Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: hotaru    07/11/2009    0 recensioni
Una vecchia signora, filosofa nell’animo, e una giovane donna dallo spirito combattivo.
Una alla fine, l’altra all’inizio di qualcosa.
“Devo continuare a respirare… domani, il sole sorgerà e chissà la marea cosa può portare...”
Perché la marea si alza e si abbassa di continuo: sta a noi decidere di seguirla o di aspettare ciò che vorrà portarci.
Intanto respira.
Terza classificata al contest "Dal Film alla Storia" indetto DarkRose86
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
2- Partorienti Partorienti


Visto che poteva scegliere, le si schiudevano davanti miriadi di possibilità.
Andare ovunque, fare qualunque cosa. Prima del momento che lei stessa aveva progettato.
Non era onnipotenza, questa?
Ciò che i filosofi e i sacerdoti di ogni tempo avevano sempre reputato essere la prima caratteristica divina?
Eccola. Lei.
Sorrise piano, sconvolgendo il volto fra mille rughe, mentre condiva i pomodori. Alla sua età non aveva più molto appetito: della verdura a cena era più che sufficiente, mentre d’inverno bastava una minestra.
Ecco, di nuovo. Non c’era più onore a morire nella stagione dei pomodori, che in quella della minestra?
Aveva appena scoperto come sintetizzare le essenze stesse di due stagioni, di due filosofie di vita, in due cibi differenti. Aveva sempre avuto della filosofa, in fondo.
Di chi la filosofia la fa e la vive, dalla mattina alla sera, non di chi studia su sterili libri i pensieri altrui. Era solita giudicare con durezza i presunti seguaci di Platone, Aristotele e tutta la congrega ellenica, ma faceva volentieri un’eccezione per Socrate.
Lui sì, che sarebbe stato un uomo da invitare ad una cena a base di pomodori.
Scalzo e barbuto, figlio di una levatrice da cui aveva ereditato il mestiere. Solo che mentre lei faceva figliare le donne, lui faceva partorire le menti.
Lei non pensava che avrebbe mai potuto fare una cosa del genere: non aveva il talento né la pazienza per estrarre le idee più limpide e genuine dalla mente umana, visto che si arrabbiava perfino col gatto che si infilava nella porta aperta.
Oltretutto, anche lui aveva deciso della propria morte. Oh, certo, era stato condannato: su questo nessun dubbio. Ma avrebbe potuto allontanarsi da Atene prima di subire il processo; o, meglio ancora, avrebbe potuto fermare la sua “dannosa attività” quand’era ancora in tempo. O dichiararsi colpevole.
Ma non l’aveva fatto, ben conscio del rischio.
Aveva scelto di rimanere e morire. Anche lui aveva ceduto al fascino dell’onnipotenza.

Fare in modo che l’uomo giungesse alla propria idea, quella non condizionata da influenze esterne, fino a raggiungere l’essenza stessa dell’anima, doveva essere affascinante.
Però lei non era una levatrice. Si sentiva piuttosto un’eterna partoriente.


* * *


- Ma sei un mappamondo! -.
Non replicò; perché forse l’avrebbe azzannata alla gola.
- Guarda che lo intendo come complimento – puntualizzò l’amica.
- Ah, davv… -.
- Ma a che mese sei? Hai una pancia enorme! -.
- Al settimo – fece lei, secca – E… grazie -.
- Oh, di niente – ribatté l’amica, con un sorriso a trentadue denti – Dai, ti do una mano con i bagagli! -.
 
Aveva mollato le valigie accanto al letto ancora da fare, e si era precipitata subito in spiaggia. Ora si trovava seduta sul bagnasciuga, infischiandosene del fatto che la calza potesse sporcarsi.
I bagnanti che passavano la guardavano incuriositi, ma lei non li degnava di un’occhiata, pronta a dare un pugno al primo che l’avesse scambiata per una balena arenata.

“La barca naviga leggera
E nella notte ondeggia e va
Lasciando dietro la sua scia di libertà…” (*)

Canticchiò queste parole alla propria pancia, mentre al largo si vedeva passare un vaporetto. Era più che un’adolescente quando avevano trasmesso quel cartone animato, ma non se n’era persa una puntata. Le sembrava di respirare libertà, nei venti minuti in cui la “Peperoncino” solcava i sette mari, uno dopo l’altro.

“Quando sale la marea,
molti scogli non si vedono più…
Quando scende la marea
quegli scogli all’improvviso
tornano su…”

“Una logica impeccabile”, aveva pensato la prima volta che l’aveva sentita. Eppure, man mano che la vita andava avanti, le sembrava quasi che quella strofa nascondesse una verità più profonda.
Gli scogli c’erano sempre, di sicuro non si spostavano. Ma quando la marea si alzava venivano sommersi, e il mare sembrava una superficie liscia e innocua. Come un’illusione che ti avvolge e non ti mostra la crudezza e gli ostacoli della vita.
Forse era meglio che la marea si abbassasse, e gli scogli fossero ben visibili lungo il cammino. Si sarebbero evitate le brutte sorprese.


* * *


Un antico proverbio medievale diceva: “Cur moriatur homo cui salvia crescit in horto?”. Tradotto in lingua corrente, era: “Perché l’uomo deve morire, quando la salvia cresce nell’orto?”.
In parole povere, il mondo non sarebbe certo finito. Tutto sarebbe continuato come sempre: il sole sarebbe sorto, e la marea si sarebbe alzata e abbassata seguendo i moti lunari, anche se lei aveva smesso di respirare.
Magari morire significava semplicemente rinunciare al proprio respiro individuale, egoistico, per tornare al respiro più ampio che animava il mondo.

Ecco, era accaduto di nuovo.
Come ci era arrivata fin lì?
Diede un’occhiata all’orologio della cantina. Le sei e mezza. Ricordava di aver guardato l’ora mentre spolverava i mobili, alle quattro e mezza.
Cos’aveva fatto in quelle due ore?
Si accasciò su una sedia, improvvisamente esausta. Fortuna che perlomeno era rimasta in casa; finora era uscita soltanto una volta, ma era bastata a sconvolgerla.
Perché era andata là, su quel ponte da cui non passava mai?  
Quale criptico messaggio aveva cercato di lanciarle il suo subconscio? O forse era stato tutto un caso: magari avrebbe potuto trovarsi in qualunque altro posto, senza una ragione.
Si prese la testa fra le mani, disperata. Quando era nato suo marito? Quand’era il suo compleanno? E quando era morto?
Frugava nella memoria, incredula di non riuscire a ricordarlo. Avrebbe dimenticato anche i suoi occhi azzurri, un giorno?
Sentì che le si stava formando un nodo in gola, e deglutì sonoramente.
Pensare che l’Alzheimer era solo all’inizio, e si sentiva come se fosse stata già alla fine di tutto.
Avrebbe dovuto darci un taglio in fretta.


* * *


Erano le tre del mattino, ma nella stanza entrava un certo chiarore, dovuto più ai lampioni nella strada che al fulgore delle stelle.
- Ma cosa…? – mormorò incredula, ferma con gli occhi fissi, aspettando un segnale che la tranquillizzasse e la lasciasse tornare a dormire.
Un segnale che non venne, mentre un’altra contrazione sopraggiunse più intensa.
“No, no, calma” disse fra sé, cercando di mantenere il controllo “È troppo presto, forse si tratta soltanto di un falso allarme. Magari capita.”
Una contrazione più forte la fece quasi ansimare dal dolore.
Falso allarme un cavolo.
“Merda” imprecò a denti stretti, buttandosi giù dal letto e dirigendosi a fatica verso la stanza dell’amica.

- Uh, che emozione! – non riuscì a trattenersi quest’ultima, mentre la accompagnava in auto all’ospedale più vicino.
- Ahi, ahi, ahi! -.
- Di’ un po’: hai fifa, non è vero? -.
- Accidenti, ma datti una calmata! Sei in anticipo di un paio di mesi… ahia! -.
- Direi che non abbiamo mai avuto un dialogo più intellettuale – commentò la conducente, nient’affatto preoccupata – Posso entrare con te? -.
- In ospedale? – chiese faticosamente, cercando una posizione più comoda. Le doglie sembravano essere rallentate.
- In sala parto -.
- Fai come vuo… accidenti, piantala di far male! -.
L’amica la sorprese quando allungò una mano e le strinse la sua. Per strada non c’era anima viva: sarebbero arrivate in un battibaleno.
- Respira – disse rassicurante – Continua a respirare -.
- Sì, facile a dirsi per te! -.
- Guarda che lo sto facendo anch’io – ribatté l’altra con un sorriso – Da quando sono nata -.
- Ma pensa! – mugugnò la donna, cercando però di respirare come le avevano insegnato al corso pre-parto.
Allora sembrava così facile, non c’era tutto quel dolore di mezzo.
Giunte all’ospedale, riuscì miracolosamente ad entrare sulle proprie gambe. La sua amica era fin troppo tranquilla, per i suoi gusti. Lei avrebbe tanto voluto voltarsi e fuggire via.
Ma lasciò perdere quando si rese conto che il motivo della fuga se lo sarebbe portato dietro.




(*) Dalla sigla del cartone animato “Un oceano di avventure”. Se volete saperne di più, date un’occhiata al mio account. E, per la canzone, questo è il collegamento: http://www.youtube.com/watch?v=Vgb3CWaENpA



Spero che gli studenti di Filosofia non si siano sentiti offesi. Non ho niente contro chi la studia: qui azzardo soltanto un’opinione puramente personale.
Consideratela una licenza poetica e non prendetevene a male.

Ovviamente, un tributo al mio cartone animato preferito ci doveva essere. L’ho sempre adorato, anche se non lo trasmettono da nove anni (li ho contati). E qui ritengo ci stesse benissimo. 

Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensiate, nel bene e nel male. Sono cosciente che sia un tipo di storia che qui non ha molto seguito, ma una recensione sincera e ben motivata è sempre utile.
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: hotaru