-Amore,
svegliati.
Sono già le otto... amore. Ehi.
Camilla lo svegliò con un bacio
sul collo. Si sentì accarezzare la fronte. Con fatica,
aprì gli
occhi.
-Uh...
-Su, è ora di alzarsi. Io sono già pronta. Ti
ho lasciato il caffè in cucina, fai presto prima che si
raffreddi,
ok? - Camilla lo baciò teneramente su una guancia. - Vado. A
stasera, amore.
-Nnngh...
Si stiracchiò, e, nel farlo, riuscì
ad accarezzare una mano di Camilla che si stava allontanando. A
fatica, uscì dal suo bozzolo caldo di coperte e si
avviò
rimbalzando pesantemente giù per le scale. Rabbrividendo,
raggiunse
la cucina, dove la tazzina di caffè tiepido non
riuscì a
rinfrancarlo del tutto. Una doccia calda risolse parzialmente il
problema, ma rimaneva il fatto che avrebbe dovuto affrontare quattro
ore di lezione con ben poche ore di sonno alle spalle. Purtroppo, non
poteva spiegare ai suoi studenti che anche gli insegnanti qualche
volta facevano sesso.
Giacca, camicia, jeans e ventiquattr'ore:
questa la sua corazza da combattimento. Qualche volta, in estate, si
presentava in polo, jeans e Converse, ma la direzione era piuttosto
severa su certe cose; preferivano un abbigliamento meno
informale.
Arraffò da uno scaffale Americana, che
aveva
comprato il mese prima e non aveva ancora letto, e si gettò
strizzando gli occhi nel freddo pungente di una mattina di gennaio.
Per fortuna, qualche timido raggio di sole gli regalò un po'
di
tiepida dolcezza.
Alle nove era già più piacevole fare il
pendolare; c'era la luce del giorno, c'era meno gente sui treni e
più
gente per le strade, in generale si sentiva più un
viaggiatore che
un prigioniero.
Quando arrivò a Padova sedette al piccolo bar di
fronte alla scuola, ordinò a Sofia un cappuccino con brioche
alla
crema, e se li gustò pacificamente mentre leggeva il
giornale. Poco
dopo fu raggiunto da Rossella ed ebbe modo di scambiare due
chiacchiere. Quando suonò la terza ora, ormai era ben
disposto nei
confronti del mondo: avrebbe salvato Bianca, la terza A e il pianeta
Terra, poteva farcela a fare qualunque cosa.
Salì le scale
fischiettando, e salutò allegramente tutti gli studenti che
incrociò. Nell'avvicinarsi alla terza A, gli parve di
sentire un
frastuono che non gli capitava di udire da molto tempo.
-Stronza!
Puttana! Troia! Sparisci dalla mia vista perché altrimenti
ti spacco
quella faccia di merda!
-Stai tranquilla...!
-NO! Io la ammazzo
questa sboldra del cazzo!
-Lasciala...! Guarda che ti mettono una
nota!
-NON ME NE FREGA UN CAZZO! Io la distruggo questa
baldracca!
Emanuele si sentì mancare, ed incrociò lo sguardo
di
Leandro che stava uscendo dalla classe di fianco. Boccheggiò
come un
pesce, senza riuscire a reagire, ma per fortuna il vecchio Leandro
aveva nervi saldi, quindi infilò la testa nella terza A e,
dopo un
decimo di secondo, vi entrò precipitosamente, ed Emanuele
udì la
sua voce rauca urlare:
-Ferma lì, signorina! Lasci la Ferreri.
Guardi che la faccio sospendere!
-Mi sospenda! Ma prima la mando
all'ospedale!
-State calmi! Per l'amor del cielo. Che Dio vi
fulmini tutti quanti! Andate al vostro posto.
Emanuele si
precipitò in suo aiuto; a passo di marcia si diresse verso
la terza
A, spalancò la porta e si guardò attorno.
La scena era da film:
Cappelletto e Crivellaro tenevano ferma per le braccia Monica Miotto,
che, con gli occhi iniettati di sangue e i pugni chiusi che
stringevano un paio di ciocche rosse, cercava con violenza inaudita
di lanciarsi verso Bianca.
La quale, seduta sul suo banco a gambe
accavallate, ghignava spudoratamente davanti a quella furia
omicida.
Emanuele, reduce da una notte quasi insonne, per un
attimo si chiese se stesse ancora sognando, o se il tempo fosse
tornato indietro quella notte, oppure se il mese scorso avesse avuto
una lunga, assurda allucinazione.
-Buongiorno, Leandro – esordì,
serio, guardandosi attorno – ragazzi, che cazzo state facendo?
-La
Ferreri si è fatta il moroso della Miotto –
spiegò Crivellaro –
abbiamo cercato di spiegare alla Miotto che tanto la Ferreri si
è
fatta tutti e tutti si sono fatti la Ferreri, quindi non conta... ma
non ci dà retta.
-È una sorta d'iniziazione – sorrise
amabilmente Bianca, osservando Monica che allungava cinque dita
armate di french nella sua direzione – Miottina, non te la
prendere, non era niente di personale.
-SE NON CHIUDI QUELLA FOGNA
TE LA CHIUDO IO!
-Ti spiace se preferisco farmela chiudere dal tuo
fidanzatino?
-Bianca! - la riprese – Ohi. Ma siamo tornati in
seconda media? Ragazze, per cortesia, se volete fare una catfight
fatela alla fine della sesta ora, quando non siete sotto la mia
responsabilità e se vi cavate un occhio sono solo cazzi
vostri.
-Figata! Combattimento tra passere!
-Emanuele, te la
cavi da solo?
-Sì, grazie, Leandro, vada pure. Ho affrontato
scenari peggiori.
-Va bene – borbottò l'uomo, poi lanciò
un'occhiata a Bianca – è appena tornata, e
già fa il
disastro...
Ma Bianca non sembrava affatto turbata. Continuava a
trattenere le risate guardando Monica dall'alto del suo banco,
dondolando la gamba fasciata appena da un paio di calze trasparenti e
da un paio di tronchetti neri, che coprivano ben poco.
Non aveva
idea di come fosse successo, ma Bianca era tornata.
-Ragazzi,
io capisco che la Divina Commedia non è
come leggere... beh,
cosa leggete, voi? Twilight? E voi ragazzi? Ma
certo, voi non
leggete. Beh, insomma, sono d'accordo che ci siano modi migliori per
passare il tempo. Ma io devo passare due ore qui. E devo farlo
spiegandovi questo canto. Perché non me lo lasciate fare?
Ci fu
un improvviso silenzio. Tutti si guardarono attorno, Monica
guardò
Bianca in cagnesco. E poi parlò.
-Prof – incominciò, nervosa –
lei ce l'ha una tipa? O una moglie?
-Sì, Monica, ho una
fidanzata.
-Ecco. Se uno arriva e si porta a letto la sua
fidanzata, lei non ha voglia di spaccargli la faccia?
Ci rifletté
un attimo.
-Sì – rispose infine – prima di
spaccargli la
faccia, oltretutto, faccio in modo che non potrà mai
più portarsi a
letto nessuno. Ma in quel letto erano in due, no? Quell'estraneo mi
manca di rispetto, ma la mia fidanzata ha tradito la mia fiducia. Per
cui, sicuramente me la prenderei con lei, prima che con l'altro.
-Sì,
ma la Ferreri ce l'ho qua, e intanto spacco la faccia a lei.
-Ma
perché, Bianca cosa ti ha fatto? È più
facile prendersela con lei,
anziché accettare che la persona di cui sei innamorata non
ti
ricambia? È comprensibile, ma è infantile.
È una di quelle cose
che impari più o meno nell'arco del triennio, se hai la
fortuna di
viverle finché sei giovane. Monica, guarda, ringrazia che
sia
successo adesso. Più tardi succede e peggio è,
credimi.
La
ragazzina tacque, più che altro spiazzata. Emanuele sapeva
che altri
insegnanti non si sarebbero di certo sprecati a dare consigli di
ordine sentimentale e ad ascoltare il problema dalla sua voce, e
sapeva che a tendere una mano avrebbe avuto indietro i suoi frutti.
Riprese a parlare.
-Sentite, lo so che a sedici anni ne succede
una ogni giorno; per la verità ne succede una ogni giorno
anche a
trenta, solo che sono più noiose. Chiariamoci: non
è che io ogni
tanto non pensi ai cazzi miei mentre vi spiego questa roba. Ma
possiamo sforzarci da tutte e due le parti? Cioè, cazzo, lo
so che
stai male, Monica, e lo so che tutti voi vorreste fare tutt'altro, ma
dobbiamo fare questo, e lo dobbiamo fare assieme. Fatemi un
favore.
Puntò lo sguardo su Bianca, che sorrideva, dondolava le
gambe accavallate e fissava qualcuno con aria maliziosa. Poi lei si
voltò e lo guardò, e quando si accorse della sua
espressione, si
affrettò a raddrizzarsi e puntare una mano sulla fronte, a
mo' di
saluto militare.
Ma si calmò.
Volarono ancora occhiatacce e
ghigni, e Bianca non fece che rotolarsi nel banco senza mai trovare
un attimo di requie, ma la lezione finì, e suonò
il primo
intervallo del nuovo trimestre.
-SEI UNA STRONZA! SEI UNA
PUTTANA! Lo sai da quant'è che stavamo assieme? Lo sai?!
-Abbastanza
perché lui si annoiasse – buttò
lì Bianca, noncurante.
Emanuele
era di turno per controllare i corridoi, e si era appostato
esattamente fuori dalla terza A. Era piuttosto interessato alla
faccenda, e, soprattutto, al cambiamento di Bianca.
-Lui era
innamorato di me! E poi sei arrivata tu e hai
rovinato
tutto!
-La frase che hai appena detto è semanticamente
interessante, sai? Analizziamola. Punto uno, per favore, qualcuno la
tenga ferma: hai usato l'imperfetto, lo sai?, quindi vuol dire che
secondo te non è più innamorato. Non vedo dunque
perché insistere
con questo tipo. Punto due: era innamorato? Sì? Allora
perché è
venuto a letto con me? Punto tre: come ha detto Vettorel, in quel
letto eravamo in due. Perché ti incazzi con me? Io cosa ti
dovevo?
Sono tua amica, me ne frega qualcosa di te? No. E a te frega qualcosa
di me? No. A lui, invece, avrebbe dovuto fregargliene qualcosa, di
te. Ma non glien'è fregato, nonostante steste assieme. Io mi
incazzerei di più con lui, poi vedi un po' tu.
-Io ti spacco il
culo a te.
-E allora non hai capito niente del mio discorso, vendo
perle ai porci. Mettiamola così allora: mi dispiace,
Miottina, di
essermi portata a letto il tuo morosetto. Mi dispiace soprattutto che
tu sia persa di uno che con ogni evidenza non ti corrisponde. Detto
ciò, l'imputata chiede il permesso di abbandonare l'aula.
-Tu non
vai da nessuna parte!
-Oh, sì che ci vado, figurati se perdo
dell'altro tempo. Ho voglia di un caffè. Vuoi anche tu? Te
lo offro,
in segno di pace.
-CREPA!
-Vaaabé.
Bianca abbandonò l'aula
saltellando. Emanuele la osservò mentre superava lo stipite;
non si
accorse di lui, quindi tirò dritto seguita da Cappelletto,
che la
tirò per una manica.
-Bianca – la fermò, e lei si girò
sorpresa – ohi, ferma. Stai mai ferma un minuto?
-Mai –
sorrise Bianca di rimando – cosa c'è, Cappellotto?
-Eh, cosa
c'è. Te lo chiedo io cosa c'è. Cosa ti
è successo?
-Prego?
-Ma
sì, dai, il mese scorso non mi guardavi neanche in faccia,
non
parlavi... e adesso sei... sei tornata.
-Eh, sì, sono
tornata, sei contento, Cappellotto? - gli tirò una guancia,
lui si
allontanò stizzito – Guardalo, che si vergogna.
Dì la verità,
senza di me che ti chiedo di mostrarmi il cappellotto non è
la
stessa cosa, eh?
-Mah. Si sta bene lo stesso.
-Non ci credo.
Quando mi mostrerai il cappellotto ti assicuro che sarà
indimenticabile, e che da quel giorno in avanti confronterai tutte le
altre a me per il resto della tua vita, anche quando sarai sposato e
crederai e fingerai di essere innamorato e i tuoi figli ti
domanderanno del tuo primo amore e ti verrò in mente io
prima di lei
e ci sarà una musichetta angosciante e tu...
-Eh?!
-Dai,
andiamo a prendere il caffè, Cappellotto – gli
passò un braccio
attorno alle spalle e lo fece saltellare con lei fino al piano di
sotto.
Emanuele incrociò lo sguardo di Sonia, che stava
accingendosi a imboccare le scale. Non riuscirono nemmeno a
boccheggiare. Scossero la testa, scrollarono le spalle e tornarono
ognuno alle proprie faccende, con una mano premuta sulla tempia per
evitare che la vena scoppiasse.
Quando più tardi Bianca tornò in
classe, senza Cappelletto, accadde l'inevitabile: Monica, che si era
appostata dietro la porta, l'afferrò per il collo e, urlando
a più
non posso, la riempì di schiaffi in viso e le
sbatté la testa
contro il muro.
Ne fu informato da Giulia, che, dall'alto del suo
metro e ottantasette, aveva preso Monica per le braccia, gliele aveva
storte dietro la schiena e l'aveva trascinata, a mo' di prigioniera,
al cospetto di Emanuele, responsabile del primo piano del
lunedì.
-Prof, ha assalito la Ferreri – spiegò
nervosamente –
credo che le abbia fatto male.
-Va bene, Giulia, puoi lasciarla
andare ora.
-No. Questa ragazzina ha bisogno di polso
–
decretò la ragazza, e le diede una scrollata. Emanuele
faticava a
mantenere la serietà, ma doveva.
-Va bene, senti, intanto portala
dalla preside e spiega cos'è successo. Io arrivo tra poco.
-Andiamo
– ordinò Giulia, e con un calcio sul tallone
spedì Monica in
direzione delle scale.
Emanuele si passò una mano sulla fronte,
poi si avventurò all'interno dell'aula.
-Bianca?
Bianca era
seduta per terra, e si stava massaggiando la testa.
-Ehi – le si
inginocchiò di fianco – tutto a posto?
Cos'è successo?
-Eh, mi
sa che si è incazzata, prof.
-Eh, ma te un pochetto te le cerchi,
Bianca, sì o no?
-Sì, prof – fece un sorriso buffo, con aria
colpevole. Non riuscì a non sorriderle di rimando.
-Ragazzi, cosa
le ha fatto? Di preciso? Bisogna riferire tutto alla preside.
-Le
ha fatto quello che si meritava – fece una ragazza dal fondo
dell'aula, e alcuni ridacchiarono.
-Non vi sto chiedendo cosa ne
pensate, ma cos'è successo. E con obiettività,
grazie.
-Praticamente l'ha presa per il collo, le ha urlato contro
che era una baldracca, le ha dato un bel po' di schiaffi sul muso e
poi tenendola per il collo l'ha sbattuta un po' di volte con la testa
contro il muro.
-Grazie, Valeria. Confermate tutti?
Confermarono,
e Bianca rimase lì, tranquilla, guardandosi attorno.
-Va bene,
ok. Porto un attimo Bianca giù dalla preside, che dobbiamo
risolvere
la cosa con Monica. Voi per favore, per favore, vi prego, state
calmi. Almeno voi, ve ne supplico.
-Ci penso io, prof – fece
Alberto Benetazzo, un metallaro alto un metro e ottanta ricoperto di
pelle e ferraglia. Si batté un pugno sul petto e
guardò Emanuele
con un'aria che voleva essere rassicurante.
-V... va bene,
Benetazzo. Ok. Ma niente borchie e catene, ok? Solo confronti verbali
e civili.
-Peace and love, prof. Nessuno toccherà nessuno con un
dito.
-PORCA PUTTANA, PROF – Giulia entrò in aula come
una
furia – ho incontrato Cappelletto per le scale –
ansimò – gli
ho raccontato di Bianca... cazzo, prof. Ha spaccato il naso alla
Miotto con un pugno!
In ufficio dalla preside si ritrovarono
in cinque.
La preside guardava tutti e tre con tanto d'occhi, e
non riusciva a trovare le parole per cominciare il discorso.
Bianca
si guardava attorno incantata, leggendo i titoli dei libri e
scorrendo con le dita le copertine dell'enciclopedia di fianco a
lei.
Monica si tamponava il naso rotto con un fazzoletto fradicio
di sangue, mentre aspettavano che arrivasse l'ambulanza.
Tra le
due, Cappelletto, intento a rosicchiarsi le unghie con passione
fervente, che faceva schizzare uno sguardo nervoso in tutti i lati
della stanza.
E, dietro i tre, Emanuele, che ogni venti secondi
tirava fuori il fazzoletto per nascondere le risate che gli venivano
spontanee dietro una penosa imitazione di starnuto.
-Preside, mi
dica cosa devo fare, che tra poco mi vengono a prendere –
biascicò
Monica, tra le lacrime.
-Sì – Giovanna si riprese – beh,
è
evidente che tu sarai punita. Hai aggredito la compagna e l'hai fatto
in modo molto violento. Sospensione, anche se mi dispiace. Dieci
giorni.
-Ripeterò l'anno? - Monica iniziò a piangere.
-Non ne
sono sicura, ma è molto probabile. Dobbiamo discuterne tra
insegnanti, non posso prendere questa decisione da sola. Certo
è che
questo gesto non sarà privo di conseguenze.
-Mia mamma mi ammazza
– piagnucolò Monica, sgocciolando sangue
– oddio, quando torno a
casa mi rompe anche il resto...
-Potevi pensarci prima di mettere
le mani addosso alla compagna. È un gesto molto grave e
voglio che
sia chiaro che l'istituto non tollera un comportamento tanto
disdicevole. Migliaia di anni di evoluzione per arrivare a prendere a
schiaffi la compagna? E per quale motivo, poi?
-Pare ci sia di
mezzo un ragazzo – s'intromise cautamente Emanuele.
-Non mi
sembra un buon motivo, e sappi, Monica, che non rendi onore al genere
femminile. Dovresti vergognarti.
Quella continuò a piangere, ma
Giovanna, impassibile, continuò a parlare.
-Inoltre, se almeno
fossi furba, avresti aspettato di essere fuori da scuola. Invece, a
quanto pare non sei nemmeno furba – osservò la
preside,
tranquillamente.
-Mi sembra di sentire un'ambulanza – fece
Emanuele, dolcemente – accompagno Monica fuori, torno
immediatamente.
Mise una mano sulla spalla tremante di Monica, che
si alzò e raccolse lo zaino. Mentre raggiungevano il
portone, la
ragazza riuscì a mormorare qualcosa.
-Guardi che io l'ho fatto
perché sono innamorata, di lui. A lei, invece, non gliene
importava
niente, l'ha fatto solo per fare un dispetto a me, per dimostrare a
me o a se stessa o a non so chi che può fregare il ragazzo a
qualcun
altro. È cattiva, prof –
affermò tra le lacrime, mentre
gli infermieri la caricavano sopra.
-Un compagno le ha dato un
pugno sul naso, penso piuttosto forte. Vi arrangiate voi in caso di
denuncia...?
-Sì, deciderà poi la famiglia se sporgere
denuncia,
intanto la visitiamo e sistemiamo il naso.
-D'accordo, allora
provvederà la scuola a fornirvi i dati necessari. Vi lascio
la
ragazza?
-Certo, la lasci pure a noi. Vieni su, adesso vediamo di
sistemare questo naso.
Monica lo salutò, con una certa
sofferenza, ed Emanuele non poté fare a meno di provare
compassione
per lei. Senza ragazzo, sospesa, bocciata e col naso rotto.
E per
di più non poteva darle tutti i torti sulla questione
Bianca. Che
bisogno c'era, in effetti, di andare con un ragazzo impegnato? Certo,
lui avrebbe anche potuto tenere l'uccello nei pantaloni, ma Bianca
non sembrava nemmeno un po' dispiaciuta per Monica; anzi, sembrava
che le sventolasse in faccia la sua conquista per ricordarle che lei
era stata clamorosamente sconfitta.
Era anche vero, però, pensò
avviandosi verso l'ufficio della preside, che Bianca non veniva
trattata molto bene dai compagni, e che probabilmente doveva covare
un certo astio nei loro confronti.
Certo, lei non si impegnava per
attirare le loro simpatie, ma in fondo non aveva mai fatto loro
niente di male. Aveva solo vissuto la sua vita.
Quando aprì la
porta, trovò una preside esasperata, una Bianca che si
guardava
attorno ammaliata, e un Cappelletto che scalciava sotto la
sedia.
-Tutto a posto, preside? - domandò cautamente.
-Sì,
più o meno. Il signor Cappelletto qui presente sembra aver
capito di
aver combinato un guaio piuttosto grosso.
Emanuele annuì.
-Sei
passibile di denuncia – lo informò – per
danni a terzi. Sei
minorenne e questo è un punto a tuo favore, ma se sei
sfortunato
questo pugno colpirà dritto la tua fedina penale.
-Però devo
ammettere che è stato un gesto romantico –
osservò la preside –
rischiare il riformatorio per la signorina Ferreri.
-Eh, adesso,
il riformatorio! - sbottò Cappelletto – Alla fine
è solo un naso.
E le assicuro che le ho fatto un favore, se si ricorda com'era il suo
naso prima.
Tutti i torti non li aveva.
-Sì,
Cappelletto, ma tu non puoi prendere a pugni tutti quelli che ti
fanno arrabbiare. La violenza non è il modo giusto per
risolvere i
problemi. E se adesso arrivasse qualcun altro che picchia te
perché
hai picchiato Monica?
-Mi spacca il naso, ma non ne esce tutto
intero neanche lui!
-Ma non è questo il punto! Il punto è che
non potete comportarvi così, come bambini delle elementari.
Non lo
tollero nel modo più assoluto. La violenza è
sbagliata,
sba-glia-ta. E sappi, Cappelletto, che credo dovremo espellerti da
scuola.
-Cosa...?
Il ragazzo sbarrò gli occhi, senza
fiato.
-Cosa ti aspettavi? Hai rotto il naso a una ragazza, è una
cosa gravissima. Non possiamo accettarti in quest'istituto.
-Ecco,
vaffanculo – borbottò lui. La preside
drizzò la schiena.
-Come
hai detto, prego?
-Ho detto 'vaffanculo', ma lo dicevo a me. Non a
lei.
-Beh, evita una simile terminologia in ogni caso. E adesso
per favore tornate in classe.
-Mi scusi, preside – intervenne
Emanuele – io farei controllare anche Bianca.
-Può andare a
farsi visitare nel pomeriggio, non mi sembra grave. E a proposito,
signorina Ferreri, la prossima volta mi faccia il favore di non
provocare la compagna.
-Ma io non l'ho provocata – si difese lei
– quando sono entrata in classe ha iniziato a urlarmi insulti
e a
minacciarmi. E poi mi ha picchiata. Io le ho solo detto che dovrebbe
prendersela col suo ragazzo che l'ha tradita e non con me,
perché
non siamo mai state amiche e non vedo perché dovrei avere
riguardi
per lei, e ho aggiunto che forse non ne vale la pena, per uno che la
tradisce e quindi forse non ricambia tanta devozione. Ho il diritto
di spiegare le mie ragioni anch'io, giusto?
-Beh, sì, è giusto,
ma, per favore, eviti comportamenti che possano turbare l'armonia
della classe... a monte.
-Preside – insorse Bianca, severa –
quanto faccio nel mio tempo libero non rientra nella giurisdizione
del corpo docenti. Il vostro compito è quello di giudicare
ed
eventualmente punire i le nostre azioni all'interno dell'ambito
scolastico; ma nel momento in cui agisco all'esterno di questo
contesto, sono libera di fare ciò che preferisco. Inoltre
non mi
sembra di aver contravvenuto ad alcuna regola comportamentale
dell'istituto, ragion per cui mi ritengo assolutamente innocente in
questa controversia.
Era partita bene, ma verso la fine aveva un
po' esagerato. La preside alzò un sopracciglio.
-Non siamo in
un'aula di tribunale – le fece notare – ad ogni
modo, vediamo di
stemperare sul nascere le discussioni. Se provocati, ignoriamo. E in
questo modo saremo sempre dalla parte della ragione.
-Sììì. E
l'ignoranza è colpa, e sorridi e il mondo ti
sorriderà, e non
andate in gita perché la classe è turbolenta e se
i vostri compagni
disturbano dovreste fare in modo di mantenere il silenzio e la
responsabilità è anche vostra e quando si cresce
si diventa
responsabili, questo è essere adulti, j'accuse,
nota,
sospensione, punizione...! Chi offre di
più?
-Bianca,
adesso basta – la riprese Emanuele – torniamo di
sopra e lasciamo
da parte tutta questa storia. - Si rivolse alla preside. - Credo sia
solo sconvolta. Aspetti un minuto. Ragazzi, aspettatemi qui fuori;
qui, davanti alla porta. Arrivo subito.
I due si alzarono e si
diressero stancamente verso l'uscita. Quando la maniglia
scattò,
Emanuele sedette alla scrivania della preside.
-Mi scusi se
prolungo questa discussione spiacevole, ma credo sia opportuno
informarla al riguardo di una questione.
-Mi dica.
-Bianca mi
ha confessato che a casa il padre usa violenza su di lei. Credo che
la faccenda le abbia ricordato le vicende domestiche... e, in fin dei
conti, è anche vero che questa volta non ha alcuna colpa.
-Lo so
– sospirò la preside – ma vorrei che
capisse che deve darsi una
calmata, in generale. Stare tranquilla, ferma, in silenzio.
È anche
nel suo interesse che le dico di non avere un comportamento tanto...
libero. La nostra libertà è molto, molto
limitata, purtroppo.
-Lo
so – fu il suo turno di sospirare – lo so bene.
Eppure non riesco
a prendermela più di tanto con questa ragazza. Il mese
scorso non
faceva che piangere.
-Lo so – mormorò la preside, di nuovo. -
Credimi, Emanuele, anch'io ho a cuore questa ragazzina. Ce li
prendiamo un po' tutti a cuore, no? Questi casi disperati a cui
vorremmo dare la speranza. Poi scopriamo che non è
possibile, e
finisce che ce la prendiamo con loro per la nostra frustrazione,
mentre loro continuano a chiederci silenziosamente di aiutarli... ma
a quel punto abbiamo solo voglia di allontanarli.
Emanuele
impallidì.
-Lei ha espresso esattamente i miei sentimenti in
questo momento.
Giovanna sorrise.
-Faccio questo lavoro da più
tempo di te. Per questo a volte ho la presunzione di volerti
insegnare qualcosa. - Sistemò alcuni documenti, con un paio
di toc
leggeri e decisi sul piano della scrivania. - Ora va' e vedi di
tenere tranquilli Lancillotto e Ginevra.
-Un Lancillotto alquanto
peculiare.
-E una Ginevra assai poco tradizionale.
Sorrisero
entrambi, ed Emanuele uscì dalla porta un po' sollevato. Non
sapeva
perché si sentisse così, dato che la preside gli
aveva appena
detto, sostanzialmente, che il loro destino era nella maggior parte
delle volte quello di fallire. Ma il fatto di non sentirsi
più solo,
in qualche modo, di non essere il solo a sentirsi cedere ogni giorno,
l'aiutò più di quanto non avrebbe mai immaginato.
E dire che non
aveva mai creduto al mal comune, mezzo gaudio.
Aveva sempre
pensato che avere problemi e incontrare un altro incasinato quanto te
fosse una delle cose più tristi e scoraggianti che potessero
capitare.
-Fatto, prof? Ho sentito tutto, sa. Stando a lei, sembra
che io venga da una famiglia disagiata che vive di cassa integrazione
e alcool e occasionali tirate di cocaina.
-Bianca, ora per favore
taci due minuti, ok?
-Ecco, me lo dicono sempre tutti. Anche
Cappellotto, oramai. Georgia Nicolson, che era una persona saggia,
diceva: chi me l'ha fatto fare di scazzarmi a imparare a parlare, se
tanto adesso tutti mi ripetono in continuazione di tacere?
-Impara
l'arte e mettila da parte, dice un detto.
-Comunque, per
ringraziare Cappellotto del suo atto cavalleresco, posso portarmelo
una mezz'oretta in bagno?
-Che non ti venga in mente nemmeno di
ripeterlo.
-Ma prof, il povero Cappellotto sta vivendo i suoi
ultimi attimi da uomo libero! Da domani sarà ricercato in
quarantotto stati, ormai girano i cartelli WANTED col suo cappellotto
stampato sopra...
-Bianca, come posso fare a tapparti la
bocca?
-Col cappellotto di Cappellotto. Mezz'ora, prof. Non di
più.
-Ehi – protestò Cappelletto – io duro
più di
mezz'ora.
-Fate quello che volete – Emanuele si allontanò
verso
la classe alzando le braccia al cielo. Bianca scoppiò a
ridere e,
assicuratasi Cappelletto a braccetto, si avviò felice e
contenta
verso l'aula della terza A assieme a lui.
Camilla, lunga
distesa sul divano, rideva così tanto che dovette portarle
un
bicchiere d'acqua.
-Io non ce la facevo più. Da un lato non
riuscivo più a trattenermi dal ridere, dall'altro mi veniva
da
piangere.
Emanuele si aprì una birra; finalmente era riuscito ad
infilarsi la sua tuta di felpa grigia e rivivere gli avvenimenti in
retrospettiva assieme a Camilla.
-Cioè, curati la scena: Bianca
che guardava le farfalline per aria, la preside con le mani nei
capelli e Cappelletto che diceva 'sì, ma gli faccio male
anch'io!'.
Ecco: era per cose come questa che ho scelto di
insegnare.
Proprio per cose come questa.
-E alla fine? Cosa faranno a
Cappelletto?
-Non so, parlano di espulsione, ma secondo me sia lui
che la Miotto se la caveranno con una sospensione. Alla fine, se i
genitori della Miotto prendono provvedimenti, credo che quelli
saranno più che sufficienti.
-E Bianca, come l'ha presa?
-Mah,
Bianca era tranquilla. Te l'ho detto, è tornata esattamente
com'era
prima. Ovvero, tutt'altro che tranquilla: per lo più parlava
a
vanvera e faceva proposte indecenti a chiunque fosse nel raggio di
cinque metri.
-Che le sia passata durante le vacanze?
-Può
essere. Magari ha passato un bel Natale, si è divertita con
gli
amici il Capodanno, boh. A quell'età passa in fretta.
-Pensi che
la storia con la Miotto le abbia ricordato il padre?
-Se anche
fosse, l'ha nascosto bene. Sembrava che la cosa la divertisse. Le
parlerò, promesso.
-Ok. Ma adesso vieni qui.
Camilla sorrise,
ed Emanuele le sorrise di rimando. Le si sedette accanto, e lei si
alzò e si accomodò a cavalcioni sopra di lui. Le
prese il viso tra
le mani e stava per baciarla, quando all'improvviso un ricordo lo
fulminò.
-Che c'è? - chiese lei, e lo guardò un po'
preoccupata.
Bianca che gli si strusciava contro, la sua erezione,
le labbra vicine.
No, non era successo, non era successo. Non era
successo niente. Doveva dimenticarselo.
-Niente – mormorò;
sorrise, e la baciò, ma lo fece senza trasporto. Il buio
dietro le
palpebre abbassate lo distraeva costantemente.
Il
giorno dopo aveva
un'ora con la terza A; di storia. Mantenere l'attenzione della classe
era ancora più difficile che nelle ore di lettere. Ma
puntava
sull'assenza di Monica, che probabilmente era sotto i ferri, e di
Cappelletto, che probabilmente stava passando un brutto quarto
d'ora.
Il problema era che Bianca era ancora lì; decise dunque di
usare il metodo più perfido che avesse a disposizione per
mantenere
la sua attenzione focalizzata sul Rinascimento.
-Bianca, devo
interrogarti. Bisogna recuperare i voti scritti dello scorso
trimestre.
Bianca sospirò, ma non obiettò. Per una buona
mezz'ora, Bianca aprì bocca solo per parlare di battaglie,
dinastie
e annessioni; la tranquillità della classe ne trasse grande
beneficio e, quando l'interrogazione finì – con il
massimo del
punteggio – la lasciò concentrarsi sulla sua PSP,
in modo da poter
continuare con le spiegazioni. Dopo un po', Bianca iniziò a
seguire
la lezione; durante i punti morti si mise a disegnare fiori prima sul
quaderno e poi sul banco, col risultato che alla fine dell'ora
toccò
chiamare il bidello e farsi dare straccio e detersivo.
L'insegnante
dell'ora successiva fu ben felice di trovare Bianca occupata con
quella faccenda; ma non passò molto tempo prima che Bianca
fosse
spedita fuori dalla classe, colpevole di aver riempito di fiorellini
anche i vetri della finestra con l'indelebile nero.
La trovò
seduta sulle poltrone in atrio intenta a stendersi lo smalto rosso
sulle unghie.
-Beh? - la chiamò, quando le fu davanti.
-Ah,
salve, prof. Mi hanno sbattuta fuori.
-Grande. Hai contato quante
volte è successo da quando l'anno è iniziato?
-Una, prof. L'anno
è appena iniziato.
-L'anno scolastico.
-Beh, sempre una, prof.
Siamo tornati a scuola ieri.
-Come amo ripetere, anzi ripeterti,
non testare i limiti della mia pazienza.
-Faccio più –
pigolò.
-E allora? Come stai?
-Come sto? Benissimo. Finalmente
sono uscita da quel mortorio. Il banco inizia a starmi stretto, sa,
prof?
-Eh, lo so eccome. Sembra che un po' tutto ti stia stretto.
Senti un attimo, come l'hai presa la storia di ieri?
-Cosa, che la
Miotto a momenti fa marmellata col mio cervello?
-Esatto.
-Mah,
non è che mi abbia fatto tutto 'sto male. È una
ragazzina, quanta
forza può avere?
-E la storia di tuo padre?
-Mio padre?
-Beh,
non vorrei che ti avesse ricordato quello che è successo
quella
volta.
-Prof, succede praticamente ogni giorno. Non mi spaventa un
soldino come la Miotto; ormai potrei combattere a mani nude contro
John Rambo e farlo pentire di essersi messo contro di me.
-Non è
quello, Bianca. Voglio dire; è brutto quando qualcuno si
sente in
diritto di metterci le mani addosso, indipendentemente da quanto male
ci fa. Vuoi dirmi che non sei stata segnata almeno un po' da quelle
cose?
-Non saprei. Può essere, ma ormai fa parte della mia
quotidianità. C'è un limite oltre al quale non
puoi più fare male
a qualcuno.
-Intendi, fisicamente?
-No, quelle purtroppo le
sento ancora – lei sorrise, ed Emanuele si rabbuiò
per via di quel
sorriso amaro, pieno di rassegnazione – io parlo delle ferite
emotive di cui parlava lei. Sì, può anche
dispiacermi che un tot di
persone si sentano in diritto di prendermi a schiaffi, ma se ci
stessi male ogni volta, addio. A un certo punto uno non ci fa
più
caso, stringe i denti e lascia perdere; tanto capiterà di
nuovo.
Inutile che me la prenda.
-E invece sei stupida, perché dovresti
arrabbiarti.
-Ma poi la preside mi butta fuori dalla scuola una
volta per tutte. Prof, nonostante ciò che pensate, non sono
idiota,
e conosco la mia posizione.
-Non parlavo della Miotto.
-La mia
risposta non varia di molto. Gliel'ho spiegato, cosa accadrebbe se
alzassi la testa. E poi non pensiamo a queste cose brutte, avanti! -
Bianca sembrò tornare la solita ragazzina allegra e
spensierata che
era stata fino a un mese prima. Fino a quel momento, gli era quasi
parso di parlarle da pari a pari. - Sa che questa sera io e i miei
amici facciamo la gara di chupiti? Chi ne beve di più, vince
un
premio.
-Sarebbe?
-La mia patata per una notte – sorrise
trionfante, ed Emanuele non seppe capire se scherzasse o meno.
-Cioè
il più alcolizzato di voi viene a letto con te?
-La più
alcolizzata sono indiscutibilmente io. Per questo mi hanno messo
fuori gara. Ma chi vince questa gara, cioè chi è
alcolizzato quasi
quanto me, mi può portare a letto.
-Bello. E se vince uno che
non ti piace?
-Mi piacciono tutti. Ognuno ha qualcosa di bello,
qualcosa che lo fa valere la pena di mostrargliela.
Emanuele
d'improvviso sorrise.
-Anche Cappelletto? - le chiese.
Bianca
lo guardò, sorpresa.
-Cappellotto? Perché mi parla di
Cappellotto?
-Perché sta passando dei guai abbastanza seri per
te. Invece che darla al più coglione della tua compagnia,
che se
tutto va bene ti sbocca sulle tette perché ha bevuto un
litro di
rhum e uno di pera, perché non vai a trovarlo e a sentire
come sta?
Non tutti avrebbero spaccato il naso alla Miotto per
difenderti.
-Forse non per difendermi, ma credo che più di
qualcuno avrebbe volentieri spaccato il naso alla Miotto. Anche il
suo ragazzo, glielo garantisco, solo che non ha mai avuto le palle
per dirglielo.
-Lascia stare il naso della Miotto. Cappelletto si
merita almeno una visita di cortesia, non trovi?
-Gliela dovrei
dare, secondo lei?
-Beh, non era proprio quello che intendevo, ma
se per te non ci esistono discriminanti, perché no?
-Cappellotto
– scandì Bianca, meditabonda – ma
sì, dai. Oggi pomeriggio vado
a dirgli grazie. È stato carino a spaccare il naso alla
Miotto.
-Per
te – precisò Emanuele.
-Per me o per qualsiasi altro,
chiunque spacchi il naso alla Miotto è degno della mia
riconoscenza.
E anche di quella unanime. Lo dica, avanti, lo sputi finalmente.
È
d'accordo con me, vero? Guardi che glielo leggo negli occhi –
lo
ammonì.
Emanuele ridacchiò sotto i baffi e scosse la
testa.
-Alle volte sei impossibile – asserì –
giuro, mi metti
in difficoltà. Altre mi fai stringere il cuore. Altre
ancora, la
maggior parte, sei la solita pagliaccia. Qualche volta sembra quasi
di parlare a una persona al mio livello, ma poi mi fai cambiare idea
un'altra volta.
-Anch'io mi vivo un po' così.
-Ce l'avevo a
morte con te – ammise – per... per quello che sai.
La verità è
che mi piaci, Bianca. Una parte di me stima una parte di te. Se tu
fossi più grande e se queste due parti di noi fossero
più grandi...
in quel caso forse avrei scelto te.
-Al posto di Camilla?
-Non
so se in questo caso l'avrei conosciuta. Ma so che vali, Bianca, solo
che non te ne sei ancora accorta.
Le diede un buffetto sulla
testa; le sorrise, lanciò un'ultima occhiata al suo faccino
confuso
e poi si allontanò, alzando una mano in segno di saluto.
Divertito,
uscì dal portone pensando alle guance di Bianca che
diventavano
rosse, alla faccia delle sue ambiguità e
promiscuità e sessualità
precoce.
Il giorno dopo non aveva la terza A, ma aveva l'ora
di ricevimento. Per la prima volta dopo tanto tempo, l'ammasso di
capelli rossi tornò a fare capolino sullo stipite.
-Prof, posso?
- fece Bianca, seminascosta dietro la posta; di lei vedeva solo gli
occhioni vivaci e le dita aggrappate all'uscio.
-Ma sì che puoi,
entra – sorrise.
Stavolta gli faceva piacere vederla. L'ultimo
dialogo tra loro era stato piuttosto adulto, e l'aveva vista
piuttosto cresciuta, anche se 'cresciuta' significava 'rassegnata e
disillusa'. Ma almeno aveva mantenuto la calma e formulato un
discorso di senso compiuto; si era preoccupato, il giorno prima,
quando aveva iniziato a infervorarsi dalla preside.
-Dimmi. Cosa
c'è stavolta?
Ma lo disse bonariamente. Lei infatti
sorrise.
-Beh, prof, ieri sono andata a trovare Cappellotto –
esordì, con l'aria di chi teneva sulla punta della lingua
una
notizia bomba, pronta a rotolare fuori.
-Ah, questa è una novità
interessante. Come si è svolto l'incontro?
-Ma niente, sono
andata a casa sua, mi ha aperto sua mamma, tra parentesi a momenti le
viene uno scompenso quando mi ha vista... il suo sguardo diceva
“ma
è per questa sgualdrina che hai messo in
gioco il tuo
futuro?! Ma sei davvero il figlio che io ho partorito?”.
Emanuele
rise. Bianca s'imbronciò.
-Non c'è niente da ridere, prof! Sarò
un po' quello che sono, ma non sono mica tutto questo schifo. Sotto
tutte queste tette batte un cuoricino tenero tenero, sa? Tra l'altro,
ho ricominciato a mangiare, ha visto che mi sono ricresciute?
-No,
Bianca.
-Non importa, l'hanno visto tutti gli altri, è lei che
non guarda bene – e non sa cosa si perde. Vabé.
Comunque entro,
vado in camera sua, con sua mamma che mi segue per le scale con
l'ascia in mano pronta a colpirmi alla prima mossa sbagliata, e lui
era lì, povero cristo, con gli occhi lucidi che cercava di
non
piangere. Hanno deciso di denunciarlo, sa? Sono proprio i genitori
della Miotto, non c'è che dire.
-Mi sembra normale che gli girino
un po' le palle se uno spacca il naso alla loro unica e preziosa
creatura.
-Sì, sono d'accordo, ma loro volevano dargli
l'ergastolo.
-Beh, l'ergastolo mi sembra un po'
eccessivo.
-Infatti non è vero, non vogliono dargli l'ergastolo.
Però è vero che vogliono spedirlo in riformatorio.
-Credo se la
caverà con una sanzione pecuniaria e qualcosa tipo servizio
civile.
È anche minorenne, magari non gli succederà
nemmeno questo.
-Non
so, però, povero Cappellotto, era proprio giù di
morale. E così mi
ha fatto pena e gli ho aperto i jeans, e insomma, alla fine l'ho
visto, questo famoso Cappellotto.
-Ok.
-Non è esattamente un
cappellotto. Niente di che, sa, prof.
-Sì, ok.
-No, davvero.
Era anche storto.
-Bianca, non mi interessa molto...
-Come no?
Pensavo che gli uomini stessero sempre a fare a gara a chi ce l'ha
più lungo.
-Sì, ma non mi metto in competizione con un
sedicenne, avanti.
-Ma con un trentenne sì?
-No, neanche con
un trentenne, quindi figurati con un sedicenne.
-Beh, io comparo
le mie tette con tutte quelle che vedo.
-A sedici anni è
normale.
-Oh-oh-oh, non facciamo gli adulti e consapevoli,
prof.
-Ho il doppio dei tuoi anni, non ho il diritto, ma il dovere
di fare l'adulto e consapevole.
-Laaa preeegooo! - si lamentò,
poi cambiò posizione. - E così, abbiamo aggiunto
anche Cappellotto
alla lista. Che figata.
-Cosa, Cappelletto?
-No, no.
Cappelletto non è stato una figata, gliel'assicuro. No,
dico, tutte
queste persone. Mi sento potente, per essermele fatte tutte. Non la
fa sentire... non so...
-Cosa...?
-Il fatto di piacere a così
tante persone. A lei non dà una sensazione di potere?
-A me no,
perché vivo la sessualità in modo diverso da te.
Ma da parte tua
non mi stupisce un ragionamento simile.
-Eh? Perché?
-Perché
ognuna di quelle persone è un piccolo, piccolissimo gradino
verso la
cima di quell'enorme piramide inespugnabile che è la tua
autostima.
-La mia... cosa? Non è questione di autostima. È
questione di potere.
-Cosa cambia? Ti fanno sentire
importante. O bella. O capace di rubare i ragazzi alle altre. Per
questo lo fai. Non sei capace di sentirti importante e bella da sola,
quindi chiedi agli altri di darti conferma. A costo di ferire
un'altra persona.
Bianca lo fissò.
-Prof – mormorò,
atterrita – non è molto lusinghiero quello che lei
mi sta
dicendo.
-Non è un'accusa, Bianca. Ti sto solo dicendo che sei
insicura, e che da tale ti comporti.
-No – sbuffò lei,
incrociando le braccia. Emanuele la guardò con eloquenza. -
No eh?
No.
-Va bene, no. Parliamo d'altro, vuoi?
-Come no.
Ma era
cambiata, in effetti. Tempo fa avrebbe squittito qualcosa come
“ma
certo prof, io con lei parlerei sempre e in qualunque momento, lo sa
che adoro parlare con lei, è sempre così
interessante”; in
qualche modo, la delusione sembrava averla fatta crescere.
-Allora
raccontami cos'è successo in queste vacanze di Natale.
-Durante
le vacanze? Perché me lo chiede?
-Perché l'ultima volta che ti
ho vista sembravi un morto che cammina, e invece adesso sei vivace
esattamente come ti ricordavo.
-Prof, da come parla sembra che io
sia morta veramente – lo guardò inorridita
– mettiamola così:
vado a periodi. Ok? Adesso è un periodo buono. Anzi,
buonissimo: il
peggio è passato, il meglio deve ancora venire ma siccome
non è
davvero il meglio diciamo che il meglio è
adesso.
-... ti
offendi se ti dico che non ho capito niente?
-Si figuri, no. L'ho
detto apposta, in modo che lei non ci capisse niente. Prof, si limiti
a prendere le cose così come vengono; alla fine,
è l'unica cosa
davvero sensata da fare, in qualsiasi situazione. Non trova?
-Trovo
– mormorò.
-Ho paura che peggiorerà – disse Bianca, a bassa
voce – e peggiorerà. Andrà male, lo so.
È per questo
che...
Parve esitare, e guardò per terra come alla ricerca di una
risposta.
-Che...?
Bianca scosse la testa, poi sembrò prendere
una risoluzione e la rialzò.
-Lasci stare. È già fin troppo
complicato.
-C'entra con tuo padre?
-Prof, davvero. Lasci
stare.
-D'accordo, lascio cadere anche questo discorso. Comunque
torna a trovare Cappelletto, anche se a letto non è un
granché.
-Di
nuovo? E perché?
Ormai l'ho testato.
-Bianca, sei scema o mangi sassi? Cappelletto
è innamorato di te.
D'un tratto Bianca sembrò illuminarsi. Anche
Emanuele s'illuminò. Era nato l'amore...?
-Oh, wow! - esultò la
ragazza – Questi sono centomila punti! Non capita mica tutti
i
giorni di far innamorare qualcuno, lo sa? Cento gradini per la mia
piramide!
Cos'aveva appena finito di pensare? Che era maturata,
cresciuta, adulta?
Centomila punti per il cuore del povero
Cappellotto.
E dopo essere stato messo alla gogna proprio a causa
del suo celebre glande, per di più.
-E
così si è
ripresa?
Camilla lo guardava con occhi spalancati. Ormai era
un'abitudine: ogni sera Emanuele, come se le raccontasse il riassunto
della puntata di una soap opera che si era persa, informava Camilla
sugli eventi riguardanti Bianca. Un po' come raccontare le favole
prima di andare a letto, solo che questi racconti di solito
costituivano il sottofondo delle loro cene.
-Pare di sì –
Emanuele si ficcò in bocca una forchettata di frittata
– solo che
è un po' cambiata. Un po' meno vivace. Credo che qualche
batosta
l'abbia un po' ridimensionata.
-Meno male. Spero che trovi un po'
di pace, quella ragazza. Comunque si comporti, sembra che qualcosa la
tormenti. No?
-Scusa...?
-Ma sì. L'abbiamo vista depressa e
l'abbiamo vista esagitata, ma poche volte l'abbiamo vista tranquilla.
Sembra che ci sia qualcosa che, costantemente, la scuote da cima a
fondo. Non so, sembra... che abbia perso il controllo su se
stessa.
Emanuele ci rifletté un attimo; non giunse ad alcuna
conclusione, ma prese nota mentalmente di quell'osservazione.
-Per
ora è calma – fu tutto ciò che
riuscì a dire, meditabondo, gli
occhi fissi sul vuoto e la forchetta e mezz'aria – ora
è calma.
Però... - Si guardarono negli occhi. Ma nessuno
riuscì a dire
nulla. - Non so. Ma ti ringrazio di avermici fatto pensare.
-Ormai
sta a cuore anche a me – ammise Camilla, tornando alla sua
frittata.
Quella sera riguardarono 300, che entrava nel
novero della sua top 5, ma non riuscì a concentrarvisi. Il
suo
pensiero continuava a tornare a Bianca, e a ciò che si
nascondeva
dietro di lei.
Il giorno seguente, aveva ricevimento. Non
sapeva cosa aspettarsi da Bianca, questa volta, ma quasi sperava che
venisse, perché non si era presentato nessun genitore.
Non fu
deluso: Bianca si presentò con un sorriso.
-Buongiorno –
esordì.
-Buongiorno – rispose, con un sorriso.
-Mi annoiavo
e così sono venuta qui.
-Cosa stavate facendo?
-Roba noiosa
che per di più avevo già capito. Inizia ad essere
un problema
ricorrente.
-Ma perché non riesci a stare in classe tranquilla a
farti i cazzi tuoi, invece che combinare casini e poi venire da
me?
-Ma no, prof. Guardi che ho solo detto alla Lombardi: io la
declinazione dell'aggettivo l'ho capita. Non ho voglia di aspettare
che la capiscano anche gli altri. Le alternative sono due; o mi
lascia uscire a prendere aria, con la promessa che non
combinerò
nessun tipo di casino, oppure rimango qui e trasformo la lezione in
un inferno. E lei ha detto che posso andare.
-Bianca, sei
diventata stronzetta, ultimamente.
-Beh, è stata la delusione
amorosa. Non sono più molto allegra da quando l'ho avuta.
-Anche
con me sei più distaccata.
-Perché, ora le dispiace? - sogghignò
– Non sono mica così inelegante da essere gentile
con un uomo che
mi ha rifiutata.*
-Al contrario, sei molto più inelegante ad
essere scortese. Testa alta, Bianca, altrimenti io capirò
che ti ho
ferita.
-Mi sta suggerendo di fingere?
-Beh, mi sembrava che
questo fosse il tuo intento, no?
-No. Non voglio dimostrarle
niente. È che con lei non riesco più a essere
come prima. Vuole
sentire una citazione che casca a pennello?
-Sentiamola.
-Dunque
– si schiarì la voce – è in
inglese, eh? Non ho una gran
pronuncia, ma dovrebbe essere comprensibile. Senta qua. Do
you
know what hurts the most about a broken heart?
La guardò.
-Lo
sa? - insistette lei.
-No, non lo so. Dimmelo.
-Not
remembering how you felt before. Try and keep that feeling because,
if it goes... you'll never get it back.
-Ovvero, ogni lasciata
è persa?
-Non sia scontato, prof. No, dice che quando tutto va
bene è facile essere sorridenti, perché hai il
cuore pieno di
gioia. Ma quando te lo spaccano in ventimila pezzettini, impossibili
da ricomporre, poi ti dimentichi com'era prima. Ti sembra quasi di
aver sempre sofferto, no? E più passa il tempo, meno riesci
a
ricordarti com'era essere felici.
-La tua era solo una cotta.
-Non
era solo una cotta. Anzi; non è solo una
cotta, perché, per
quanto io mi ostini a dimenticarla, non ne sono proprio capace. Ma a
parte questo, il fatto è che dopo non riesci più
ad essere
fiducioso nel futuro come lo eri prima. Ti aspetti altre ferite. E
finisce che, se anche tornano gli attimi di gioia, tu non riesci a
goderteli e a volte nemmeno a riconoscerli, perché vedi
segnali
della catastrofe da tutte le parti. Così stai sempre
lì in guardia,
troppo occupato a parare i colpi per riuscire a vivere il presente
con serenità.
-Senti, questo significa che ricomincerai a
piangere tutto il giorno e ci toccherà mandarti a casa
perché vuoi
chiuderti in un letto e non vedere più nessuno?
Lei scosse la
testa.
-No, prof. Non credo proprio. Credo di starlo superando,
sto sempre meglio. Ma non credo sia giusto stare meglio. Io credo che
se mi sento meglio non sia perché l'ho davvero superata, ma
perché... come posso spiegarglielo...
-Provaci soltanto.
-Io
provo a spiegarglielo senza dirglielo, ma non è tutto 'sto
facile.
-Allora non me lo puoi spiegare.
-Ho idea di no, prof –
sorrise tristemente.
-Quindi tu sei convinta che la tua per me non
fosse... non sia solo una cotta?
-Perché me lo
chiede?
-Perché vorrei vederci chiaro anch'io.
-D'accordo. Sì,
ne sono convinta, prof. Non lo so, mettiamola così: lei cosa
prova
per Camilla?
-Per Camilla? Beh, ho sempre voglia di vederla. Mi
attrae fisicamente, nel senso che mi scatena delle reazioni. La stimo
profondamente. Con lei sto meglio che con chiunque altro. Non potrei
sopravviverle. Più o meno credo sia questo.
-Benissimo.
Mettiamola così: se lo prova lei che ha trent'anni
è amore, ma se
lo provo io, che ne ho sedici, è una cotta passeggera?
-Tu
conoscerai ancora molte persone.
-Anche lei.
-Sì, ma io ormai
quelle che dovevo conoscere le ho conosciute.
-Anch'io.
-Ma se
devi ancora entrare all'università.
-Senta, prof, potenzialmente
uno può anche non finire mai di conoscere persone. Dipende
solo se
lo vuole.
-E con ciò?
-E con ciò, se lei ha già scelto e io
ho già scelto, dov'è la differenza tra noi due?
-Tu hai tredici
anni meno di me, tutti pieni di gente che potrebbe starti vicino per
più o meno tempo. Devi ancora vivere.
-Ma lei pensa di avere
cent'anni? Anche lei ha una vita intera davanti, una vita in cui le
capiterà di incontrare moltissime altre persone, dopo
Camilla. Ma a
lei cosa interessa, se Camilla continuerà a piacerle
più di tutti?
Io l'ho incontrata prima, la persona che giudico adatta a me, lei
magari l'avrà incontrata dopo, ma rimane che tutti e due
l'abbiamo
incontrata, e chiunque ci capiterà di conoscere non
reggerà il
confronto, a sedici anni come a trenta come a cinquanta.
-Con la
differenza che tu non sei in grado di provare certi
sentimenti
forti, maturi, che resistano anche alle avversità del mondo
degli
adulti.
-Ah, mi sta dicendo che, dato che non abbiamo un mutuo da
pagare assieme, dato che non litighiamo per chi porta giù
l'immondizia, dato che non dobbiamo stringere la cinghia ed accusarci
a vicenda per chi ha prosciugato il Bancomat questo mese, allora non
so cos'è l'amore, perché non conosco il
compromesso e il
sacrificio? È questo, che mi sta dicendo?
-Precisamente. È
facile, quando sei studente e hai zero preoccupazioni, dare il
massimo a un'altra persona. Ma provaci quando hai il bucato da fare e
sei appena tornato esausto dal lavoro, prova a fare l'amore quando
sai che il giorno dopo devi alzarti alle sei per tornare in un posto
dove magari c'è un nido di vipere che ti rovinano la
giornata quando
deve ancora iniziare. L'amore duraturo richiede sforzi. E
pazienza.
-In pratica, con l'amore duraturo, tutto si spegne e
devi prosciugare le tue ultime energie e per fare qualcosa che
comunque non hai le forze di fare. Questo per me non è
amore;
somiglia di più a un castigo.
-Ma lo vedi che non hai capito?
L'amore è quando, nonostante tutte queste cose, cos'avevamo
detto
prima? Hai sempre voglia di vedere quella persona, ti attrae
fisicamente, la stimi profondamente, con lei stai meglio che con
chiunque altro e non potresti sopravviverle. Non è che si
spegne. È
che resiste, il che è tutta un'altra
cosa.
-Capisco –
fece Bianca, delusa – va bene. Be', allora non ho speranze,
giusto?
Sono troppo piccola. Per me va bene un cretino come Cappellotto, uno
che a momenti inciampa sui suoi stessi piedi, uno che capisce solo le
parole “pompino” e “infilarlo”
e “tettone”.
-Ci sono
sicuramente altri sedicenni al tuo livello.
-O forse io non sono
al livello dei sedicenni, solo che lei non me lo vuole
riconoscere.
-Bianca, in realtà non esiste un
“livello”.
Esiste il grado in cui una persona sviluppa una sua cultura e una
capacità di elaborare ciò che le viene inculcato.
Ma ti manca
l'esperienza, Bianca, ci sono molte cose che devi ancora capire, e
questo fattore può cambiarlo solo il tempo.
-Lei è convinto che
io non abbia vissuto nulla, solo perché ho sedici anni.
-Hai
vissuto molto, invece, Bianca. Solo, non hai vissuto le esperienze
giuste, quelle positive, o anche quelle negative che però ti
insegnano qualcosa; e anche ponendo che tu ne abbia vissute,
sicuramente non sono state abbastanza. Questo è.
-Mi sta dando
dell'immatura?
-Sei un'adolescente, Bianca, e te lo devi mettere
in testa. Non lo sarai per sempre, perché non provi un po' a
godertelo? Io pagherei, per avere ancora la tua età.
-Si vede che
non ricorda com'era – osservò, amaramente.
-Me lo ricordo
eccome. Provavo emozioni tanto intense che pensavo mi avrebbero
ucciso. Poi cresci e vai avanti sempre di più con la
filosofia del
lasciar perdere, del tenere a distanza per prevenire, dell'essere
educati e corretti e irreprensibili e falsi. Arrivi
a
reprimerti così tanto che, sì, soffri di meno, ma
sei diventato
insensibile. Mille cose che a sedici anni ti avrebbero steso per
terra ora ti sembrano cazzate, in confronto ad altre cose che hai
vissuto crescendo. E ti rendi conto che sei più forte, ma
poi pensi
che forse sei solo così debole che ti corazzi contro tutto,
anche
contro le semplici emozioni.
-Questa è una confessione a cuore
aperto?
-Te lo sto solo spiegando. Non ho bisogno di confessare
nulla; io ho già passivamente accettato.
-Bella merda, glielo
posso dire? Scusi il termine.
-Già, bella merda. Non è così
eccitante stare con un trentenne, dai retta a me. Siamo appena usciti
dalle prime delusioni forti, siamo a terra più di qualunque
altro.
Non ti farei del bene. Ti farei stare peggio.
-Mentre a Camilla
lei fa un effetto benefico...?
Emanuele sorrise.
-Camilla è
come me – rispose – lei sa perché a
volte torno a casa
stravolto, perché a volte non ho voglia di chiacchierare,
perché
non sono sempre pronto a sbatterla sul letto e dedicare tutta la
notte a noi due. Sa che se potessi sarei diverso, e sa come sono
quando non ho il lavoro a cui badare. Tu, invece, di me hai visto
solo la facciata che sono costretto a portare qui a scuola. Tu non
potresti mai capirmi.
Bianca alzò un sopracciglio.
-Beh, a
voler essere precisi, l'ho conosciuta un po' più a fondo, in
qualche
occasione.
-Ah sì? Mi hai fatto tu la limonata quando avevo lo
scagotto, Bianca? Mi hai mai tenuto la fronte mentre vomitavo dopo
una serata alcolica? Mi sopporteresti la mattina presto, quando
potrei mangiare una persona viva?
-... no. Ma potrei esserne
capace.
-Forse, ma non capiresti mai perché non sono come te. E
alla lunga, diventeresti come me. Non è il caso che una
sedicenne si
comporti come una trentenne.
-Non starò mai con Cappellotto.
-Ma
lo spero bene.
Bianca lo guardò negli occhi, scrutandolo come se
volesse dirgli qualcosa. Era capace di essere indecifrabile, quella
ragazza.
-Non ho proprio speranze? - gli chiese alla
fine.
-Mettiamola così. Qualcun altro, eccetto me, ha speranze,
con te?
-No.
-Ecco. Stesso provo io per Camilla. Come la
mettiamo?
-La mettiamo che Bianca se la mette via.
-Cosa dovrei
fare, secondo te? Lasciare la donna che amo per mettermi con una
donna che non amo, che per di più è una
ragazzina, e in quanto tale
mi farebbe finire dritto al fresco?
-No, non dovrebbe. Ma sarebbe
bello se lei lo volesse.
Emanuele non rispose, le fece un sorriso
di circostanza. Bianca si alzò.
-Be', ci ho riprovato. Ma mi sa
che è ora di andare, prof.
-Monica avrà le mani nei
capelli.
-Già. Allora ci si vede, prof. Grazie della
chiacchierata.
-Ma dai. Ciao, ci vediamo.
-Arrivederci.
Emanuele
era stato colpito da tanta posatezza. Forse Bianca, pensava, era
cambiata, forse si era data una calmata dopo la delusione amorosa.
Si
era consolato con quel tipo di pensieri fino a che, il giorno dopo,
non l'aveva trovata davanti al portone della scuola, intenta a
baciare appassionatamente un tipo più grande di lei.
Solitamente la
gente la teneva a distanza, soprattutto i ragazzi carini,
perché
girava voce che Bianca avesse contratto l'AIDS a forza di andare con
chiunque. Questo tizio in questione aveva capelli ossigenati e
piastrati, occhiali a specchio, jeans con vita bassa che scoprivano
dei boxer fuxia, cintura rosa e un paio di scarpe con sopra
più
colori dell'arcobaleno.
-Buongiorno – le disse, passandole
accanto. Lei aprì un occhio; lo vide e si staccò
dal tamarro in
fuxia.
-Buongiorno, prof! Ha visto? Ho trovato un nuovo
amico!
-'Giorno – fece il suo nuovo amico con un sorriso,
alzando con due dita la visiera del cappellino.
-Buongiorno,
Trolese – replicò educatamente Emanuele.
Bianca gli rivolse un
sorriso allegro, poi si lanciò di nuovo in un
attorcigliamento di
lingue con Trolese, che la palpava tranquillamente in presenza di un
pubblico scandalizzato.
-Attento, che ti passa la sifilide –
gridò infatti qualcuno.
Quelle storie su Bianca, sulle malattie
veneree, avevano iniziato a girare da un po' di giorni. Erano nate
con una battuta, che Emanuele si era limitato a riprendere, ma si
erano espanse a macchia d'olio, e ormai Bianca era stata decretata
ufficialmente affetta dall'HIV.
Ormai, solo i peggiori si
degnavano di andare con lei. I ragazzi a posto, e quelli popolari, la
evitavano come la peste. Quasi tutti si guardavano bene dal parlarle,
spaventati all'idea che la sua reputazione li contagiasse, come un
virus invisibile.
Ma Bianca non se ne curava. Quel giorno fu
incontrollabile. Continuava a disturbare i compagni, tentando di
parlarci, ma perfino quelli che si era portata a letto si rifiutavano
di rivolgerle la parola.
-Crivellaro! Ma insomma! - esclamò lei a
un certo punto, come se non fossero stati nel bel mezzo di una
lezione – Dopo tutto quello che c'è stato tra noi,
ti rifiuti di
parlarmi?
-Dai, per favore, lasciami stare. Hai interrotto la
lezione – replicò Crivellaro senza guardarla; il
che aveva
dell'incredibile, perché Crivellaro era uno dei maggiori
elementi di
disturbo della terza A.
-Guarda che non te le faccio più toccare
– Bianca sorrise maliziosa, si abbassò la
scollatura e si
accarezzò un seno. Tutti gli uomini della classe, Crivellaro
compreso, trasalirono, ma nessuno di loro parlò; fu Giulia a
intervenire.
-Senti, Bianca – disse il suo nome come
se
fosse stato un insulto – l'hai finita di rompere i coglioni?
Perché
non fai a meno di venire a scuola, dato che fai tutto
fuorché
studiare?
-Mmmh – replicò Bianca, reclinando il capo
– guarda
quanti esemplari ci sono in quest'istituto. È un'occasione
irrinunciabile di ampliare le proprie conoscenze.
-No, a scuola si
viene per studiare, non per mostrare le tette!
-Su, non fare così.
È vero, Dio con me è stato generoso e mi ha dato
le tette, mentre a
te no, ma non è il caso di arrabbiarsi a questo modo.
-No, il
fatto è che Dio a te ti ha fatta troia e a me mi ha fatta
normale, e
sinceramente non ho che da ringraziarlo per questo!
-Troia solo
perché pretendo che Crivellaro, dopo che ha fatto i suoi
comodi, mi
rivolga la parola?
-Ma parlagli a ricreazione! Lasciaci far
lezione!
-Il tuo ragionamento non fa una piega, ma non mi va. Non
so perché. Non mi va. Non ho la minima intenzione di far
proseguire
questa lezione. Non mi va di ascoltarla. Non mi va di stare con voi.
Voglio che Crivellaro mi parli. Finché Crivellaro non mi
parla, io
non la smetto. Sì, questa è una minaccia. E no,
non la finisco,
continuerò a parlare finché non mi parla anche
lui. Avanti
Crivellaro, questa è una sfida. Fuori le pistole. Gatti di
polvere
che rotolano. Insegne di vecchie taverne. Strade semideserte e gatti
neri che rizzano il pelo. Qualche cactus...
-Bianca – Emanuele
intervenne – ehi. Fermati.
Lei si voltò nella sua
direzione.
-Oh, professore! Mi scusi se l'ho interrotta. Non
volevo certo danneggiare lei, mi scuso profondamente per il mio
comportamento. Ma non riesco a scusare Crivellaro per il suo
abominevole voltafaccia. Finché Crivellaro non mi
parlerà, io
impedirò in ogni modo che la lezione segua il suo normale
svolgimento. Ricordi il piano dell'offerta formativa o
incorrerà in
una spiacevole autogestione; il che poterà a ulteriori
consigli
degli insegnanti. Perché la classe è troppo
vivace con alcuni
elementi di disturbo che spiccano tra gli altri. Impediscono ai
docenti di proseguire normalmente con la spiegazione. Vanno isolati
oppure integrati, ma non siamo ben certi di come svolgere un
programma d'integrazione per gli studenti con evidenti
problematiche.
-Bianca – la interruppe – cosa stai
dicendo?
-Sto facendo un excursus delle cose che ripetete più
spesso. A volte sapete essere noiosi. Non fate altro che...
-Bianca,
adesso stai zitta – decretò.
-Ci provo, prof. Ci provo,
ci provo, ma ho così tanta voglia di parlare, di dire un
casino di
cose, di fare cose, di comunicare con i miei
coetanei. Ho una
gran voglia di uscire da qui, posso? Posso? Così non
disturbo più
nessuno e mi lancio in attività che io ritengo
più interessanti.
Col massimo rispetto per la sua eloquenza. Posso uscire, prof?
Allora? Me lo permette per favore?
-Per favore, la faccia uscire –
lo supplicò un ragazzo – non ne posso
più di sentirla
blaterare.
-Solo alle elementari i bambini non riescono a stare
seduti tranquilli sui banchi – brontolò una
ragazza.
-Bianca,
per favore vai dalla preside e aspettami lì. Ti raggiungo al
cambio
dell'ora.
-Yes! - esclamò Bianca, poi uscì dalla classe
galoppando. In corridoio, la vide fare una ruota. La
controllò
mentre saltava i gradini due a due, poi uscì dal suo campo
visivo.
Sembrava stesse andando davvero dalla preside.
Fece una gran
fatica a proseguire la lezione, ma in qualche modo arrivò
alla fine
dell'ora.
Si precipitò nell'ufficio della preside, trovò
Bianca
intenta a mangiarsi le unghie con grande concentrazione, mentre la
preside scriveva su qualche registro.
-Buongiorno, Emanuele – lo
accolse placidamente – eccola qui. Abbiamo fatto due
chiacchiere.
-Ottimo – commentò – allora ci siamo
calmati?
-Circa – fu la risposta di Bianca, che sorrideva con
l'aria di chi ne stava progettando una di nuova.
-Avanti, ti
accompagno in aula. Adesso c'è Rossella, vedi di stare
calma.
-Sissì.
Bianca lo seguì, saltellando e lanciandosi in
ardimentose giravolte, su per le scale e nel corridoio. Non le chiese
né disse nulla, la portò solo in aula.
Sentì che l'accolsero con
qualche insulto, ma decise di lasciare che se la sbrigasse da
sola.
Tempo dieci minuti, e vide, dalla quarta A, che Bianca era
stata spedita fuori in corridoio. Passò fuori tutta l'ora;
la sesta
ora, invece, sentì diverse grida provenire dalla sua classe,
e udì
distintamente il nome 'Bianca'.
Il giorno dopo si svolse allo
stesso modo. Fu portata dalla preside, sgridata, punita, sbattuta in
corridoio, ma Bianca non dava segno di volersi calmare. Dalle altre
classi, attraverso le porte a vetri, la guardò mentre
approcciava
altri studenti che si trovavano ad andare in bagno o in segreteria,
poi la vide mentre chiacchierava col bidello, senza mai stare fissa
in una posizione, poi la osservò, sbigottito, mentre
comunicava a
versi con qualcuno in quinta B, attenta a non farsi vedere dalla
prof. Poco dopo, un ragazzo di quella classe – che non era
Trolese
– la raggiunse con un sorriso, la portò vicino
alle scale, la
sbatté contro un muro ed iniziò a metterle le
mani sotto i
vestiti.
Emanuele uscì dalla classe con una scusa. Avvicinatosi
senza far rumore, notò che il tizio aveva una mano sotto la
gonna di
Bianca, e che lei ansimava, e che il tipo stava slacciandosi i
pantaloni e tirando giù le mutandine di lei. A quel punto si
avvicinò, facendo più rumore possibile.
-Ehi – esclamò –
Chi c'è là dietro?
Finse di non averli visti bene, perché, se
li avesse colti nel fatto, avrebbe dovuto farli sospendere tutti e
due, e non voleva mettere nei guai Bianca, nonostante tutto.
Aspettò
il tempo necessario perché si ricomponessero; li
ritrovò rossi e
col fiato corto, ma vestiti.
-Cosa stavate facendo? - domandò,
severo.
-Niente – rispose prontamente il tizio – stavo
andando
in bagno, ho trovato Bianca e abbiamo fatto due parole.
-Non vi ho
sentiti parlare.
-Parlavamo piano... di cose nostre.
-Vai in
bagno e fai quello che devi fare. E tu, Bianca, cosa stai facendo qui
fuori?
-Mi ci hanno buttata – sorrise lei, furba – non
è
colpa mia.
-Ti ci hanno buttata perché stessi da sola, Bianca.
È
lo scopo di una punizione: che tu stia isolata. Quindi isolati, per
cortesia, prima che parli con l'insegnante della tua ora.
-Oki.
Emanuele
aspettò che il tizio si fosse allontanato; poi si
avvicinò a
Bianca.
-Pensavo fossi cambiata – le sussurrò, arrabbiato
–
che fossi diventata adulta, non che fossi regredita.
-E chi ha
voglia di essere adulti, se è come dice lei? -
replicò Bianca
allegramente, attaccandosi alla ringhiera e dondolandosi sulla rampa
di scale, con una gamba alzata a novanta gradi.
-Non per questo
devi comportarti da bambina di sette anni – la riprese.
-A sette
anni non le facevo queste cose, prof.
-Quindi sai che ti ho parato
il culo. Bene. Sappi che è l'ultima volta. Mi hai deluso
parecchio,
Bianca.
Lei sorrise e si allontanò strascicando i piedi.
Quasi
se lo sentiva, ma il giorno dopo passò alla stessa maniera.
Grida,
Bianca per i corridoi, gente che la insultava. Ragazze che la
accerchiavano perché era stata coi loro fidanzatini. Ragazzi
che la
evitavano quando lei cercava di approcciarli. I peggiori stupidi
della scuola che si appartavano con lei da qualche parte.
I giorni
che seguirono la trovò sempre sul portone della scuola, alle
otto di
mattina, avvinghiata a qualche cretino. Ogni suo momento libero era
dedicato al sesso e ai suoi derivati. Una ricreazione, davanti a
tutti, baciò una ragazza dichiaratamente lesbica, e il bacio
fu
tanto duraturo che qualcuno iniziò a filmarlo. Quel filmato
iniziò
a girare, e, assieme ad esso, le voci che Bianca recitasse nei film
porno. Bianca fu fotografata ed Emanuele trovò facilmente in
internet dei fotomontaggi del suo volto con il corpo nudo di qualche
attrice del settore. Bianca le aveva stampate e attaccate con lo
scotch al suo banco.
Quanto agli insegnanti, avevano le mani nei
capelli. Nessuno era più in grado di tenerla in classe per
più di
un quarto d'ora, a parte Antonella ed Emanuele. Fu richiamata spesso
per il suo abbigliamento, ma questo non fece che peggiorare. I suoi
capelli erano sempre più rossi, così come il
rossetto e lo smalto;
iniziò a portare sempre i tacchi alti, e le scollature a
volte erano
così profonde che si vedeva una porzione di reggiseno.
Un giorno,
addirittura, più di qualcuno giurò di averle
intravisto un
capezzolo.
Emanuele durante le sue lezioni lasciava che facesse
qualunque cosa le andasse di fare; tutti fingevano di non vedere la
PSP, ormai tutti la ignoravano quando iniziava a lanciare occhiate in
giro. A volte chiamava la gente, la invitava a parlare, ma nessuno le
rispondeva. Lei allora lasciava perdere e iniziava a fare a pezzi la
gomma da cancellare, per poi ricomporla in svariate forme. Durante le
lezioni dipinse qualche acquerello. Infestò con un terribile
odore
di acetone tutta l'aula, perché si faceva lo smalto nelle
ore di
spiegazione. Il rumore del suo iPod era spesso fastidioso. Qualche
insegnante provò a darle degli esercizi extra da fare
durante la
lezione, e lei li fece, ma era piuttosto veloce e spesso si era
daccapo.
-Ohi, Rossetti – si rivolgeva ai compagni, reggendosi
la testa con la mano e mostrando bene il seno in angolazione
– ti
va di replicare l'altra notte? Adesso, in bagno?
Lo mormorava, ma
lo mormorava forte.
Rossetti guardò la lavagna con
determinazione, lei gli lanciò una penna, gliene
lanciò due,
qualcuno gliene lanciò una in faccia.
-Ahia – disse con una
smorfia, e poi iniziò a lanciare matite a caso. - Guerra
delle
matite! - esclamò, ma nessuno le diede retta, se non per
lanciarle
severe occhiatacce.
I professori facevano finta che non avesse
parlato, e così iniziarono a fare tutti. Ogni tanto parlava
da
sola.
-Sono tutti antipatici – diceva a un pettirosso sul
davanzale, sorridendo – vedi? Non mi danno retta. Come dici?
No,
no, non gli ho fatto niente, io. Gli ho solo dato quello che
volevano. Beh, sì, ad alcune ho tolto
quello che volevano, ma
la gente non lo fa in continuazione?
-Sssh – facevano i
compagni, in coro, infastiditi.
-Vedi? Mi trattano così. Beato te
che sei così carino. Tutti ti vogliono bene. Tutti ti
vorrebbero in
casa loro. Però poi ti mettono in gabbia, non so chi sta
meglio tra
me e te. Dicono che l'uccellino a cui venga aperta la gabbia non voli
via per paura del grande mondo. La paura. Hai...
-STAI ZITTA –
urlavano, e lei sospirava e stava zitta.
Non per molto, però.
Faceva ai professori domande su domande, inerenti al programma, ma
domande in continuazione. Finivano di risponderle, e lei chiedeva
ancora. Proseguire era impossibile. Richiamarla all'attenzione
portava ad assaggiare un'arma a doppio taglio.
Il lunedì, quando
tornarono a scuola, Bianca arrivò accompagnata da un
quarantenne. Lo
salutò con un bacio appassionato, esattamente di fronte
all'entrata.
Lui la salutò con una pacca sul sedere.
Tutti mormoravano
talmente forte che gli insegnanti si precipitarono fuori, a vedere
cosa fosse successo; e videro solo Bianca, con un enorme succhiotto
viola sul collo, che si sistemava i capelli e si avviava verso il
portone, senza neanche lo zaino o un quaderno.
-Guarda col
compagno – le dissero quando lei, richiamata all'ordine,
protestava
di non avere i libri, ma i compagni non volevano.
-Ma guarda che
maleducati – commentò lei, parlando a nessuno in
particolare –
solo perché io ho una vita e loro no. Io ieri sono andata a
letto
alle cinque, mi sono fatta una nottata che se la sognano, ho bevuto
perfino il Dom Pérignon... quanta disdicevole invidia
c'è nel
mondo.
I colleghi, a ogni cambio dell'ora, riportavano notizie di
questo genere.
Un giorno la vide in un parcheggio poco lontano
dalla scuola; all'inizio aveva visto solo un ragazzo fermo sul sedile
della guida, e poi aveva visto la testa di Bianca emergere dal
cruscotto, e la sua mano esile che si asciugava la bocca. Lei si
limitò a salutarlo con la mano.
Attese che arrivasse il
mercoledì, e, quando arrivò, la
afferrò per un braccio e la
trascinò per il corridoio, staccandola dal tizio contro il
quale si
stava strusciando.
-Cosa c'è, prof? - biascicò lei; notò
che
teneva in mano una bottiglietta. Ricordò quello che gli
aveva
raccontato tempo prima. Probabilmente era vodka.
-Quanto male
intendi farti ancora, prima di piantarla una volta per tutte? -
sibilò tra i denti – Adesso andiamo nell'ufficio
della preside.
Intendo parlarti seriamente.
-Ah, voilà! - replicò
allegramente lei, ma lo seguì docilmente.
Arrivati in ufficio,
diede precisi ordini alla segretaria; non voleva essere disturbato.
Adagiò Bianca sul sedile e, per una volta, decise di
mettersi
dall'altra parte della cattedra.
-Mi dica, prof – fece lei;
aveva gli occhi semichiusi e la testa che ciondolava.
-Sei
ubriaca?
-Ah, è molto probabile, prof. Ma mi sento così
tranquilla. Era da un po' che non mi sentivo così.
-Che cos'hai,
Bianca? Cosa ti è successo?
-Cosa mi è successo?
-Mi prendi
in giro? Stai tornando esattamente come prima.
-Mais oui?
-Oui,
Bianca, senza dubbio. Dammi quella bottiglia. Come ti viene in mente
di ubriacarti a scuola?!
-Ma se non bevo mi agito, e se mi agito
tutti se la prendono con me; così bevo e me ne sto
tranquilla,
no?
-Cos'è che ti agita? Cos'hai?
Perché non me lo vuoi
dire?
-Le ho scritto una poesia, prof! A momenti la dimentico.
Tenga.
Bianca gli porse un foglio a righe strappato da un
quaderno. A penna blu era tracciata una poesia quasi
illeggibile.
-Galoppare sulla polvere di stelle... arcobaleni...
fate... cavalli morti...? Cos'hai scritto qui? Budella?
-Già
– proclamò fiera.
-Non riesco a leggere nulla.
-Avevo la
vista un po' appannata. Mi sa che non si legge tanto bene, eh?
-Cosa
stai cercando di dirmi?
-Nulla. Non cerco di dirle nulla. Credo di
invidiarla molto. Lei e Camilla.
-E per questo vai con chiunque ti
capiti?
-Oh, no, prof. No. È perché altrimenti il tempo
mi
divora. Se non lo divoro io, sarà lui a mangiare me. Poi
c'è
l'ottovolante. I cavalli, appunto. Galoppo, e la polvere di stelle,
sa. Ma poi muoiono. Come le ho detto nella poesia.
-Bianca –
Emanuele scandì molto lentamente le parole successive
– quello che
stai dicendo non ha senso.
-Mi sento un po' confusa – fece lei –
sarà l'alcool.
-Aspetto qui finché non ti è passata. Ti porto
un caffè. Te lo faccio bere col sale, se non ci sono altre
soluzioni. Ma tu mi parlerai seriamente, come hai fatto qualche
settimana fa.
-Non mi passa subito. Dovrei dormirci sopra.
-Sei
in grado di rispondere alle mie domande?
-Suppose so.
-Perché
non riesci a startene calma due minuti?
-Sono nata così, prof.
Con una peculiare tendenza all'esuberanza.
-Ma un mese fa stavi
calma. Fin troppo calma. Continuavi a piangere.
-Be', capita a
tutti un momento di sconforto.
-Fai la cretina per non pensare a
quello che succede in casa tua?
-Ma si figuri, prof.
-E
allora?
-Insomma, ho mal di testa – protestò –
voglio solo
starmene in pace. Non ho più disturbato, proprio come mi
avevate
chiesto. Non le ho neanche più proposto di stare con me,
invece che
con Camilla, perché il vostro è un Autentico
Grande Amore. Ho
ubbidito a tutti quanti. Che c'è ancora? Mi lasci tornare in
classe.
-Non finché non avrò una parvenza di dialogo
serio con
te.
-Non ne ho voglia – sbuffò; dopo averlo detto
scattò in
piedi, si voltò e si avviò verso la porta.
Emanuele si alzò
velocemente.
-Tu rimani qui – decretò.
-Sarebbe delizioso,
ma ho un'ora di filosofia che mi aspetta. La prego di scusarmi. In
presenza del re tutti i cortigiani stanno in piedi e si levano il
cappello.
-Ferma – le ordinò, e, dato che si affrettava,
l'afferrò per un braccio e le tirò su la manica
quasi fino al
gomito.
Fu nel fare questo che avvertì una superficie soffice
fare attrito contro la manica.
Guardò il braccio di
Bianca.
Assicurato con lo scotch medico, sul suo polso c'era un
grosso cerotto bianco, che la copriva esattamente in corrispondenza
delle vene.
-Bianca – mormorò, senza fiato –
Bianca...
-Ora
mi lascia andare?
-Bianca – mormorò ancora, mentre le mani
iniziavano a tremargli – che cosa... che cos'hai fatto...?
*
Questa è una
citazione che non ho potuto esimermi dal fare :°D dubito
riuscirete
a coglierla, ma chissà, forse qualche appassionato... *-*
(Nda:
scusate i lunghi tempi d'attesa... è stato un capitolo molto
difficile da scrivere, e, per dirla tutta, non ne sono soddisfatta,
ma le cose sono due: o lo scrivi come viene o non lo scrivi,
altrimenti lo perdi e basta. Mi rimetto al vostro parere :O.
Siccome
ora sono un po' ammalata, non ho proprio le forze per rispondere
singolarmente alle vostre recensioni T___T ma sappiate che le leggo
tutte attentamente e che mi fanno un enorme piacere, per cui vi
ringrazio tutte di cuore per le vostre parole gentili. Sono una
grande fonte di sostegno per me :).
Noto che qualcuno di voi,
nelle sue elucubrazioni XD, sta dirigendosi più o meno sulla
giusta
strada per quanto riguarda Bianca. Non intendo farvi spoiler,
però
credo di poter dire tranquillamente, specie alla fine di questo
capitolo, che, sì, dei problemi ci sono. Penso che entro il
capitolo
10 la storia sarà conclusa, per cui i chiarimenti non
tarderanno ad
arrivare.
Con ciò chiudo e torno alle mie copertine e
all'aspirina ç_ç'' spero di guarire presto,
così scrivo
qualcos'altro XO!
Al prossimo capitolo e grazie ancora delle
recensioni :*!)