Londra, Natale 1529 – A gift to refuse
“Siete sicuro?”
Obiettò Anna Bolena. “In questi mesi non abbiamo scambiato che dei saluti
formalissimi. E’ sempre attaccata ai suoi tre insegnanti, dubito che proprio
ora mollino la presa. E poi lei stessa mi sembra più ferma nelle sue posizioni,
meno bambina.”
“Vero, padre.”
Confermò George, che comunque solitamente non aveva opinioni o punti di vista
particolarmente brillanti.
“Sentite, ha sedici
anni e non sa nulla del mondo. Con la sorella non parla e non ha che i genitori
in comune, il suo legame con la madre si è allentato di molto, quello con suo
padre non è mai esistito. I suoi precettori sono tre uomini, e, a parte lady
Thorston, non ha una sola amica qui dentro. Secondo voi quanto impiegherà la
nostra Anna a rompere il suo muro difensivo? E’ pur sempre una femmina, anche
se è figlia di Re ed è circondata da uomini. Un gioiello ed un’amica sono
quello cui non riuscirà a dire di no. Credetemi!!”
“Maria..”
“Isabel..”
Le due sorelle si
salutarono freddamente e poi presero posto, accanto ai genitori. Maria, come
sempre alla sinistra di Enrico, ed Isabel alla destra di Caterina. Entrambe
erano state fuori per due mesi, con i loro precettori, ed avevano raffinato, in
un soggiorno italiano e francese, le loro conoscenze con le ‘realtà locali’.
Certo, era poca cosa rispetto ai soggiorni che avevano fatto, ma in verità
Enrico aveva di nuovo giocato la carta matrimoniale per le figlie. Le aveva
fatte girare un po’ per metterle in mostra, far respirare loro un’aria che non
fosse quella dell’Inghilterra, e in sostanza aveva cominciato a distaccarle
dalla realtà che fino ad allora avevano vissuto.
Fedeli alla loro
completa diversità, le due principesse, anche in questo caso non avevano fatto
eccezione. Maria, sebbene fosse più grande e più chiacchierona e solare, non
conservò questo tratto del suo carattere anche all’estero e non ebbe modo di
fare conoscenze ed amicizie. In sostanza, rimase sempre un po’ nell’ombra e non
ebbe nemmeno modo di migliorare il proprio francese o imparare almeno un minimo
di italiano.
Isabel invece,
nonostante il suo carattere prudente e riservato, oltre che estremamente
silenzioso, aveva avuto modo di attirare l’attenzione; in due Paesi più gai e
abituati alla facile conversazione, il suo carattere schivo aveva colpito e le
aveva valso mille attenzioni da parte di Sovrani, ambasciatori, inviati vari e
nobili locali. Inoltre aveva maggiore facilità nell’apprendimento delle lingue
e, oltre a migliorare sensibilmente il suo francese, in un mese di soggiorno
italiano, riuscì a imparare qualche frase, almeno per iniziare una
conversazione. Insomma, lei e la sorella ancora una volta dimostravano di
essere il giorno e la notte. Questo acuì la loro distanza e sebbene avessero
passato l’intero soggiorno assieme, pur a volte impegnate in cose diverse, non
si erano quasi mai rivolte la parola, suscitando anche in questo caso la
curiosità, quando non l’aperta ilarità, degli ‘stranieri’.
Mentre Enrico
cominciava a mangiare, praticamente ignorando Maria, Caterina si girò verso la
figlia minore e le sorrise. Le era mancata follemente e non vedeva l’ora che
tornasse. In silenzio fece scivolare la mano sulla schiena di Isabel,
all’altezza della vita, e le accarezzò il fianco.
“Come stai, amore mio?” Le chiese, vezzeggiandola in italiano. Isabel si girò verso di lei e la guardò con occhi radiosi. Le
sorrise e poi accostò il gomito destro alla schiena, facendo in modo di toccare
le dita della mamma.
“Bene, grazie, mia amatissima mamma.” Le rispose,
usando anche lei l’idioma di Dante. “E voi?” Caterina le sorrise, ed annuì
leggermente, facendole capire che stava bene.
“Dopo cena, e dopo
la Messa, se non sei stanca potremmo scambiarci gli auguri..” Propose la
Sovrana. Isabel spalancò gli occhi ed annuì, aprendo la bocca ad un sorriso che
le illuminò il volto.
“Ho una cosa da
darvi..” Le disse a voce bassissima. “Un regalo solo per voi..”
Caterina la guardò
e le sorrise, pizzicandole dolcemente il fianco, per farle capire che non
vedeva l’ora di godersi quel momento con lei.
“Principessa..” Nel
primissimo pomeriggio, mentre Isabel leggeva in santa pace, nel suo angolo
preferito dell’enorme biblioteca, angolo che era anche quello più appartato,
Anna Bolena la approcciò, salutandola. La fanciulla alzò gli occhi e restò seduta,
ricambiando il saluto con un leggerissimo cenno del capo.
“Mistress Bolena.”
Detto questo, riabbassò lo sguardo sul libro, ignorandola. Anna restò dove era,
ma per un attimo solo, vedendo la sicurezza della ragazza, fu in dubbio se
portar avanti il suo ‘piano’. “Principessa, io desideravo aveste questo..”
Cominciò per far sì che Isabel rialzasse lo sguardo, cosa che ottenne dopo
alcuni istanti. Quando gli occhi grigi della Principessa tornarono su di lei,
Anna le sorrise e le porse una piccola scatolina. Isabel non la prese,
limitandosi a guardarla, come fosse in attesa di una spiegazione. Anna si rese
conto che stavolta sarebbe stato forse più difficile convincerla e tirarla
dalla propria parte. Cercando di assumere un tono gaio e tranquillo, la dama proseguì;
come sempre faceva quando era in difficoltà o davanti a qualcosa di imprevisto,
assumeva un tono quasi inoffensivo che serviva a demolire le difese del suo
interlocutore. Sperando di riuscire anche in questo caso, proseguì a parlare.
“E’ un ciondolo, che ho regalato per Natale alle mie amiche.” Isabel corrugò
immediatamente le sopracciglia. Anna poté quasi immaginare di sentire la
chiusura ermetica delle sue difese, così, fulminea, cambiò strada. “In realtà
l’ho regalato a coloro che vorrei avere il privilegio di annoverare tra le mie
amicizie. Ho intenzione di farne dono anche a vostra madre, per chiederle scusa
delle recenti incomprensioni.”
‘Alla faccia delle incomprensioni,
sgualdrina!! Ti portavi a letto mio padre ed hai reso mia madre infelice!! Devi
ringraziare che non ti ammazzi con le mie mani!’ Pensò Isabel, sentendo la
rabbia salirle dallo stomaco.
“Vorrei chiedere
scusa anche a voi, con questo dono..” Proseguì Anna, con una faccia tosta
incredibile, che però cominciò a fare presa su Isabel. Gli occhi neri dell’ex
amante del padre non la lasciavano mai, e le sembravano così sinceri che
forse.. “Vorrei chiedervi scusa e sperare, un giorno, di poter essere vostra
amica. Per il momento, vi prego, vogliate prendere questo dono, in segno di scuse
da parte mia.” Cauta, Isabel allungò la mano, incontrando a metà strada quella
di Anna, che ora le sorrideva apertamente. “Vi chiedo il favore di indossarlo,
una volta sola, alla Messa stanotte. Ed io saprò che ho il vostro perdono e che
accettate le mie scuse più profonde..” Isabel prese la scatola e poi la posò
sul libro che teneva, ancora aperto, in grembo.
“Ci penserò,
mistress Bolena..” Rispose, cauta. Come se avesse ricevuto un sì convinto, Anna
le sorrise e poi, dopo una profonda riverenza, lasciò la biblioteca.
“Puer natus in
Bethlehem, alleluia: unde gaudet Jerusalem, alleluia, alleluia. In cordis
jubilo, Christum natum adoremus cum novo cantico. Assumpsit carnem Filius,
alleluia, Dei Patris altissimus, alleluia, alleluia. In cordis jubilo, Christum
natum adoremus cum novo cantico. Per Gabrielem nuntium, alleluia, Virgo
concepit Filium, alleluia, alleluia. In cordis jubilo, Christum natum adoremus
cum novo cantico.”
Dopo essersi
comunicata, Isabel tornò al proprio posto, dietro quello di Caterina. Finito il
ringraziamento personale, la fanciulla si risedette e, mentre il canto andava
avanti, osservò la Chiesa decorata a festa. Il profumo dell’incenso si
confondeva con quello dell’enorme albero di Natale che decorava un lato del
presbiterio. I colori delle luci delle candele si univano a quelli delle enormi
ghirlande di agrifoglio, dello stesso albero, dei festoni usati per decorare la
Chiesa e dei vestiti colorati dei fedeli. Isabel si voltò alla sua sinistra e
vide la sorella, tutta intenta a pregare, o forse a gustarsi il canto. Per
qualche istante rimase indecisa sul da farsi, ma poi allungò una mano verso di
lei, accarezzandole il polso. Maria si girò e la fissò, stupita da quel gesto.
Quando vide sul viso della sorella minore un sorriso talmente aperto e
accogliente, non riuscì, nonostante tutto, a respingerla. Le sorrise a sua
volta, un po’ più cauta e poi le strinse leggermente il polso, ricambiando il
suo gesto. Gli occhi di Isabel brillarono di gioia vera e Maria ne fu così
colpita, e commossa, che non riuscì a trattenersi. Strinse più forte il polso
della sorella e lo accarezzò dolcemente. Poi si spostò sulla panca più verso Isabel.
Fu allora che quest’ultima le avvicinò la bocca all’orecchio, come per dirle
qualcosa di poco importante.
“Perdonami..”
Mormorò. “Anche se non te lo dico, ho bisogno di te per crescere, e ti voglio
bene..”
Enormemente toccata
da quelle parole, Maria si voltò verso la sorella. Essendo sedute nel transetto
nord, e quindi esposte a tutti i fedeli, non la toccò, né fece gesti plateali,
come era suo costume, ma il suo sguardo denunciava il suo stato d’animo. Quanto
la sorella le aveva detto non l’aveva lasciata indifferente e per la prima
volta in quasi sedici anni, la sentiva davvero parte della sua vita.
Dopo la Messa i
Sovrani si fermarono assieme alle figlie in una piccola sala del trono, con i
consiglieri e la parte di corte più vicina a loro, per un breve scambio di
auguri. Nel tardo pomeriggio c’era stato lo scambio dei doni con tutta la
nobiltà inglese e gli ambasciatori e gli inviati provenienti dall’Europa e,
come ogni anno, il cerimoniale era stato lungo ed estenuante.
Mentre le sue dame
sfilavano di fronte a lei, Caterina notò lo splendido gioiello di Anna Bolena.
Era un girocollo in oro e pietre dure, non troppo grosso, con un pendaglio a
forma di rombo. Era elegante e delicato al tempo stesso, così perfettamente
stonato su una simile sgualdrina. La Sovrana la guardò gelidamente dall’alto in
basso, quando si inchinò per porgerle gli auguri, e le rispose a malapena. Quel
viso sfacciato, nonostante il Re non la considerasse più la sua ‘maîtresse-en-titre’,
non aveva perso la sua spocchiosa superbia e quegli occhi neri continuavano a
guardare tutto e tutti con sufficienza e alterigia assieme. Seguendo alla sua
destra il cammino della sua rivale, Caterina temette di perdere i sensi. Anche
Isabel, seduta accanto a lei, aveva lo stesso, medesimo gioiello. La Sovrana
guardò inorridita la figlia. Che diavolo di gioco era quello?!
“Madre, che
succede?” Chiese quest’ultima. Caterina strabuzzò gli occhi e fissò per pochi
istanti Anna Bolena. Isabel seguì lo sguardo materno e non appena vide il
gioiello della dama, capì subito. Era stata ingannata!!, ma lei era caduta come
una sciocca nel tranello di una poco di buono. La Principessa avrebbe voluto
che la terra si aprisse e la ingoiasse in un istante. Per quanto sperasse che
quel momento finisse in fretta, non fu così. Prima di abbassare lo sguardo,
riuscì a sentire su loro tre tutti gli occhi dei cortigiani presenti. Sua madre
respirava così affannosamente che poteva sentirne il sibilo. In un ultimo
tentativo di ridimensionare la cosa, Isabel alzò il viso su Caterina e aprì la
bocca scusarsi, o almeno provare a farlo.
La Regina però fece
ciò che non aveva mai fatto, nemmeno quando il marito amoreggiava
spudoratamente in pubblico con la Bolena. Senza pensarci minimamente, essa si
alzò dal trono e, mentre la corte non le levava gli occhi di dosso, prese
letteralmente per un braccio Isabel, trascinandola via.
La povera
principessa non ebbe nemmeno modo di opporre una minima resistenza, che venne
portata quasi di peso, dopo un lunghissimo corridoio, in una saletta. Lì
Caterina la lasciò andare, non prima di averla quasi spinta dentro.
“Cos’è questo?
Avanti, parla!! COS’E’?!?!” Cominciò immediatamente ad aggredirla. Isabel non
l’aveva mai vista in quello stato e, per la prima volta in vita sua, ebbe paura
di lei. Camminando all’indietro, arrivò fino al muro, sul lato opposto rispetto alla
porta d’ingresso. Sua madre non le diede tregua e la raggiunse in un attimo.
“Non ho ancora sentito perché hai addosso questa roba!!! Da chi tu l’abbia avuta
lo so benissimo. Ma voglio sapere perché!!!”
Troppo spaventata
per rispondere, Isabel si limitò a fissare terrorizzata sua madre, che era ormai
preda della collera più nera.
“Mamà, io non pensavo..” Provò a dire
Isabel. “Vi giuro, preferirei essere impiccata..”
“Dovrei impiccarti
davvero!!” La interruppe Caterina, schiaffeggiandola forte, colma di sdegno e
ormai totalmente fuori di sé. “Ho allevato una sgualdrina che mi ha venduto
alla prima occasione buona!!”
Isabel la guardò
con occhi sbarrati di terrore e di paura. In silenzio scosse la testa, mentre
le lacrime, pian piano, sgorgavano dai suoi occhi e scivolavano giù lungo le
guance, la mandibola, il collo. Sua madre allungò di nuovo la mano, e lei
temette volesse ancora picchiarla. Invece afferrò la catena del gioiello e tirò
una prima volta, forte. Non riuscendo a strapparla provò una seconda, poi una
terza, infine una quarta, con energia sempre maggiore. La pelle di Isabel,
scorticata dai tentativi precedenti, si lacerò di netto. Subito un fiotto di
sangue zampillò dal fianco del suo collo, ma nemmeno la vista del sangue calmò
Caterina, che sembrava preda di un demonio.
Solo quando Enrico
arrivò nella sala e, prendendola per le spalle, la strappò da lì, si calmò e
perse tutta la trance che l’aveva sorretta fino a quel momento.
“Prepara le tue
cose e vattene via da Greenwich.” Sibilò, voltandosi a guardare più furente che
mai sua figlia. “Fino a nuovo ordine sei bandita dalla corte e non hai una
madre.. fatti consolare dalla puttana Bolena, ora!”