto agguerrito ha addentato il polpaccio di Harry. É seguita l’offensiva di una ventina di altri omini, tutti delle dimensioni di statuette da giardino. Riuscire ad evitare di diventare il loro chewing gum è stata dura. Sono partiti incantesimi a raffica per bloccarli o renderli immuni. A nulla è valso che chiedessi  agli Auror di fermarsi.
Dopo dieci minuti, un folto gruppo di gnomi era impastoiato ai nostri piedi.
«E adesso che faccio?» protesto. «Non mi daranno mai retta dopo questo!»
Benny attacca con una delle sue paternali sul perché io non dovrei essere lì, che gente come me dovrebbe starsene dietro una scrivania, e via discorrendo. Inviperita, le do le spalle e mi inginocchio di fronte a quello che sembra essere il capo banda.
Faccio un profondo respiro, escludendo la voce stridula della strega dalla mia mente e ripasso le presentazioni. Sono fondamentali. Almeno, è quanto ha detto il dottor Scamandro alla conferenza di Linguistica Magica due mesi fa.
Parlare gnomico non è una questione di vocabolario o grammatica. In effetti non esistono corsi specifici. Gli gnomi percepiscono i pensieri. Gli squittii sono solo un accompagnamento. Quindi, la cosa importante è pensare in maniera molto chiara.
«Vi domando scusa per questa buffonata. I miei compagni hanno usato la mano pesante» inizio, augurandomi che comprendano quanto sono dispiaciuta.
«Mano pesante? Vorrai scherzare, razza di fattucchiera buona a nulla!» tuona nella mia mente una voce esageratamente possente.
«Io non sono una strega. Sono Babbana. Mi chiamo Jill» penso, allungando un dito verso di lui.
Lo gnomo mi squadra sospettoso prima di rispondere al saluto. Un altro cerca di dargli di gomito. Parlottano. Altri si uniscono. Nella testa li sento bisbigliare che mi hanno sentita gridare agli altri di fermarsi, peggio di quelli là non posso essere.
La discussione dura almeno tre quarti d’ora. Non hanno la minima intenzione di andarsene da lì: hanno scelto quei cespugli come nuova casa dopo che quelli che occupavano in precedenza sono stati sradicati dai giardinieri comunali. Per fortuna, quando faccio notare loro che le nuove abitazioni sono degli arbusti stagionali prossimi ad essere rimossi, decidono che, forse, la proposta del Ministero può essere ascoltata.
«Allora?» domanda Harry, quando mi alzo da terra.
«Andranno a stare in quel terreno dietro la chiesa di Godric’s Hollow. Se li liberate, partiranno subito».
Tanto per cambiare, la Dippet non è d’accordo. Strepita come una forsennata che bisognerebbe farli sparire per sempre quei mostriciattoli, così non dovremmo aggiustare tutti i loro guai. Un secondo dopo gli gnomi si spargono per il prato, uno ha la forza di spiccare un salto e farle una linguaccia orrenda.
«Grazie!» esclamo mentalmente fra le loro urla di battaglia.
«Possiamo rientrare? Comincio ad aver fame» chiede Philip, che intanto ci ha raggiunti.
Si tiene un dito in bocca.
«Che t’è successo?»
«La mia versione degli eventi è stata talmente realistica, che c’era davvero un gatto nevrotico nei cespugli!» e mi mostra un brutto graffio sull’indice sinistro.
Frugo nella tasca della borsa e ne tiro fuori un cerotto, che avvolgo subito sulla ferita. Lo guarda divertito. È azzurro, punteggiato di carote e coniglietti bianchi. Lo appoggia tra camicia e maglione, orgoglioso.
«Ditemi un po’, quanti possono vantarsi di avere una medicazione in tinta con i vestiti?»
«Il bello di avere per fratello un esperto di puericultura» spiego.
«Pediatra?» s’informa Harry speranzoso.
Pare che il primo figlio, James, sia una peste bubbonica, ed ha solo un anno. Ed è in arrivo il secondo. Ha tutto il diritto di essere scoraggiato.
«No. Ha un negozio di articoli per l’infanzia a Ashford».
«Ah. Peccato… Cioè, bene per lui! Peccato per me… Sentite, noi rientriamo subito, così teniamo d’occhio se arrivano segnalazioni dell’arrivo gli gnomi a Godric’s Hollow. Voi riportate la macchina».
Io e Philip torniamo a Iveagh Close per recuperare la BMW.
Resto inchiodata a pochi passi dal mezzo. Quella è l’auto con cui siamo arrivati? Sembra un’auto presidenziale da tanto è grossa!
«Non sapevo che avessimo macchine simili…»
«Non ti piace?»
«Eh? Sì, mi piace, mi piace! Solo… Da quando il Ministero…?»
«Non esci spesso, eh? Questa avrà un anno».
Vero. Di solito non me ne vado a spasso per l’Inghilterra coi maghi, per ottimi motivi.
«Sai, c’è uno al Ministero, un Natobabbano, che è figlio del proprietario di una concessionaria su a Rochdale. Quando ha saputo con che macchine giravano quelli del Ministero, si è prodigato a farne avere di nuove».
«Bravissima persona! Mi piacerebbe conoscerlo» dico salendo in macchina.
Allacciamo le cinture, ma Phil non avvia il motore.
«Il padre o il figlio?» fa lui pensieroso.
«Magari tutti e due» scherzo.
«Beh, tanto piacere allora! Io sono il figlio!» e allunga la mano.
«Tu?» chiedo stringendogliela.
Non ci credo. Mi sta prendendo in giro.
«Esatto! Dai, vada la Smaterializzazione e le scope, ma vuoi mettere andare in giro con una di queste?»
Non ha tutti i torti. Carrozzeria blu scuro metallizzata, cromature, interni in pelle chiara e radica, full optional. Questa berlina è favolosa e deve costare un capitale. È sprecata in mano ai maghi.
Philip mi racconta che è praticamente cresciuto in mezzo alle auto. Ed è nella concessionaria del padre che ha scoperto di poter usare la magia, quando sotto gli occhi del genitore ha rimesso in sesto un finestrino, sbriciolato da un maldestro impiegato. Ecco spiegato perché al volante ci sa fare.
«Tu, invece?»
«Io sono Babbana» mi giustifico, quasi fosse una colpa.
«Lo so. Dico, come ci hai scoperti? Sei stata vittima di qualche squinternato durante la guerra?» chiede, stranamente serio.
Deduco che per lui, gli squinternati devono essere i Mangiamorte e compagnia bella. Una manica di delinquenti razzisti e senza cervello, se ben ricordo.
«Veramente mi ha chiamata il Ministero, appena cessate le ostilità. Mi hanno scelta tra “diverse e selezionatissime figure, spiccatamente ricettive, del mondo Babbano”. Almeno, questa era la loro versione».
«Chissà che colpo t’è preso!»    
«Ti dico solo che il mio film preferito è sempre stato “La storia Infinita”».
Lui fa una smorfia divertita, svoltando in Essex Road.
«Ah, quindi nessuno spavento o scene isteriche… Bellissimo film, comunque. Hai letto il libro?»
«Ho dovuto ricomprarlo. La prima copia l’ho distrutta» ammetto.
Cominciamo a parlare di cinema e libri. La strada fila via veloce e in un baleno siamo a pochi passi dal Ministero.
Dallo stereo, la voce di George Michael canta “Fast Love”, filtrando in strada dai vetri abbassati:

So why don’t we make a little room in my BMW babe?
Searching for some peace of mind
I help you find it*

«Che dici, faccio andare in tilt tutti i semafori e ce ne stiamo qui a chiacchierare? Non ho voglia di tornare al lavoro» propone.
Dopo quello che ha cantato George Michael? Vorrebbe chiacchierare? Solo chiacchierare?
«Ti do la mia benedizione!»
A quelle parole però, vengo afferrata e qualcosa tenta di trascinarmi fuori dell’abitacolo con una forza spaventosa. Ad impedirmi di essere risucchiata fuori, solo due cose: la cintura di sicurezza e le mani di Philip strette sulle mie.


*  Allora perchè non ci prepariamo un bel posticino
nella mia BMW, tesoro?
Cercando un po' di tranquillità.
Ti aiuterò io a trovarla


Cosa posso dire, dopo queste prime pagine? Innanzitutto un grazie a chi sta leggendo questa fan fiction. E un grazie anticipato a chi vorrà farmi avere il suo parere! Buona continuazione!
Per Rodelinda: non mi aspettavo una tua recensione tanto presto! Mi ha fatto un immenso piacere la tua analisi del primo capitolo. In effetti, Jillian vede i maghi ed il loro mondo da una prospettiva diversa. Una prospettiva piena di stupore sia in senso negativo che positivo. 
   
 
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