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Autore: Ely79    07/11/2009    3 recensioni
Per i suoi amici, Jill vive una vita tranquilla ed ordinaria. Ma che direbbero se sapessero che lavora al Ministero della Magia? Ecco una sua "normale" giornata di lavoro, tra scartoffie, bacchette e colleghi un po' speciali.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nimphadora Tonks, Nuovo personaggio, Remus Lupin
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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- Questa storia fa parte della serie 'Ministero della Magia'
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Dalle 14:30 alle 17:30
Ci salutiamo nell’atrio del Ministero. È tutto un gran vociare, darsi pacche sulle spalle, fare gesti idioti. George scompare in un camino, non prima di aver gettato qualcosa nella fontana. Tutto sembra tranquillo, e stiamo per allontanarci, quando un gorgoglio dice chiaramente che qualcosa non va: l’acqua scorre al contrario e dalla vasca ritorna agli ugelli, che chiaramente non riesce più a centrare correttamente, finendo sul pavimento.
«Manutenzione!» strilla Harry, scuotendo la testa.
«Non provare mai più a convincermi ad invitare tuo fratello a questi pranzi!» brontola Hermione.
«Ma che colpa ne ho, se si porta dietro quelle robe? Io neanche lo sapevo!» risponde il marito, grattandosi la testa abbattuto.
Proprio non c’è verso di tener buono quel clown patentato.
«Ron? Stiamo parlando di George! Quello che ha mandato in infermeria mezzo Grifondoro con le Merendine Marinare
«Non era solo».
I volti cambiano. Poco tempo fa ho scoperto che il gemello di George, Fred, è morto nella battaglia di Hogwarts. Erano inseparabili e creavano divertissement con la stessa tranquillità con cui le persone normali leggono un’insegna pubblicitaria. Avevano mollato la scuola per aprire un negozio di scherzi e, dopo la guerra, George ha continuato l’attività aiutato da un amico, Lee Jordan. Dicono che ora George faccia tutte le cose moltiplicate per due, per non far sentire l’assenza di Fred. Infatti ha avuto due gemelli qualche anno fa. Il maschio porta il nome dello zio scomparso.
Certe volte mi stupisce il tasso di natalità dei maghi. Sono prolifici come cavallucci marini.
«Deve imparare che qui, queste cose, non si portano!» insiste il mio capo.
«Ti conviene dirlo ad Angelina, allora. Non deve averlo perquisito a dovere stamattina» risponde Ron, incrociando le braccia in un’imitazione della cognata.
Intanto sul pavimento è comparsa una scritta liquida: “GorgoSpruzzoli”, l’ultima trovata della Tiri Vispi Weasley per far ammattire le mamme che obbligano i figli alla tortura cinese del bagno.
All’arrivo degli addetti, ci dirigiamo ognuno al proprio ufficio. Luna passerà più tardi, prima deve andare all’Ufficio Approvazione Strumenti Magici.
Saliamo in ascensore, tutti e quattro. Un momento. C’è una persona di troppo.
«Non dovresti andare anche tu?» chiedo.
«Turno di notte, pomeriggio libero» replica Tonks sbadigliando. «Lupetto, posso…»
«E Ted?» domanda Remus accigliato.
«Ci pensa mia madre. Merenda e compiti. Se finisce presto può andare a giocare».
«Ah, Andromeda, se non ci fossi tu!» sospira lui, sollevato.
Ted ha otto anni e, per quanto sia molto indipendente, sempre bambino rimane.
«Allora, posso?» ripete, strusciando uno scarpone logoro sui pantaloni perfettamente stirati.
«Ma sì, Dora, oggi non ho visite. Puoi dormire sul divano».
«Dormire sul divano? Io pensavo alla tua scrivania» dice, appoggiandosi alla sua spalla e facendomi l’occhiolino.
Mi sta mostrando il suo armamentario di approcci conturbanti, come ha minacciato uscendo dal Paiolo Magico. Insite a ritenermi digiuna di rapporti con l’altro sesso. A nulla è servito tentare di farla desistere lungo il tragitto di ritorno, fatto rigorosamente a piedi.
«Temo la troveresti un po’… Dora!» esclama, intuendo all’ultimo secondo il doppio senso. «Mi farai morire, prima o poi».
«Oh, ma tu sei un vecchio e pericoloso mannaro, non dovrebbe mancarti molto, vero?» lo stuzzica.
«Sapevo che i licantropi hanno una vita piuttosto lunga. O sbaglio?» mi intrometto, schivando un promemoria interpiano che vola a quota eccessivamente bassa.
«Non è la sola cosa che hanno…»
«Ninfadora!»
È arrossito in maniera preoccupante e l’azzurro delle iridi sembra più intenso. Vira quasi al verde.
«Okay, okay… però ci siamo capite, eh Jill?»
Un ringhio la richiama all’ordine. Sta arrivando al limite e la luna piena c’è stata da pochi giorni. Remus è ancora un pochino suscettibile.
Quando le porte si aprono sferragliando scorgiamo una figura, immobile davanti alla nostra porta.
«Oh, no. Ci mancava il Principe del Foro!» sbuffa Hermione.
«Chi?» domanda Tonks, incuriosita.
Evidentemente non ha spesso a che fare con certi personaggi.
«Blaise Zabini, l’avvocato di quella piaga di tuo cugino» bisbiglia irritata.
«Cugino? Ah! Lo strizzapuffole? Ma dai…»
Tonks ha sempre dei modi di dire piuttosto buffi, che usa per nascondere delle definizioni molto poco cordiali. “Strizzapuffole” sta per “rompicoglioni”. E suo cugino e il suo avvocato sono due autentici strizzapuffole.
«Zabini» salutiamo distaccate.
«Granger. Signorina».
Ecco, lui è un altro stile Dippet, che preferirebbe Babbani e Mezzosangue fuori dal Ministero. Non mi ha mai chiamata per nome, cognome o con qualsiasi appellativo che non fosse quel suo stizzoso “signorina”. Una volta l’ho visto in compagna del suo assistito: un manico di scopa coi capelli stinti. Il loro disprezzo mi aveva fatto venir voglia di prenderli per il collo e passargli la faccia su una grattugia da formaggio. È stato solo un attimo. Non ne vale la pena, quando ti trovi ad avere il coltello dalla parte del manico. Tutte le cause intentate da questo Malfoy sono tornate al mittente con un bel timbro rosso fuoco a sottolineare il più ferreo diniego. Il diniego di due persone che detesta e contro cui non ha armi.
Entriamo in ufficio mentre i coniugi Lupin si allontanano verso un’altra porta.
Andiamo nella stanza di Hermione. La sua faccia non fa presagire nulla di buono. Un grosso sbalzo ormonale incombe all’orizzonte.
«Cosa c’è questa volta?»
Dal suo tono si capisce perfettamente che è tutt’altro che ben disposta nei suoi confronti.
Zabini apre con lentezza la borsa, e fruga tra le pergamene.
«Non sarei qui se il motivo non fosse…»
«Poche storie. Cosa vuole?»
Ci siamo. La versione dolce e pacata di questa mattina ha lasciato il posto a quella battagliera e arcigna. Ho quasi pena di Zabini. C’è gente che rifiuta di mettere piede da noi per timore di essere aggredita verbalmente dalla signora Granger in Weasley. Forse torneranno, una volta che avrà partorito.
Qualcosa mi distrae. Il quadro del professor Silente, alla mia destra. Volto appena la testa e vedo il vecchio preside farmi un cenno. Me lo ripete un paio di volte, per esser sicuro che abbia capito. Seguo la direttiva e, mentre sta montando la tempesta di Grifondoro, intervengo.
«Avvocato, sta bene? Gradisce qualcosa da bere?»
Ha una faccia orribile. Pur essendo di colore, e di carnagione davvero scura, riesco a scorgere delle inquietanti ombre sotto i suoi occhi. Ha pure delle borse spaventose e la sclera è arrossata. E che dire delle labbra screpolate? Sembra una prugna secca. Ci sono una miriade di piccoli dettagli in lui che denotano qualche problema.
«Oh? Ecco, sì, grazie… se non è troppo disturbo… signorina».
Non è un grande passo avanti, almeno ha detto grazie. Cosa che ora non mi direbbe Hermione, che mi guarda in cagnesco, nemmeno le avessi fatto il peggior torto del mondo. Fraternizzare col nemico, che insulto!
Un bicchier d’acqua è sufficiente a stabilire una tregua.
«Il mio assistito ha un problema con i Vermicoli» spiega impacciato.
«Strano, sono così simili!» esclama la futura madre, attuale isterica.
«Granger, non mi pare il caso» cerca di calmarla, inutilmente.
«Ah, no? Sai che ti dico…»
«Che problema ci sarebbe, scusi? Sono troppi?»
Si gira. Ho quasi il sospetto che oggi sia contento della mia presenza. Meglio non illudersi, non cambierà idea su di me con tanta facilità.
«A dire il vero… il problema non sono i Vermicoli. A Villa Malfoy non ce ne sono».
«Ce n’è uno solo! E bello grosso!» tuona Hermione.
«Dottore, mi scusi, temo non abbia chiarito la situazione. Questi Vermicoli ci sono, sì o no?»
«No. Ma il mio cliente insiste a dire il contrario» sospira distrutto. «Il giardino è pieno di buche, è evidente che si tratta di talpe, ma non mi ascolta! Non so più come convincerlo del contrario. Siete la mia ultima speranza» e copre il viso tra le mani per nascondere uno sbadiglio.
Possibile che abbia perso il sonno per questa sciocchezza?
«Bene, dammi la sua stupidissima richiesta, così posso rigettarla immediatamente!»
Zabini è curvo in avanti, suppongo immagini le ire di Malfoy al suo rientro. Ed Hermione sta davvero dando i numeri.
Sbircio tra i documenti dell’avvocato. Vedo una fotografia e un ciuccio azzurro. Ho un’illuminazione. Zabini non è sposato, la foto lo ritrae con quel biondo ed un vivace neonato.
«Come sta il bambino?»
«Eh?»
«Il figlio del suo cliente» e indico la borsa. «È per lui che sta così?»
Dopo un attimo di perplessità, spinto probabilmente da una crisi di nervi, cede, annuisce e vuota il sacco.
«Sta bene, anzi, benissimo. Fin troppo bene! Scorpius è esageratamente attivo. È già finito tre volte al San Mungo per aver tentato l’impossibile per uno della sua età. Ha solo sei mesi…»
Sembra che qualcuno abbia spalancato la finestra. L’aria è cambiata all’improvviso.
La mia titolare si è trasformata in una donna tenera e comprensiva. Potere della maternità.
«Oh, Zabini! Perché non l’hai detto subito? Cielo! È terribile! Povero piccolo… ma tu che c’entri?»
«Praticamente vivo da Draco. Sono uno dei pochi amici che gli è rimasto e sono il padrino di Scorpius. Spesso sto alzato la notte a cercare di farlo dormire. Draco e Astoria non ce la fanno più, sono a pezzi. E poi lui se ne esce con queste scemenze!» e getta la pergamena sulla scrivania.
La esamino. Riconosco a stento la calligrafia. La porgo a Hermione che la legge a sua volta. Ci scambiamo lunghe occhiate, poi, la vedo prendere la penna. Non è la solita, quella d’aquila. È una penna diversa, più sottile, blu. Comincia a scrivere fitto fitto al termine della richiesta. Poi prende un biglietto e appunta qualcosa.
«Ecco. Avvisa il tuo caro socio che manderemo qualcuno ad occuparsi della cosa entro una settimana» e porge il documento.
«Delle talpe?» domanda incredulo.
«Sì, ma tu assecondalo. Non credo noterà differenza tra talpe e Vermicoli. Non ha mai amato Cura delle Creature Magiche».
«Già. Bene».
«Passa a Diagon Alley o dove preferisci, e prendi queste cose» aggiunge, allungando il biglietto. «È una pozione per il bambino. Non è un bene che sia iperattivo a quest’età. Lo aiuterà a calmarsi».
Zabini è senza parole. Legge e rilegge la lista di ingredienti e le poche note in calce.
«Guai a te se dici a Malfoy che te l’ho dato io» sottolinea, come se ce ne fosse bisogno.
Riprendendo improvvisamente la solita vuota e distaccata formalità, l’avvocato si alza e si congeda.
«Sei stata grande» esclamo.
«Anche tu. Come ti è venuto in mente di guardare nella borsa?»
Indico il quadro. Lei sorride riconoscente.
«Professor Silente, non so come ringraziarla!»
«Di nulla mia cara. Sai, ieri mi sono incontrato con Severus nei nostri quadri a Hogwarts, e mi raccontato dei problemi di Draco e della visita che vi avrebbe fatto Blaise. Ho solo dato una mano» risponde. «Se però volete proprio sdebitarvi, mi andrebbe qualcuno di quei deliziosi cioccolatini alla menta».
Sono la mia scorta anti-crisi depressiva personale, li tengo chiusi a chiave nell’ultimo cassetto della scrivania. É uno dei pochi a saperlo. Gliene abbiamo già passati un paio contro il parere di altri illustri ritratti, che reputano le richieste di Silente alquanto inappropriate.
Una volta presi, farli passare nel quadro è piuttosto semplice: li si preme sulla tela con la punta della bacchetta, finché non emettono il suono di una bolla di sapone che scoppia. È il segnale che sono diventati parte del quadro. Mi rimane il dubbio che, in quella mutazione, il loro vero sapore vada perduto per sempre, ma Silente insiste a dire che non è così.
Torniamo al lavoro, su quelle pratiche di poco conto, tutte scartoffie burocratiche e poca sostanza. Ogni tanto si sente il rumore della carta di un cioccolatino che viene aperto.
Nella cornice dietro di me, lo sciabordio delle onde prosegue placido sotto un cielo punteggiato di gabbiani. L’orologio all’angolo dello schermo segna le quattro. Tra un’ora e mezza inizierà ufficialmente il fine settimana.
Riprendo a digitare l’elenco di dati e nominativi della pratica Fox. Dovevo finirla ieri sera, accidenti a me. Sullo schermo ho aperti ben sei modelli di documenti diversi, nessuno dei quali più corto si dieci pagine: Dichiarazione di Tutela delle C.M.N.U. (Creature Magiche Non Umane), Iscrizione all’Albo di Tutela A.D.S. (Animali Domestici e Semidomestici), Certificato di Verifica Sanitaria, Domanda di accesso alla graduatorie di assegnazione Aree Protette, Convenzione e Regolamento di Attività di Allevamento e Addestramento, Autorizzazione Ministeriale all’attività di Allevamento C.M.N.U. e A.D.S.. E non sto tenendo conto delle relazioni generali e specialistiche, dei documenti personali del richiedente, della lista degli esemplari capostipiti con relativi pedigree, del progetto delle strutture per accoglierli,... persino le lettere con le proposte economiche dei fornitori di mangimi! Ma questo Fox, non aveva niente di meglio da fare che mettere in piedi un allevamento di Crup? E in pieno Cheshire? D’accordo, è una zona prettamente agricola, non ci sono grossi pericoli di essere scoperti, ma grazie a lui ho decimato intere greggi per avere abbastanza pergamena per questi incartamenti.
Finalmente arrivo in fondo alla pagina e digito l’invio alla stampante. Il nostro ufficio è l’unico che produce documentazione con mezzi Babbani. Modificati con appositi incantesimi, ma pur sempre Babbani. Non è ammesso comunque l’uso di normalissima carta, tutto su cartapecora filigranata dalle stamperie del Ministero. Può pure essere stata stregata per durare nei millenni, per quanto mi riguarda continuo a preferire le care, vecchie, candide risme di cellulosa -magari riciclata- alla pelle di un animale.
«Oh!» esclama una vocina eccitata dal corridoio. «Un Grattogocciolo
La porta si spalanca e Luna entra di volata, accovacciandosi ai piedi della mia scrivania, con gli occhi, se possibile, ancor più sporgenti del solito.
Non mi spiegherò mai come sia possibile che dei maghi, che hanno la facoltà di viaggiare per il mondo e vedere cose a noi precluse, prendano per esseri mitologici (o irreali, dipende) quei pochi oggetti non magici di cui la sottoscritta si è dotata per svolgere al meglio il proprio lavoro.
«No, Luna. Si chiama stampante. E non è viva. A meno che non ci abbia rimesso le mani Arthur a mia insaputa…» commento, chinandomi ad osservare il cassetto della carta.
No, sembra tutto perfettamente normale. Niente occhi, zanne, zampe, squame… È solo una banalissima stampante che funziona senza elettricità.
«Ma quanti ne hai qui dentro?» chiede, picchiettando con un dito sulla scocca di plastica.
«Di cosa?»
Ovviamente non è stata a sentire.
«Di Grattogoccioli! Di solito amano riunirsi in gruppi di dieci o venti esemplari nelle scatole di cartone o nei crepacci dei ghiacciai, per fare poi le loro danze sociali e lasciare questi segni…» e indica il foglio che ho appena finito di stampare.
«Ehm, no, Luna. Non ci sono Grattogoccioli qui dentro. È semplicemente una stampante a getto d’inchiostro».
«I Grattogoccioli emettono inchiostro» puntualizza lei, serissima. «Solo non sapevo potessero essere ammaestrati per fare queste cose! Stupefacente, non trovi?»
«Jeca bineca tonn» sospiro, indecisa se ridere o piangere.
È lepricano. Ho iniziato a studiarlo da pochi mesi. Significa “Voglio andare a casa”.
«Sei così stanca?» mi domanda Luna, assolutamente indifferente al mio sfoggio linguistico. «E comunque, si pronuncia “Jecca b’neca tönn”».
Dovevo immaginarlo. Cosa ti puoi aspettare dalla moglie del professor Scamandro, nonché giornalista ed amministratore delegato del Cavillo? Che non parli il lepricano? Andiamo! Può non sapere il francese o lo spagnolo -lingue che parlo piuttosto bene-, ma non il lepricano o lo gnomico! E deve anche correggermi, dopo le innumerevoli ore passate a torturare il lepricano che se ne stava mezzo anchilosato nell’acquario di Remus.
«Va bene, maestra! Jecca b’neca tönn» gemo alzando gli occhi. «È stata una giornataccia, fidati».
«Oh, anche per me. Pensa, non volevano rilasciarmi l’autorizzazione per questo» e indica la coroncina.
«Scusa, ma che autorizzazione ci vuole per un regalo?»
«Sai com’è fatto Rolf! Per lui una cosa deve avere un senso, un’utilità pratica».
«E quale utilità avrebbe?» fa una voce dall’altra stanza.
«Hermione! Come stai? Digerito bene? Mi dicono che la gravidanza può dare gli stessi sintomi di un morso di Doxy».
«Non so chi ti abbia detto una stupidaggine del genere, ma sto benissimo» risponde comparendo sulla soglia.
«Sì, dopo aver quasi fatto a fette Zabini stai una favola…» ridacchio da dietro la pratica Fox.
Le raccontiamo della visita dell’avvocato e lei contraccambia con le presunte potenzialità del dono. Dovrebbe rendere le persone più ricettive e, di conseguenza, più propense ad acquisire conoscenze direttamente dall’ambiente circostante. Il tutto, s’intende, per via osmotica o via etere.
«Eh, già! Come si può fare altrimenti, a farsi raccontare la storia dai mattoni di un muro?» sghignazza nervosa Hermione.
Conosce Luna da molti anni, ma le sue stramberie non mancano mai di farla dubitare della sua sanità mentale. Figuriamoci ora che, oltre alle sue e a quelle del padre, si sono aggiunte quelle di Rolf.
Chiacchieriamo a lungo, senza accorgerci del tempo che passa. Quasi non noto l’enorme pila di pergamene che si è ammonticchiata accanto al computer. Con un bip esausto, la stampante mi ricorda che sarebbe il caso di liberare il carrello.
Ancora estasiata dal suo incontro con il mezzo di riproduzione Babbano, Luna se ne va. Anche per me è quasi ora di andare a soffrire nella metropolitana. La cosa non  mi alletta, nonostante significhi oltrepassare la soglia che divide le giornate lavorative da quelle di riposo.
La pratica di quello dei Crup finisce nell’armadio, le altre nei cassetti, pronte per essere smistate con la posta di lunedì. Spengo stampante e portatile, riponendo il secondo nella borsa. Intaso il portapenne di ogni oggetto scrivente o macchiante. Tento di impilare alcuni promemoria arrivati nel pomeriggio, che si agitano e fremono mentre provo a ridar loro un assetto bidimensionale.
Qualcosa cade a terra con un suono lieve. Mi chino a raccoglierlo.
Una carta di caramella appallottolata.
Una caramella al latte.
Luke.
Lo sguardo corre alla sedia, ancora piazzata vicino alla mia. Rigiro quel piccolo scarto tra le dita. Mi sento in colpa. Non ho più pensato a quel bambino. Non ho nemmeno domandato ad Hermione come sia andato l’incontro. Una volta solo non si è sentito più in pericolo ed ha mangiato una delle caramelle, come gli avevo chiesto.
Avvilita, mi affaccio all’altro studio.
«Sto andando. Ci vediamo lunedì».
Nessuno risponde. Alzo la testa dall’incarto e la vedo fissarmi da dietro la tisaniera, a metà fra l’incuriosito e il dispiaciuto. La pratica Thompson è ancora lì, sul tavolo.
«Non è il primo, e purtroppo non sarà neanche l’ultimo. Lo sai».
«Sì. È che… è solo un bambino» sospiro, franando sulla sedia di fronte a lei, incurante dell’impatto a terra del computer.
Tolgo gli occhiali, massaggiandomi gli occhi e il naso.
«Riuscirà ad avere una vita normale, vedrai» cerca di rassicurarmi, sorseggiando l’infuso. «Non ci siamo battute tanto per l’integrazione dei mannari nella società civile, per vedere chiudere le porte in faccia ai Thompson. E poi c’è Remus».
Già, c’è Remus. Eppure sento che avrei potuto fare di più. Avrei voluto strappare almeno un sorriso o un saluto a Luke. Solo per sapere che aveva la forza di reagire.
«Era così triste. Non voleva restare solo, ma nemmeno voleva avere gente intorno. È ingiusto» obbietto. «I bambini non dovrebbero soffrire. Avranno tutto il tempo da adulti per diventare matti e dolersi per un miliardo di cose. Non dovrebbero cominciare a quell’età».
«É vero. Però su una cosa stai sbagliando, Jill».
«Su cosa?»
«Per Luke è un bene che sia accaduto ora».
Le sue parole mi lasciano di stucco.
«Non essere assurda».
Cerco di non alzare troppo la voce, anche se è ovvio che quella frase mi ha disturbata parecchio.
«Pensaci bene. È orribile quello che gli è capitato, ma ha tutto il tempo per accettarlo e superarlo. Ha l’elasticità mentale per farlo. Un adulto non potrebbe mai adattarsi a quella vita da un giorno all’altro. Impazzirebbe, nel migliore dei casi. Ne abbiamo visti tanti in questi anni».
Non riesco a ribattere, indignata e consapevole che è la verità. Ho letto i rapporti del San Mungo. Un licantropo ha maggiori probabilità d’integrazione se viene trasformato in una fascia d’età fra i sette e i ventidue anni, perché riesce ad riprendersi più rapidamente dai postumi delle lune piene e, col tempo e la nuova Pozione Antilupo, gli effetti di quelle notti possono diventare trascurabili. Questo, unito alla possibilità di frequentare normalmente Hogwarts, che ora dispone di un’infermeria con stanze dedicate a chi soffre di “mal di luna”, garantiscono ottime possibilità di condurre una vita normale. Gli adulti invece reagiscono male, faticano ad integrare il lato umano e quello animalesco. In molti casi fuggono, dandosi alla macchia. Altre volte diventano violenti, dei mostri sanguinari come il famigerato Greyback.
Scuoto la testa, cercando di allontanare quei pensieri.
«Comunque è inaccettabile» insisto ottusamente.
«Concordo» dice, tornando alla tisana. «Su, vai adesso. Hai un bel po’ di strada da fare».
«Okay. A lunedì».
Sto chiudendo la porta alle mie spalle, quando mi richiama.


Ehi, c'è nessuno? Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate di questa fiction... ma continuate a leggere e tacere! Forza!

   
 
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