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Autore: beanazgul    13/06/2005    3 recensioni
di PlasticChevy traduzione di: beanazgul aka Adûnaphel Nota: Questa è la traduzione della storia originale in inglese “The Captain and the King”, scritta da PlasticChevy, un’autrice di fanfiction dotata di grande talento. E' ispirata al mondo del Signore degli Anelli, ma si tratta di un’ AU, cioè una versione alternativa del testo di Tolkien, i cui eventi prendono una strada diversa ad Amon Hen....se vi è sempre dispiaciuto vedere Boromir morire alla fine del primo libro/film, allora questa storia fa per voi! Se avrete la pazienza di avventurarvi in questa miriade di capitoli vi assicuro che non ve ne pentirete: vi lascerà senza fiato! PlasticChevy mi ha gentilmente dato il permesso di tradurla e io ho cercato di fare del mio meglio per rendere giustizia alla sua bravura, anche se è un lavoro molto impegnativo perché la storia è molto complessa e mi rendo conto che una traduzione non è mai all’altezza dell’originale! Disclaimer: Il Signore degli Anelli e tutti i suoi personaggi sono proprietà di J.R.R. Tolkien e dei suoi eredi. Li sto utilizzando solo per divertimento, non per vendita o profitto.
Genere: Drammatico, Azione, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Aragorn, Boromir, Merry, Saruman
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 16: L’Albero Bianco

Quando Boromir riprese conoscenza, fu accolto da un dolore sordo e insistente che gli martellava in testa, e dalle voci di molte persone attorno a sé. Aveva perduto il senso del tempo e dello spazio. Non ricordava il motivo per cui si trovava disteso a terra sulla tiepida pietra, circondato dal rumore di passi e grida. L’unico pensiero che riusciva a farsi strada nella sua mente era la speranza che tutto quello finisse presto, prima che ne fosse schiacciato completamente.

Dall’oscurità sopra di lui giunse una voce familiare, un respiro caldo sul suo viso, e mani gentili sul suo capo. "Boromir... fratello..." Poi, altrettanto rapidamente di come era venuto, il calore attorno a lui svanì, e la voce sibilò con disperazione. "Maledetto me! Che idiota sono stato! Non avrei mai dovuto lasciarlo!”

"No, Faramir, la colpa è mia”, disse un’altra voce. Sembrava Aragorn. Ma i sensi di Boromir erano troppo confusi, e c’era così tanto rumore attorno a lui, che non ne era sicuro. "Sono stato io a dargli il permesso di seguirlo, anche se sapevo che Halbarad era fuori di sé".

Halbarad! Il nome suscitò in lui un’ondata di panico, causandogli un dolore acuto quanto quello che gli pulsava in testa. Doveva trovare Halbarad, prima che ad Aragorn succedesse qualcosa di terribile. Non poteva ricordare che cosa minacciasse il suo re, ma sapeva che era qualcosa di molto grave. E solo il Ramingo poteva impedirlo. Doveva trovare Halbarad!

Guidato da quell’unico pensiero cercò di liberarsi dalla stretta di Faramir e di alzarsi su un gomito. Non appena mosse la testa, però, un fortissimo dolore gli esplose nel cranio, mandando ondate di nausea attraverso di lui e strappandogli un gemito.

Le mani di Faramir aumentarono la presa, tenendolo fermo, e suo fratello gridò “Si sveglia!”

"Halbarad!" gemette Boromir.

"Non ti agitare, Boromir. Stai tranquillo". La voce di Aragorn era come un balsamo curativo, e le sue mani di guaritore lo afferrarono per le spalle tenendolo fermo. “Non c’è nulla da temere”.

"Halbarad..."

"Resta fermo, lascia che ti aiuti”.

"...devo trovarlo".

"No, devi restare fermo. Gandalf!" Boromir sentì una fresca ombra sul suo viso, quando lo stregone rispose alla chiamata di Aragorn. "Ti prego, sgombera il cortile. Imrahil, corri alle Case di Guarigione...”

"Niente guaritori", mormorò Boromir, cercando di nuovo di liberarsi dalle mani che lo immobilizzavano. “Non ho bisogno... di guaritori”.

"Boromir, devi restare fermo!” Il tono di comando nella voce era imperioso, e Boromir, obbediente, si abbandonò sul pavimento. “Avverti i guaritori del nostro arrivo. Chiama qualcuno con una lettiga e delle bende per una ferita di pugnale”.

"Non è niente”, sussurrò Boromir, sollevando una mano a coprirsi gli occhi bendati. Fu stupito e spaventato nel sentire il tremito delle sue dita e la debolezza del suo braccio. Per quanto si sforzasse di capire che cosa gli era accaduto, tutto quello che riusciva a ricordare erano frammenti di emozioni. Rabbia. Impotenza. Disperazione. E, più importante di tutti, il bisogno di trovare Halbarad. “Lasciate che mi alzi...devo trovarlo”.

"Non serve, amico mio".

La voce di Aragorn era stanca e tetra, velata di una sofferenza che turbava Boromir ancora più del dolore nel suo corpo. Che cosa era accaduto? Perchè non riusciva a ricordare?

"Devo estrarre la lama prima di poterlo spostare”, disse Aragorn, rivolto ai presenti ancora affollati attorno a lui, che riempivano l’oscurità con la loro paura. "Legolas, prendi questo e stai pronto a tamponare la ferita. Merry, tienilo fermo”.

Come risposta a quelle parole, Boromir sentì una piccola mano stringersi attorno al suo braccio sinistro, e per la prima volta notò la presenza dietro di lui. Cominciò a voltarsi verso lo hobbit, cercando di rassicurarlo, quando, un improvviso, lancinante dolore al suo fianco sinistro gli tolse il respiro, mandando un violento fremito attraverso il suo corpo. Le sue dita si strinsero con forza su quelle di Merry mentre la sua mano libera andava a raggiungere la fonte del suo dolore. Ma Legolas fu più veloce. Spinse via la sua mano e premette un tampone improvvisato sulla ferita. Il sangue ruscellò caldo sulla sua pelle.

Fu Merry a parlare, tra le lacrime. "Va tutto bene, Boromir. Ora è finita".

"Merry..." Boromir inspirò ed espirò dolorosamente, cercando di ritrovare il controllo. La stretta di Merry lo rassicurava, e la sua voce lo confortava. "Merry."

"Sono qui".

"Non perde molto sangue", disse Legolas, "e respira regolarmente”.

"Hai ragione”. Aragorn sembrava confuso. "Guarda il pugnale”.

"Dovrebbe essere insanguinato fino all’elsa!”. Quello era Gimli, senza alcun dubbio. Nessun altro avrebbe potuto mettere tanto stupore e belligeranza in un’unica esclamazione. “Come può essere? Che cosa ha deviato la lama?”

"Non è nulla... solo un graffio…” mormorò Boromir. Non riusciva ancora a capire il senso delle loro parole, ma ricordava abbastanza da essere certo che tutta quell’agitazione non era necessaria. Pensavano forse che Boromir, soldato di Gondor, fosse così sciocco da cadere due volte nella stessa trappola?

“È quello che dici ogni volta che stai sanguinando!” ribatté Merry.

Aragorn si chinò su Boromir. “Sì, ma forse questa volta è la verità. Vediamo cosa c’è sotto questa tunica, amico mio”. Abili dita rimossero il bendaggio di Legolas, e Boromir udì il rumore del pesante broccato che veniva strappato. Aragorn si chinò per osservare meglio, e Boromir poté sentire il suo respiro rapido, poi improvvisamente il re si alzò, ridendo. “Avrei dovuto immaginarlo!”

"Che cosa?” Domandò Pipino.

"Un giaco di maglia! Sta indossando un giaco di maglia!”

Boromir ebbe un moto di irritazione. “Sarò anche cieco… ma non sono uno stupido”.

"Grazie ai Valar!" Aragorn strinse la mano sulla sua spalla, e rise di nuovo. “Sono stato io lo stupido a dubitare di te! E ad averti esposto a questo pericolo...”

"Non è stata colpa tua”, mormorò Boromir, anche se non aveva idea di quale fosse il pericolo di cui parlava Aragorn. Sentì la mano di suo fratello che si posava delicatamente sulla sua fronte, e ricordò le prime parole che aveva sentito al suo risveglio. "E nemmeno tua, fratello", aggiunse piano.

Faramir inspirò bruscamente, e sussurrò, con voce rotta, “Pensavo di aver perso mio fratello e il mio signore allo stesso tempo. E tutto a causa della mia stupidità!”

"Non ti impadronirai della primogenitura così facilmente", cercò di scherzare Boromir.

La sola risposta di Faramir fu chinare il capo e premere le labbra per un momento sulla fronte di Boromir. Poi si rialzò, e ritrovata la voce, domandò “E ora, mio Re?”

“Dobbiamo bendare bene la ferita, per evitare che perda altro sangue. Anche se non è profonda, è una brutta ferita, e dobbiamo medicarla in fretta. Ma temo che il colpo alla testa sia la cosa più grave”.

“Non capisco!” protestò Merry! “Se sta indossando un giaco di maglia, come ha fatto la lama a raggiungerlo?”

“Questo è un pugnale elfico, come molte delle armi dei Dùnedain". Nuovamente le dita di Aragorn presero il posto di quelle di Legolas, spostando la benda per tastare delicatamente la ferita. “La lama è abbastanza affilata da penetrare attraverso gli anelli di ferro, ma non ha potuto danneggiare organi vitali. Il polmone è intatto”.

Si interruppe per concentrarsi sul suo compito, le sue mani che si muovevano con esperienza. Boromir sopportò in cupo silenzio, stringendo i denti per resistere al dolore che gli causava anche solo quel tocco gentile. Stringeva saldamente la mano di Merry, cercando di distogliere la sua mente da ciò che accadeva attorno a lui. Nel momento di quiete che seguì, un ricordo affiorò all'improvviso.

"Halbarad". Cercò di alzarsi, ottenendo solo una protesta da parte di Faramir e un deciso ordine di Aragorn. Lasciò che suo corpo si rilassasse sulla pietra sotto di lui e disse, "Stavo parlando con Halbarad. Lui era... fuori di sé”.

“Non ricordi cosa è successo?” domandò Aragorn, la sua voce stranamente dura.

“No. Solo...”

Fu interrotto dalla vibrazione di passi di corsa sul pavimento, che si ripercossero attraverso le pietre strappandogli un gemito di dolore. Nell'immobilità che si era creata aveva quasi dimenticato il dolore alla testa. Il rimbombo degli stivali glielo fece ricordare anche troppo chiaramente.

“Ecco le bende”, ansimò Imrahil. “La lettiga sta arrivando”.

"Bene”.

Aragorn tornò a dedicarsi al suo lavoro, e Boromir lo sentì rimuovere tessuto e maglia di ferro per scoprire la ferita. Faramir teneva ferma la sua testa, sostenendola, cosa di cui Boromir era grato, e Merry si aggrappava alla sua mano. Quando Boromir si lasciò sfuggire alcuni lamenti soffocati, Aragorn mormorò le sue scuse.

"È la testa che mi fa male, non la ferita!” boccheggiò Boromir.

“Lo so. Ma non possiamo portarti fino alle Case di Guarigione finché non abbiamo fermato la perdita di sangue”.

Stringendo i denti, Boromir domandò, “Aragorn... come... come è successo?”

Il Ramingo esitò, occupato a fermare la perdita di sangue, poi rispose semplicemente, “Halbarad ha tentato di ucciderti”.

Dunque era questo il motivo della furia silente che li animava tutti. Era questa la causa della disperazione che udiva nelle loro voci e che faceva sì che tutti si stringessero attorno a lui così protettivamente. “È fuggito?”

“Ha tentato. Non è andato lontano”.

"Cosa... cosa gli farai?"

"Nulla”. Aragorn diede un brusco strattone alla benda. “È morto”.

Il gemito spezzato di Boromir era dovuto tanto al dolore per la ferita quanto alla disperazione. "No!”

Aragorn non disse nulla. Fu Legolas a parlare, alla sinistra di Boromir, con voce calma ma piena di rabbia tagliente. “Piangi per lui se vuoi, Boromir, ma non dare la colpa ad Aragorn. Halbarad ha suggellato il suo destino con la sua stessa pugnalata".

Boromir sollevò di nuovo una mano a coprirsi gli occhi, cercando di nascondere il suo viso alla vista degli amici. “Io so di chi è la colpa”.

"Non tua, Sovrintendente di Gondor”.

Scosse la testa impercettibilmente, ingoiando le lacrime che gli stringevano la gola, e sussurrò, “Sono stanco di queste ombre, stanco del sangue. Quando sarà finita?”

Fu Aragorn a rispondergli. “È finita. E ora, mio sovrintendente, tu riposerai”.

*** *** ***

Le foglie tritate di athelas galleggiavano in una ciotola di acqua bollente accanto al letto, riempiendo l’aria della loro fragranza medicamentosa. L’odore fece venire in mente a Merry la Contea in primavera, rigogliosa e bella oltre ogni dire, come viveva solo nei suoi più dolci sogni, e il suo cuore si alleggerì. Era seduto a gambe incrociate ai piedi del letto, e guardava gli Uomini lavorare senza dire nulla. Il suo senso di benessere fu messo a dura prova quando vide il viso esausto e pallido di Boromir, ma poi si ricordò la promessa di Grampasso.

“Andrà tutto bene, Merry”, aveva detto, Mentre Legolas e Faramir sollevavano Boromir sulla barella, “hai la mia parola. Non lascerò che gli accada nulla di male”. Poi aveva preso la mano di Merry e si era incamminato verso le case di Guarigione, sempre tenendo accanto a sé lo hobbit spaventato, proteggendolo con la sua presenza rassicurante.

Andrà tutto bene. La promessa di un amico e di un guaritore. La promessa di un Re che li aveva condotti attraverso il fuoco e l’oscurità fino a una splendente aurora. Come poteva dubitare di Grampasso?

Guardò le agili dita di Aragorn lavorare alla ferita nel fianco di Boromir, e, rincuorato dall'aroma dell'athelas, non distolse nemmeno lo sguardo. Boromir non sembrava accorgersi del dolore, ora che era di nuovo padrone di sé. La spaventata confusione e lo smarrimento che aveva mostrato poco prima nel cortile erano scomparsi, lasciando il posto al suo consueto contegno, e a una tetra rassegnazione a sopportare i mali che non poteva evitare. Aveva ostinatamente rifiutato la presenza dei guaritori, accettando solo Aragorn, e aveva mandato Faramir a chiamare Gil, mettendo a tacere le proteste del fratello con un ordine imperioso. Persino il Re si era arreso al suo desiderio, impedendo l’ingresso a tutti fuorché alla sguattera. Ora che aveva vinto quella piccola battaglia, Boromir sembrò lieto di lasciare il comando ad Aragorn.

Aragorn lasciò cadere un panno insanguinato nel catino ai suoi piedi e fece cenno a Faramir di porgergli la fasciatura. Insieme bendarono strettamente la ferita, mentre Gil si occupava del catino, raccogliendo i bendaggi insanguinati ai piedi del letto. A una parola di Aragorn, la ragazza uscì dalla stanza per ritornare poco dopo con una grande tazza d’argento che fumava tra le sue mani.

Dopo che Aragorn ebbe finito di fissare il bendaggio, Gil gli porse la tazza. Aragorn la prese, ringraziandola, e la posò sul tavolino accanto al letto. Gil cominciò a raccogliere i vari capi di vestiario sparsi per la stanza. Aragorn fece un passo indietro, osservando il suo lavoro.

"Ora puoi respirare, Boromir. Ho finito di torturarti. La ferita è pulita e ora ha solo bisogno di tempo per guarire".

"Ti ringrazio”, disse Boromir, con voce tirata. “Ti sarei ancora più grato se potessi far smettere il pulsare nella mia testa”.

"Bevi questo." Sollevò la coppa, mettendola tra le mani di Boromir. "Lenirà il dolore e favorirà il sonno".

Boromir, che stava già per prendere la tazza, si tirò indietro di scatto. "Sonno?" Il suo viso divenne sospettoso. "Non ho bisogno di droghe per dormire."

"Non ti fidi del tuo Re e guaritore? Ho preparato io stesso questa medicina, e ti garantisco la sua efficacia. Bevila, Boromir. Non soffrire senza motivo."

"No." Lasciò cadere le mani per afferrare i lati del letto, cercando inutilmente di nascondere il tremito che le scuoteva. "Il dolore è poca cosa, e preferisco guarire naturalmente".

Aragorn lo guardò con comprensione. Boromir continuava a tenere il capo abbassato, stringendo ostinatamente i bordi del letto, mentre Faramir guardava prima uno poi l’altro con espressione ansiosa. Poi finalmente Aragorn ruppe il silenzio, posando la tazza sul tavolo con un rumore secco. Si voltò e lanciò un veloce sguardo a Gil.

Gil comprese di essere stata congedata, e si avviò verso l'uscita dopo un breve inchino e un rispettoso "mio signore". Né Aragorn né Faramir notarono la piega preoccupata della sua bocca, o il sordo dolore nei suoi occhi mentre guardava in direzione di Boromir. Solo Merry se ne accorse, ma Gil se ne andò prima che lui potesse confortarla. Non che sapesse in che modo farlo - o se lei avrebbe accettato il suo conforto.

Aragorn attese finché i suoi passi non si furono spenti lungo il corridoio di pietra, poi si sedette sul bordo del letto e parlò a Boromir.

"Perché non vuoi dormire?"

Merry lanciò un veloce sguardo a Faramir, e vide che anch’egli era sporto in avanti, come il suo re, ansioso di sentire la risposta di suo fratello. A Merry sembrava assurdo fare una simile domanda, ma d'altronde loro non avevano viaggiato a fianco di Boromir per tutti quei giorni di oscurità, ascoltando il tormento nella sua voce la notte. Mosso da un impulso protettivo, Merry si avvicinò a Boromir, abbastanza perché l’uomo avvertisse la sua presenza, e attese la sua risposta. Boromir per tutti guqoromir per tutti guq d'altrone

"Ti sfinisci senza sosta giorno dopo giorno”, continuò Aragorn, “e la notte vaghi per queste case come uno spettro senza pace. Se continui così, il tuo corpo ne sarà provato al punto da non poter guarire. Io voglio aiutarti, Boromir, ma devi dirmi come. Dimmi perché non vuoi dormire”.

Boromir non rispose. Rimase seduto fissando con lo sguardo bendato le proprie mani, aprendo e chiudendo le dita in un gesto smarrito. Il suo viso era teso e rabbuiato, ma distante, come se i suoi pensieri stessero vagando lontano da quella piccola stanza e dalle attenzioni dei suoi amici. Aragorn attendeva pazientemente. Faramir osservava il fratello con il dolore evidente nei suoi occhi, ma non osava dire nulla per non disturbarlo. Fu Merry che ruppe quell'immobilità, posando una mano sul braccio di Boromir. Il tocco parve richiamare Boromir alla realtà. Sollevò la testa di scatto, con un'espressione confusa in volto.

"Boromir?" Aragorn parlò dolcemente, non più in tono di comando, ma di supplica. "Cosa non va?"

Con un visibile sforzo, Boromir rispose, in un sussurro. “Ho paura”.

"Paura di cosa?"

"Dell’oscurità. Quando sono solo diventa così grande. Soprattutto nel sonno. Ho paura che una volta che vi sono entrato, non troverò mai più la via del ritorno."

Lo sguardo di Aragorn era così pieno di dolore e compassione che Merry sentì le lacrime salirgli agli occhi. E in quel momento, lo hobbit capì, come mai prima, quanto fosse profondo il legame tra i due uomini. Era stato forgiato tra le fiamme di Isengard e messo alla prova dal Nemico stesso. Nulla poteva spezzarlo. E l'oscurità non avrebbe mai vinto Boromir, finché Aragorn fosse stato lì per portarlo indietro.

"Non permetterò che tu ti smarrisca”, lo rassicurò Aragorn, dando voce ai pensieri di Merry. "Fidati di me, Boromir. Io ti richiamerò, se mai dovessi vagare troppo lontano”.

"Ha fatto la stessa cosa con me”, disse Faramir. “Quando il Respiro Nero mi imprigionava, è stata la voce del Re che mi ha liberato".

"E anche con me", mormorò Merry.

La mano di Boromir si posò su quella di Merry, stringendola convulsamente. “Come farai a sapere se...” deglutì dolorosamente, “...se sarò perduto?”

"Ci sarà sempre qualcuno qui con te, a vegliarti quando non ci sarò io. Qualcuno di cui ti fidi. E di tanto in tanto ti sveglieremo, per assicurarci che tu non cada troppo profondamente nel sonno". Boromir non disse nulla, continuando a tenere il capo abbassato con espressione spaventata. "Non ti lasceremo solo", aggiunse Aragorn, " te lo giuro".

Boromir sospirò. “Ora mi disprezzerete”.

Gli occhi di Aragorn scintillavano, e Merry si accorse che erano pieni li lacrime. “Io penso solo che troppo a lungo ho messo il regno al di sopra del benessere del mio amico. E come sempre, tu stai soffrendo per causa mia."

"No, Aragorn. Io non mi aspetto certo che tu curi le mie ferite o scacci le mie paure”.

"E’ mio dovere, tanto quanto radunare gli eserciti o promulgare le leggi. Io sono la Gemma Elfica, Speranza dell’Ovest, guaritore e Re, e fratello d’armi di Boromir di Gondor fino alla morte. Io posso darti riposo e pace, liberarti dalle tue paure. Tutto quello che devi fare è fidarti di me."

Per un lungo momento, Boromir restò a capo chino in silenzio, impegnato in una lotta con se stesso. Alla fine, sollevò il capo e annuì. Faramir sorrise sollevato, e si chinò a togliere gli stivali al fratello. Merry si spostò per dare ai due uomini spazio per muoversi, e li osservò mentre adagiavano il corpo martoriato ed esausto di Boromir in una posizione più comoda.

Quando ebbero finito, il viso di Boromir aveva perso ogni colore. Sembrava così debole che Merry si spaventò, ma quando Aragorn si curvò su di lui per sistemare le coperte, Boromir protestò con forza. “Non mi affliggerai con i guaritori, vero? O con quella vecchia che non la smette mai di parlare? "

"Niente guaritori. Ma deve rimanere qualcuno di guardia alla tua stanza”.

"Merry è la sola guardia che mi serva”.

Lo hobbit sorrise, e mormorò, “Non ho ancora una spada”.

“Le guardie possono proteggerti tanto dai sicari che dai visitatori indesiderati”, osservò Aragorn. “Avranno ordine di non entrare nella stanza a meno che tu non li chiami, e di non lasciare entrare nessuno senza il mio permesso”. Prese la tazza che fumava lievemente sul tavolo e la portò alle labbra di Boromir, che però voltò la testa ostinatamente da un lato. "Bevi, Boromir. Questa è la fiducia di cui parlavo, e la medicina di cui hai bisogno."

"La berrò, ma... non ora. Il mio stomaco non è in grado di sopportarla in questo momento. Lasciala qui. Merry si assicurerà che io beva."

Aragorn lo osservò per un momento. Non credeva che Boromir si sentisse così male da non bere la pozione curativa, ma decise di non insistere oltre.

“Molto bene. Ma se al mio ritorno non l’avrai bevuta non sarò così indulgente. Scoprirai che ho metodi convincenti per fare eseguire i miei ordini”.

Boromir mormorò riluttante il suo assenso, e Aragorn giudicò che fosse il momento giusto per andarsene, prima che il suo paziente trovasse qualcos’altro da obiettare. Stringendo in segno di commiato la mano di Boromir, disse, “Ora riposa. Lascia che l’athelas faccia il suo lavoro. Merry rimarrà fino a quando verrò a dargli il cambio, ma se hai bisogno di me, chiamami. Io verrò.”

"E anche io," assicurò Faramir.

Aragorn uscì dalla stanza, ma Merry lo fermò sulla soglia, tendendogli una mano. "Credi davvero che sia ancora in pericolo, Grampasso?" Domandò Merry, guardandolo con preoccupazione.

"Non lo so, ma non voglio correre rischi”.

"Forse sarebbe meglio se avessi una spada”.

"Sì, credo di sì.” Aragorn rifletté per un istante, poi estrasse dal fodero il pugnale elfico di Halbarad, che aveva infilato nella sua cintura. La lama era lunga e sottile, un oggetto di mortale bellezza. E la sua punta era ancora macchiata del sangue del Sovrintendente di Gondor. Mentre l’acciaio elegante scivolava fuori dal fodero, Aragorn vide la macchia ed esitò, e il suo volto si fece duro per la repulsione. Stava per rinfoderarla di nuovo, ma Merry lo fermò.

"E' una lama così buona?", domandò.

"Lo è davvero”. Aragorn la soppesò nella sua mano, come se cercasse di ricordare le innumerevoli volte in cui l'aveva vista nella mano del suo amico, l'amico che aveva amato e di cui si era fidato, non il traditore che era morto sulla strada nemmeno un'ora prima. "Questa lama è stata adoperata con onore per molte vite degli Uomini, e mai, fino a oggi, era stata insudiciata con la codardia o il tradimento”.

Merry tese la mano, e Aragorn vi pose il pugnale. Merry strinse le dita attorno all’elsa, provandone il bilanciamento, e per un momento pensò che era davvero uno strano caso del destino, che ora lo faceva stare al cospetto di un re discutendo le virtù di una lama elfica nella sua mano.

"Posso tenerla?"

"Con piacere." Prendendo il pugnale per la guardia, Aragorn pulì la lama nell’angolo del suo mantello. “Ma, al contrario del tuo Re, tu dovresti sempre ricordarti di pulire la sua lama, Mastro Scudiero. Ora hai tutto ciò che ti serve per difendere il tuo signore”. Poi fece un passo indietro e rivolse a Merry un solenne inchino.

Merry arrossì leggermente mentre ricambiava il saluto al suo Re. Attese in silenzio accanto alla porta fino a che anche Faramir non si fu congedato da Boromir, poi, quando sia lui che Aragorn se ne furono andati, entrò chiudendo a porta delicatamente. Poi posò la sua nuova spada sul piccolo tavolo accanto al letto, e si arrampicò sul letto sedendosi accanto a Boromir, prendendo la sua mano nelle sue. Boromir gli sorrise brevemente, ma la tensione non abbandonò il suo viso, e la sua fronte rimase corrugata.

"Ora ho una vera spada”, disse Merry in tono pratico, “Così non hai più nulla da temere”.

Il sorriso apparve ancora, e Boromir mormorò, “Riposerò più sereno, sapendo che sei qui a guardarmi le spalle”.

Merry non fu in grado di decidere se il tono della sua voce era serio o bonariamente derisorio. Piegò la testa di lato, con aria sospettosa. “Dici sul serio?”

Boromir sembrò sorpreso. "Sì, naturalmente!"

"Bene. Pensavo che ti stessi prendendo gioco di me per via del coltello da formaggio".

"Non potrei mai prendermene gioco. È stato un atto di supremo coraggio, degno dei più grandi eroi di Gondor”.

"Ora sì che ti stai prendendo gioco di me".

"No." Boromir strinse le dita con fermezza attorno a quelle di Merry, e per la prima volta, un genuino sorriso gli illuminò il viso. “Io ti sono grato, Piccoletto, e non solo per quello, ma anche per tutte le ore che hai trascorso con me a parlare, ridere e ricordare."

Le lacrime giunsero improvvise agli occhi di Merry, e un nodo gli strinse la gola. Non che avesse mai dubitato dell'affetto di Boromir, né della fiducia che il cauto soldato riponeva in lui, ma sentirlo parlare in modo così naturale e aperto era come un balsamo per il suo cuore. In quel giorno di ansia, la paura, la rabbia e il panico più cieco avevano lasciato il loro segno su di lui. Era passato attraverso la tensione snervante e il terrore assoluto, per poi ritrovarsi alla fine ancora una volta nel ruolo di protettore e compagno paziente. La testa gli doleva a tal punto che le lacrime erano il suo unico sfogo.

Forse Boromir aveva udito i suoi singhiozzi sommessi, o forse anche i suoi pensieri si erano rivolti allo stesso tempo verso oscuri sentieri, perché quando parlò di nuovo il calore aveva lasciato la sua voce. Sembrava stanco e triste, e c’era una traccia dell’antica disperazione nelle sue parole. “Presto questi momenti tranquilli che trascorriamo insieme non saranno che un’altro ricordo."

"Mi dispiace” Merry si dovette schiarire rumorosamente la gola prima di poter continuare. “Darei qualunque cosa per poter restare qui con te. Tutto, tranne...”

“Tranne la possibilità di rivedere la Contea”.

La quieta rassegnazione nella voce di Boromir fu come un macigno sul cuore di Merry. Sapeva che Boromir aveva accettato la sua decisione di andarsene, per quanto gli era possibile, ma sentiva comunque il bisogno di giustificarsi. Forse voleva vincere la piena approvazione dell’Uomo, invece di quella cupa resa a labbra serrate. "Gandalf dice che ci sarà bisogno di me nella Contea, prima che questa guerra sia finita. Pensavo che adesso sarei potuto andare a casa a riposare, ma lui ha detto che abbiamo ancora del lavoro da fare."

"Te ne vai perché te lo ha ordinato lo Stregone? "

"No. Io gli credo, ma anche se così non fosse, anche se tutto quello che mi aspetta nella Contea fosse solo un comodo buco Hobbit e una pipa piena di foglia di Pianilungone, nonostante questo tornerei comunque. Quello è il mio posto, Boromir."

"Non sei più la creatura innocente e spensierata che ha lasciato la Terra di Buck tutti quei mesi fa. Tu hai visto gli eventi più grandi e terribili della nostra era, e ormai sei abituato a ben altre cose che gli svaghi degli hobbit. Forse non ti sentirai più tanto a casa nella Contea, ora".

"Minas Tirith ti è sembrata forse meno casa tua, dopo tutti i mesi che hai trascorso lontano da essa? O per quello che vi hai trovato al tuo ritorno? "

"No." Boromir esitò un istante, poi aggiunse, sussurrando. “Anche se fosse bruciata e annerita come la mano di Sauron, ridotta in macerie, e il suo popolo disperso nelle terre selvagge, il mio cuore abiterebbe sempre nella Bianca Torre”.

"Allora tu mi capisci."

"Sì." Boromir trasse un profondo respiro, spezzato a causa del dolore che gli causava la ferita al fianco. “Non posso trattenerti qui, e non posso segurivi all'Ovest. Non ho altra scelta che trovare la mia strada senza di te".

"Anche io dovrò trovare la mia."

Entrambi rimasero in silenzio, ma nonostante i tetri pensieri, era un silenzio piacevole. Merry scoprì di non avere altre parole o consigli per il suo amico. Nulla avrebbe potuto cancellare il dolore di lasciare Gondor e il suo Sovrintendente, ma il pensiero che il suo Re li avrebbe protetti entrambi gli fu di conforto. E anche se Boromir avrebbe sentito la mancanza della sua guida, avrebbe trovato comunque la sua strada attraverso gli oscuri sentieri che lo attendevano. Merry non aveva dubbi in proposito. Tutto ciò che gli restava da fare era mettersi in strada, e seguirla fino a casa.

Quando Boromir si mosse, sollevando la mano a coprirsi gli occhi, Merry si riscosse dal pensiero delle lunghe leghe che separavano la Contea da Minas Tirith e rivolse la sua attenzione all’uomo ferito. Il suo gesto tradiva il dolore e la stanchezza, e fece tornare alla mente di Merry il suo dovere.

"Ora sei pronto per dormire?”, domandò.

Boromir rispose con un grugnito che Merry non avrebbe saputo interpretare.

"Hai promesso ad Aragorn che avresti bevuto la sua medicina."

"Sì."

Merry prese la coppa, ormai fredda, dal tavolo, e la annusò cautamente. “Profuma di erbe e di miele. Non sembra per niente male."

"Puoi berla tu. Dormi, e io veglierò sul di te.”

Merry ridacchiò. Fece per passare una mano dietro la testa di Boromir, in modo da sollevargli la testa per aiutarlo a bere più facilmente, ma l'uomo gemette al suo tocco, e scostò bruscamente la sua mano. Il viso di Merry era rosso di umiliazione. "Scusami! Non ci avevo pensato!”

"Va tutto bene… tutto bene. Ma, per il cielo, fa male!" riuscì a dire. “Penso proprio che mi farebbe bene un po’di sonno drogato per sfuggirgli!”

"Sai che puoi fidarti di Aragorn. Non ti darebbe mai nulla che potrebbe farti del male. Ti prego Boromir, bevi e riposa”.

"Per te, lo farò."

Tese la mano, permettendo a Merry di dargli la tazza. Insieme, la portarono alle sue labbra, e Boromir deglutì la pozione dall’odore dolce. Quando la tazza fu vuota, la restituì a Merry, e si lasciò sprofondare nel cuscino con un sospiro di sollievo. Tese ancora una volta la mano verso lo hobbit. Merry la afferrò stringendola tra le sue, e sorrise quando Boromir parlò di nuovo.

"Raccontami una storia che parla della Contea, Merry. Qualcosa... qualcosa di caldo, che profumi d’estate”.

Quando Aragorn ritornò alle Case di Guarigione era ormai il tramonto. Trovò Merry raggomitolato su una sedia intento a mangiare una mela, mentre Boromir era immerso in un sonno profondo. Posando le foglie fresche di athelas sul tavolo, si chinò a osservarlo attentamente.

"Non si muove da ore”, disse Merry.

"Questo è bene."

"Dobbiamo proprio svegliarlo? Sembra così tranquillo... non voglio disturbarlo. E poi, anche dopo aver preso la tua pozione per dormire, gli ci sono volute due storie hobbit e una delle vecchie canzoni di Bilbo, prima che si addormentasse”.

"Non temere, Mastro Perian, non si ricorderà nemmeno che lo abbiamo svegliato.”

Aragorn fece portare altra acqua calda dalle cucine per mettervi l’athelas, e svegliò Boromir quel tanto che bastava per fagli bere un'altra pozione. Poi, il Re portò una sedia accanto al letto e allungò le gambe posandole sul bordo del materasso. In quella posizione somigliava tanto al Grampasso che Merry ricordava al Puledro Impennato, che lo hobbit si sarebbe quasi aspettato di vederlo prendere la pipa e chiedere una pinta di birra. Mancavano soltanto il mantello sdrucito e gli stivali infangati a completare il quadro.

Osservando Merry con le palpebre semiabbassate, disse “Vai a cenare, Merry. Resterò io con lui durante la notte".

"Se non ti dispiace, preferisco restare”.

Gli occhi di Aragorn scintillarono per un instante. “Hai paura di lasciarlo solo?”

Lo hobbit sorrise imbarazzato. “Un po’. Non so che cosa gli potrebbe succedere quando non posso vederlo”.

"Per stanotte, si limiterà a dormire. Hai la mia parola”.

"Non è che non mi fidi di te… "

"Ma preferisci restare”. Grampasso rise. “Allora resta, piccoletto. Un po' di compagnia mi farà piacere”.

Sorridendo, Merry diede un grande morso alla sua mela e si sistemò comodamente sulla sua grande sedia in attesa di far trascorrere la notte. Al suono del respiro regolare di Grampasso, si addormentò.

*** *** ***

Salsicce. Qualcuno stava cucinando salsicce, e il loro profumo invitante raggiungeva Boromir, strappandolo dal suo sonno ormai leggero. Il suo stomaco rumoreggiò in segno di protesta. Boromir si sollevò cautamente puntellandosi sui gomiti, facendo appena caso al dolore sordo al fianco, e cercando di capire chi fosse nella stanza con lui.

Sapeva che c’era sempre stato qualcuno nella stanza a vegliarlo, poiché in tutti i giorni della sua convalescenza, svegliandosi, non si era mai ritrovato solo. All’inizio, era sprofondato in un sonno profondo causato dallo sfinimento e dalle ferite. Quando qualcuno veniva a svegliarlo, riemergeva riluttante alla consapevolezza per poi scivolare nuovamente nell’abisso oscuro dell’oblio non appena lo lasciavano andare. In quei momenti beveva le medicine che gli venivano portate alle labbra e consumava i pasti leggeri che gli somministravano, ma non riusciva a ricordare chi era stato a parlargli durante i suoi brevi momenti di veglia.

Man mano che il suo corpo guariva, il suo sonno era diventato più naturale, meno profondo. Si svegliava da solo, a volte, e cercava di prestare attenzione a ciò che lo circondava. Poi finalmente aveva cominciato a riconoscere le voci che gli parlavano. Merry, Pipino, Faramir, Aragorn. Tutti loro, a turno, lo avevano vegliato. Una volta, svegliandosi, gli sembrò di trovare Gandalf seduto accanto al suo letto, che fumava la pipa e mormorava qualcosa tra sé e sé. Boromir si chiese se non l'avesse sognato. Il vecchio Stregone sembrava un'improbabile infermiere.

Quel mattino, con il profumo dell’estate e del cibo che si diffondeva nell'aria, Boromir si svegliò affamato e con tutti i sensi all’erta. Fu una specie di sorpresa per lui, dopo giorni di oblio, con lo stomaco troppo debole per mangiare e di totale disinteresse verso tutto ciò che non era sonno. Forse le pozioni di Aragorn alla fine lo avevano stancato, e ora il suo stomaco reclamava qualcosa di più sostanzioso che una tazza di tè e pane tostato. Salsicce, ad esempio.

Un rumore leggero di passi e il fruscio di una gonna si avvicinarono al letto. Boromir si sedette meglio, combattendo contro le vertigini che lo coglievano, e sorrise in direzione del suono.

"Buongiorno, Gil."

In modo totalmente compito, la sguattera rispose, “Mio Signore”.

"Sento profumo di colazione".

Gil si interruppe, annusando l’aria, e ribattè, “Quello che senti è il concime che Mamma Ioreth ha sparso sulle erbe del giardino".

Boromir scoppiò a ridere, ma fu colto improvvisamente da un'ondata di vertigine, e ondeggiò come un ubriaco, sbiancando in volto. Gil lo afferrò prontamente, sostenendolo con una mano sul suo braccio. Con l'altra mano, sistemò i cuscini sparsi in modo da formare una pila di guanciali dietro la sua schiena. Boromir vi si appoggiò, rovesciando la testa all'indietro e sospirando con gratitudine.

"Sembra che non potrò mangiare salsicce, dopotutto”.

"Hm. Non hai nulla che non va, mio Signore, se non lo stomaco vuoto e troppo tempo trascorso a letto. Il Re ha mandato a dire di prepararti una vera colazione questa mattina. Poi un bagno e vestiti puliti".

"Già, e poi una battaglia con gli Esterling e un’incursione nelle Montagne dell’Ombra per abbattere qualche orco”, mormorò Boromir, sollevando la testa mentre Gil gli poneva in vassoio sulle ginocchia. Il profumo della carne e del pane appena sfornato era invitante. “Devo recuperare le forze”.

"Proprio così".

Gil prese un tovagliolo e lo aprì spiegandolo sul suo petto, poi posò sul vassoio una tazza colma di tè, con il musicale rumore della ceramica sul legno. Boromir decise che aveva bisogno di bere, più che di mangiare, e allungò la mano per prendere la tazza. Ma proprio mentre toccava la liscia porcellana, qualcosa di pesante e di terribilmente caldo cadde sul dorso della sua mano. Istintivamente ritrasse la mano, proprio mentre Gil, interrompendosi nel suo movimento, spostava la teiera. La tazza si rovesciò, versando il liquido bollente sul suo braccio. Boromir trasalì per il dolore, facendo quasi rovesciare il vassoio che aveva sulle ginocchia.

Con i fulminei riflessi di un guerriero elfico o di un’esperta cameriera, Gil fece roteare la teiera lontano da loro, e afferrò allo stesso tempo il vassoio, fermando la sua corsa verso il caos.

"Non ti muovere!" esclamò.

Boromir obbedì prontamente, immobilizzandosi nella posizione in cui si trovava, con la mano destra che afferrava il bordo del letto, il ginocchio sinistro sollevato, e il braccio sinistro fradicio tenuto cautamente lontano dal corpo. Restò per un momento in quella posizione ridicola, mentre il frusciare del tessuto e il rumore di piatti sul tavolo lo informavano che Gil stava riordinando le cose sistemando la teiera dove non poteva fare danni. Poi si occupò del vassoio, sollevandolo dal ginocchio di Boromir. Boromir distese cautamente la gamba, poi si appoggiò si nuovo all’indietro contro il cuscino, senza proferire parola e tenendo il viso voltato in modo che Gil non potesse vedere la sua umiliazione.

"Ti sei scottato?" domandò lei.

"No." Boromir si strattonò la manica, sulla quale il liquido si stava raffreddando rapidamente. La pelle gli bruciava ancora, ma questo evitò di menzionarlo. Dopo un momento di imbarazzo, aggiunse, “Almeno questa volta non era la colazione del Mezzuomo”.

Gil assentì con un mugolio, mentre posava nuovamente il vassoio in grembo a Boromir. “Questa volta il cibo si è salvato. Mangia, mio signore, prima che mi tocchi raccogliere tutto quanto dal pavimento”.

Boromir sorrise, e, con un'esagerata mitezza che causò un soffio di disapprovazione da parte di Gil, domandò, "C'è rimasto un po' di tè nella teiera?"

Gil prese la teiera, si allontanò leggermente dal letto per riempirgli la coppa, e gliela mise tra le mani. Boromir sorseggiò l’infuso caldo con evidente sollievo, e poi attese fino a che il rumore di passi non lo informò che Gil si era voltata. Poi posò la tazza sul vassoio e cercò un coltello. Non gli piaceva mangiare in presenza di altre persone, lo faceva sentire goffo e vulnerabile come un bambino, e detestava non sapere che cosa aveva nel piatto – ma gli piaceva ancora meno ammettere di avere bisogno di aiuto. Ma quella mattina era troppo affamato per badare alla sua vigilante infermiera, e così, non appena lei si voltò, Boromir abbandonò ogni cautela, trovò il coltello, e infilzò la prima cosa che trovò nel piatto. Fu fortunato, poiché si trattava di una saporita salsiccia.

Quando finalmente Gil si sedette nella sedia accanto alla finestra, Boromir stava ormai divorando la sua colazione incurante delle apparenze. Gil rimase in silenzio, la sua presenza rivelata soltanto dall’occasionale frusciare del tessuto. Boromir mangiò fino a quando la sensazione di vertigine non lo abbandonò, sentendosi decisamente di umore più allegro. Quando posò la tazza dopo aver finito di bere il tè, Gil si alzò per spostare il vassoio e riempire la tazza di nuovo.

"Sono state un’idea di Aragorn, le salsicce? " domandò Boromir oziosamente.

"I contenuti della nostra dispensa non sono certo un compito del Re”, Rispose Gil.

"Allora è stata un’idea tua. Ti ringrazio."

Rimettendosi a sedere accanto alla finestra, Gil rispose, in tono piatto “Io servo il mio signore come meglio posso”.

Boromir sbuffò con scetticismo, ma non commentò. Dopo un momento di silenzio, parlò di nuovo. "Cosa stai facendo?"

"Rammendo le lenzuola."

"Come, non dovresti spargere il concime?"

"Il concime dovrà aspettare dopo che avrò finito qui.”

"Ma tu non riposi mai?"

"Ho riposato a sufficienza, prima dell’alba. Non sei un paziente esigente... quando dormi".

"Devo chiederti perdono per essermi svegliato e averti disturbata?"

"Come tu desideri, mio signore."

"Dannazione, Gil, smettila di rammendare e parlami!"

Le mani di Gil si fermarono, e Boromir immaginò di vedere lo sguardo di muta, assente obbedienza fissato su di lui. “Ti ho forse arrecato offesa, per meritarmi solo questa fredda cortesia?” domandò.

"No, mio signore, non pensarlo." La sua voce divenne più ruvida. “E’ solo che… sono felice di rivederti in buona salute”.

A qualcuno meno familiare con il modo di fare spinoso di Gil, quest’ultima affermazione avrebbe potuto apparire irrilevante. Ma per Boromir spiegava ogni cosa. Era, in realtà, la cosa più significativa che Gil avesse detto quella mattina.

Boromir rimase immobile, senza far trasparire i suoi pensieri, per un lungo momento. Poi, improvvisamente, sorrise con spensieratezza. “Avevi parlato di un bagno?”

Boromir sedeva sul bordo del letto, infilandosi cautamente gli stivali. Lavato, pulito e rasato, ora cercava di vestirsi in modo presentabile, prima che Gil irrompesse di nuovo nella stanza. I lacci e le fibbie lo facevano innervosire, e aveva ormai esaurito le sue scarse riserve di forza. Ma il suo orgoglio aveva sofferto abbastanza quella mattina, e così continuò, a dispetto della debolezza che lo incalzava.

Era riuscito a indossare la camicia e i pantaloni abbastanza facilmente, ma il tremito delle dita non gli permise di allacciare i complicati fermagli della tunica. E, chinandosi per raccogliere gli stivali, la testa prese a girargli in modo allarmante. Quando ebbe finito di vestirsi, si sentiva debole e in preda alla nausea. Un sorso di tè freddo servì a calmargli lo stomaco, ma non si sentiva ancora pronto per lasciare il porto sicuro del suo letto.

Quando udì un rumore fuori dalla porta, credette che fosse Gil che ritornava. Ma il visitatore che entrò nella stanza indossava stivali, ed era accompagnato dal rumore di pesante broccato che frusciava contro il cuoio, non dal tenue frusciare di gonne. Attraversò la stanza a grandi passi e si fermò di fronte a Boromir.

Ci fu una breve pausa, poi la voce di Aragorn lo raggiunse, piena di gioia, “Come stai, mio Sovrintendente?”

Un ampio sorriso illuminò il viso di Boromir. “Abbastanza bene. E tu, mio Re?”

"Bene." Rise forte, afferrando le braccia di Boromir e stringendolo in un abbraccio. “Bene davvero!”

Mentre si separavano, Boromir continuò a sorridere al suo re con aria confusa. Non aveva bisogno di vedere il viso di Aragorn per capire che era ricolmo di gioia, regale e nobile. Percepiva la sua nobiltà, il sangue di Elendil che cantava nelle sue vene, l’orgoglio dell’antica Númenor che incoronava la sua fronte di luce, ma c’era qualcosa d’altro. Questo era un uomo così pieno di felicità che non poteva quasi contenerla nel suo corpo mortale, e irradiava da lui come acqua da una fontana.

"E’successo qualcosa," disse Boromir. Poi gli venne un'ispirazione, e domandò, “E’ forse giunta la dama Arwen?”

"No, ma quel giorno si avvicina. E’ molto vicino ormai, se leggo correttamente i segni.”

"Quali segni, Aragorn?"

"Vieni con me, te li mostrerò. A lungo ho atteso questo giorno, aspettando e sperando. Ora finalmente è giunto.” Posando una mano tremante sulla spalla di Boromir, disse “Andiamo, Boromir, vieni a vedere la nostra vittoria definitiva”.

"Verrò con te volentieri, ma non capisco cosa vuoi dire!”

"Presto tutto sarà chiaro! Il segno è indirizzato tanto a me quanto a te. Ne sono certo. E la sua bellezza... ah Boromir, guarirà il tuo cuore!”

Dopo aver sistemato gli ultimi fermagli della tunica di Boromir, Aragorn lo condusse fuori dalle Case di Guarigione, attraverso i giardini inondati di sole, entrando attraverso l'ampia strada nel Sesto Circolo. Le guardie li salutarono e si misero sull’attenti al loro passaggio. Mentre passavano sotto la fresca ombra della galleria, Boromir domandò, ”Dove stiamo andando?”

"Pazienza," rispose Aragorn .

Passarono anche il cancello successivo, e Boromir intuì che il Re lo stava conducendo alla Torre. Invece, attraversarono il Cortile fermandosi nel piccolo prato al centro di esso. Boromir udì il mormorio della fontana e lanciò uno sguardo interrogativo a Aragorn. Accanto a lui, Aragorn inspirò profondamente, pieno di esaltazione, e sembrò ergersi più alto di prima. La gioia in lui era come una presenza viva, che vibrava attraverso la sua persona come la corda di un'arpa.

Insieme scesero il gradino, camminando sull'erba soffice. Aragorn liberò con gentilezza il suo braccio dalla stretta di Boromir, prendendolo per mano e conducendolo in avanti.

Guidato da Aragorn, Boromir salì il gradino fino al luogo dove si trovava l’albero Bianco di Gondor. Boromir si avvicinò con riluttanza. Non aveva desiderio di toccare il suo tronco secco, e di rivedere nella sua mente l’orgoglio di Gondor morto e inaridito che marciva accanto alla pozza d'acqua. Ma mentre si avvicinava colse il profumo di fiori nell'aria. Si fermò, stupefatto, e mentre ascoltava gli sembrò quasi che la musica della fontana, si solito così malinconica alle sue orecchie, ora suonasse gaia tra foglie verdi e rami rigogliosi.

"L’ho trovato sulle pendici alte del Mindolluin alle prime luci del mattino”, disse Aragorn, con tono reverente. "Gandalf mi ha condotto lì”.

"Che cos’è?"

"Il segno che ho aspettato per tutta la mia lunga vita”.

Di nuovo, invitò Boromir ad avanzare, e Boromir obbedì senza opporre resistenza. La sua mano protesa toccò una corteccia liscia. Lentamente, lasciò che il suo palmo seguisse la curva del delicato ramo, facendo scivolare le dita sul legno vivo. Era una cosa piccola, apparentemente fragilissima, che gli arrivava a malapena alla cintola. Sulla cima c'erano delle foglie fresche e tenere. Ed era vivo. Miracolosamente, gloriosamente vivo.

L'incredulità e la meraviglia si riversarono nel petto di Boromir, togliendogli il respiro e stringendogli la gola di lacrime. Cadde in ginocchio sull’erba, la sua mano ancora protesa a toccare le foglie. “E’ vivo”, sussurrò.

"Sì, e lo sarà sempre, finché Gondor prospererà sotto la nostra cura”. Prendendo gentilmente la mano di Boromir tra le sue, Aragorn la spostò nel punto in cui un grappolo di fiori incoronava la chioma verdeggiante dell’albero. “Questa è la nostra vittoria, Boromir. Tua e mia. Che cresce e fiorisce nel cuore della nostra città”.

"L’Albero Bianco."

"Questo è il segno che il nostro lavoro è appena cominciato. Ma se lo affrontiamo insieme, non possiamo fallire.”

"Sì." Boromir lasciò che la sua mano indugiasse sui petali per un momento ancora, poi si alzò rigidamente in piedi, e riprese il suo posto al fianco di Aragorn. "Io sono pronto, mio Re”.

Continua…

  
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