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Autore: Bellis    04/11/2009    1 recensioni
Il celebre investigatore di Baker Street si trova alle prese con un mistero che lo trascinerà nel profondo di torbide acque, un abisso che affonda le sue radici negli oscuri eventi del suo passato. Riuscirà Watson a far luce su un enigma che coinvolge tanto gravemente lo stesso suo amico? Come potrà Mycroft Holmes essere d'aiuto?
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bebbe! Grazie a te per la stupenda recensione! *___* (comunicazione di servizio - Bebbe ha iniziato una bellissima long-fic Holmesiana tutta sua, intitolata L'incredibile vicenda del vapore Friesland... cosa stai aspettando? Corri a leggerla!) Per le avvertenze, rimando al termine del capitolo, che ho qualcosa da dire. Innanzitutto però mi scuso profondamente con te :S, per il capitolo piuttosto corto: l'ho scritto oggi nella pausa pranzo. E' che a farlo più lungo, perdevo il cliffhanger (*risata malefica*), e poi, mi serve di inframezzare una cosa in questo punto focale... ma suvvia, vedrai presto di che si tratta!
Ti ringrazio ancora, e spero che questo pezzettino che ho scritto non ti deluda :)

E adesso... un'atmosfera più cupa... perchè...


Capitolo XIII - Calano le tenebre

Il treno ci trasportò sino alla stazione di Maidstone, con una rapidità che mi parve straordinaria, quando mi trovai improvvisamente sulla piattaforma della ridente stazioncina, di fronte al binario stretto e quasi consumato dall'uso che ne era stato fatto durante gli anni. Probabilmente, quei fabbricati risalivano alla prima tratta ferroviaria della Sussex Railroad, quella costruita nei lontani anni Cinquanta, ad opera dei pochi onesti uomini che avevano voluto contribuire al benessere della loro gente, non potendo nemmeno immaginare quale malvagità animasse le intenzioni di quelli che più avevano insistito per la formazione della società.

"L'oscurità sta calando, amico mio. E' quasi ora." mi informò Holmes, mentre il suo sguardo attento saettava intorno, scrutando ogni angolo della stradina di periferia nella quale ci eravamo avventurati. Evidentemente, egli sospettava che qualcuno fosse stato incaricato di pedinarci.

Annuii, e mi passai una mano sul soprabito, nelle tasche interne del quale avevo nascosto una parte dell'attrezzatura necessaria al mio amico, insieme a una lanterna cieca e al mio revolver, più necessario che mai, in quelle circostanze.
Cominciavo ad avvertire quell'eccitazione sottile che risvegliava la mente e manteneva desto lo spirito, all'approssimarsi del momento di compiere un reato - perchè di effrazione si trattava - tuttavia certo di essere nel giusto, di star compiendo un atto nobile, aiutando il mio camerata ad assicurare alla giustizia coloro che avevano causato tanto dolore alla sua famiglia.

Anche lui percepiva lo stesso sentimento, lo sapevo - vedevo i suoi occhi chiari spalancati, fissi dinanzi a sè, ora, la sua formidabile mente concentrata sull'obiettivo, il suo pensiero divorava miglia e miglia del tortuoso percorso logico che conduceva dalla causa all'effetto, mentre io non sapevo far altro che rimanere assorto nelle mie meditazioni, nella paura e nell'agitazione.

Holmes mi condusse attraverso la città, svoltando numerose volte per viottole dall'aspetto piuttosto trascurato, svicolando rapidamente, senza alcuna esitazione, ripercorrendo una sequenza che si doveva essere pianificata da ore, forse da giorni, legando informazioni custodite nella sua infallibile memoria, che era paragonabile a quella del sapiente fratello.
Lo seguivo più in fretta che potevo, cercando di ignorare le fitte alla gamba provocate dalla crescente umidità e dall'aria pungente della sera.

"Ci siamo." esclamò a un certo punto il mio amico, distendendo il braccio ad indicarmi un caseggiato alto, del quale era visibile solamente la parte alta, giacchè la restante era coperta da quelle che sembravano solide mura, sormontate da una inferriata bronzea, lavorata con un tetro motivo a fiori informi.

Ciò che più colpì la mia fantasia fu però il notare come la boscaglia fosse chiaramente più rada all'esterno della cinta di quanto non lo fosse all'interno: s'andava rinfoltendosi man mano che ci si avvicinava alla villa di Cardside, come se egli stesso avesse voluto costruirsi una ulteriore protezione, grazie alle difese che la stessa natura poteva dargli. Non potei fare a meno di chiedermi quanto fosse astuto, quanto fosse realmente preparato il nostro avversario all'exploit che i fratelli Holmes ed io avevamo ideato.

Il detective dovette leggermi quella considerazione in volto, perchè accennò un sorrisetto, attese un momento, quindi mormorò, "Mio caro Watson, la offenderei se le chiedessi se ha dei dubbi. Anche il più saggio tra gli uomini avrà sempre rimpianti, e a maggior ragione. Non dubito della sua lealtà, nè del suo onore: ma seguire un folle è... follìa."

Intendevo bene dove andasse a parare quel vago discorso, e lo stroncai sul nascere con un cenno della mano, "Non sono venuto qui a Maidstone per ritornarmene subito a Londra, Holmes." sorrisi a mia volta, cercando di infondere in questa espressione un poco di tranquillità, "Seguirò il folle."

Inaspettatamente, l'investigatore parve non poco sollevato da questa affermazione.
"Vecchio mio, lei è un caposaldo della nostra Inghilterra, e sino a che sarà in vita, essa non andrà perduta nelle nebbie dei secoli!" fece, il tono leggermente ironico, come al solito, "Andiamo, dunque."

Lentamente iniziammo ad avvicinarci, tendendo l'orecchio ad ogni piccolo rumore, lasciando lo sterrato per il prato e per il sottobosco, alto e piuttosto intricato. Evitavamo le foglie ed i rametti, temendo che, scricchiolando, con un suono che normalmente si sarebbe definito assai piacevole, attirassero l'attenzione di qualche lavorante o di qualche servitore attardatosi nel cortile.

Il paesello si trovava a sud della casa, perciò ora ci stavamo avvicinando all'angolo australe delle mura, dal quale potevamo tener d'occhio il cancello principale, per vedere che fosse aperto - il che avrebbe voluto dire che il padrone era uscito - e contemporaneamente iniziare a portarci verso la nostra prima meta, il cancelletto laterale.

Finalmente giungemmo presso il muro di mattoni, grezzo e ruvido sotto le mani, quando mi appoggiai ad esso per sbirciare verso l'ingresso. Assottigliai lo sguardo: le porte erano aperte, e due lanterne affiancavano l'adito, che forse era sorvegliato dall'interno. Non vedevo nessuno al di fuori. Sentii il peso di Holmes appoggiarsi appena alle mie spalle, mentre anch'egli lanciava una rapida occhiata al luogo, e si ritraeva subito.

Stavo ancora osservando l'ambiente circostante, quando avvertii un forte strattone alla manica e compresi che era ora di raggiungere il cancello laterale, e bisognava fare in fretta. Erano quasi le dieci e mezza.
La struttura era in ferro, e, come il mio amico mi aveva anticipato, non pareva affatto robusta quanto il resto della cinta muraria. La serratura era arrugginita, e scrollando l'intelaiatura capii che era aperta. Tuttavia, rimaneva una catena, dall'aria ben più nuova, serrata da un lucchetto grosso che risuonò sul metallo, rimbalzandovi sopra.

In un attimo, il detective aveva già in mano il suo astuccio contenente gli attrezzi da scassinatore che gli avevo già visto usare nel caso Milverton, l'aveva aperto, e con atteggiamento da esperto aveva scelto un paio di grimaldelli sottili, quelli che gli sembrarono più adatti al presente lavoro. Nulla e nessuno poteva distrarre Sherlock Holmes da un enigma astratto: e da mesi non lo vedevo così piacevolmente assorto in un problema, come in quel momento, nell'atto di azionare il tensore ed infilare una piatta asticella grigiastra al posto della chiave, sollevando ad uno ad uno i cilindri, con una serie di misurati stridii.

In meno di un minuto, il lucchetto era scattato, la catena era a terra e il cancello era aperto.
Sbalordito, ero rimasto a fissare il mio amico, che spinse l'inferriata, e con un mezzo inchino divertito mi fece cenno di precederlo.
Soffocando una risata, mi addentrai nel cortile vasto ed alberato, ben lieto di essere subito coperto da una boscaglia - seppur abbastanza rada - che ci avrebbe celato alla vista di eventuali osservatori.

L'allegria si dileguò immediatamente, però, non appena la piena consapevolezza dell'attuale situazione si fece nota alla mia mente. Ci trovavamo di fronte una villa, per metà ancora occupata dai suoi abitanti, pronti a cogliere qualsiasi anomalia, circondata da un giardino che non ci avrebbe fornito ulteriore schermatura oltre a quella delle aghifoglie e delle rare latifoglie. Il clima era freddo, gelido - era notte, ormai - ed il solo nostro respiro avrebbe subito segnalato la nostra posizione.

Udii, lontano, un ululare di cani, come un grido strozzato, e mi sentii rabbrividire.
"Holmes, " esordii, sottovoce, "Le bestie non dovrebbero essere rinchiuse nel canile, a quest'ora?"

Il mio amico mi poggiò una mano affilata su un braccio, "Probabilmente lo sono. Questi latrati mi sembrano piuttosto lontani. Potrebbero benissimo essere a mezzo miglio di distanza."

Repressi un sospiro, ed abbassai lo sguardo, convincendomi che il mio coinquilino doveva avere ragione, e che non v'era motivo di dubitare che tutto andasse come era previsto.

Quando risollevai gli occhi, Holmes era sparito.

Mi guardai intorno, freneticamente.
Non v'era traccia della figura allampanata che conoscevo tanto bene. Frugai con lo sguardo le foglie, le mura, il cancelletto ancora vicino, persino le fronde e le sterpaglie seminascoste dall'erba.
Non c'era. Non era lì.
Non avevo idea di dove fosse andato.

Il lettore vorrà lasciarmi passare questa ben poco lusinghiera descrizione del narratore - ma, dovendo narrare ciò che effettivamente accadde, non posso tralasciare questi importanti particolari, come non posso evitar di dire che fui letteralmente preso dal panico.

"Holmes." chiamai, a bassa voce, e poi, un poco più forte, "Holmes!"

Feci qualche passo avanti, artigliai la corteccia di uno degli alberi, sbirciando ai lati, per timore d'esser visto, e di non riuscire a cercare il mio amico, di non poter ritrovare il mio capospedizione - e in quel momento, pur veterano, pur reduce di tante battaglie, mi sentivo come un soldato semplice privato d'un tratto del suo ufficiale superiore.

"Holmes!" esclamai, scostando i rami che mi impedivano una vista chiara, così come avrei voluto rimuovere l'oscurità che mi accecava con un solo gesto.

Sussultai, quando, con sommo orrore, sentii dita scarne e forti afferrare il mio polso e trascinarmi indietro, verso una delle latifoglie più folte, un cespuglio dai frutti selvatici irti di spine, e qualcuno mi spinse contro il tronco, tenendomi fermo e sporgendo il capo per guardarsi nervosamente intorno.

"Silenzio, Watson! Silenzio, per amor del Cielo!" sibilò una voce acuta accanto al mio orecchio, ed io, che stavo ancora tentando di svincolarmi da quella presa, mi rilassai d'un punto, appoggiando la nuca alla corteccia.

"Temevo che..." sussurrai, scuotendo il capo, e non terminando la frase.

"Tranquillo, dottore. Mi sono avvicinato il più possibile al cancello principale. Vi sono due guardie, là, ma non hanno notato nulla. E' tutto in ordine." spiegò, e con sollievo avvertii la stretta al polso farsi più morbida, e fui lasciato a reggermi sulle mie gambe.
"Adesso, dobbiamo prestare la massima attenzione. Mi ha capito?"

Chinai profondamente il capo, per mostrargli il mio assenso. Con uno sforzo di volontà riuscii a lasciarmi indietro le mie preoccupazioni. Non riuscivo a vedere il viso del mio amico, ma dal brillìo dei suoi occhi comprendevo che in qualche modo egli mi stava osservando, con la stessa precisione che avrebbe usato se fossimo stati nel nostro salotto di Baker Street.

"E' pronto?"

Ripetei il gesto, determinato ad aiutare il mio camerata, nonostante le mie paure e tutto ciò che potesse conseguirne. Era il momento: il gioco era cominciato, e Sherlock Holmes si trovava nel suo ambiente naturale. Numerose volte, durante i lunghi anni della nostra amicizia, mi ero chiesto se la mia presenza fosse un fattore positivo o negativo, per quella persona la cui vivace intelligenza non era soggetta ad errori, se non veniva miscelata al deleterio elemento umano dell'emozione.
Avrei forse scoperto la verità, al termine di quella nottata?

Anche al buio, evidentemente, l'impareggiabile investigatore era in grado di comprendere su quale strada si dirigessero i miei pensieri, perchè lo sentii distintamente ripetere, "E' tutto in ordine, Watson. Avanti... Andiamo."

Pian piano ci facemmo strada, seguendo il profilo della boscaglia, scegliendo i punti dov'era più fitta e ci avrebbe meglio celati alla vista dei sorveglianti o della servitù ancora desta, nell'ala abitata della villa. Sporsi il capo al di sopra di alcuni rami bassi, vedendo alcune finestre illuminate, al piano terreno: era l'appartamento dei domestici. Il piano superiore era buio, come le vetrate del salotto e della sala da pranzo.

Oltrepassammo la casa e solo allora osammo distaccarci dalla zona alberata per avvicinarci ad essa, direttamente verso l'incrocio delle due mura, che era l'unico punto in cui eravamo certi di non poter essere visti. Mentre cautamente cercavo di avere una chiara visuale delle stalle, Holmes levò una mano, ed io mi fermai, col cuore in gola.

Un lavorante trasandato stava rientrando, con aria svogliata, verso l'abitazione, guardando verso il terreno e le buche provocate da una recente pioggia, e cantilenando tra sè non so quale canzone da osteria, che non riuscì a risollevare il mio spirito, nonostante l'accento tipicamente Scozzese e il gergo a me familiare per i miei trascorsi militareschi. Si trattava del maniscalco, che fece il suo ingresso a Cardside's senza avvedersi della nostra presenza.

Tutto procedeva secondo i piani: subitaneamente il mio amico rivolse la propria attenzione alla finestra accanto alla quale ci eravamo portati. Estrasse dalla tasca del soprabito il suo coltellino tascabile, la cui lama apparve immediatamente, e con esso iniziò a forzare i cardini dell'intelaiatura. Feci forza sul pannello inferiore, mentre lui rimuoveva i fermi: ben presto fummo in grado di entrare.

Il salotto era arredato in modo antiquato, con una certa vena rustica, come se al proprietario del luogo importasse più l'essenza dell'apparenza. Ma non ci fermammo lì talmente a lungo da poter ammirare gli arazzi o i quadri: il nostro obiettivo era poco lontano, ora: lo studio di Thomas Cardside era direttamente comunicante con quella stanza. Holmes si diresse con sicurezza verso la porta e si chinò accanto alla serratura.

Appoggiò le dita guantate sulla maniglia e la abbassò lentamente, senza il minimo rumore.
Si aprì senza problemi.

Infilai una mano sotto il pesante pastrano che mi copriva, estraendone la lanterna cieca; sollevai lo schermo, in modo che solo un sottile filamento di luce ne fuoriuscisse, irradiando una limitata porzione della saletta.

Il grigio degli occhi di Holmes scintillava per la concentrazione, mentre ci inoltravamo nello studio del nostro avversario, ed il chiarore ci permise di osservare, intorno a noi, alcuni mobili grezzi e solidi, molti chiusi a chiave, pochi sportelli aperti, fasci di carte accatastate sulla scrivania di legno scuro, ed una candela consumata a metà appoggiata sul suo candelabro, in un angolo, accanto al calamaio e alla penna dalla punta nerastra.

Il tutto lasciava a intendere che il padrone di casa avesse smesso di lavorare a quella scrivania da poco, questo ci volle poco a capirlo, anche per me - mentre Holmes aveva già subliminalmente aggiunto il fatto alla collezione di deduzioni che aveva fatto in tempo a elaborare, in quegli istanti.

E lui per primo si accorse, difatti - come avrebbe potuto essere altrimenti? - che non eravamo affatto soli, in quella stanza. Lo vidi irrigidirsi, e lasciar andare un respiro trattenuto a lungo.

Poi, senza fretta, con un'espressione di indicibile rassegnazione quale non gli avevo mai notato, si voltò verso la scrivania, dove la mia lanterna illuminò il viso accartocciato di un vecchio, magro, piuttosto basso, con gli occhietti scuri che fiammeggiavano verso di noi.

Un campanello suonò, echeggiando attraverso la villa.
Eravamo in trappola.


************************************

Note dell'Autrice
Ohi, ohi. Che dici, Lettore? I nostri eroi sono nei guai...
Come riusciranno ora a sfuggire al perfido Thomas Cardside? Chi potrà mai salvarli dal destino tanto tragico che pare esserglisi spalancato innanzi?
Riuscirà Holmes ad evitare la catastrofe?
Tutto questo ed altro ancora... nel prossimo capitolo!

Adesso però ho qualcos'altro da dire. In particolare, vorrei spiegare come mai ho scelto di tratteggiare un Holmes così "umano" e fallibile, e goffo, in un certo senso, ora che si tratta di venire al sodo. Ecco, io sono molto legata alla concezione dello Sherlock Holmes pensatore astratto, e ho sempre pensato che una situazione del genere sarebbe da lui vista più come una partita di scacchi, che come una missione alla zerozerosette.
Però, però...
Ehi, Tu. Sì, dico a Te, che stai leggendo e sbuffando, proprio tu, fan di Robert Downey Jr. e di Jude Law! :P
Ho appena descritto i miei limiti come tali: Tu puoi fare di meglio!
Scrivi qualcosa! Caccia Holmes e Watson nelle più spericolate situazioni, dove il loro animo di combattenti senza paura, ironici ed esperti si esprima in tutto il suo splendore! Dimostrami che la mia concezione dei due di Baker Street è superata!
Sarò la prima a leggere! Giuro. *___*
Il fandom di Sherlock Holmes su EFP vuole TE! *punta teatralmente l'indice contro il povero Lettore*
:D
Alla prossima! E spero vivamente che qualcuno raccolga il guanto della mia sfida :P


   
 
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