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Autore: The Corpse Bride    04/11/2009    7 recensioni
-Bianca, per favore, smettila con questa storia. Non cederò mai. Devo ripetertelo? Sono il tuo professore; non sarò mai il tuo amante.
La ragazzina sbuffò. Sedici anni, capelli rosso fuoco freschi di cotonatura, un trucco nero pesantissimo sfumato dal giorno prima.
Aveva una scollatura così profonda, e una minigonna così corta, e degli stivali così alti, che non si poteva fare a meno di guardarla, a prescindere dagli istinti sessuali che poteva o non poteva provocare.
'Provocare': ecco cosa faceva.
Non chiedeva solo sesso. Chiedeva anche l'altrui disapprovazione. E chiedeva che le parlassero alle spalle, sicuramente. In fin dei conti, per come la vedeva Emanuele, quello che chiedeva era semplicemente attenzione.
-Professore, lei non può sapere per certo che non cederà mai. Chi lo sa cosa potrebbe passarle per la testa domani, o il mese prossimo, o l'anno prossimo?
-Lo so io, cosa mi passerà per la testa: la mia fidanzata, il mio lavoro, i compiti da correggere, le cene fuori coi miei amici. Il mio cane, al massimo. Ma non il sesso con te. Non mi induci in tentazione, Bianca, mettitelo in testa.
-Ma davvero? - lei sorrise malignamente, alzò un sopracciglio, accavallò le gambe e si stese bene sullo schienale; si comportava come una spogliarellista trentenne. - Allora perché ha usato il termine 'cedere'? È alle tentazioni che si 'cede', o sbaglio? Altrimenti avrebbe detto 'non mi piacerai mai'. È già più vicino al concetto del quale lei cercava di convincermi.-Bianca...
-O di convincere se stesso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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-Amore, svegliati. Sono già le otto... amore. Ehi.
Camilla lo svegliò con un bacio sul collo. Si sentì accarezzare la fronte. Con fatica, aprì gli occhi.
-Uh...
-Su, è ora di alzarsi. Io sono già pronta. Ti ho lasciato il caffè in cucina, fai presto prima che si raffreddi, ok? - Camilla lo baciò teneramente su una guancia. - Vado. A stasera, amore.
-Nnngh...
Si stiracchiò, e, nel farlo, riuscì ad accarezzare una mano di Camilla che si stava allontanando. A fatica, uscì dal suo bozzolo caldo di coperte e si avviò rimbalzando pesantemente giù per le scale. Rabbrividendo, raggiunse la cucina, dove la tazzina di caffè tiepido non riuscì a rinfrancarlo del tutto. Una doccia calda risolse parzialmente il problema, ma rimaneva il fatto che avrebbe dovuto affrontare quattro ore di lezione con ben poche ore di sonno alle spalle. Purtroppo, non poteva spiegare ai suoi studenti che anche gli insegnanti qualche volta facevano sesso.
Giacca, camicia, jeans e ventiquattr'ore: questa la sua corazza da combattimento. Qualche volta, in estate, si presentava in polo, jeans e Converse, ma la direzione era piuttosto severa su certe cose; preferivano un abbigliamento meno informale.
Arraffò da uno scaffale Americana, che aveva comprato il mese prima e non aveva ancora letto, e si gettò strizzando gli occhi nel freddo pungente di una mattina di gennaio. Per fortuna, qualche timido raggio di sole gli regalò un po' di tiepida dolcezza.
Alle nove era già più piacevole fare il pendolare; c'era la luce del giorno, c'era meno gente sui treni e più gente per le strade, in generale si sentiva più un viaggiatore che un prigioniero.
Quando arrivò a Padova sedette al piccolo bar di fronte alla scuola, ordinò a Sofia un cappuccino con brioche alla crema, e se li gustò pacificamente mentre leggeva il giornale. Poco dopo fu raggiunto da Rossella ed ebbe modo di scambiare due chiacchiere. Quando suonò la terza ora, ormai era ben disposto nei confronti del mondo: avrebbe salvato Bianca, la terza A e il pianeta Terra, poteva farcela a fare qualunque cosa.
Salì le scale fischiettando, e salutò allegramente tutti gli studenti che incrociò. Nell'avvicinarsi alla terza A, gli parve di sentire un frastuono che non gli capitava di udire da molto tempo.
-Stronza! Puttana! Troia! Sparisci dalla mia vista perché altrimenti ti spacco quella faccia di merda!
-Stai tranquilla...!
-NO! Io la ammazzo questa sboldra del cazzo!
-Lasciala...! Guarda che ti mettono una nota!
-NON ME NE FREGA UN CAZZO! Io la distruggo questa baldracca!
Emanuele si sentì mancare, ed incrociò lo sguardo di Leandro che stava uscendo dalla classe di fianco. Boccheggiò come un pesce, senza riuscire a reagire, ma per fortuna il vecchio Leandro aveva nervi saldi, quindi infilò la testa nella terza A e, dopo un decimo di secondo, vi entrò precipitosamente, ed Emanuele udì la sua voce rauca urlare:
-Ferma lì, signorina! Lasci la Ferreri. Guardi che la faccio sospendere!
-Mi sospenda! Ma prima la mando all'ospedale!
-State calmi! Per l'amor del cielo. Che Dio vi fulmini tutti quanti! Andate al vostro posto.
Emanuele si precipitò in suo aiuto; a passo di marcia si diresse verso la terza A, spalancò la porta e si guardò attorno.
La scena era da film: Cappelletto e Crivellaro tenevano ferma per le braccia Monica Miotto, che, con gli occhi iniettati di sangue e i pugni chiusi che stringevano un paio di ciocche rosse, cercava con violenza inaudita di lanciarsi verso Bianca.
La quale, seduta sul suo banco a gambe accavallate, ghignava spudoratamente davanti a quella furia omicida.
Emanuele, reduce da una notte quasi insonne, per un attimo si chiese se stesse ancora sognando, o se il tempo fosse tornato indietro quella notte, oppure se il mese scorso avesse avuto una lunga, assurda allucinazione.
-Buongiorno, Leandro – esordì, serio, guardandosi attorno – ragazzi, che cazzo state facendo?
-La Ferreri si è fatta il moroso della Miotto – spiegò Crivellaro – abbiamo cercato di spiegare alla Miotto che tanto la Ferreri si è fatta tutti e tutti si sono fatti la Ferreri, quindi non conta... ma non ci dà retta.
-È una sorta d'iniziazione – sorrise amabilmente Bianca, osservando Monica che allungava cinque dita armate di french nella sua direzione – Miottina, non te la prendere, non era niente di personale.
-SE NON CHIUDI QUELLA FOGNA TE LA CHIUDO IO!
-Ti spiace se preferisco farmela chiudere dal tuo fidanzatino?
-Bianca! - la riprese – Ohi. Ma siamo tornati in seconda media? Ragazze, per cortesia, se volete fare una catfight fatela alla fine della sesta ora, quando non siete sotto la mia responsabilità e se vi cavate un occhio sono solo cazzi vostri.
-Figata! Combattimento tra passere!
-Emanuele, te la cavi da solo?
-Sì, grazie, Leandro, vada pure. Ho affrontato scenari peggiori.
-Va bene – borbottò l'uomo, poi lanciò un'occhiata a Bianca – è appena tornata, e già fa il disastro...
Ma Bianca non sembrava affatto turbata. Continuava a trattenere le risate guardando Monica dall'alto del suo banco, dondolando la gamba fasciata appena da un paio di calze trasparenti e da un paio di tronchetti neri, che coprivano ben poco.
Non aveva idea di come fosse successo, ma Bianca era tornata.

-Ragazzi, io capisco che la Divina Commedia non è come leggere... beh, cosa leggete, voi? Twilight? E voi ragazzi? Ma certo, voi non leggete. Beh, insomma, sono d'accordo che ci siano modi migliori per passare il tempo. Ma io devo passare due ore qui. E devo farlo spiegandovi questo canto. Perché non me lo lasciate fare?
Ci fu un improvviso silenzio. Tutti si guardarono attorno, Monica guardò Bianca in cagnesco. E poi parlò.
-Prof – incominciò, nervosa – lei ce l'ha una tipa? O una moglie?
-Sì, Monica, ho una fidanzata.
-Ecco. Se uno arriva e si porta a letto la sua fidanzata, lei non ha voglia di spaccargli la faccia?
Ci rifletté un attimo.
-Sì – rispose infine – prima di spaccargli la faccia, oltretutto, faccio in modo che non potrà mai più portarsi a letto nessuno. Ma in quel letto erano in due, no? Quell'estraneo mi manca di rispetto, ma la mia fidanzata ha tradito la mia fiducia. Per cui, sicuramente me la prenderei con lei, prima che con l'altro.
-Sì, ma la Ferreri ce l'ho qua, e intanto spacco la faccia a lei.
-Ma perché, Bianca cosa ti ha fatto? È più facile prendersela con lei, anziché accettare che la persona di cui sei innamorata non ti ricambia? È comprensibile, ma è infantile. È una di quelle cose che impari più o meno nell'arco del triennio, se hai la fortuna di viverle finché sei giovane. Monica, guarda, ringrazia che sia successo adesso. Più tardi succede e peggio è, credimi.
La ragazzina tacque, più che altro spiazzata. Emanuele sapeva che altri insegnanti non si sarebbero di certo sprecati a dare consigli di ordine sentimentale e ad ascoltare il problema dalla sua voce, e sapeva che a tendere una mano avrebbe avuto indietro i suoi frutti. Riprese a parlare.
-Sentite, lo so che a sedici anni ne succede una ogni giorno; per la verità ne succede una ogni giorno anche a trenta, solo che sono più noiose. Chiariamoci: non è che io ogni tanto non pensi ai cazzi miei mentre vi spiego questa roba. Ma possiamo sforzarci da tutte e due le parti? Cioè, cazzo, lo so che stai male, Monica, e lo so che tutti voi vorreste fare tutt'altro, ma dobbiamo fare questo, e lo dobbiamo fare assieme. Fatemi un favore.
Puntò lo sguardo su Bianca, che sorrideva, dondolava le gambe accavallate e fissava qualcuno con aria maliziosa. Poi lei si voltò e lo guardò, e quando si accorse della sua espressione, si affrettò a raddrizzarsi e puntare una mano sulla fronte, a mo' di saluto militare.
Ma si calmò.
Volarono ancora occhiatacce e ghigni, e Bianca non fece che rotolarsi nel banco senza mai trovare un attimo di requie, ma la lezione finì, e suonò il primo intervallo del nuovo trimestre.

-SEI UNA STRONZA! SEI UNA PUTTANA! Lo sai da quant'è che stavamo assieme? Lo sai?!
-Abbastanza perché lui si annoiasse – buttò lì Bianca, noncurante.
Emanuele era di turno per controllare i corridoi, e si era appostato esattamente fuori dalla terza A. Era piuttosto interessato alla faccenda, e, soprattutto, al cambiamento di Bianca.
-Lui era innamorato di me! E poi sei arrivata tu e hai rovinato tutto!
-La frase che hai appena detto è semanticamente interessante, sai? Analizziamola. Punto uno, per favore, qualcuno la tenga ferma: hai usato l'imperfetto, lo sai?, quindi vuol dire che secondo te non è più innamorato. Non vedo dunque perché insistere con questo tipo. Punto due: era innamorato? Sì? Allora perché è venuto a letto con me? Punto tre: come ha detto Vettorel, in quel letto eravamo in due. Perché ti incazzi con me? Io cosa ti dovevo? Sono tua amica, me ne frega qualcosa di te? No. E a te frega qualcosa di me? No. A lui, invece, avrebbe dovuto fregargliene qualcosa, di te. Ma non glien'è fregato, nonostante steste assieme. Io mi incazzerei di più con lui, poi vedi un po' tu.
-Io ti spacco il culo a te.
-E allora non hai capito niente del mio discorso, vendo perle ai porci. Mettiamola così allora: mi dispiace, Miottina, di essermi portata a letto il tuo morosetto. Mi dispiace soprattutto che tu sia persa di uno che con ogni evidenza non ti corrisponde. Detto ciò, l'imputata chiede il permesso di abbandonare l'aula.
-Tu non vai da nessuna parte!
-Oh, sì che ci vado, figurati se perdo dell'altro tempo. Ho voglia di un caffè. Vuoi anche tu? Te lo offro, in segno di pace.
-CREPA!
-Vaaabé.
Bianca abbandonò l'aula saltellando. Emanuele la osservò mentre superava lo stipite; non si accorse di lui, quindi tirò dritto seguita da Cappelletto, che la tirò per una manica.
-Bianca – la fermò, e lei si girò sorpresa – ohi, ferma. Stai mai ferma un minuto?
-Mai – sorrise Bianca di rimando – cosa c'è, Cappellotto?
-Eh, cosa c'è. Te lo chiedo io cosa c'è. Cosa ti è successo?
-Prego?
-Ma sì, dai, il mese scorso non mi guardavi neanche in faccia, non parlavi... e adesso sei... sei tornata.
-Eh, sì, sono tornata, sei contento, Cappellotto? - gli tirò una guancia, lui si allontanò stizzito – Guardalo, che si vergogna. Dì la verità, senza di me che ti chiedo di mostrarmi il cappellotto non è la stessa cosa, eh?
-Mah. Si sta bene lo stesso.
-Non ci credo. Quando mi mostrerai il cappellotto ti assicuro che sarà indimenticabile, e che da quel giorno in avanti confronterai tutte le altre a me per il resto della tua vita, anche quando sarai sposato e crederai e fingerai di essere innamorato e i tuoi figli ti domanderanno del tuo primo amore e ti verrò in mente io prima di lei e ci sarà una musichetta angosciante e tu...
-Eh?!
-Dai, andiamo a prendere il caffè, Cappellotto – gli passò un braccio attorno alle spalle e lo fece saltellare con lei fino al piano di sotto.
Emanuele incrociò lo sguardo di Sonia, che stava accingendosi a imboccare le scale. Non riuscirono nemmeno a boccheggiare. Scossero la testa, scrollarono le spalle e tornarono ognuno alle proprie faccende, con una mano premuta sulla tempia per evitare che la vena scoppiasse.
Quando più tardi Bianca tornò in classe, senza Cappelletto, accadde l'inevitabile: Monica, che si era appostata dietro la porta, l'afferrò per il collo e, urlando a più non posso, la riempì di schiaffi in viso e le sbatté la testa contro il muro.
Ne fu informato da Giulia, che, dall'alto del suo metro e ottantasette, aveva preso Monica per le braccia, gliele aveva storte dietro la schiena e l'aveva trascinata, a mo' di prigioniera, al cospetto di Emanuele, responsabile del primo piano del lunedì.
-Prof, ha assalito la Ferreri – spiegò nervosamente – credo che le abbia fatto male.
-Va bene, Giulia, puoi lasciarla andare ora.
-No. Questa ragazzina ha bisogno di polso – decretò la ragazza, e le diede una scrollata. Emanuele faticava a mantenere la serietà, ma doveva.
-Va bene, senti, intanto portala dalla preside e spiega cos'è successo. Io arrivo tra poco.
-Andiamo – ordinò Giulia, e con un calcio sul tallone spedì Monica in direzione delle scale.
Emanuele si passò una mano sulla fronte, poi si avventurò all'interno dell'aula.
-Bianca?
Bianca era seduta per terra, e si stava massaggiando la testa.
-Ehi – le si inginocchiò di fianco – tutto a posto? Cos'è successo?
-Eh, mi sa che si è incazzata, prof.
-Eh, ma te un pochetto te le cerchi, Bianca, sì o no?
-Sì, prof – fece un sorriso buffo, con aria colpevole. Non riuscì a non sorriderle di rimando.
-Ragazzi, cosa le ha fatto? Di preciso? Bisogna riferire tutto alla preside.
-Le ha fatto quello che si meritava – fece una ragazza dal fondo dell'aula, e alcuni ridacchiarono.
-Non vi sto chiedendo cosa ne pensate, ma cos'è successo. E con obiettività, grazie.
-Praticamente l'ha presa per il collo, le ha urlato contro che era una baldracca, le ha dato un bel po' di schiaffi sul muso e poi tenendola per il collo l'ha sbattuta un po' di volte con la testa contro il muro.
-Grazie, Valeria. Confermate tutti?
Confermarono, e Bianca rimase lì, tranquilla, guardandosi attorno.
-Va bene, ok. Porto un attimo Bianca giù dalla preside, che dobbiamo risolvere la cosa con Monica. Voi per favore, per favore, vi prego, state calmi. Almeno voi, ve ne supplico.
-Ci penso io, prof – fece Alberto Benetazzo, un metallaro alto un metro e ottanta ricoperto di pelle e ferraglia. Si batté un pugno sul petto e guardò Emanuele con un'aria che voleva essere rassicurante.
-V... va bene, Benetazzo. Ok. Ma niente borchie e catene, ok? Solo confronti verbali e civili.
-Peace and love, prof. Nessuno toccherà nessuno con un dito.
-PORCA PUTTANA, PROF – Giulia entrò in aula come una furia – ho incontrato Cappelletto per le scale – ansimò – gli ho raccontato di Bianca... cazzo, prof. Ha spaccato il naso alla Miotto con un pugno!

In ufficio dalla preside si ritrovarono in cinque.
La preside guardava tutti e tre con tanto d'occhi, e non riusciva a trovare le parole per cominciare il discorso.
Bianca si guardava attorno incantata, leggendo i titoli dei libri e scorrendo con le dita le copertine dell'enciclopedia di fianco a lei.
Monica si tamponava il naso rotto con un fazzoletto fradicio di sangue, mentre aspettavano che arrivasse l'ambulanza.
Tra le due, Cappelletto, intento a rosicchiarsi le unghie con passione fervente, che faceva schizzare uno sguardo nervoso in tutti i lati della stanza.
E, dietro i tre, Emanuele, che ogni venti secondi tirava fuori il fazzoletto per nascondere le risate che gli venivano spontanee dietro una penosa imitazione di starnuto.
-Preside, mi dica cosa devo fare, che tra poco mi vengono a prendere – biascicò Monica, tra le lacrime.
-Sì – Giovanna si riprese – beh, è evidente che tu sarai punita. Hai aggredito la compagna e l'hai fatto in modo molto violento. Sospensione, anche se mi dispiace. Dieci giorni.
-Ripeterò l'anno? - Monica iniziò a piangere.
-Non ne sono sicura, ma è molto probabile. Dobbiamo discuterne tra insegnanti, non posso prendere questa decisione da sola. Certo è che questo gesto non sarà privo di conseguenze.
-Mia mamma mi ammazza – piagnucolò Monica, sgocciolando sangue – oddio, quando torno a casa mi rompe anche il resto...
-Potevi pensarci prima di mettere le mani addosso alla compagna. È un gesto molto grave e voglio che sia chiaro che l'istituto non tollera un comportamento tanto disdicevole. Migliaia di anni di evoluzione per arrivare a prendere a schiaffi la compagna? E per quale motivo, poi?
-Pare ci sia di mezzo un ragazzo – s'intromise cautamente Emanuele.
-Non mi sembra un buon motivo, e sappi, Monica, che non rendi onore al genere femminile. Dovresti vergognarti.
Quella continuò a piangere, ma Giovanna, impassibile, continuò a parlare.
-Inoltre, se almeno fossi furba, avresti aspettato di essere fuori da scuola. Invece, a quanto pare non sei nemmeno furba – osservò la preside, tranquillamente.
-Mi sembra di sentire un'ambulanza – fece Emanuele, dolcemente – accompagno Monica fuori, torno immediatamente.
Mise una mano sulla spalla tremante di Monica, che si alzò e raccolse lo zaino. Mentre raggiungevano il portone, la ragazza riuscì a mormorare qualcosa.
-Guardi che io l'ho fatto perché sono innamorata, di lui. A lei, invece, non gliene importava niente, l'ha fatto solo per fare un dispetto a me, per dimostrare a me o a se stessa o a non so chi che può fregare il ragazzo a qualcun altro. È cattiva, prof – affermò tra le lacrime, mentre gli infermieri la caricavano sopra.
-Un compagno le ha dato un pugno sul naso, penso piuttosto forte. Vi arrangiate voi in caso di denuncia...?
-Sì, deciderà poi la famiglia se sporgere denuncia, intanto la visitiamo e sistemiamo il naso.
-D'accordo, allora provvederà la scuola a fornirvi i dati necessari. Vi lascio la ragazza?
-Certo, la lasci pure a noi. Vieni su, adesso vediamo di sistemare questo naso.
Monica lo salutò, con una certa sofferenza, ed Emanuele non poté fare a meno di provare compassione per lei. Senza ragazzo, sospesa, bocciata e col naso rotto.
E per di più non poteva darle tutti i torti sulla questione Bianca. Che bisogno c'era, in effetti, di andare con un ragazzo impegnato? Certo, lui avrebbe anche potuto tenere l'uccello nei pantaloni, ma Bianca non sembrava nemmeno un po' dispiaciuta per Monica; anzi, sembrava che le sventolasse in faccia la sua conquista per ricordarle che lei era stata clamorosamente sconfitta.
Era anche vero, però, pensò avviandosi verso l'ufficio della preside, che Bianca non veniva trattata molto bene dai compagni, e che probabilmente doveva covare un certo astio nei loro confronti.
Certo, lei non si impegnava per attirare le loro simpatie, ma in fondo non aveva mai fatto loro niente di male. Aveva solo vissuto la sua vita.
Quando aprì la porta, trovò una preside esasperata, una Bianca che si guardava attorno ammaliata, e un Cappelletto che scalciava sotto la sedia.
-Tutto a posto, preside? - domandò cautamente.
-Sì, più o meno. Il signor Cappelletto qui presente sembra aver capito di aver combinato un guaio piuttosto grosso.
Emanuele annuì.
-Sei passibile di denuncia – lo informò – per danni a terzi. Sei minorenne e questo è un punto a tuo favore, ma se sei sfortunato questo pugno colpirà dritto la tua fedina penale.
-Però devo ammettere che è stato un gesto romantico – osservò la preside – rischiare il riformatorio per la signorina Ferreri.
-Eh, adesso, il riformatorio! - sbottò Cappelletto – Alla fine è solo un naso. E le assicuro che le ho fatto un favore, se si ricorda com'era il suo naso prima.
Tutti i torti non li aveva.
-Sì, Cappelletto, ma tu non puoi prendere a pugni tutti quelli che ti fanno arrabbiare. La violenza non è il modo giusto per risolvere i problemi. E se adesso arrivasse qualcun altro che picchia te perché hai picchiato Monica?
-Mi spacca il naso, ma non ne esce tutto intero neanche lui!
-Ma non è questo il punto! Il punto è che non potete comportarvi così, come bambini delle elementari. Non lo tollero nel modo più assoluto. La violenza è sbagliata, sba-glia-ta. E sappi, Cappelletto, che credo dovremo espellerti da scuola.
-Cosa...?
Il ragazzo sbarrò gli occhi, senza fiato.
-Cosa ti aspettavi? Hai rotto il naso a una ragazza, è una cosa gravissima. Non possiamo accettarti in quest'istituto.
-Ecco, vaffanculo – borbottò lui. La preside drizzò la schiena.
-Come hai detto, prego?
-Ho detto 'vaffanculo', ma lo dicevo a me. Non a lei.
-Beh, evita una simile terminologia in ogni caso. E adesso per favore tornate in classe.
-Mi scusi, preside – intervenne Emanuele – io farei controllare anche Bianca.
-Può andare a farsi visitare nel pomeriggio, non mi sembra grave. E a proposito, signorina Ferreri, la prossima volta mi faccia il favore di non provocare la compagna.
-Ma io non l'ho provocata – si difese lei – quando sono entrata in classe ha iniziato a urlarmi insulti e a minacciarmi. E poi mi ha picchiata. Io le ho solo detto che dovrebbe prendersela col suo ragazzo che l'ha tradita e non con me, perché non siamo mai state amiche e non vedo perché dovrei avere riguardi per lei, e ho aggiunto che forse non ne vale la pena, per uno che la tradisce e quindi forse non ricambia tanta devozione. Ho il diritto di spiegare le mie ragioni anch'io, giusto?
-Beh, sì, è giusto, ma, per favore, eviti comportamenti che possano turbare l'armonia della classe... a monte.
-Preside – insorse Bianca, severa – quanto faccio nel mio tempo libero non rientra nella giurisdizione del corpo docenti. Il vostro compito è quello di giudicare ed eventualmente punire i le nostre azioni all'interno dell'ambito scolastico; ma nel momento in cui agisco all'esterno di questo contesto, sono libera di fare ciò che preferisco. Inoltre non mi sembra di aver contravvenuto ad alcuna regola comportamentale dell'istituto, ragion per cui mi ritengo assolutamente innocente in questa controversia.
Era partita bene, ma verso la fine aveva un po' esagerato. La preside alzò un sopracciglio.
-Non siamo in un'aula di tribunale – le fece notare – ad ogni modo, vediamo di stemperare sul nascere le discussioni. Se provocati, ignoriamo. E in questo modo saremo sempre dalla parte della ragione.
-Sììì. E l'ignoranza è colpa, e sorridi e il mondo ti sorriderà, e non andate in gita perché la classe è turbolenta e se i vostri compagni disturbano dovreste fare in modo di mantenere il silenzio e la responsabilità è anche vostra e quando si cresce si diventa responsabili, questo è essere adulti, j'accuse, nota, sospensione, punizione...! Chi offre di più?
-Bianca, adesso basta – la riprese Emanuele – torniamo di sopra e lasciamo da parte tutta questa storia. - Si rivolse alla preside. - Credo sia solo sconvolta. Aspetti un minuto. Ragazzi, aspettatemi qui fuori; qui, davanti alla porta. Arrivo subito.
I due si alzarono e si diressero stancamente verso l'uscita. Quando la maniglia scattò, Emanuele sedette alla scrivania della preside.
-Mi scusi se prolungo questa discussione spiacevole, ma credo sia opportuno informarla al riguardo di una questione.
-Mi dica.
-Bianca mi ha confessato che a casa il padre usa violenza su di lei. Credo che la faccenda le abbia ricordato le vicende domestiche... e, in fin dei conti, è anche vero che questa volta non ha alcuna colpa.
-Lo so – sospirò la preside – ma vorrei che capisse che deve darsi una calmata, in generale. Stare tranquilla, ferma, in silenzio. È anche nel suo interesse che le dico di non avere un comportamento tanto... libero. La nostra libertà è molto, molto limitata, purtroppo.
-Lo so – fu il suo turno di sospirare – lo so bene. Eppure non riesco a prendermela più di tanto con questa ragazza. Il mese scorso non faceva che piangere.
-Lo so – mormorò la preside, di nuovo. - Credimi, Emanuele, anch'io ho a cuore questa ragazzina. Ce li prendiamo un po' tutti a cuore, no? Questi casi disperati a cui vorremmo dare la speranza. Poi scopriamo che non è possibile, e finisce che ce la prendiamo con loro per la nostra frustrazione, mentre loro continuano a chiederci silenziosamente di aiutarli... ma a quel punto abbiamo solo voglia di allontanarli.
Emanuele impallidì.
-Lei ha espresso esattamente i miei sentimenti in questo momento.
Giovanna sorrise.
-Faccio questo lavoro da più tempo di te. Per questo a volte ho la presunzione di volerti insegnare qualcosa. - Sistemò alcuni documenti, con un paio di toc leggeri e decisi sul piano della scrivania. - Ora va' e vedi di tenere tranquilli Lancillotto e Ginevra.
-Un Lancillotto alquanto peculiare.
-E una Ginevra assai poco tradizionale.
Sorrisero entrambi, ed Emanuele uscì dalla porta un po' sollevato. Non sapeva perché si sentisse così, dato che la preside gli aveva appena detto, sostanzialmente, che il loro destino era nella maggior parte delle volte quello di fallire. Ma il fatto di non sentirsi più solo, in qualche modo, di non essere il solo a sentirsi cedere ogni giorno, l'aiutò più di quanto non avrebbe mai immaginato.
E dire che non aveva mai creduto al mal comune, mezzo gaudio. Aveva sempre pensato che avere problemi e incontrare un altro incasinato quanto te fosse una delle cose più tristi e scoraggianti che potessero capitare.
-Fatto, prof? Ho sentito tutto, sa. Stando a lei, sembra che io venga da una famiglia disagiata che vive di cassa integrazione e alcool e occasionali tirate di cocaina.
-Bianca, ora per favore taci due minuti, ok?
-Ecco, me lo dicono sempre tutti. Anche Cappellotto, oramai. Georgia Nicolson, che era una persona saggia, diceva: chi me l'ha fatto fare di scazzarmi a imparare a parlare, se tanto adesso tutti mi ripetono in continuazione di tacere?
-Impara l'arte e mettila da parte, dice un detto.
-Comunque, per ringraziare Cappellotto del suo atto cavalleresco, posso portarmelo una mezz'oretta in bagno?
-Che non ti venga in mente nemmeno di ripeterlo.
-Ma prof, il povero Cappellotto sta vivendo i suoi ultimi attimi da uomo libero! Da domani sarà ricercato in quarantotto stati, ormai girano i cartelli WANTED col suo cappellotto stampato sopra...
-Bianca, come posso fare a tapparti la bocca?
-Col cappellotto di Cappellotto. Mezz'ora, prof. Non di più.
-Ehi – protestò Cappelletto – io duro più di mezz'ora.
-Fate quello che volete – Emanuele si allontanò verso la classe alzando le braccia al cielo. Bianca scoppiò a ridere e, assicuratasi Cappelletto a braccetto, si avviò felice e contenta verso l'aula della terza A assieme a lui.

Camilla, lunga distesa sul divano, rideva così tanto che dovette portarle un bicchiere d'acqua.
-Io non ce la facevo più. Da un lato non riuscivo più a trattenermi dal ridere, dall'altro mi veniva da piangere.
Emanuele si aprì una birra; finalmente era riuscito ad infilarsi la sua tuta di felpa grigia e rivivere gli avvenimenti in retrospettiva assieme a Camilla.
-Cioè, curati la scena: Bianca che guardava le farfalline per aria, la preside con le mani nei capelli e Cappelletto che diceva 'sì, ma gli faccio male anch'io!'. Ecco: era per cose come questa che ho scelto di insegnare. Proprio per cose come questa.
-E alla fine? Cosa faranno a Cappelletto?
-Non so, parlano di espulsione, ma secondo me sia lui che la Miotto se la caveranno con una sospensione. Alla fine, se i genitori della Miotto prendono provvedimenti, credo che quelli saranno più che sufficienti.
-E Bianca, come l'ha presa?
-Mah, Bianca era tranquilla. Te l'ho detto, è tornata esattamente com'era prima. Ovvero, tutt'altro che tranquilla: per lo più parlava a vanvera e faceva proposte indecenti a chiunque fosse nel raggio di cinque metri.
-Che le sia passata durante le vacanze?
-Può essere. Magari ha passato un bel Natale, si è divertita con gli amici il Capodanno, boh. A quell'età passa in fretta.
-Pensi che la storia con la Miotto le abbia ricordato il padre?
-Se anche fosse, l'ha nascosto bene. Sembrava che la cosa la divertisse. Le parlerò, promesso.
-Ok. Ma adesso vieni qui.
Camilla sorrise, ed Emanuele le sorrise di rimando. Le si sedette accanto, e lei si alzò e si accomodò a cavalcioni sopra di lui. Le prese il viso tra le mani e stava per baciarla, quando all'improvviso un ricordo lo fulminò.
-Che c'è? - chiese lei, e lo guardò un po' preoccupata.
Bianca che gli si strusciava contro, la sua erezione, le labbra vicine.
No, non era successo, non era successo. Non era successo niente. Doveva dimenticarselo.
-Niente – mormorò; sorrise, e la baciò, ma lo fece senza trasporto. Il buio dietro le palpebre abbassate lo distraeva costantemente.


Il giorno dopo aveva un'ora con la terza A; di storia. Mantenere l'attenzione della classe era ancora più difficile che nelle ore di lettere. Ma puntava sull'assenza di Monica, che probabilmente era sotto i ferri, e di Cappelletto, che probabilmente stava passando un brutto quarto d'ora.
Il problema era che Bianca era ancora lì; decise dunque di usare il metodo più perfido che avesse a disposizione per mantenere la sua attenzione focalizzata sul Rinascimento.
-Bianca, devo interrogarti. Bisogna recuperare i voti scritti dello scorso trimestre.
Bianca sospirò, ma non obiettò. Per una buona mezz'ora, Bianca aprì bocca solo per parlare di battaglie, dinastie e annessioni; la tranquillità della classe ne trasse grande beneficio e, quando l'interrogazione finì – con il massimo del punteggio – la lasciò concentrarsi sulla sua PSP, in modo da poter continuare con le spiegazioni. Dopo un po', Bianca iniziò a seguire la lezione; durante i punti morti si mise a disegnare fiori prima sul quaderno e poi sul banco, col risultato che alla fine dell'ora toccò chiamare il bidello e farsi dare straccio e detersivo.
L'insegnante dell'ora successiva fu ben felice di trovare Bianca occupata con quella faccenda; ma non passò molto tempo prima che Bianca fosse spedita fuori dalla classe, colpevole di aver riempito di fiorellini anche i vetri della finestra con l'indelebile nero.
La trovò seduta sulle poltrone in atrio intenta a stendersi lo smalto rosso sulle unghie.
-Beh? - la chiamò, quando le fu davanti.
-Ah, salve, prof. Mi hanno sbattuta fuori.
-Grande. Hai contato quante volte è successo da quando l'anno è iniziato?
-Una, prof. L'anno è appena iniziato.
-L'anno scolastico.
-Beh, sempre una, prof. Siamo tornati a scuola ieri.
-Come amo ripetere, anzi ripeterti, non testare i limiti della mia pazienza.
-Faccio più – pigolò.
-E allora? Come stai?
-Come sto? Benissimo. Finalmente sono uscita da quel mortorio. Il banco inizia a starmi stretto, sa, prof?
-Eh, lo so eccome. Sembra che un po' tutto ti stia stretto. Senti un attimo, come l'hai presa la storia di ieri?
-Cosa, che la Miotto a momenti fa marmellata col mio cervello?
-Esatto.
-Mah, non è che mi abbia fatto tutto 'sto male. È una ragazzina, quanta forza può avere?
-E la storia di tuo padre?
-Mio padre?
-Beh, non vorrei che ti avesse ricordato quello che è successo quella volta.
-Prof, succede praticamente ogni giorno. Non mi spaventa un soldino come la Miotto; ormai potrei combattere a mani nude contro John Rambo e farlo pentire di essersi messo contro di me.
-Non è quello, Bianca. Voglio dire; è brutto quando qualcuno si sente in diritto di metterci le mani addosso, indipendentemente da quanto male ci fa. Vuoi dirmi che non sei stata segnata almeno un po' da quelle cose?
-Non saprei. Può essere, ma ormai fa parte della mia quotidianità. C'è un limite oltre al quale non puoi più fare male a qualcuno.
-Intendi, fisicamente?
-No, quelle purtroppo le sento ancora – lei sorrise, ed Emanuele si rabbuiò per via di quel sorriso amaro, pieno di rassegnazione – io parlo delle ferite emotive di cui parlava lei. Sì, può anche dispiacermi che un tot di persone si sentano in diritto di prendermi a schiaffi, ma se ci stessi male ogni volta, addio. A un certo punto uno non ci fa più caso, stringe i denti e lascia perdere; tanto capiterà di nuovo. Inutile che me la prenda.
-E invece sei stupida, perché dovresti arrabbiarti.
-Ma poi la preside mi butta fuori dalla scuola una volta per tutte. Prof, nonostante ciò che pensate, non sono idiota, e conosco la mia posizione.
-Non parlavo della Miotto.
-La mia risposta non varia di molto. Gliel'ho spiegato, cosa accadrebbe se alzassi la testa. E poi non pensiamo a queste cose brutte, avanti! - Bianca sembrò tornare la solita ragazzina allegra e spensierata che era stata fino a un mese prima. Fino a quel momento, gli era quasi parso di parlarle da pari a pari. - Sa che questa sera io e i miei amici facciamo la gara di chupiti? Chi ne beve di più, vince un premio.
-Sarebbe?
-La mia patata per una notte – sorrise trionfante, ed Emanuele non seppe capire se scherzasse o meno.
-Cioè il più alcolizzato di voi viene a letto con te?
-La più alcolizzata sono indiscutibilmente io. Per questo mi hanno messo fuori gara. Ma chi vince questa gara, cioè chi è alcolizzato quasi quanto me, mi può portare a letto.
-Bello. E se vince uno che non ti piace?
-Mi piacciono tutti. Ognuno ha qualcosa di bello, qualcosa che lo fa valere la pena di mostrargliela.
Emanuele d'improvviso sorrise.
-Anche Cappelletto? - le chiese.
Bianca lo guardò, sorpresa.
-Cappellotto? Perché mi parla di Cappellotto?
-Perché sta passando dei guai abbastanza seri per te. Invece che darla al più coglione della tua compagnia, che se tutto va bene ti sbocca sulle tette perché ha bevuto un litro di rhum e uno di pera, perché non vai a trovarlo e a sentire come sta? Non tutti avrebbero spaccato il naso alla Miotto per difenderti.
-Forse non per difendermi, ma credo che più di qualcuno avrebbe volentieri spaccato il naso alla Miotto. Anche il suo ragazzo, glielo garantisco, solo che non ha mai avuto le palle per dirglielo.
-Lascia stare il naso della Miotto. Cappelletto si merita almeno una visita di cortesia, non trovi?
-Gliela dovrei dare, secondo lei?
-Beh, non era proprio quello che intendevo, ma se per te non ci esistono discriminanti, perché no?
-Cappellotto – scandì Bianca, meditabonda – ma sì, dai. Oggi pomeriggio vado a dirgli grazie. È stato carino a spaccare il naso alla Miotto.
-Per te – precisò Emanuele.
-Per me o per qualsiasi altro, chiunque spacchi il naso alla Miotto è degno della mia riconoscenza. E anche di quella unanime. Lo dica, avanti, lo sputi finalmente. È d'accordo con me, vero? Guardi che glielo leggo negli occhi – lo ammonì.
Emanuele ridacchiò sotto i baffi e scosse la testa.
-Alle volte sei impossibile – asserì – giuro, mi metti in difficoltà. Altre mi fai stringere il cuore. Altre ancora, la maggior parte, sei la solita pagliaccia. Qualche volta sembra quasi di parlare a una persona al mio livello, ma poi mi fai cambiare idea un'altra volta.
-Anch'io mi vivo un po' così.
-Ce l'avevo a morte con te – ammise – per... per quello che sai. La verità è che mi piaci, Bianca. Una parte di me stima una parte di te. Se tu fossi più grande e se queste due parti di noi fossero più grandi... in quel caso forse avrei scelto te.
-Al posto di Camilla?
-Non so se in questo caso l'avrei conosciuta. Ma so che vali, Bianca, solo che non te ne sei ancora accorta.
Le diede un buffetto sulla testa; le sorrise, lanciò un'ultima occhiata al suo faccino confuso e poi si allontanò, alzando una mano in segno di saluto.
Divertito, uscì dal portone pensando alle guance di Bianca che diventavano rosse, alla faccia delle sue ambiguità e promiscuità e sessualità precoce.

Il giorno dopo non aveva la terza A, ma aveva l'ora di ricevimento. Per la prima volta dopo tanto tempo, l'ammasso di capelli rossi tornò a fare capolino sullo stipite.
-Prof, posso? - fece Bianca, seminascosta dietro la posta; di lei vedeva solo gli occhioni vivaci e le dita aggrappate all'uscio.
-Ma sì che puoi, entra – sorrise.
Stavolta gli faceva piacere vederla. L'ultimo dialogo tra loro era stato piuttosto adulto, e l'aveva vista piuttosto cresciuta, anche se 'cresciuta' significava 'rassegnata e disillusa'. Ma almeno aveva mantenuto la calma e formulato un discorso di senso compiuto; si era preoccupato, il giorno prima, quando aveva iniziato a infervorarsi dalla preside.
-Dimmi. Cosa c'è stavolta?
Ma lo disse bonariamente. Lei infatti sorrise.
-Beh, prof, ieri sono andata a trovare Cappellotto – esordì, con l'aria di chi teneva sulla punta della lingua una notizia bomba, pronta a rotolare fuori.
-Ah, questa è una novità interessante. Come si è svolto l'incontro?
-Ma niente, sono andata a casa sua, mi ha aperto sua mamma, tra parentesi a momenti le viene uno scompenso quando mi ha vista... il suo sguardo diceva “ma è per questa sgualdrina che hai messo in gioco il tuo futuro?! Ma sei davvero il figlio che io ho partorito?”.
Emanuele rise. Bianca s'imbronciò.
-Non c'è niente da ridere, prof! Sarò un po' quello che sono, ma non sono mica tutto questo schifo. Sotto tutte queste tette batte un cuoricino tenero tenero, sa? Tra l'altro, ho ricominciato a mangiare, ha visto che mi sono ricresciute?
-No, Bianca.
-Non importa, l'hanno visto tutti gli altri, è lei che non guarda bene – e non sa cosa si perde. Vabé. Comunque entro, vado in camera sua, con sua mamma che mi segue per le scale con l'ascia in mano pronta a colpirmi alla prima mossa sbagliata, e lui era lì, povero cristo, con gli occhi lucidi che cercava di non piangere. Hanno deciso di denunciarlo, sa? Sono proprio i genitori della Miotto, non c'è che dire.
-Mi sembra normale che gli girino un po' le palle se uno spacca il naso alla loro unica e preziosa creatura.
-Sì, sono d'accordo, ma loro volevano dargli l'ergastolo.
-Beh, l'ergastolo mi sembra un po' eccessivo.
-Infatti non è vero, non vogliono dargli l'ergastolo. Però è vero che vogliono spedirlo in riformatorio.
-Credo se la caverà con una sanzione pecuniaria e qualcosa tipo servizio civile. È anche minorenne, magari non gli succederà nemmeno questo.
-Non so, però, povero Cappellotto, era proprio giù di morale. E così mi ha fatto pena e gli ho aperto i jeans, e insomma, alla fine l'ho visto, questo famoso Cappellotto.
-Ok.
-Non è esattamente un cappellotto. Niente di che, sa, prof.
-Sì, ok.
-No, davvero. Era anche storto.
-Bianca, non mi interessa molto...
-Come no? Pensavo che gli uomini stessero sempre a fare a gara a chi ce l'ha più lungo.
-Sì, ma non mi metto in competizione con un sedicenne, avanti.
-Ma con un trentenne sì?
-No, neanche con un trentenne, quindi figurati con un sedicenne.
-Beh, io comparo le mie tette con tutte quelle che vedo.
-A sedici anni è normale.
-Oh-oh-oh, non facciamo gli adulti e consapevoli, prof.
-Ho il doppio dei tuoi anni, non ho il diritto, ma il dovere di fare l'adulto e consapevole.
-Laaa preeegooo! - si lamentò, poi cambiò posizione. - E così, abbiamo aggiunto anche Cappellotto alla lista. Che figata.
-Cosa, Cappelletto?
-No, no. Cappelletto non è stato una figata, gliel'assicuro. No, dico, tutte queste persone. Mi sento potente, per essermele fatte tutte. Non la fa sentire... non so...
-Cosa...?
-Il fatto di piacere a così tante persone. A lei non dà una sensazione di potere?
-A me no, perché vivo la sessualità in modo diverso da te. Ma da parte tua non mi stupisce un ragionamento simile.
-Eh? Perché?
-Perché ognuna di quelle persone è un piccolo, piccolissimo gradino verso la cima di quell'enorme piramide inespugnabile che è la tua autostima.
-La mia... cosa? Non è questione di autostima. È questione di potere.
-Cosa cambia? Ti fanno sentire importante. O bella. O capace di rubare i ragazzi alle altre. Per questo lo fai. Non sei capace di sentirti importante e bella da sola, quindi chiedi agli altri di darti conferma. A costo di ferire un'altra persona.
Bianca lo fissò.
-Prof – mormorò, atterrita – non è molto lusinghiero quello che lei mi sta dicendo.
-Non è un'accusa, Bianca. Ti sto solo dicendo che sei insicura, e che da tale ti comporti.
-No – sbuffò lei, incrociando le braccia. Emanuele la guardò con eloquenza. - No eh? No.
-Va bene, no. Parliamo d'altro, vuoi?
-Come no.
Ma era cambiata, in effetti. Tempo fa avrebbe squittito qualcosa come “ma certo prof, io con lei parlerei sempre e in qualunque momento, lo sa che adoro parlare con lei, è sempre così interessante”; in qualche modo, la delusione sembrava averla fatta crescere.
-Allora raccontami cos'è successo in queste vacanze di Natale.
-Durante le vacanze? Perché me lo chiede?
-Perché l'ultima volta che ti ho vista sembravi un morto che cammina, e invece adesso sei vivace esattamente come ti ricordavo.
-Prof, da come parla sembra che io sia morta veramente – lo guardò inorridita – mettiamola così: vado a periodi. Ok? Adesso è un periodo buono. Anzi, buonissimo: il peggio è passato, il meglio deve ancora venire ma siccome non è davvero il meglio diciamo che il meglio è adesso.
-... ti offendi se ti dico che non ho capito niente?
-Si figuri, no. L'ho detto apposta, in modo che lei non ci capisse niente. Prof, si limiti a prendere le cose così come vengono; alla fine, è l'unica cosa davvero sensata da fare, in qualsiasi situazione. Non trova?
-Trovo – mormorò.
-Ho paura che peggiorerà – disse Bianca, a bassa voce – e peggiorerà. Andrà male, lo so. È per questo che...
Parve esitare, e guardò per terra come alla ricerca di una risposta.
-Che...?
Bianca scosse la testa, poi sembrò prendere una risoluzione e la rialzò.
-Lasci stare. È già fin troppo complicato.
-C'entra con tuo padre?
-Prof, davvero. Lasci stare.
-D'accordo, lascio cadere anche questo discorso. Comunque torna a trovare Cappelletto, anche se a letto non è un granché.

-Di nuovo? E perché? Ormai l'ho testato.
-Bianca, sei scema o mangi sassi? Cappelletto è innamorato di te.
D'un tratto Bianca sembrò illuminarsi. Anche Emanuele s'illuminò. Era nato l'amore...?
-Oh, wow! - esultò la ragazza – Questi sono centomila punti! Non capita mica tutti i giorni di far innamorare qualcuno, lo sa? Cento gradini per la mia piramide!
Cos'aveva appena finito di pensare? Che era maturata, cresciuta, adulta?
Centomila punti per il cuore del povero Cappellotto.
E dopo essere stato messo alla gogna proprio a causa del suo celebre glande, per di più.


-E così si è ripresa?
Camilla lo guardava con occhi spalancati. Ormai era un'abitudine: ogni sera Emanuele, come se le raccontasse il riassunto della puntata di una soap opera che si era persa, informava Camilla sugli eventi riguardanti Bianca. Un po' come raccontare le favole prima di andare a letto, solo che questi racconti di solito costituivano il sottofondo delle loro cene.
-Pare di sì – Emanuele si ficcò in bocca una forchettata di frittata – solo che è un po' cambiata. Un po' meno vivace. Credo che qualche batosta l'abbia un po' ridimensionata.
-Meno male. Spero che trovi un po' di pace, quella ragazza. Comunque si comporti, sembra che qualcosa la tormenti. No?
-Scusa...?
-Ma sì. L'abbiamo vista depressa e l'abbiamo vista esagitata, ma poche volte l'abbiamo vista tranquilla. Sembra che ci sia qualcosa che, costantemente, la scuote da cima a fondo. Non so, sembra... che abbia perso il controllo su se stessa.
Emanuele ci rifletté un attimo; non giunse ad alcuna conclusione, ma prese nota mentalmente di quell'osservazione.
-Per ora è calma – fu tutto ciò che riuscì a dire, meditabondo, gli occhi fissi sul vuoto e la forchetta e mezz'aria – ora è calma. Però... - Si guardarono negli occhi. Ma nessuno riuscì a dire nulla. - Non so. Ma ti ringrazio di avermici fatto pensare.
-Ormai sta a cuore anche a me – ammise Camilla, tornando alla sua frittata.
Quella sera riguardarono 300, che entrava nel novero della sua top 5, ma non riuscì a concentrarvisi. Il suo pensiero continuava a tornare a Bianca, e a ciò che si nascondeva dietro di lei.

Il giorno seguente, aveva ricevimento. Non sapeva cosa aspettarsi da Bianca, questa volta, ma quasi sperava che venisse, perché non si era presentato nessun genitore.
Non fu deluso: Bianca si presentò con un sorriso.
-Buongiorno – esordì.
-Buongiorno – rispose, con un sorriso.
-Mi annoiavo e così sono venuta qui.
-Cosa stavate facendo?
-Roba noiosa che per di più avevo già capito. Inizia ad essere un problema ricorrente.
-Ma perché non riesci a stare in classe tranquilla a farti i cazzi tuoi, invece che combinare casini e poi venire da me?
-Ma no, prof. Guardi che ho solo detto alla Lombardi: io la declinazione dell'aggettivo l'ho capita. Non ho voglia di aspettare che la capiscano anche gli altri. Le alternative sono due; o mi lascia uscire a prendere aria, con la promessa che non combinerò nessun tipo di casino, oppure rimango qui e trasformo la lezione in un inferno. E lei ha detto che posso andare.
-Bianca, sei diventata stronzetta, ultimamente.
-Beh, è stata la delusione amorosa. Non sono più molto allegra da quando l'ho avuta.
-Anche con me sei più distaccata.
-Perché, ora le dispiace? - sogghignò – Non sono mica così inelegante da essere gentile con un uomo che mi ha rifiutata.*
-Al contrario, sei molto più inelegante ad essere scortese. Testa alta, Bianca, altrimenti io capirò che ti ho ferita.
-Mi sta suggerendo di fingere?
-Beh, mi sembrava che questo fosse il tuo intento, no?
-No. Non voglio dimostrarle niente. È che con lei non riesco più a essere come prima. Vuole sentire una citazione che casca a pennello?
-Sentiamola.
-Dunque – si schiarì la voce – è in inglese, eh? Non ho una gran pronuncia, ma dovrebbe essere comprensibile. Senta qua. Do you know what hurts the most about a broken heart?
La guardò.
-Lo sa? - insistette lei.
-No, non lo so. Dimmelo.
-Not remembering how you felt before. Try and keep that feeling because, if it goes... you'll never get it back.
-Ovvero, ogni lasciata è persa?
-Non sia scontato, prof. No, dice che quando tutto va bene è facile essere sorridenti, perché hai il cuore pieno di gioia. Ma quando te lo spaccano in ventimila pezzettini, impossibili da ricomporre, poi ti dimentichi com'era prima. Ti sembra quasi di aver sempre sofferto, no? E più passa il tempo, meno riesci a ricordarti com'era essere felici.
-La tua era solo una cotta.
-Non era solo una cotta. Anzi; non è solo una cotta, perché, per quanto io mi ostini a dimenticarla, non ne sono proprio capace. Ma a parte questo, il fatto è che dopo non riesci più ad essere fiducioso nel futuro come lo eri prima. Ti aspetti altre ferite. E finisce che, se anche tornano gli attimi di gioia, tu non riesci a goderteli e a volte nemmeno a riconoscerli, perché vedi segnali della catastrofe da tutte le parti. Così stai sempre lì in guardia, troppo occupato a parare i colpi per riuscire a vivere il presente con serenità.
-Senti, questo significa che ricomincerai a piangere tutto il giorno e ci toccherà mandarti a casa perché vuoi chiuderti in un letto e non vedere più nessuno?
Lei scosse la testa.
-No, prof. Non credo proprio. Credo di starlo superando, sto sempre meglio. Ma non credo sia giusto stare meglio. Io credo che se mi sento meglio non sia perché l'ho davvero superata, ma perché... come posso spiegarglielo...
-Provaci soltanto.
-Io provo a spiegarglielo senza dirglielo, ma non è tutto 'sto facile.
-Allora non me lo puoi spiegare.
-Ho idea di no, prof – sorrise tristemente.
-Quindi tu sei convinta che la tua per me non fosse... non sia solo una cotta?
-Perché me lo chiede?
-Perché vorrei vederci chiaro anch'io.
-D'accordo. Sì, ne sono convinta, prof. Non lo so, mettiamola così: lei cosa prova per Camilla?
-Per Camilla? Beh, ho sempre voglia di vederla. Mi attrae fisicamente, nel senso che mi scatena delle reazioni. La stimo profondamente. Con lei sto meglio che con chiunque altro. Non potrei sopravviverle. Più o meno credo sia questo.
-Benissimo. Mettiamola così: se lo prova lei che ha trent'anni è amore, ma se lo provo io, che ne ho sedici, è una cotta passeggera?
-Tu conoscerai ancora molte persone.
-Anche lei.
-Sì, ma io ormai quelle che dovevo conoscere le ho conosciute.
-Anch'io.
-Ma se devi ancora entrare all'università.
-Senta, prof, potenzialmente uno può anche non finire mai di conoscere persone. Dipende solo se lo vuole.
-E con ciò?
-E con ciò, se lei ha già scelto e io ho già scelto, dov'è la differenza tra noi due?
-Tu hai tredici anni meno di me, tutti pieni di gente che potrebbe starti vicino per più o meno tempo. Devi ancora vivere.
-Ma lei pensa di avere cent'anni? Anche lei ha una vita intera davanti, una vita in cui le capiterà di incontrare moltissime altre persone, dopo Camilla. Ma a lei cosa interessa, se Camilla continuerà a piacerle più di tutti? Io l'ho incontrata prima, la persona che giudico adatta a me, lei magari l'avrà incontrata dopo, ma rimane che tutti e due l'abbiamo incontrata, e chiunque ci capiterà di conoscere non reggerà il confronto, a sedici anni come a trenta come a cinquanta.
-Con la differenza che tu non sei in grado di provare certi sentimenti forti, maturi, che resistano anche alle avversità del mondo degli adulti.
-Ah, mi sta dicendo che, dato che non abbiamo un mutuo da pagare assieme, dato che non litighiamo per chi porta giù l'immondizia, dato che non dobbiamo stringere la cinghia ed accusarci a vicenda per chi ha prosciugato il Bancomat questo mese, allora non so cos'è l'amore, perché non conosco il compromesso e il sacrificio? È questo, che mi sta dicendo?
-Precisamente. È facile, quando sei studente e hai zero preoccupazioni, dare il massimo a un'altra persona. Ma provaci quando hai il bucato da fare e sei appena tornato esausto dal lavoro, prova a fare l'amore quando sai che il giorno dopo devi alzarti alle sei per tornare in un posto dove magari c'è un nido di vipere che ti rovinano la giornata quando deve ancora iniziare. L'amore duraturo richiede sforzi. E pazienza.
-In pratica, con l'amore duraturo, tutto si spegne e devi prosciugare le tue ultime energie e per fare qualcosa che comunque non hai le forze di fare. Questo per me non è amore; somiglia di più a un castigo.
-Ma lo vedi che non hai capito? L'amore è quando, nonostante tutte queste cose, cos'avevamo detto prima? Hai sempre voglia di vedere quella persona, ti attrae fisicamente, la stimi profondamente, con lei stai meglio che con chiunque altro e non potresti sopravviverle. Non è che si spegne. È che resiste, il che è tutta un'altra cosa.
-Capisco – fece Bianca, delusa – va bene. Be', allora non ho speranze, giusto? Sono troppo piccola. Per me va bene un cretino come Cappellotto, uno che a momenti inciampa sui suoi stessi piedi, uno che capisce solo le parole “pompino” e “infilarlo” e “tettone”.
-Ci sono sicuramente altri sedicenni al tuo livello.
-O forse io non sono al livello dei sedicenni, solo che lei non me lo vuole riconoscere.
-Bianca, in realtà non esiste un “livello”. Esiste il grado in cui una persona sviluppa una sua cultura e una capacità di elaborare ciò che le viene inculcato. Ma ti manca l'esperienza, Bianca, ci sono molte cose che devi ancora capire, e questo fattore può cambiarlo solo il tempo.
-Lei è convinto che io non abbia vissuto nulla, solo perché ho sedici anni.
-Hai vissuto molto, invece, Bianca. Solo, non hai vissuto le esperienze giuste, quelle positive, o anche quelle negative che però ti insegnano qualcosa; e anche ponendo che tu ne abbia vissute, sicuramente non sono state abbastanza. Questo è.
-Mi sta dando dell'immatura?
-Sei un'adolescente, Bianca, e te lo devi mettere in testa. Non lo sarai per sempre, perché non provi un po' a godertelo? Io pagherei, per avere ancora la tua età.
-Si vede che non ricorda com'era – osservò, amaramente.
-Me lo ricordo eccome. Provavo emozioni tanto intense che pensavo mi avrebbero ucciso. Poi cresci e vai avanti sempre di più con la filosofia del lasciar perdere, del tenere a distanza per prevenire, dell'essere educati e corretti e irreprensibili e falsi. Arrivi a reprimerti così tanto che, sì, soffri di meno, ma sei diventato insensibile. Mille cose che a sedici anni ti avrebbero steso per terra ora ti sembrano cazzate, in confronto ad altre cose che hai vissuto crescendo. E ti rendi conto che sei più forte, ma poi pensi che forse sei solo così debole che ti corazzi contro tutto, anche contro le semplici emozioni.
-Questa è una confessione a cuore aperto?
-Te lo sto solo spiegando. Non ho bisogno di confessare nulla; io ho già passivamente accettato.
-Bella merda, glielo posso dire? Scusi il termine.
-Già, bella merda. Non è così eccitante stare con un trentenne, dai retta a me. Siamo appena usciti dalle prime delusioni forti, siamo a terra più di qualunque altro. Non ti farei del bene. Ti farei stare peggio.
-Mentre a Camilla lei fa un effetto benefico...?
Emanuele sorrise.
-Camilla è come me – rispose – lei sa perché a volte torno a casa stravolto, perché a volte non ho voglia di chiacchierare, perché non sono sempre pronto a sbatterla sul letto e dedicare tutta la notte a noi due. Sa che se potessi sarei diverso, e sa come sono quando non ho il lavoro a cui badare. Tu, invece, di me hai visto solo la facciata che sono costretto a portare qui a scuola. Tu non potresti mai capirmi.
Bianca alzò un sopracciglio.
-Beh, a voler essere precisi, l'ho conosciuta un po' più a fondo, in qualche occasione.
-Ah sì? Mi hai fatto tu la limonata quando avevo lo scagotto, Bianca? Mi hai mai tenuto la fronte mentre vomitavo dopo una serata alcolica? Mi sopporteresti la mattina presto, quando potrei mangiare una persona viva?
-... no. Ma potrei esserne capace.
-Forse, ma non capiresti mai perché non sono come te. E alla lunga, diventeresti come me. Non è il caso che una sedicenne si comporti come una trentenne.
-Non starò mai con Cappellotto.
-Ma lo spero bene.
Bianca lo guardò negli occhi, scrutandolo come se volesse dirgli qualcosa. Era capace di essere indecifrabile, quella ragazza.
-Non ho proprio speranze? - gli chiese alla fine.
-Mettiamola così. Qualcun altro, eccetto me, ha speranze, con te?
-No.
-Ecco. Stesso provo io per Camilla. Come la mettiamo?
-La mettiamo che Bianca se la mette via.
-Cosa dovrei fare, secondo te? Lasciare la donna che amo per mettermi con una donna che non amo, che per di più è una ragazzina, e in quanto tale mi farebbe finire dritto al fresco?
-No, non dovrebbe. Ma sarebbe bello se lei lo volesse.
Emanuele non rispose, le fece un sorriso di circostanza. Bianca si alzò.
-Be', ci ho riprovato. Ma mi sa che è ora di andare, prof.
-Monica avrà le mani nei capelli.
-Già. Allora ci si vede, prof. Grazie della chiacchierata.
-Ma dai. Ciao, ci vediamo.
-Arrivederci.

Emanuele era stato colpito da tanta posatezza. Forse Bianca, pensava, era cambiata, forse si era data una calmata dopo la delusione amorosa.
Si era consolato con quel tipo di pensieri fino a che, il giorno dopo, non l'aveva trovata davanti al portone della scuola, intenta a baciare appassionatamente un tipo più grande di lei. Solitamente la gente la teneva a distanza, soprattutto i ragazzi carini, perché girava voce che Bianca avesse contratto l'AIDS a forza di andare con chiunque. Questo tizio in questione aveva capelli ossigenati e piastrati, occhiali a specchio, jeans con vita bassa che scoprivano dei boxer fuxia, cintura rosa e un paio di scarpe con sopra più colori dell'arcobaleno.
-Buongiorno – le disse, passandole accanto. Lei aprì un occhio; lo vide e si staccò dal tamarro in fuxia.
-Buongiorno, prof! Ha visto? Ho trovato un nuovo amico!
-'Giorno – fece il suo nuovo amico con un sorriso, alzando con due dita la visiera del cappellino.
-Buongiorno, Trolese – replicò educatamente Emanuele.
Bianca gli rivolse un sorriso allegro, poi si lanciò di nuovo in un attorcigliamento di lingue con Trolese, che la palpava tranquillamente in presenza di un pubblico scandalizzato.
-Attento, che ti passa la sifilide – gridò infatti qualcuno.
Quelle storie su Bianca, sulle malattie veneree, avevano iniziato a girare da un po' di giorni. Erano nate con una battuta, che Emanuele si era limitato a riprendere, ma si erano espanse a macchia d'olio, e ormai Bianca era stata decretata ufficialmente affetta dall'HIV.
Ormai, solo i peggiori si degnavano di andare con lei. I ragazzi a posto, e quelli popolari, la evitavano come la peste. Quasi tutti si guardavano bene dal parlarle, spaventati all'idea che la sua reputazione li contagiasse, come un virus invisibile.
Ma Bianca non se ne curava. Quel giorno fu incontrollabile. Continuava a disturbare i compagni, tentando di parlarci, ma perfino quelli che si era portata a letto si rifiutavano di rivolgerle la parola.
-Crivellaro! Ma insomma! - esclamò lei a un certo punto, come se non fossero stati nel bel mezzo di una lezione – Dopo tutto quello che c'è stato tra noi, ti rifiuti di parlarmi?
-Dai, per favore, lasciami stare. Hai interrotto la lezione – replicò Crivellaro senza guardarla; il che aveva dell'incredibile, perché Crivellaro era uno dei maggiori elementi di disturbo della terza A.
-Guarda che non te le faccio più toccare – Bianca sorrise maliziosa, si abbassò la scollatura e si accarezzò un seno. Tutti gli uomini della classe, Crivellaro compreso, trasalirono, ma nessuno di loro parlò; fu Giulia a intervenire.
-Senti, Bianca – disse il suo nome come se fosse stato un insulto – l'hai finita di rompere i coglioni? Perché non fai a meno di venire a scuola, dato che fai tutto fuorché studiare?
-Mmmh – replicò Bianca, reclinando il capo – guarda quanti esemplari ci sono in quest'istituto. È un'occasione irrinunciabile di ampliare le proprie conoscenze.
-No, a scuola si viene per studiare, non per mostrare le tette!
-Su, non fare così. È vero, Dio con me è stato generoso e mi ha dato le tette, mentre a te no, ma non è il caso di arrabbiarsi a questo modo.
-No, il fatto è che Dio a te ti ha fatta troia e a me mi ha fatta normale, e sinceramente non ho che da ringraziarlo per questo!
-Troia solo perché pretendo che Crivellaro, dopo che ha fatto i suoi comodi, mi rivolga la parola?
-Ma parlagli a ricreazione! Lasciaci far lezione!
-Il tuo ragionamento non fa una piega, ma non mi va. Non so perché. Non mi va. Non ho la minima intenzione di far proseguire questa lezione. Non mi va di ascoltarla. Non mi va di stare con voi. Voglio che Crivellaro mi parli. Finché Crivellaro non mi parla, io non la smetto. Sì, questa è una minaccia. E no, non la finisco, continuerò a parlare finché non mi parla anche lui. Avanti Crivellaro, questa è una sfida. Fuori le pistole. Gatti di polvere che rotolano. Insegne di vecchie taverne. Strade semideserte e gatti neri che rizzano il pelo. Qualche cactus...
-Bianca – Emanuele intervenne – ehi. Fermati.
Lei si voltò nella sua direzione.
-Oh, professore! Mi scusi se l'ho interrotta. Non volevo certo danneggiare lei, mi scuso profondamente per il mio comportamento. Ma non riesco a scusare Crivellaro per il suo abominevole voltafaccia. Finché Crivellaro non mi parlerà, io impedirò in ogni modo che la lezione segua il suo normale svolgimento. Ricordi il piano dell'offerta formativa o incorrerà in una spiacevole autogestione; il che poterà a ulteriori consigli degli insegnanti. Perché la classe è troppo vivace con alcuni elementi di disturbo che spiccano tra gli altri. Impediscono ai docenti di proseguire normalmente con la spiegazione. Vanno isolati oppure integrati, ma non siamo ben certi di come svolgere un programma d'integrazione per gli studenti con evidenti problematiche.
-Bianca – la interruppe – cosa stai dicendo?
-Sto facendo un excursus delle cose che ripetete più spesso. A volte sapete essere noiosi. Non fate altro che...
-Bianca, adesso stai zitta – decretò.
-Ci provo, prof. Ci provo, ci provo, ma ho così tanta voglia di parlare, di dire un casino di cose, di fare cose, di comunicare con i miei coetanei. Ho una gran voglia di uscire da qui, posso? Posso? Così non disturbo più nessuno e mi lancio in attività che io ritengo più interessanti. Col massimo rispetto per la sua eloquenza. Posso uscire, prof? Allora? Me lo permette per favore?
-Per favore, la faccia uscire – lo supplicò un ragazzo – non ne posso più di sentirla blaterare.
-Solo alle elementari i bambini non riescono a stare seduti tranquilli sui banchi – brontolò una ragazza.
-Bianca, per favore vai dalla preside e aspettami lì. Ti raggiungo al cambio dell'ora.
-Yes! - esclamò Bianca, poi uscì dalla classe galoppando. In corridoio, la vide fare una ruota. La controllò mentre saltava i gradini due a due, poi uscì dal suo campo visivo. Sembrava stesse andando davvero dalla preside.
Fece una gran fatica a proseguire la lezione, ma in qualche modo arrivò alla fine dell'ora.
Si precipitò nell'ufficio della preside, trovò Bianca intenta a mangiarsi le unghie con grande concentrazione, mentre la preside scriveva su qualche registro.
-Buongiorno, Emanuele – lo accolse placidamente – eccola qui. Abbiamo fatto due chiacchiere.
-Ottimo – commentò – allora ci siamo calmati?
-Circa – fu la risposta di Bianca, che sorrideva con l'aria di chi ne stava progettando una di nuova.
-Avanti, ti accompagno in aula. Adesso c'è Rossella, vedi di stare calma.
-Sissì.
Bianca lo seguì, saltellando e lanciandosi in ardimentose giravolte, su per le scale e nel corridoio. Non le chiese né disse nulla, la portò solo in aula. Sentì che l'accolsero con qualche insulto, ma decise di lasciare che se la sbrigasse da sola.
Tempo dieci minuti, e vide, dalla quarta A, che Bianca era stata spedita fuori in corridoio. Passò fuori tutta l'ora; la sesta ora, invece, sentì diverse grida provenire dalla sua classe, e udì distintamente il nome 'Bianca'.
Il giorno dopo si svolse allo stesso modo. Fu portata dalla preside, sgridata, punita, sbattuta in corridoio, ma Bianca non dava segno di volersi calmare. Dalle altre classi, attraverso le porte a vetri, la guardò mentre approcciava altri studenti che si trovavano ad andare in bagno o in segreteria, poi la vide mentre chiacchierava col bidello, senza mai stare fissa in una posizione, poi la osservò, sbigottito, mentre comunicava a versi con qualcuno in quinta B, attenta a non farsi vedere dalla prof. Poco dopo, un ragazzo di quella classe – che non era Trolese – la raggiunse con un sorriso, la portò vicino alle scale, la sbatté contro un muro ed iniziò a metterle le mani sotto i vestiti.
Emanuele uscì dalla classe con una scusa. Avvicinatosi senza far rumore, notò che il tizio aveva una mano sotto la gonna di Bianca, e che lei ansimava, e che il tipo stava slacciandosi i pantaloni e tirando giù le mutandine di lei. A quel punto si avvicinò, facendo più rumore possibile.
-Ehi – esclamò – Chi c'è là dietro?
Finse di non averli visti bene, perché, se li avesse colti nel fatto, avrebbe dovuto farli sospendere tutti e due, e non voleva mettere nei guai Bianca, nonostante tutto. Aspettò il tempo necessario perché si ricomponessero; li ritrovò rossi e col fiato corto, ma vestiti.
-Cosa stavate facendo? - domandò, severo.
-Niente – rispose prontamente il tizio – stavo andando in bagno, ho trovato Bianca e abbiamo fatto due parole.
-Non vi ho sentiti parlare.
-Parlavamo piano... di cose nostre.
-Vai in bagno e fai quello che devi fare. E tu, Bianca, cosa stai facendo qui fuori?
-Mi ci hanno buttata – sorrise lei, furba – non è colpa mia.
-Ti ci hanno buttata perché stessi da sola, Bianca. È lo scopo di una punizione: che tu stia isolata. Quindi isolati, per cortesia, prima che parli con l'insegnante della tua ora.

-Oki.
Emanuele aspettò che il tizio si fosse allontanato; poi si avvicinò a Bianca.
-Pensavo fossi cambiata – le sussurrò, arrabbiato – che fossi diventata adulta, non che fossi regredita.
-E chi ha voglia di essere adulti, se è come dice lei? - replicò Bianca allegramente, attaccandosi alla ringhiera e dondolandosi sulla rampa di scale, con una gamba alzata a novanta gradi.
-Non per questo devi comportarti da bambina di sette anni – la riprese.
-A sette anni non le facevo queste cose, prof.
-Quindi sai che ti ho parato il culo. Bene. Sappi che è l'ultima volta. Mi hai deluso parecchio, Bianca.
Lei sorrise e si allontanò strascicando i piedi.
Quasi se lo sentiva, ma il giorno dopo passò alla stessa maniera. Grida, Bianca per i corridoi, gente che la insultava. Ragazze che la accerchiavano perché era stata coi loro fidanzatini. Ragazzi che la evitavano quando lei cercava di approcciarli. I peggiori stupidi della scuola che si appartavano con lei da qualche parte.
I giorni che seguirono la trovò sempre sul portone della scuola, alle otto di mattina, avvinghiata a qualche cretino. Ogni suo momento libero era dedicato al sesso e ai suoi derivati. Una ricreazione, davanti a tutti, baciò una ragazza dichiaratamente lesbica, e il bacio fu tanto duraturo che qualcuno iniziò a filmarlo. Quel filmato iniziò a girare, e, assieme ad esso, le voci che Bianca recitasse nei film porno. Bianca fu fotografata ed Emanuele trovò facilmente in internet dei fotomontaggi del suo volto con il corpo nudo di qualche attrice del settore. Bianca le aveva stampate e attaccate con lo scotch al suo banco.
Quanto agli insegnanti, avevano le mani nei capelli. Nessuno era più in grado di tenerla in classe per più di un quarto d'ora, a parte Antonella ed Emanuele. Fu richiamata spesso per il suo abbigliamento, ma questo non fece che peggiorare. I suoi capelli erano sempre più rossi, così come il rossetto e lo smalto; iniziò a portare sempre i tacchi alti, e le scollature a volte erano così profonde che si vedeva una porzione di reggiseno.
Un giorno, addirittura, più di qualcuno giurò di averle intravisto un capezzolo.
Emanuele durante le sue lezioni lasciava che facesse qualunque cosa le andasse di fare; tutti fingevano di non vedere la PSP, ormai tutti la ignoravano quando iniziava a lanciare occhiate in giro. A volte chiamava la gente, la invitava a parlare, ma nessuno le rispondeva. Lei allora lasciava perdere e iniziava a fare a pezzi la gomma da cancellare, per poi ricomporla in svariate forme. Durante le lezioni dipinse qualche acquerello. Infestò con un terribile odore di acetone tutta l'aula, perché si faceva lo smalto nelle ore di spiegazione. Il rumore del suo iPod era spesso fastidioso. Qualche insegnante provò a darle degli esercizi extra da fare durante la lezione, e lei li fece, ma era piuttosto veloce e spesso si era daccapo.
-Ohi, Rossetti – si rivolgeva ai compagni, reggendosi la testa con la mano e mostrando bene il seno in angolazione – ti va di replicare l'altra notte? Adesso, in bagno?
Lo mormorava, ma lo mormorava forte.
Rossetti guardò la lavagna con determinazione, lei gli lanciò una penna, gliene lanciò due, qualcuno gliene lanciò una in faccia.
-Ahia – disse con una smorfia, e poi iniziò a lanciare matite a caso. - Guerra delle matite! - esclamò, ma nessuno le diede retta, se non per lanciarle severe occhiatacce.
I professori facevano finta che non avesse parlato, e così iniziarono a fare tutti. Ogni tanto parlava da sola.
-Sono tutti antipatici – diceva a un pettirosso sul davanzale, sorridendo – vedi? Non mi danno retta. Come dici? No, no, non gli ho fatto niente, io. Gli ho solo dato quello che volevano. Beh, sì, ad alcune ho tolto quello che volevano, ma la gente non lo fa in continuazione?
-Sssh – facevano i compagni, in coro, infastiditi.
-Vedi? Mi trattano così. Beato te che sei così carino. Tutti ti vogliono bene. Tutti ti vorrebbero in casa loro. Però poi ti mettono in gabbia, non so chi sta meglio tra me e te. Dicono che l'uccellino a cui venga aperta la gabbia non voli via per paura del grande mondo. La paura. Hai...
-STAI ZITTA – urlavano, e lei sospirava e stava zitta.
Non per molto, però. Faceva ai professori domande su domande, inerenti al programma, ma domande in continuazione. Finivano di risponderle, e lei chiedeva ancora. Proseguire era impossibile. Richiamarla all'attenzione portava ad assaggiare un'arma a doppio taglio.
Il lunedì, quando tornarono a scuola, Bianca arrivò accompagnata da un quarantenne. Lo salutò con un bacio appassionato, esattamente di fronte all'entrata. Lui la salutò con una pacca sul sedere.
Tutti mormoravano talmente forte che gli insegnanti si precipitarono fuori, a vedere cosa fosse successo; e videro solo Bianca, con un enorme succhiotto viola sul collo, che si sistemava i capelli e si avviava verso il portone, senza neanche lo zaino o un quaderno.
-Guarda col compagno – le dissero quando lei, richiamata all'ordine, protestava di non avere i libri, ma i compagni non volevano.
-Ma guarda che maleducati – commentò lei, parlando a nessuno in particolare – solo perché io ho una vita e loro no. Io ieri sono andata a letto alle cinque, mi sono fatta una nottata che se la sognano, ho bevuto perfino il Dom Pérignon... quanta disdicevole invidia c'è nel mondo.
I colleghi, a ogni cambio dell'ora, riportavano notizie di questo genere.
Un giorno la vide in un parcheggio poco lontano dalla scuola; all'inizio aveva visto solo un ragazzo fermo sul sedile della guida, e poi aveva visto la testa di Bianca emergere dal cruscotto, e la sua mano esile che si asciugava la bocca. Lei si limitò a salutarlo con la mano.
Attese che arrivasse il mercoledì, e, quando arrivò, la afferrò per un braccio e la trascinò per il corridoio, staccandola dal tizio contro il quale si stava strusciando.
-Cosa c'è, prof? - biascicò lei; notò che teneva in mano una bottiglietta. Ricordò quello che gli aveva raccontato tempo prima. Probabilmente era vodka.
-Quanto male intendi farti ancora, prima di piantarla una volta per tutte? - sibilò tra i denti – Adesso andiamo nell'ufficio della preside. Intendo parlarti seriamente.
-Ah, voilà! - replicò allegramente lei, ma lo seguì docilmente.
Arrivati in ufficio, diede precisi ordini alla segretaria; non voleva essere disturbato. Adagiò Bianca sul sedile e, per una volta, decise di mettersi dall'altra parte della cattedra.
-Mi dica, prof – fece lei; aveva gli occhi semichiusi e la testa che ciondolava.
-Sei ubriaca?
-Ah, è molto probabile, prof. Ma mi sento così tranquilla. Era da un po' che non mi sentivo così.
-Che cos'hai, Bianca? Cosa ti è successo?
-Cosa mi è successo?
-Mi prendi in giro? Stai tornando esattamente come prima.
-Mais oui?
-Oui, Bianca, senza dubbio. Dammi quella bottiglia. Come ti viene in mente di ubriacarti a scuola?!
-Ma se non bevo mi agito, e se mi agito tutti se la prendono con me; così bevo e me ne sto tranquilla, no?
-Cos'è che ti agita? Cos'hai? Perché non me lo vuoi dire?
-Le ho scritto una poesia, prof! A momenti la dimentico. Tenga.
Bianca gli porse un foglio a righe strappato da un quaderno. A penna blu era tracciata una poesia quasi illeggibile.
-Galoppare sulla polvere di stelle... arcobaleni... fate... cavalli morti...? Cos'hai scritto qui? Budella?
-Già – proclamò fiera.
-Non riesco a leggere nulla.
-Avevo la vista un po' appannata. Mi sa che non si legge tanto bene, eh?
-Cosa stai cercando di dirmi?
-Nulla. Non cerco di dirle nulla. Credo di invidiarla molto. Lei e Camilla.
-E per questo vai con chiunque ti capiti?
-Oh, no, prof. No. È perché altrimenti il tempo mi divora. Se non lo divoro io, sarà lui a mangiare me. Poi c'è l'ottovolante. I cavalli, appunto. Galoppo, e la polvere di stelle, sa. Ma poi muoiono. Come le ho detto nella poesia.
-Bianca – Emanuele scandì molto lentamente le parole successive – quello che stai dicendo non ha senso.
-Mi sento un po' confusa – fece lei – sarà l'alcool.
-Aspetto qui finché non ti è passata. Ti porto un caffè. Te lo faccio bere col sale, se non ci sono altre soluzioni. Ma tu mi parlerai seriamente, come hai fatto qualche settimana fa.
-Non mi passa subito. Dovrei dormirci sopra.
-Sei in grado di rispondere alle mie domande?
-Suppose so.
-Perché non riesci a startene calma due minuti?
-Sono nata così, prof. Con una peculiare tendenza all'esuberanza.
-Ma un mese fa stavi calma. Fin troppo calma. Continuavi a piangere.
-Be', capita a tutti un momento di sconforto.
-Fai la cretina per non pensare a quello che succede in casa tua?
-Ma si figuri, prof.
-E allora?
-Insomma, ho mal di testa – protestò – voglio solo starmene in pace. Non ho più disturbato, proprio come mi avevate chiesto. Non le ho neanche più proposto di stare con me, invece che con Camilla, perché il vostro è un Autentico Grande Amore. Ho ubbidito a tutti quanti. Che c'è ancora? Mi lasci tornare in classe.
-Non finché non avrò una parvenza di dialogo serio con te.
-Non ne ho voglia – sbuffò; dopo averlo detto scattò in piedi, si voltò e si avviò verso la porta.
Emanuele si alzò velocemente.
-Tu rimani qui – decretò.
-Sarebbe delizioso, ma ho un'ora di filosofia che mi aspetta. La prego di scusarmi. In presenza del re tutti i cortigiani stanno in piedi e si levano il cappello.
-Ferma – le ordinò, e, dato che si affrettava, l'afferrò per un braccio e le tirò su la manica quasi fino al gomito.
Fu nel fare questo che avvertì una superficie soffice fare attrito contro la manica.

Guardò il braccio di Bianca.
Assicurato con lo scotch medico, sul suo polso c'era un grosso cerotto bianco, che la copriva esattamente in corrispondenza delle vene.

-Bianca – mormorò, senza fiato – Bianca...
-Ora mi lascia andare?
-Bianca – mormorò ancora, mentre le mani iniziavano a tremargli – che cosa... che cos'hai fatto...?














* Questa è una citazione che non ho potuto esimermi dal fare :°D dubito riuscirete a coglierla, ma chissà, forse qualche appassionato... *-*

(Nda: scusate i lunghi tempi d'attesa... è stato un capitolo molto difficile da scrivere, e, per dirla tutta, non ne sono soddisfatta, ma le cose sono due: o lo scrivi come viene o non lo scrivi, altrimenti lo perdi e basta. Mi rimetto al vostro parere :O.
Siccome ora sono un po' ammalata, non ho proprio le forze per rispondere singolarmente alle vostre recensioni T___T ma sappiate che le leggo tutte attentamente e che mi fanno un enorme piacere, per cui vi ringrazio tutte di cuore per le vostre parole gentili. Sono una grande fonte di sostegno per me :).
Noto che qualcuno di voi, nelle sue elucubrazioni XD, sta dirigendosi più o meno sulla giusta strada per quanto riguarda Bianca. Non intendo farvi spoiler, però credo di poter dire tranquillamente, specie alla fine di questo capitolo, che, sì, dei problemi ci sono. Penso che entro il capitolo 10 la storia sarà conclusa, per cui i chiarimenti non tarderanno ad arrivare.
Con ciò chiudo e torno alle mie copertine e all'aspirina ç_ç'' spero di guarire presto, così scrivo qualcos'altro XO!
Al prossimo capitolo e grazie ancora delle recensioni :*!)

  
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