Anime & Manga > Sousei no Aquarion
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Autore: Red S i n n e r    18/11/2009    3 recensioni
Che crudeltà, che crudeltà! Toma lo sapeva, Apollonyus era stato crudele nel lasciare qualcosa che non fosse la sua presenza.
Era stato crudele nel lasciare la sua assenza e l’imperfezione della sua mancanza.
Lasciò che fosse l’illusione a cullarlo, nel suo mondo fatto di sogni, lasciò che fosse il suo ricordo a torturarlo, lasciò che fosse il suo nome ad uscirgli dalle labbra. [Tratto da: Dream Brother.]
Apollonyus/Toma; Apollonyus/Celiane.
{Seconda classificata al contest "Sousei no Acquarion - The eternity of love" indetto da Mokochan sul forum di Efp. Vincitrice del premio 'Miglior Raccolta'. **}
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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____BATTLE FOR THE SUN.} 

#2: 

“Running up that hill.”

 

Inspira ed espira.
Inspira. Espira. Inspira. Espira. Inspira.
Sospiro.
 

Battito.
Battito improvviso, battito di un cuore che rompe gli schemi e infrange il silenzio e la sua normalità.

Battito d’ali.

Felicità: effimera e labile, così simile a quel battito singolo che risuona a lungo in un silenzio che pare eterno, così simile a quella gioia sempre unica e mai scontata.

Ombra.

Ombra sul terreno, una nuova ombra che si unisce a quella della ragazza e le fa compagnia.

E la giovane donna la osserva, quella nuova ombra, così scura e tanto più grande della sua, così piccola e fragile, su quel terreno aspro e duro.

Osservò le sue ali fatte d’ombra chiudersi e la sua figura sovrastarla e non ebbe paura, fu solo felice perché sul terreno non c’era più la sua ombra, né quella dell’angelo: c’era qualcosa di nuovo.

L’angelo si fermò, non si avvicinò e non si allontanò, semplicemente la guardava.

Guardava le sue spalle sperando di tornare a guardare i suoi occhi.

L’angelo sperò.

L’umana aspettò, aspettò che i suoi battiti impazziti si fermassero, aspettò che il suo cuore si calmasse, semplicemente aspettò di tornare a respirare normalmente quando, di normale, c’era poco o nulla.

                                                                                                                                  L’umana aspettò.

 

In un cielo azzurro, sotto un sole tiepido, le due figuri rimanevano immobili, spaventate e forse incredule.

La guerra dilaniava il mondo, la guerra erano loro, la guerra erano entrambi; la guerra in quel momento s’era fermata.

Come se fosse sospesa a mezz’aria, come se non fosse mai esistita, come se la differenza tra loro non fosse così grande, come se le loro vite si potessero intrecciare.

L’umana respirò piano, trattenendo il fiato e rilasciandolo in piccoli sospiri sconvolti, non era possibile che fosse arrivato veramente, non era possibile che la stesse aspettando, non era possibile che non l’avesse ancora uccisa.

Semplicemente non era possibile, eppure stava accadendo, eppure era la sua vita quella ad essere stata sconvolta.

Lei che una vita non l’aveva mai avuta, lei che combatteva per riuscire a sopravvivere senza curarsi di vivere - sì, lei proprio lei,- ora faticava a respirare e non smetteva di sperare in qualcosa che eraassolutamente impossibile.

L’angelo stava fermo, sembrava che non respirasse e forse nemmeno ne aveva bisogno, pareva una statua, una statua perfetta e definita tanto bella da ferire gli occhi umani, tanto forte da poter chiudere per sempre quegli stessi occhi.

Celiane si alzò, non era mai stato nella sua indole quello di fermarsi per respirare, strinse le mani socchiudendo gli occhi e subito dopo si voltò, si voltò a guardarlo con i suoi occhi azzurri e sperò.

Sperò che i suoi occhi rimanessero fermi ed orgogliosi, sperò di non essere debole, non di fronte  alui.

Il vento muoveva i suoi capelli di fuoco - sembravano un’aureola, sembrava bruciassero- e i suoi occhi la guardavano fissamente, socchiudendosi appena come a voler aguzzare la vista, come se non potessero credere pienamente a ciò che si palesava loro davanti e bruciavano, bruciavano anche loro.

 

Si guardavano a distanza, così lontani da poter sembrare estranei, così vicini da voler scappare e fu un attimo: in un lampo, in un battito d’occhi e d’ali, lui le fu accanto.

In un attimo le afferrò la vita, in un attimo volarono via.

Celiane spalancò gli occhi, urlò senza sentire il suono della propria voce, prese a pugni il petto enorme e perfetto di quell’angelo maledetto – pugni che parevano carezze- infine si arrese, stringendosi a lui, poggiando la testa nell’incavo del suo collo, respirando piano.

E l’angelo la strinse come se fosse la cosa più ovvia, la strinse quando il freddo dell’alta temperatura la fece rabbrividire, la strinse quando bucarono l’atmosfera terrestre, la strinse per sentirla respirare sul suo collo ancora un po’ di più.

Le ali si chiusero a proteggerla creando un bozzolo di piume ed eternità in un abbraccio vero e palpabile.

L’aria fredda le punse il volto e la pelle scoperta come tanti piccoli pugnali di ghiaccio, si strinse ancor di più in quell’abbraccio proibito respirando a pieni polmoni il suo odore, un odore che aveva sempre imparato a disprezzare.

L’angelo si fermò, osservando l’umana raggomitolandosi contro di lui, quello che voleva farle vedere era davanti a loro.

Staccandosi a malincuore dal petto caldo dell’angelo e, molto lentamente, alzò la testa aprendo un poco gli occhi: la bocca si spalancò e gli occhi si spalancarono per poi essere schermati da una mano.

 

La superficie del sole era contornata di piccole e grandi esplosioni, la sua intera superficie sembrava fosse completamente formata da magma rovente di un rosso-arancio accecante.

Celiane continuò a schermarsi il volto contro il riverbero di quelle esplosioni, con la bocca aperta e un’espressione sconvolta sul viso, continuava a fissare il sole.

“Perché… Perché mi…?”

Le parole uscirono roche ed esitanti, così esitanti da non  riuscire a finire la domanda prepostasi.

L’angelo la guardò quasi sovrappensiero, l’ultima volta che si era recato in quel luogo era Toma a fargli compagnia ed erano le sue braccia a cingergli i fianchi, ci pensò ricordando quei momenti, ci pensò senza riuscire a pentirsi di quel momento.

“ Io sono Taiyou no tsubasa,”proclamò lento, con la sua voce forte e melodica al tempo stesso, “Io sono Apollonyus: il sole”.

L’umana lo guardò a lungo, incredula.

Significava così tanto il sole per Apollonyus? Proprio lui aveva deciso di mostrarglielo, proprio lui la teneva tra le braccia per non farla cadere.

Proprio lui che aveva ucciso e che uccideva ancora, proprio lui che era l’angelo più pericoloso e battagliero, proprio lui che stava per ucciderla, proprio lui ora la guardava con quei suoi occhi dorati,proprio lui che la guardava fisso spostando lo sguardo in ogni angolo del volto, proprio lui.

“Taiyou… Taiyou no tsubasa,” sussurrò contro il suo volto, saggiando con calma le nuove parole, “Apollonyus”, esordì alla fine, pronunciando attentamente quel nome mai sentito e già così prezioso.

Lui sorrise, piegò le labbra verso l’alto e i suoi occhi, oh, i suoi occhi!, i suoi occhi bruciarono ardentemente, sembrava che vi fossero pagliuzze di fuoco intrappolate in quelle iridi ardenti.

Con le spalle rivolte al sole, Apollonyus le sorrideva, e lei capì che nei suoi occhi vi erano racchiuse le esplosioni del sole, sperò di non bruciarsi con tutto quel calore e silenziosamente sperò il contrario.

“Celiane…”, il proprio nome sulle sue labbra la fece sussultare, aveva tutt’un altro suono, sembrava magico e speciale, semplicemente bellissimo perché era la sua voce  pronunciarlo, “Celiane.”

“Celiane.”

Pronunciava il suo nome continuando a sorridere, continuando a guardare il suo viso; le sembrava che cercasse di memorizzare ogni più piccolo lembo di pelle, ogni ruga d’espressione, ogni sfumatura nei suoi occhi azzurri, sembrava volesse leggerle dentro, scavarle  a fondo arrivando all’anima, sembrava volesse lasciarle lo stampo con quei suoi occhi ardenti.

Ci riuscì senza quasi accorgersene.

Con calma e un po’ di timore, Celiane alzò una mano accarezzandogli piano il volto, Apollonyus chiuse gli occhi lentamente quasi come un gatto, appoggiando contro la mano di lei la sua grande e calda.

 

Rimasero così, il sole loro unico spettatore, per ore o forse semplici minuti.

Il tempo che passava con Apollonyus sembrava sempre troppo breve e soprattutto, non sembrava mai reale, la sua ragione urlava l’impossibilità di quei gesti e di quei momenti ma il cuore , oh, il cuore!, batteva realmente solo in sua compagnia, batteva al ritmo delle sue ali tingendo il tutto di una gioia pura e incontrastata che non poteva vantarsi di aver già provato.

In quei momenti si chiedeva come avesse fatto  a vivere fino ad allora.

Rinchiusa nel suo castello e nei suoi doveri di principessa aveva chiesto, e ottenuto, la libertà necessaria per poter combattere: era impossibile per una come lei stare ferma  a guardare la gente, la sua gente, morire a quel modo.

Era impossibile.

Ed era impossibile che lui l’avesse salvata.

Perché?, si era chiesta milioni di volte.

Si erano solo guardati, semplicemente guardati, com’era possibile tutto ciò?

Nelle ore che precedevano uno dei loro incontri clandestini la paura, quella vera, le si palesava davanti occhieggiandola con malevolenza sussurrandole cattiverie, sputandole contro l’odio che non sapeva provare nei confronti di quello che veniva definito uno sporco assassino.

E il senso di colpa!

Il senso di colpa le pesava addosso come un macigno, si era fuso nella sua anima, lei stessa viveva nella colpa vestendosi di rammarico, dolore e incertezza.

Stava tradendo il mondo, il mondo intero, tutta la sua gente che strenuamente si era obbligata a proteggere, tutta la gente che voleva proteggere, tutti i morti che voleva riscattare, tutte le famiglie che voleva vendicare, tutte le lacrime che non voleva far cadere le pesavano addosso impedendole di respirare, affaticando le ore della sua non-vita aspettando il suo ritorno.

 

Perché sarebbe ritornato, lo avrebbe fatto sicuramente, glielo leggeva negli occhi, nella calma dei suoi gesti, glielo dicevano le sue braccia che continuavano a sostenerla da quanto? Anni, mesi, giorni forse pochi istanti, non aveva importanza.

L’unica cosa che realmente le importava era quell’abbraccio caldo, quegli occhi che la guardavano attenti e quelle labbra che le sorridevano; quelle poche cose avrebbero scacciato le sue paure e i suoi sensi di colpa con la stessa facilità con cui il sole allontana la notte.

 Respirare facilmente, prendendo generose boccate del suo profumo: questo le importava, per questo aveva imparato a vivere.

Viveva nelle attese di quegli imperdibili momenti, in cui il mondo scompariva insieme a tutti i suoi ‘ma’, e poteva piacevolmente lasciarsi annegare in quei momenti che avevano la consistenza di un sogno ad occhi aperti: troppo perfetti per essere veri.

 

Apollonyus riaprì gli occhi, stringendole un poco la mano, la guardò con il rammarico negli occhi cercando di scusarsi con un solo sguardo. “È ora di andare,” disse piano, come se fosse la più crudele tra le frasi da dire.

Celiane annuì appena stringendo a sua volta quella mano calda, omaggiandolo di un piccolo sorriso. 

Apollonyus la strinse di nuovo al petto, coprendola accorto con le proprie ali, per poi dedicarsi alla discesa cercando di farla durare più tempo possibile.

In quell’ultimo abbraccio fatto di piume e respiri tante parole si sarebbero potute dire, ed aleggiarono nell’aria sempre più calda, desiderose di essere pronunciate ad alta voce.

Nessuno di questi desideri fu però avverato, un silenzio malinconico e al tempo stesso trepidante d’attesa li accompagnò nella discesa.

Arrivati a terra Apollonyus la liberò della stretta di ali e braccia tornando a guardarla con i suoi occhi di fuoco, lei sbatté le palpebre nascondendo a tratti i suoi occhi azzurri, sistemandosi alla meno peggio i capelli biondi disordinati e sorridendo imbarazzata alla volta dell’angelo sempre perfetto e sempre bellissimo.

 Ed Apollonyus d’un tratto capì, folgorato da una rivelazione improvvisa assimilò la nuova verità con un sorriso più aperto, capì di aver trovato un cielo per il sole racchiuso nei suoi occhi.

L’aveva trovato in lei e nel blu delle sue iridi.

Sorrise ancora, avvicinandosi sempre di più, fino a sfiorare le proprie labbra con quelle di lei.

“Tornerò.” Le sussurrò ancora vicino, guardando il suo cielo con occhi nuovi, con occhi non più soli.

 

E fu in un attimo: un battito di palpebre e d’ali, in cui lui sparì.

La donna sbatté le palpebre, portandosi un mano al petto, supplicando il cuore di battere più piano.

Non c’era niente da fare, sarebbe tornata a respirare normalmente quando sarebbe salita, di nuovo, su quella collina pronta ad incontrarlo di nuovo, pronta a respirarlo di nuovo e, con lui, la sua nuova vita.

 

Inspira ed espira.
Inspira. Espira. Inspira. Espira. Inspira.

Sospiro.

 

Note della Red____________________
E con quest'ultima Shot si conclude la mia minuscola raccolta e la 'Battaglia per il Sole'. Ho voluto iniziare con la fine e con Toma ma ho voluto finire con l'inizio della storia d'amore tra l'angelo e l'umana..
La battaglia, in verità, non credo che finirai mai; l'amore di Toma e Celiane sarà sempre indirizzato ad Apollonyus. L'amore per un essere eterno sarà eterno a sua volta? Forse sì. Io lo credo.
Grazie a: 

- erato1984: Uh, Toma non ti piace? Io l'adoro. Povero, ha sofferto tanto, ho voluto scrivere qualcosa su di lui. Grazie per i complimenti e grazie per averla messa tra i preferiti. +__+
- Angel Ecate: Azz, lo odi adirittura il povero Toma? ç.ç Sono contenta che ti sia piaciuta, Moko! Mi fa piacere che, secondo te, sia riuscita a rendere bene il personaggio. Toma è veramente complicato. Grazie per averla messa tra i preferiti, non merito. +___+
- Bloom: Grazie! Mi fa piacere che ti sia piaciuta, spero ti piaccia anche questa. ò.ò
Alla prossima!

Red.

   
 
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