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Autore: Bellis    13/11/2009    2 recensioni
Il celebre investigatore di Baker Street si trova alle prese con un mistero che lo trascinerà nel profondo di torbide acque, un abisso che affonda le sue radici negli oscuri eventi del suo passato. Riuscirà Watson a far luce su un enigma che coinvolge tanto gravemente lo stesso suo amico? Come potrà Mycroft Holmes essere d'aiuto?
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Comunicazione Importante: Bebbe5 ha aperto un contest nella apposita sezione del forum di EFP: ovviamente il soggetto è... Sherlock Holmes! Se hai tempo, dai un'occhiata - senza farti male - al bando, e magari prova a scrivere qualcosa! *____*

A proposito...
Ciao Bebbe! Lascia che ti ringrazi per la stupenda recensione! *___* Mi fa davvero piacere che tu continui ad apprezzare questa fanfiction, nonostante la sua prolissità e la tendenza a sfociare nel Moralismo Melodrammatico (abbreviato, MM :P). Ora, questo capitolo forse non è quel che ti aspettavi, però avevo necessità di scriverlo, per chiarire un po' di cose.
Piuttosto, mi affido come al solito alla tua imparzialità, anche perchè ho deciso di imbarcarmi in una nuova prospettiva - quella di Mycroft Holmes. Il punto di vista di Watson mi è familiare, quello di Sherlock un po' meno - ma quello di Mycroft mi è completamente ignoto. Perciò, ti prego di non avere timori e criticare a tutto spiano!
:D

Adesso, bando alle ciance. Passiamo al...

Capitolo XIV - Primo estratto dal diario personale del signor Mycroft Holmes

Scrivo questo breve resoconto su richiesta del dottor Watson, che desiderava avere un punto di vista più diretto ed imparziale di quello che Scotland Yard ha dimostrato nei confronti delle vicende avvenute durante la notte in cui mio fratello tentò di penetrare nella residenza di Thomas Cardside.
Non avendo mai sentito la necessità di redigere un diario personale, faccio affidamento solamente sulla mia memoria e sulla mia percezione dei fatti: il che, come gli ho comunicato, lascia spazio a un non indifferente margine di errore, dato che sono trascorsi più di cinque anni da quel fatidico giorno, in cui ogni mia speranza sembrò sgretolarsi e svanire nel nulla.

Non impiegai molto ad individuare il club frequentato dal proprietario terriero di Maidstone.
Egli non era sconosciuto a Londra, come io e Sherlock inizalmente avevamo creduto, anzi, scoprii che molti dei miei colleghi di Whitehall lo avevano già sentito nominare, e fu proprio uno di essi, Charles Wallace, a indicarmi il Blackheath Club. Personalmente, non apprezzavo in modo particolare i tipi di svago offerti da organizzazioni private del genere, e mi pareva un fatto assai deplorevole che degli stimati membri del governo Britannico indulgessero a siffatti vizi. Fu con una vaga sensazione di disagio che, per l'ennesima volta in quella settimana, disturbai l'ordinato flusso della mia routine giornaliera per dirigermi a quel luogo, con la ferma determinazione a trattenere Cardside in città per almeno una ulteriore mezz'ora.

Avevo pianificato il mio dialogo con quell'individuo. Certamente egli mi avrebbe riconosciuto come il più stretto congiunto dell'uomo che aveva tanto abilmente cercato di ricattare, e come uno di coloro che sarebbero usciti fortemente danneggiati dal buon esito di quella subdola macchinazione. Sarei stato veramente ingenuo a non considerare questo fatto come di rilevanza eccezionale. Non avrei mai potuto fargli credere di ignorare la sua identità o il suo coinvolgimento nella questione, sebbene io condividessi, in certa misura, il talento di mio fratello per la recitazione. Tuttavia, potevo insinuare nella sua mente l'idea che io potessi voler cedere al suo ricatto.

In effetti, Hamish Berning possedeva dei documenti che avrebbero potuto demolire con somma facilità la mia reputazione, e farmi perdere ogni parvenza di affidabilità agli occhi del Ministero. Sino a che quelle carte fossero rimaste in mani altrui, questo pericolo sussisteva. Non avrei mai ceduto alle sue minacce - nè l'avrebbe fatto Sherlock, del resto - ma questo, Cardside non lo sapeva.

Il mio giovane parente mi aveva indicato (molto tempo prima che il nostro stesso piano d'azione fosse definito) il particolare che poteva condurmi ad elaborare una efficace e convincente strategia - come se la mia mente non avesse già colto quell'importante dettaglio: si trattava del fatto che la notizia del ritrovamento dei documenti a Baker Street era stata taciuta alle stampe. Nella visione del nostro avversario, noi eravamo ancora soggetti, almeno in parte, alla sua volontà delinquenziale. Avrei potuto facilmente ingannarlo, fingendo di non sapere dove fosse il plico, e di voler trattare la sua consegna in cambio di un ingente esborso di denaro.

Oltrepassai la soglia del Blackheath con le idee ben chiare, porgendo il bastone ed il cappello all'usciere ed accettando con riluttanza di lasciargli il soprabito. Osservai con cura la sala principale, come essa si presentava: un atrio, piuttosto affollato e riccamente ammobiliato, con numerose porte laterali che conducevano a stanze private, dove i soci potevano ritirarsi in solitudine oppure raggrupparsi per un ignobile gioco di carte, o in alternativa dedicarsi ad una più istruttiva partita a scacchi. Un po' spaesato, ma lungi dal darlo a vedere, mi incamminai lentamente verso alcuni divani appartati, nei pressi dei quali alcuni gentiluomini stavano discutendo.

Con mia grande sorpresa, riconobbi tra di loro il volto allungato e glabro del mio collega, Wallace.

"Signor Holmes!" mi accolse quello, con un educato inchino, "Lei, qui!" esclamò.

"Ed anche lei." feci notare, notevolmente piccato per quella manifestazione di infantilismo che annunciava ai quattro venti la mia presenza.

Wallace si esibì in una garbata risata, "In effetti, sì." confermò, incapace di cogliere l'ironia nella voce di un uomo anche se essa fosse stata segnalata esplicitamente, "Cerca qualcuno in particolare? Forse il suo amico, quello del quale mi ha parlato,... Thomas Cardside?"

La descrizione da lui data del ricco latifondista conteneva molteplici imprecisioni, tuttavia non battei ciglio e mi limitai ad annuire, in modo significativo, "Speravo d'incontrarlo."

"Solitamente prenota quella saletta." mi indicò uno degli aditi nel lato destro del salone principale, "Ma questa sera non l'ho ancora veduto entrare."

Rimasi interdetto, e credo che il mio sconcerto a questa notizia fosse ben evidente sul mio viso, perchè anche l'impiegato se ne accorse, "Non è ancora giunto al club?" chiesi la precisazione, nonostante l'evidenza del fatto.

"Esattamente." le sopracciglia folte del mio collega erano quasi giunte al di sopra del setto nasale, e la sua fronte era corrugata.

Presi qualche momento per raccogliermi nei miei pensieri. Thomas Cardside non si trovava lì. Dove poteva essere? Il suo arrivo al Blackheath era previsto per le otto e mezza, come era consueto che accadesse, ed erano quasi le dieci di sera.
Evidentemente era successo qualcosa, un evento eccezionale che lo aveva distolto...
... ma no, no! Era talmente stupido, talmente banale! Sherlock si era avventurato solo due giorni prima, sotto mentite spoglie, in una spedizione che gli permettesse di studiare Cardside, le sue abitudini, la conformazione della sua villa. Era ovvio che anche lui fosse stato studiato. Probabilmente la sua preda, con quell'astuzia infernale, si era voluta trasformare in cacciatore. Questa si configurava come l'unica spiegazione accettabile dei fatti di quella sera.

Mi tolsi l'orologio di tasca e ne feci scattare l'apertura, dandomi un contegno di serietà nonostante il fatto che il terrore albergasse ormai nel mio cuore. Soppesai l'oggetto rotondo, percorrendone con le dita i bordi smussati, la mia mente che si affannava a cercare una linea d'azione che non conducesse alla catastrofe.
Se Cardside aveva messo in trappola mio fratello ed il suo leale quanto incauto amico, per loro si preannunciava una tragica e dolorosa fine.

"Signor Holmes, si sente bene?"

Il tono confidenziale di Charles Wallace non mi piaceva affatto, e sollevai su di lui uno sguardo severo e cupo. "Ma certo. Ora però temo che il periodo dedicato allo svago sia terminato, per me. Le auguro una buona serata, signore." mormorai, chinando cordialmente il capo ed avanzando verso l'uscita.
I miei pensieri già erano assorti nell'escogitare un piano per convincere Lestrade ad accompagnarmi a Maidstone. Tutto lasciava pensare che il nostro avversario non fosse rimasto a Maidstone per una decisione improvvisa e casuale - Sherlock avrebbe notato la sua assenza e mi avrebbe telegrafato molto prima, o almeno speravo per il suo bene che il suo intento non fosse quello di farmi brancolare nell'ignoranza per ore. Se così era - e la logica della deduzione non lasciava dubbi - lui e il dottor Watson avevano necessità di aiuto. Un aiuto che da solo non potevo fornirgli.
Ma il cocciuto Yarder non avrebbe potuto nè avrebbe voluto accettare la mia parola come la verità assoluta. Dovevo portargli prove, fatti, non una catena di causa ed effetto che non sarebbe mai riuscito a comprendere nella sua complessità.

"Come, va già via?" intervenne, sbalordito, il mio collega, "Ebbene, se non può parlare con codesto Cardside, almeno può rivolgersi all'uomo che egli doveva incontrare questa sera. Forse così troverà le risposte che cerca."

Mi bloccai, e Wallace, che mi stava seguendo frettolosamente, quasi mi rimbalzò contro.
"Oh, doveva incontrare qualcuno?"

Il mio interlocutore si schiarì la voce, "Esatto, signore, un giovanotto dall'aria provinciale. E' andato su tutte le furie quando ha notato il ritardo. Ha accennato ad uscire, ma poi ha deciso di aspettarlo, ruminando non so quali imprecazioni rivolte a questo misterioso vostro conoscente."

Questa fantasiosa esposizione mi ricordò con rapidità straordinaria che Cardside poteva non essere l'unica fonte di problemi in quella oscura sequenza di eventi. "E questo tale è ancora nella stanza privata?" inquisii, seccamente.

"Sì, signor Holmes." si affrettò a replicare Wallace.

Mi allontanai senza una parola di più, sotto gli occhi straniti dell'impiegato di Whitehall, che se ne rimase impalato al centro dell'atrio, mentre io faticosamente mi approssimavo alla porta e ne abbassavo con decisione la maniglia.
Al mio ingresso, James Berning si levò in piedi, facendo due passi verso di me, con espressione densa d'insoddisfazione, di sprezzante offesa, di un'ira della quale non l'avrei mai creduto capace. Si bloccò, squadrandomi rapidamente e riconoscendomi, mentre io, immobile, rimanevo tra lui e l'uscita.

"Mycroft Holmes!" esclamò, e mi stupì mostrandosi completamente sollevato dalla nuova del mio arrivo, e semmai compiaciuto di vedermi, per nulla alterato.
"Dunque anche lei è venuto per incontrare quel demonio che ha avvelenato la vita di mio padre! Ah, speravo di ottenere qualcosa, mettendolo alle strette. Ma egli non si fa vivo, il villano!"

Gli fissai in volto uno sguardo freddo che avrebbe fatto rabbrividire anche il Primo Ministro in persona - e che più volte aveva provocato una genuina agitazione nel famoso detective che rispondeva al mio stesso cognome. Berning ammutolì.
"Mi permetta di parlare con franchezza." esordii, con quella che accuratamente modellai in inquietante noncuranza, "Le possibilità sono due: o lei è incredibilmente ingenuo, o ha la certezza di avere le spalle ben coperte."

Corrucciato, il ragazzo si irrigidì visibilmente. "Signor Holmes, non le permetto di insultarmi in questo modo. La capisco, non tema," aggiunse, con un gesto di impazienza, "lei pensa che io sia sempre stato d'accordo con Cardside, o qualcosa del genere. Ebbene, si sbaglia! Io son venuto qui per sopperire alle inequità della legge Britannica, che ha imprigionato una innocente!"
Berning parlava con foga e convinzione, e non ebbi cuore di interromperlo.
"E' tutto sbagliato, signor Holmes! Dobbiamo fare qualcosa! Devo fare qualcosa!" rincarò, sembrandomi più che mai un uomo sull'orlo di un collasso nervoso.

Mi scostai lentamente dalla porta e chiusi l'anta.
"Adesso abbia la bontà di calmarsi, signore, e di spiegarmi ogni cosa."

James Berning crollò su di una poltrona, ed io mi avvicinai a lui. Il suo contegno era ferito, snervato, addolorato: non v'era traccia di bugìa, nel suo fare fondamentalmente genuino, indisciplinato, certo, ma sinceramente disposto al dialogo.
"Mia madre è stata chiusa in carcere. L'ispettore Mulligan non ha voluto sentir ragioni, quelle di una genitrice che voleva solamente proteggere il figlio. Ella verrà processata per aver tenuto celato alla giustizia il nome di un omicida. Quando l'assassinato era suo marito, ed ella ne ha sofferto più di tutti!" mormorò, affranto. "In quanto a me, il magistrato non ha ritenuto di aver prove sufficienti per lasciarmi condividere l'affanno della mia cara madre! E così la mia unica speranza diviene quella di poterla scagionare - non sopporterei di vederla scomparire, non..."

Il motivo per cui il giovane Berning si esprimesse così liberamente in mia presenza, mi era ignoto.
Eppure, provavo una certa misura di empatia nei suoi confronti. Sicuramente il mio insofferente fratello avrebbe deplorato la mia similitudine, ma in quel momento quel ragazzo mi ricordava proprio lui, nel terribile anno in cui nostro padre ci lasciò per sempre, seguito a pochi mesi di distanza dalla nostra madre, il cui animo era straziato dalla tragedia. Sherlock mi aveva palesemente ed emotivamente chiesto aiuto solo una volta nell'intero arco della sua esistenza - proprio in quella terribile occasione, in cui non sapevo se sarei stato in grado di confortarlo.
E a causa di quella passata, straziante esperienza, ora capivo per quale motivo James Berning si fosse recato lì - non certo per parlare a Cardside. Probabilmente egli cercava la vendetta. Ecco il motivo di quell'atteggiamento veemente e rabbioso che aveva dimostrato nell'attimo in cui avevo varcato la soglia della stanza.

"Figliolo," pronunciai, dopo un attimo di esitazione, "Ho bisogno del suo appoggio, se vogliamo evitare che altri perdano la vita, ed assicurare alla giustizia inglese chi lo merita veramente."

"Che altri perdano la vita!" ripetè, balzando in piedi e sgranando gli occhi. Mi fissò per qualche momento, e poi, con fare di grande agitazione, "Parla forse di suo fratello? Cosa gli è accaduto?" una brevissima pausa che non mi lasciò il tempo di replicare, "Sono a sua disposizione."

L'ombra di un sorriso affiorò al mio volto, "Andiamo, allora! Le spiegherò in carrozza."

In men che non si dica, fummo su una vettura diretta a Scotland Yard. Le ruote rigavano le strade di acqua e di fanghiglia, sullo sterrato inumidito da quella fredda e piovosa primavera. Le lanterne che costeggiavano la via erano appannate e sporche, e noi eravamo quasi completamente al buio. Il nostro colloquio si svolse sottovoce, e quando giungemmo a destinazione, James Berning era pervaso dal mio stesso sentimento di fatalità, e nella nostra mente turbinavano presagi di un'alba tutt'altro che radiosa.

Trovammo l'ispettore Lestrade quasi subito, non appena entrati nella centrale di polizia, il cui personale era ridotto, per la notte. Egli ci accolse con una punta di sospetto, immagino perplesso nel veder arrivare un gruppo così peculiarmente assortito. Senza indugio nè fronzoli gli riportai le intenzioni di Sherlock ed il modo in cui egli le aveva attuate.
Chi mai leggerà questo manoscritto potrà ben immaginare quale espressione di meraviglia, sconcerto ed incredulità fosse incisa nei lineamenti da furetto dell'uomo, tanto che pareva fosse impossibile che ritornassero al loro stato originale.

"Intende dire che il signor Holmes - ovvero, suo fratello - si è introdotto abusivamente in casa di Thomas Cardside?"

"Precisamente."

Lestrade sibilò qualche indistinta parola tra i denti. In quel momento mi sentivo incline a concordare con l'opinione da lui espressa nei confronti del mio congiunto dall'indole fortemente ficcanaso, ma, per amore della forma, mi limitai a levare gli occhi al cielo, mentre Berning inarcava un sopracciglio.

"E perchè mai è venuto qui a raccontare tutto questo proprio a me?" giunse la dovuta domanda, legittima peraltro, da parte di un funzionario di polizia.

Gli spiegai della mia visita al Blackheath Club e del fatto che non avevo trovato chi cercavo lì. Quando conclusi il discorso, aveva le mani tra i capelli, sconvolto da quella serie di subitanee ed inaspettate rivelazioni.

"Non vedo come potrei aiutarvi, signori." balbettò, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi e spostando da me al più giovane due occhi imploranti, come a chiederci di non proseguire oltre. Ma ero ben lungi dall'abbandonare l'unica possibilità di salvare la vita di Sherlock e del suo disinteressato amico.

"Lei può molto, invece, Lestrade. Può ordinare all'autorità competente di Maidstone di procedere senza indugio ad una perquisizione della dimora di Thomas Cardside. Può intervenire prima che una seconda tragedia si aggiunga a quella avvenuta alcuni giorni fa." spiegai, freddamente, poggiando una mano sulla spalla di Berning, che ribolliva in silenzio.

"Ma - signor Holmes, si rende conto che non è l'area di mia competenza? Un mio intervento nel Sussex verrebbe considerato come prevaricazione, abuso di potere - il Cielo solo sa cosa!" brontolò il piccolo poliziotto, masticando le sillabe iniziali di ogni parola.

"La smetta, lei!" sbottò il ragazzo, senza preavviso, "Le è mai capitato di leggere lo Strand Magazine? Se il dottor Watson ha riportato solo un briciolo di verità, nei suoi racconti, deve un centinaio di volte la carriera a lui ed al signor Sherlock Holmes, e forse anche la vita! Le è data l'occasione di ricambiare il favore, e se ne rimane rintanato nel suo studio Londinese!" cercai di interromperlo prima che fosse troppo tardi, ma ormai la sfida era lanciata, l'oltraggio era compiuto.

"Silenzio, Berning. Bontà divina." rimproverai, notando marginalmente come evento consolatorio il fatto che egli mi avesse almeno ascoltato in quel momento.

L'ispettore era ritto in piedi di fronte a lui, rosso in viso, le iridi sottili e schiacciate tra le palpebre, le mani strette a pugno. Passarono uno, due minuti, e temetti il peggio. Tuttavia, dopo un terzo momento di asfissiante attesa, quello parlò.
"Non raccolgo il guanto della sua offesa ora, signore, solo perchè ho... un debito da pagare. Stia sicuro che il suo eloquio inopportuno non rimarrà impunito."

Il suo interlocutore accennò, proprio malgrado, un sorrisetto tirato, comprendendo di aver colpito nel segno, "Le darò soddisfazione dove e quando vorrà, signor Lestrade." replicò, fedele al protocollo che doveva esser seguito in casi simili.

"Bene, bene." intervenni, positivamente esasperato, "Vi sfiderete a duello prossimamente, immagino, e Sherlock possiede una ammirevole collezione di antiche armi da fuoco, che sarà lieto di prestarvi, nel caso in cui sia ancora in vita. Lestrade, le ricordo che difendersi con la forza da un intruso nella proprietà privata non costituisce reato, anzi, è un privilegio garantito dal diritto comune."

"Per Giove, è vero!" il funzionario sobbalzò, riscuotendosi dall'istintiva amarezza del precedente commento di Berning, "Presto, allora!"

Convocò alcuni conestabili che preparassero una carrozza, mentre il giovanotto estraeva dalla tasca il suo Bradshaw e scorreva gli orari del treno. Ebbi appena il tempo di scoccargli un breve sguardo di gratitudine: avevo la sensazione che il suo ausilio si sarebbe dimostrato fondamentale, e così in effetti era stato.
Ci precipitammo nella via, impazienti di giungere alla nostra meta. Tentavo invano di sedare il tumulto che scuoteva impietosamente il mio cuore, e di mantenere l'equilibrio e la calma che solitamente mi distinguevano - ma non era una situazione comune alla mia vita solitaria e regolata. Mio fratello aveva sempre praticato la sua pericolosa professione senza che io mi preoccupassi minimamente per la sua salute, se non in eccezionali casi. In quel momento avevo la certezza che egli si trovasse in una trappola mortale, e la mia lentezza mi avviliva. A giudicare dal pallore di Lestrade e dall'agitazione evidente di Berning, non ero il solo a trovarmi in quella condizione emotiva.

Il buio della notte avvolgeva il locomotore del treno, mascherandone il fumo nerastro e soffocandone il fischio sommesso; io mormoravo una preghiera.


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Note dell'Autrice
Mycroft sembra aver ribadito la propria autorità, e ha trascinato James Berning e il nostro caro Lestrade in una spericolata missione di recupero - ma riusciranno a giungere in tempo a Maidstone, o si troveranno a dover constatare l'irreparabile?
E soprattutto, chi salverà i salvatori?
Ops. Ho detto troppo.
Ad ogni modo: tutto ciò nel prossimo capitolo!


   
 
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