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Autore: Eylis    25/10/2009    0 recensioni
“Trovarobe!” A quell’appello il carrello ambulante si fermò, con un tintinnio di campanelli ed uno sferragliare di oggetti di ogni tipo che finalmente avevano modo di fermarsi dopo tanto tremare a causa della strada dissestata. La figura che lo spingeva, un uomo non troppo grande con un alto cappello a tuba ed un vestito lacero, si volse in direzione della persona che l’aveva chiamato e che stava correndo verso di lui.
“Come posso servirla, Signore?”

Ogni cosa si può trovare se è in un luogo conosciuto. Se invece quanto si cerca è in un luogo sconosciuto trovarla diventa già più difficile. Ma è quando l’oggetto desiderato non è in nessun luogo che le cose si complicano davvero…
Questa storia si è classificata quarta al contest "Dal film alla storia" indetto da DarkRose86 sul forum di EFP
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dove Charles chiede ancora un giorno al suo cliente e ricorda il passato

Aveva trascorso le restanti ore a riflettere sul consiglio dell’indovino, ma non era riuscito a venire a capo del dilemma. Là dove si era fermato a pensare c’era un massiccio ponte sotto il quale scorreva il fiume che divideva in due parti la città, e Charles l’aveva attraversato centinaia di volte senza nemmeno rendersene conto, camminando da un’estremità all’altra con passi affrettati e silenziosi. Persino il suo prezioso carretto, traboccante di oggetti di ogni tipo, era stato abbandonato accanto alla strada e dimenticato come fosse diventato troppo vecchio. Il trovarobe discorreva a voce alta con sé stesso, per cercare di concludere un’argomentazione logica.
“Ragiona, Charles Green. Se quel tizio ti ha chiesto di trovargli la vita le possibilità sono due, non credi? O è un folle che ti ucciderà qualsiasi cosa tu gli porti, o davvero cerca quello che ha chiesto e quindi un modo di soddisfarlo deve esistere.” Fino a quel punto sicuramente il discorso quadrava. “Vogliamo escludere la prima possibilità che in ogni caso non porterebbe a nulla? Bene, escludiamola. In questo caso non c’è bisogno d’aver paura, vero, Charles Green?” In effetti su questo punto era un pelo più dubbioso, ma scacciò i timori a forza, scrollando violentemente il capo. Le persone che passeggiando lo superavano lo squadravano mormorando, ma lui non se ne accorse nemmeno. Si affacciò al parapetto del ponte per osservare il fiume tumultuoso sotto di lui. Due giorni prima aveva piovuto tanto da provocare una piena che ancora non era stata smaltita. Vedendo l’acqua così sporca e veloce si chiese quanto avrebbe impiegato a morire annegato, se si fosse buttato. In fondo probabilmente la sorte che gli sarebbe toccata non sarebbe stata di molto peggiore, ed almeno avrebbe avuto la dignità di poter decidere… Era così importante la sua vita? Ma subito quel pensiero fu seguito da un brivido, e il pensiero di quel pericolo così vicino lo fece involontariamente allontanare da quella visione. Decise quindi di riprendere il suo discorso.
“Ora, dato che… che non c’è necessità d’avere timore, vero Charles? Ecco, possiamo valutare con calma il da farsi. Ha ragione l’indovino, la vita non è qualcosa di tangibile… Ma se lui volesse semplicemente una manifestazione della vita? Potrei portargli un pollo, o un coniglio, o… qualsiasi altra cosa vivente, sbaglio forse?” Si guardò attorno come a voler cercare conferma delle proprie parole negli occhi dei passanti. Ma questi quando incrociavano il suo sguardo di richiesta affettavano il passo, sicuramente pensando che fosse un accattone che voleva del denaro. Il trovarobe allora si lasciò cadere seduto a terra, affranto. “Ma chi vuoi prendere in giro, Charles Green? Un pollo non è la vita… è solo un volatile irritante e di ben poca utilità. È inutile anche solo cercare di proporlo. Mi chiedo se dovrei davvero nascondermi a casa…” Sospirò. “Ma se poi mi trovasse? E poi… lo sai Charles, tu non ci sai resistere in quel posto per più di un giorno… Ci sono sempre i loro fantasmi in giro, li sento, ho ragione? Mi perseguiteranno fino alla morte, ne sono certo. Anche ora che questa non mi sembra più così lontana.” In quel momento l’occhio gli cadde sulla torre dell’orologio che non molto lontana sovrastava la città, e si accorse che il suo tempo era quasi scorso. Doveva farsi forza ed andare all’appuntamento. Si avviò con lo sguardo basso sul suo carretto - nonostante tutto alla fine non l’aveva abbandonato in quel luogo -, pregando che il Signore gli ispirasse qualche idea geniale lungo la strada.

“Buonasera trovarobe… Mi ha portato quello che le ho chiesto?” La voce sibilata lo fece sobbalzare, ma Charles cercò di contenersi. Si volse verso lo sconosciuto che gli era arrivato silenzioso alle spalle, affrontandolo con coraggio.
“Mi dispiace, io…” A quelle parole lo sconosciuto balzò in avanti e fece il gesto di stringergli la gola con le proprie mani. Il trovarobe lo schivò per pochi centimetri, abbassandosi di scatto con la prontezza data dal panico. “Aspetti, la prego! Non sono ancora riuscito a trovare quanto mi ha chiesto, ma con un altro giorno…”
“Un altro giorno? E a che le serve! Non è l’infallibile trovarobe capace di accontentare tutti in poco tempo?” Tremante, Charles mosse un paio di passi indietro per cercare di allontanarsi dal pericolo.
“Sì, ma… a volte impiego un po’ di più, ecco, non sono sempre così tanto veloce!” Lo sconosciuto lo scrutò negli occhi, o almeno così parve a Charles che si sentì indagato da quelle tenebre che nascondevano il volto del suo spaventoso cliente.
“E sia, trovarobe… le concedo ancora un giorno. Ma che sia uno soltanto, e domani voglio avere ciò che le ho chiesto. In caso contrario…”
“Lo so, lo so. Mi ucciderà…” Il trovarobe fu scosso da un tremito evidente. “La troverò, ho solo bisogno di più tempo, ecco tutto, glielo prometto.”
“Sarà meglio per lei, trovarobe. Ora se ne vada, ci troveremo qui domani, a questa stessa ora.” Ancora una volta lo sconosciuto sparì nell’ombra dei vicoli in silenzio, lasciando Charles affranto e tremante. Si accasciò lì, dove si trovava, e si chiese se non sarebbe stato meglio se si fosse davvero gettato giù da quel ponte.

Si svegliò di soprassalto fra coperte pregiate, nella propria casa. Chi l’aveva portato lì? Non ricordava d’essere tornato nei propri terreni, era convinto di essersi addormentato in un vicolo, appoggiato al suo carretto, distrutto dal troppo riflettere… Sentì un forte abbaiare. James… quel cane non aveva ancora imparato l’educazione! Si alzò per andare a farlo tacere, chiedendosi perché mai Frederick non fosse intervenuto. Ma quando stava per mettere mano sulla maniglia questa si aprì da sola e la porta si spalancò, di colpo. Di fronte a lui stava un uomo maturo, dagli occhi scuri come i suoi ed i capelli leggermente lunghi, come dettava l’ultima moda di quel tempo.
“Buongiorno Charles! Ho una sorpresa per te! Guarda chi ti ho portato?” L’uomo teneva in braccio un cagnolino nero a pelo lungo, ancora cucciolo, che abbaiava mentre scodinzolava frenetico.
“Pensavo di chiamarlo James, che ne dici?” Charles sbiancò totalmente.
“Jeremy!” L’uomo lo guardò, stupito. “Qualche problema, fratellino? Non ti piace? Guarda com’è dolce!” Ma il trovarobe indietreggiò, terrorizzato.
“Ma… ma tu dovresti essere morto! Mi è arrivata quella lettera, dicevano che eri stato attaccato e ti avevano ucciso!” Jeremy lo squadrò, con espressione divertita.
“Io, morto? E quando mai? Non vedi che sono qui? Ecco, guarda, toccami e verifica tu stesso!” Fece per prendergli una mano perché Charles potesse tastarlo, ma questo si tirò indietro di scatto e fuggì fino al lato opposto della camera. Intensi colori iniziarono a vorticare davanti ai suoi occhi, faticava a mantenere la percezione lucida, la voce del fratello si deformava fino ad assumere una sfumatura rauca, sibilante… “Papà? Papà, corri, Charles non sta bene!” Prima di svenire il trovarobe si rese conto che anche suo padre non poteva essere ancora in vita. Si era ucciso lui stesso, impiccandosi ad un lampadario di quella casa.

Si risvegliò con un urlo e si guardò attorno, frenetico. Ancora ansimante, si accorse che era ancora notte fonda, che si trovava nel vicolo nel quale si era rifugiato dopo aver concluso la vendita dei sigari italiani e che il cartone che lo copriva era fradicio. Aveva iniziato a piovere.
“Charles Green, sei uno stupido ed un fallito!” Inveendo contro sé stesso si alzò e si mise a correre per cercare un riparo ed estirpare da sé gli ultimi effluvi di quell’incubo. Era colpa sua, era tutta colpa sua… Se solo non avesse convinto il fratello a partire, se fosse andato lui al suo posto o fossero rimasti tutti a casa Jeremy e loro padre sarebbero stati ancora vivi e lui non avrebbe vissuto per le strade… Trascinato dai sensi di colpa e dal ricordo di quelle immagini ancora vivide nella sua memoria continuò a correre anche dopo aver trovato un riparo, e non si fermò fino a che, esausto, non fu costretto ad accasciarsi a terra. Svenne, come era successo poco prima nel sogno, mentre sentiva le forze che lo abbandonavano.

  
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