____BATTLE FOR
THE SUN.}
#2:
“Running up that hill.”
Inspira
ed espira.
Inspira. Espira. Inspira. Espira. Inspira.
Sospiro.
Battito.
Battito improvviso, battito di un cuore che rompe gli schemi e infrange
il silenzio e la sua normalità.
Battito
d’ali.
Felicità:
effimera e labile, così simile a quel battito singolo che
risuona a lungo in un silenzio che pare eterno, così simile
a quella gioia sempre unica e mai scontata.
Ombra.
Ombra
sul terreno, una nuova ombra che si unisce a quella della ragazza e le
fa compagnia.
E
la giovane donna la osserva, quella nuova ombra, così scura
e tanto più grande della sua, così piccola e
fragile, su quel terreno aspro e duro.
Osservò
le sue ali fatte d’ombra chiudersi e la sua figura
sovrastarla e non ebbe paura, fu solo felice perché sul
terreno non c’era più la sua ombra, né
quella dell’angelo: c’era qualcosa di nuovo.
L’angelo
si fermò, non si avvicinò e non si
allontanò, semplicemente la guardava.
Guardava
le sue spalle sperando di tornare a guardare i suoi occhi.
L’angelo
sperò.
L’umana
aspettò, aspettò che i suoi battiti impazziti si
fermassero, aspettò che il suo cuore si calmasse,
semplicemente aspettò di tornare a respirare normalmente
quando, di normale, c’era poco o nulla.
L’umana
aspettò.
In
un cielo azzurro, sotto un sole tiepido, le due figuri rimanevano
immobili, spaventate e forse incredule.
La
guerra dilaniava il mondo, la guerra erano
loro, la guerra erano entrambi; la guerra in quel momento
s’era fermata.
Come
se fosse sospesa a mezz’aria, come se non fosse mai esistita,
come se la differenza tra loro non fosse così grande, come
se le loro vite si potessero intrecciare.
L’umana
respirò piano, trattenendo il fiato e rilasciandolo in
piccoli sospiri sconvolti, non era possibile che fosse arrivato
veramente, non era possibile che la stesse aspettando, non era
possibile che non l’avesse ancora uccisa.
Semplicemente
non era possibile, eppure stava accadendo, eppure era la sua vita
quella ad essere stata sconvolta.
Lei
che una vita non l’aveva mai avuta, lei che combatteva per
riuscire a sopravvivere senza curarsi di vivere - sì, lei
proprio lei,- ora faticava a respirare e non smetteva di sperare in
qualcosa che eraassolutamente impossibile.
L’angelo
stava fermo, sembrava che non respirasse e forse nemmeno ne aveva
bisogno, pareva una statua, una statua perfetta e definita tanto bella
da ferire gli occhi umani, tanto forte da poter chiudere per sempre
quegli stessi occhi.
Celiane
si alzò, non era mai stato nella sua indole quello di
fermarsi per respirare,
strinse le mani socchiudendo gli occhi e subito dopo si
voltò, si voltò a guardarlo con i suoi occhi
azzurri e sperò.
Sperò
che i suoi occhi rimanessero fermi ed orgogliosi, sperò di
non essere debole, non di fronte alui.
Il
vento muoveva i suoi capelli di fuoco - sembravano
un’aureola, sembrava bruciassero- e i suoi occhi la
guardavano fissamente, socchiudendosi appena come a voler aguzzare la
vista, come se non potessero credere pienamente a ciò che si
palesava loro davanti e
bruciavano, bruciavano anche loro.
Si
guardavano a distanza, così lontani da poter sembrare
estranei, così vicini da voler scappare e fu un attimo: in
un lampo, in un battito d’occhi e d’ali,
lui le fu accanto.
In
un attimo le afferrò la vita, in un attimo volarono via.
Celiane
spalancò gli occhi, urlò senza sentire il suono
della propria voce, prese a pugni il petto enorme e perfetto di
quell’angelo maledetto – pugni
che parevano carezze- infine si arrese, stringendosi a lui,
poggiando la testa nell’incavo del suo collo, respirando
piano.
E
l’angelo la strinse come se fosse la cosa più
ovvia, la strinse quando il freddo dell’alta temperatura la
fece rabbrividire, la strinse quando bucarono l’atmosfera
terrestre, la strinse per sentirla respirare sul suo collo ancora un
po’ di più.
Le
ali si chiusero a proteggerla creando un bozzolo di piume ed
eternità in un abbraccio vero e palpabile.
L’aria
fredda le punse il volto e la pelle scoperta come tanti piccoli pugnali
di ghiaccio, si strinse ancor di più in
quell’abbraccio proibito respirando a pieni polmoni il suo
odore, un odore che aveva sempre imparato a disprezzare.
L’angelo
si fermò, osservando l’umana raggomitolandosi
contro di lui, quello che voleva farle vedere era davanti a loro.
Staccandosi
a malincuore dal petto caldo dell’angelo e, molto lentamente,
alzò la testa aprendo un poco gli occhi: la bocca si
spalancò e gli occhi si spalancarono per poi essere
schermati da una mano.
La
superficie del sole era contornata di piccole e grandi esplosioni, la
sua intera superficie sembrava fosse completamente formata da magma
rovente di un rosso-arancio accecante.
Celiane
continuò a schermarsi il volto contro il riverbero di quelle
esplosioni, con la bocca aperta e un’espressione sconvolta
sul viso, continuava a fissare il sole.
“Perché…
Perché mi…?”
Le
parole uscirono roche ed esitanti, così esitanti da non riuscire
a finire la domanda prepostasi.
L’angelo
la guardò quasi sovrappensiero, l’ultima volta che
si era recato in quel luogo era Toma a fargli compagnia ed erano le sue
braccia a cingergli i fianchi, ci pensò ricordando quei
momenti, ci pensò senza riuscire a pentirsi di quel momento.
“
Io sono Taiyou no tsubasa,”proclamò lento, con la
sua voce forte e melodica al tempo stesso, “Io sono
Apollonyus: il sole”.
L’umana
lo guardò a lungo, incredula.
Significava
così tanto il sole per Apollonyus? Proprio lui aveva deciso
di mostrarglielo, proprio lui la teneva tra le braccia per non farla
cadere.
Proprio
lui che aveva ucciso e che uccideva ancora, proprio lui che era
l’angelo più pericoloso e battagliero, proprio lui
che stava per ucciderla, proprio lui ora la guardava con quei suoi
occhi dorati,proprio lui che la guardava fisso spostando lo sguardo in
ogni angolo del volto, proprio
lui.
“Taiyou…
Taiyou no tsubasa,” sussurrò contro il suo volto,
saggiando con calma le nuove parole, “Apollonyus”,
esordì alla fine, pronunciando attentamente quel nome mai
sentito e già così prezioso.
Lui
sorrise, piegò le labbra verso l’alto e i suoi
occhi, oh, i suoi occhi!, i suoi occhi bruciarono ardentemente,
sembrava che vi fossero pagliuzze di fuoco intrappolate in quelle iridi
ardenti.
Con
le spalle rivolte al sole, Apollonyus le sorrideva, e lei
capì che nei suoi occhi vi erano racchiuse le esplosioni del
sole, sperò di non bruciarsi con tutto quel calore e
silenziosamente sperò il contrario.
“Celiane…”,
il proprio nome sulle sue labbra la fece sussultare, aveva
tutt’un altro suono, sembrava magico e speciale,
semplicemente bellissimo perché era la sua voce pronunciarlo,
“Celiane.”
“Celiane.”
Pronunciava
il suo nome continuando a sorridere, continuando a guardare il suo
viso; le sembrava che cercasse di memorizzare ogni più
piccolo lembo di pelle, ogni ruga d’espressione, ogni
sfumatura nei suoi occhi azzurri, sembrava volesse leggerle dentro,
scavarle a
fondo arrivando all’anima, sembrava volesse lasciarle lo
stampo con quei suoi occhi ardenti.
Ci
riuscì senza quasi accorgersene.
Con
calma e un po’ di timore, Celiane alzò una mano
accarezzandogli piano il volto, Apollonyus chiuse gli occhi lentamente
quasi come un gatto, appoggiando contro la mano di lei la sua grande e
calda.
Rimasero
così, il sole loro unico spettatore, per ore o forse
semplici minuti.
Il
tempo che passava con Apollonyus sembrava sempre troppo breve e
soprattutto, non sembrava mai reale, la sua ragione urlava
l’impossibilità di quei gesti e di quei momenti ma
il cuore , oh, il cuore!, batteva realmente solo in sua compagnia,
batteva al ritmo delle sue ali tingendo il tutto di una gioia pura e
incontrastata che non poteva vantarsi di aver già provato.
In
quei momenti si chiedeva come avesse fatto a
vivere fino ad allora.
Rinchiusa
nel suo castello e nei suoi doveri di principessa aveva chiesto, e
ottenuto, la libertà necessaria per poter combattere: era
impossibile per una come lei stare ferma a
guardare la gente, la sua gente, morire a quel modo.
Era
impossibile.
Ed
era impossibile che lui l’avesse salvata.
Perché?,
si era chiesta milioni di volte.
Si
erano solo guardati, semplicemente guardati, com’era
possibile tutto ciò?
Nelle
ore che precedevano uno dei loro incontri clandestini la paura, quella
vera, le si palesava davanti occhieggiandola con malevolenza
sussurrandole cattiverie, sputandole contro l’odio che non
sapeva provare nei confronti di quello che veniva definito uno sporco
assassino.
E
il senso di colpa!
Il
senso di colpa le pesava addosso come un macigno, si era fuso nella sua
anima, lei stessa viveva nella colpa vestendosi di rammarico, dolore e
incertezza.
Stava
tradendo il mondo, il mondo intero, tutta la sua gente che strenuamente
si era obbligata a proteggere, tutta la gente che voleva proteggere,
tutti i morti che voleva riscattare, tutte le famiglie che voleva
vendicare, tutte le lacrime che non voleva far cadere le pesavano
addosso impedendole di respirare, affaticando le ore della sua non-vita
aspettando il suo ritorno.
Perché
sarebbe ritornato, lo avrebbe fatto sicuramente, glielo leggeva negli
occhi, nella calma dei suoi gesti, glielo dicevano le sue braccia che
continuavano a sostenerla da quanto? Anni, mesi, giorni forse pochi
istanti, non aveva importanza.
L’unica
cosa che realmente le importava era quell’abbraccio caldo,
quegli occhi che la guardavano attenti e quelle labbra che le
sorridevano; quelle poche cose avrebbero scacciato le sue paure e i
suoi sensi di colpa con la stessa facilità con cui il sole
allontana la notte.
Respirare
facilmente, prendendo generose boccate del suo profumo: questo le
importava, per questo aveva imparato a vivere.
Viveva
nelle attese di quegli imperdibili momenti, in cui il mondo scompariva
insieme a tutti i suoi ‘ma’, e poteva piacevolmente
lasciarsi annegare in quei momenti che avevano la consistenza di un
sogno ad occhi aperti: troppo perfetti per essere veri.
Apollonyus
riaprì gli occhi, stringendole un poco la mano, la
guardò con il rammarico negli occhi cercando di scusarsi con
un solo sguardo. “È ora di andare,”
disse piano, come se fosse la più crudele tra le frasi da
dire.
Celiane
annuì appena stringendo a sua volta quella mano calda,
omaggiandolo di un piccolo sorriso.
Apollonyus
la strinse di nuovo al petto, coprendola accorto con le proprie ali,
per poi dedicarsi alla discesa cercando di farla durare più
tempo possibile.
In
quell’ultimo abbraccio fatto di piume e respiri tante parole
si sarebbero potute dire, ed aleggiarono nell’aria sempre
più calda, desiderose di essere pronunciate ad alta voce.
Nessuno
di questi desideri fu però avverato, un silenzio malinconico
e al tempo stesso trepidante d’attesa li
accompagnò nella discesa.
Arrivati
a terra Apollonyus la liberò della stretta di ali e braccia
tornando a guardarla con i suoi occhi di fuoco, lei sbatté
le palpebre nascondendo a tratti i suoi occhi azzurri, sistemandosi
alla meno peggio i capelli biondi disordinati e sorridendo imbarazzata
alla volta dell’angelo sempre perfetto e sempre bellissimo.
Ed
Apollonyus d’un tratto capì, folgorato da una
rivelazione improvvisa assimilò la nuova verità
con un sorriso più aperto, capì di aver trovato
un cielo per il sole racchiuso nei suoi occhi.
L’aveva
trovato in lei e nel blu delle sue iridi.
Sorrise
ancora, avvicinandosi sempre di più, fino a sfiorare le
proprie labbra con quelle di lei.
“Tornerò.”
Le sussurrò ancora vicino, guardando il suo
cielo con
occhi nuovi, con occhi non più soli.
E
fu in un attimo: un battito di palpebre e d’ali, in cui lui
sparì.
La
donna sbatté le palpebre, portandosi un mano al petto,
supplicando il cuore di battere più piano.
Non
c’era niente da fare, sarebbe tornata a respirare normalmente
quando sarebbe salita, di nuovo, su quella collina pronta ad
incontrarlo di nuovo, pronta a respirarlo di nuovo e, con lui, la sua
nuova vita.
Inspira
ed espira.
Inspira. Espira. Inspira. Espira. Inspira.
Sospiro.
…
E con quest'ultima Shot si conclude la mia minuscola raccolta e la
'Battaglia per il Sole'. Ho voluto iniziare con la fine e con Toma ma
ho voluto finire con l'inizio della storia d'amore tra l'angelo e
l'umana..
La battaglia, in verità, non credo che finirai mai; l'amore
di Toma e Celiane sarà sempre indirizzato ad Apollonyus.
L'amore per un essere eterno sarà eterno a sua volta? Forse
sì. Io lo credo.
Grazie a:
- Angel Ecate: Azz,
lo odi adirittura il povero Toma? ç.ç Sono
contenta che ti sia piaciuta, Moko! Mi fa piacere che, secondo te, sia
riuscita a rendere bene il personaggio. Toma è veramente
complicato. Grazie per averla messa tra i preferiti, non merito. +___+
- Bloom: Grazie! Mi
fa piacere che ti sia piaciuta, spero ti piaccia anche questa.
ò.ò
Alla prossima!