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Autore: ikumi    18/11/2009    3 recensioni
La lama di fronte a sé veniva infatti destreggiata da una mano inesperta ed eccitata oltre ogni dire; le risa divertite assalivano continuamente la tranquillità dell'ambiente come, oltretutto, facevano le solite note di presunzione.
«Trunks, non vale, io sto combattendo da solo!» fece notare con disappunto, appesantendo il broncio, il piccolo Goten.
La suddetta arma si piantò con prepotenza nel terreno, fra le gambe aperte del Son, facendolo sobbalzare spaurito.
«Non fare il bambino!» lo pungolò con la solita nota di innocua superiorità l'altro: «Sono gli avversari irraggiungibili che faranno di te un vero guerriero!» continuò altisonante alzando con fierezza il mento.
Il moro dalla chioma cespugliosa storse contrariato il naso all'insù.
«Questa frase la dice sempre Vegeta quando ti mette al tappeto» protestò, difendendosi, sottolineando la saggezza di quell'affermazione spudoratamente rubata. «E poi tu non sei irraggiungibile!»
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: per chi non conoscesse gli OAVs di Dragon Ball, Tapion e la Spada Leggendaria sono di proprietà del suddetto autore, e fanno parte del tredicesimo film intitolato “L'eroe del pianeta Conuts”.



Irraggiungibile


I raggi solari si stagliavano nel loro cammino con maestosità, illuminando e scaldando un terso pomeriggio estivo, giocando con i colori che la rigogliosa natura sfoggiava con vanità. Carezzevoli, si riflettevano dispettosi contro il pregiato ed abbagliante metallo, che deviò come un ostacolo il loro percorso, ferendo così dei grandi e teneri occhi neri che si serrarono all'istante.
Il proprietario di quelle scure pupille indietreggiò bruscamente: portò un avambraccio  davanti alla fronte e, distraendosi, cadde all'indietro, schivando di pura fortuna l'ennesimo tentativo di vittoria da parte di quell'arma affilata. Atterrando rumorosamente di sedere, il ragazzino, non poté fare a meno che tornare a scrutare quei movimenti così freddi e affascinati, ma tuttavia anche fatali.
La lama di fronte a sé veniva infatti destreggiata da una mano inesperta ed eccitata oltre ogni dire; le risa divertite assalivano continuamente la tranquillità dell'ambiente come, oltretutto, facevano le solite note di presunzione.
«Trunks, non vale, io sto combattendo da solo!» fece notare con disappunto, appesantendo il broncio, il piccolo Goten.
La suddetta arma si piantò con prepotenza nel terreno, fra le gambe aperte del Son, facendolo sobbalzare spaurito.
«Non fare il bambino!» lo pungolò con la solita nota di innocua superiorità l'altro: «Sono gli avversari irraggiungibili che faranno di te un vero guerriero!» continuò altisonante alzando con fierezza il mento.
Il moro dalla chioma cespugliosa storse contrariato il naso all'insù.
«Questa frase la dice sempre Vegeta quando ti mette al tappeto» protestò, difendendosi, sottolineando la saggezza di quell'affermazione spudoratamente rubata. «E poi tu non sei irraggiungibile
Gli occhi azzurri si spostarono indispettiti verso il mezzo saiyan, che venne puntualmente fulminato: «Non fa nulla!» sbottò seccato il principe ereditario di casa «Non ti intromettere!» lo sgridò poi, continuando ad assumere atteggiamenti alquanto paterni.
Dandogli le spalle tornò all'oggetto che la sua attenzione bramava ormai da giorni: la pesante spada che aveva fra le mani era il sincero dono di un amico che non avrebbe mai più rivisto. Alzando l'arma dritta davanti a sé, che contrastava con la lontana sfera incandescente regina del cielo, quel pensiero gli fece salire un'amara nostalgia. Era stata la più bella e magica avventura, nonché battaglia, che la sua breve vita aveva visto fino a quel momento: dopo l'incubo di Majin Bu, e la perdita temporanea dell'amato padre, il piccolo Trunks aveva un nuovo frammento di memoria e, soprattutto, una speciale persona da portare stretta nel cuore. Tapion, l'eroe del pianeta Conuts, non avrebbe fatto da meno.
Nel mentre, il giovane Goten aveva approfittato di quei pochi e sognati istanti del perfido amico per rialzarsi e sbattere distrattamente la polvere che la sua tuta arancione aveva accantonato tra il tessuto perennemente stropicciato. Non fece in tempo ad alzare il capo che, il Brief, gli stava già puntando la spada acuminata alla gola: «Forza, fatti sotto! Tanto non riuscirai mai a battermi!» lo sfidò, con amichevole cinismo.
Quello, che ormai era il suo avversario, digrignò i denti e trattenne le lacrime capricciose, che tentavano in tutti i modi di sgorgare dolcemente sulle guance paffute, e decise di stare nuovamente al gioco, più per non deludere l'amico che per divertimento.
Fu così che le urla, le risa, l'agitazione, la confusione e il bagliore dirompente della Spada Leggendaria, si manifestarono nuovamente al grande giardino della Capsule Corporetion; proprio come un'inaspettata e imponente presenza che, con passo felpato, giunse supervisore riempendo l'aria pacifica di un ancestrale carisma: occhi scuri come la pece, più profondi della tenebra, si posarono vigili sull'oggetto che più di ogni altra cosa, in quel mentre, attirava l'attenzione visiva.
Come se fossero state quelle di un corvo messaggero di sciagura, le pupille dell'uomo si spostarono più volte nel seguire i movimenti agili del piccolo dai capelli color glicine. Muoveva quella spada con una fierezza che si poteva trasmettere da là dov'era, a venti metri. Un ringhio aggressivo scappò via, veloce e furtivo, dalle labbra appena socchiuse e i piedi ricominciarono a marciare minacciosi.
Con agilità il piccolo Goten schivò quella lama tagliente aggirando il suo avversario che, pronto ad un nuovo e facile attacco si fece, invece, prendere dall'infame distrazione, incrociando la figura alle spalle dell'amico.
Fu un gesto veloce e quasi invisibile che lo atterrò. Quel misero istante condannò il tranello, la beffa, la pugnalata e... la vergogna di finire al tappeto ai piedi di suo padre. Con occhi sbarrati, che si insinuavano ingiustamente nella colpevolezza, Trunks rimase a bocca aperta a fissare quello sguardo omicida, incapace di proferire alcun suono oltre ad un sommesso: «C-Ciao papà... Come stai?»
Era naturale come il suo sarcasmo saliva in superficie nei momenti di letale imbarazzo che il burbero padre pareva iniettargli; e come ogni volta, il piccolo, sperava funzionasse. Ma il Principe dei Saiyan non si inteneriva con nulla e questo, suo malgrado, lo sapeva con chiarezza.
«Cia-Ciao Vegeta...» l'ospite imitò l'amico senza, fortunatamente, essere degnato del minimo sguardo.
L'impressionante silenzio, che sembrava improvvisamente esser calato sull'intera atmosfera terrestre, venne rotto per la terza volta dal rumoroso deglutire del giovane saiyan di casa. Il Principe, a braccia conserte, alzò il sopracciglio destro in segno di rimprovero o, peggio, di collera.
«Mettiti la tuta e vieni subito ad allenarti» ordinò irremovibile nel procinto di dileguarsi, ma l'ennesimo ringhio di disapprovazione fuoriuscì roco e prepotente. «Hai giocato fin troppo per oggi!» sbottò, con un'arroganza molto più marcata della solita caratteriale, e sparì come una pantera dagli aguzzi e velenosi artigli.
Trunks vide l'ombra di suo padre congedarsi velocemente da sopra di sé. Prese il respiro più lungo della sua vita, rilassò la schiena tesa e finalmente si issò a sedere. Che figura, pensò demoralizzato adagiando le mani fra le gambe aperte, a contatto con il terreno umido.
Fin da quando il fiero Principe dei Saiyan aveva iniziato ad allenare con una costanza invidiabile il suo erede, quest'ultimo, era sempre stato suscettibile riguardo all'opinione del suo amato maestro. Avrebbe voluto dimostrargli sempre la sua forza, il suo coraggio. Voleva che il suo impenetrabile orgoglio oscillasse e s'accendesse in una calda fiammella ogni qual volta che lui fosse stato in azione. Desiderava con ardore che il suo esempio di vita lo mostrasse come il suo piccolo grande trofeo.
«Ma che gli è preso?»
L'ingenua voce del compagno di giochi interruppe bruscamente i suoi pensieri. Trunks levò il viso, tornato ormai imbronciato, verso il moro.
«Nulla!» sbottò, afferrando la spada che nello scontro era stata gettata involontariamente in balia del manto erboso. «Non gli è preso proprio nulla!» ripeté più irritato di prima e, mentre strofinava delicatamente la pregiata arma da riporre nell'apposito fodero, s'incamminò svogliato verso il retro della grande cupola gialla, seguito imperterrito dallo sguardo atterrito dell'amico.
«Ma sono tutti nervosi, oggi?»


Aveva eseguito gli ordini, aveva fatto tutto quello che voleva, e si sentiva uno stupido burattino estratto dalla scatola nel momento del bisogno, mentre cercava di schivare quei dannati colpi. A quel punto sarebbe stato più ragionevole massacrare un sacco rinforzato da box, piuttosto che uccidere suo figlio, no? Avrebbe cercato appositamente lui un materiale in grado di reggere il suo pesante allenamento, almeno per un paio d'ore, se era questo che voleva fare. Almeno così avrebbe forse sfogato altrove quell'improvviso nervosismo che gli stava procurando dei seri danni all'anca destra.
Trunks assestò con onore una brutta gomitata alla bocca dello stomaco. Decise che non avrebbe mollato e che ce l'avrebbe messa tutta. La sua tenacia non l'avrebbe abbandonato così facilmente: avrebbe continuato, per ore e ore, incessantemente, mentre il suo umore scivolava nell'oblio della freddezza, quella freddezza e quella sensazione di abbattimento che non provava ormai da lungo tempo. Glielo doveva ricordare che non era fatto di pasta frolla? Si era forse dimenticato che nelle sue vene scorreva il suo stesso sangue?
Giammai, suo padre non si scordava di chi erano i saiyan.
E allora perché sembrava che lo trattasse addirittura con disprezzo? Come un semplice terrestre? Perché non lo stava allenando con la solita e costante severità, dandogli consigli duri per affinare la sua tecnica, ma sembrava che si stesse semplicemente sfogando?
Perché papà?
L'ennesimo, amaro, pugno lo lanciò all'indietro facendogli strisciare il sedere sul duro e malridotto pavimento della camera gravitazionale; giunse alla parete sbattendo bruscamente la schiena e rimase lì, senza muovere un muscolo, a capo chino, ad ascoltare l'asprezza che gli stava inondando il piccolo cuore.
Si sentiva pesante, come se un grosso macigno si fosse appoggiato con poca delicatezza sulle sue esili spalle. Il sudore, che a piccole gocce gli percorreva flemmatico il viso, sembrava vibrare, come se anche lui avesse sentito parte di quell'ira. Con il respiro affannato e la vista annebbiata, Trunks, ruotò lentamente le pupille azzurre poggiandole con timore sulle spalle dell'uomo che sostava a pochi metri da lui. Vide l'aura dorata che lo avvolgeva dissiparsi lentamente, senza alcuna fatica, senza alcun senso di sollievo apparente. Afferrando la bottiglietta di acqua fresca, Vegeta, non proferì alcuna parola, fino a che, dopo aver sorseggiato avidamente la fonte rigeneratrice, s'incamminò con passo calmo e deciso verso l'uscita.
Interdetto il ragazzino rimase a fissarlo. Non gli avrebbe certo dato la soddisfazione di fermarlo e implorarlo di confessare che cosa aveva fatto per meritarsi questo! Pensò che non avrebbe fiatato, mentre osservava con rancore quelle spalle allontanarsi sempre più; no, non si sarebbe minimamente interessato.
Mancavano ormai pochi passi alla sua meta: piccoli, semplici gesti, azioni, movimenti; e sarebbe sparito oltre quella porta di spesso acciaio. Ancora pochi istanti e la grande manopola avrebbe cigolato, avrebbe provocato un rumore acuto, fastidioso, noioso e... straziante. Questioni di attimi e quella mano che stava allungandosi verso l'unica via d'uscita sarebbe scappata. Freddi e impellenti attimi che sembravano così immobili... o forse era lui che avrebbe voluto che fossero immobili, o forse lui li avrebbe voluti immobilizzare, o forse...
«Papà!»
Sembrava che il tempo si fosse fermato, quel maledetto.
Il nemico più irraggiungibile che possa esistere.
Il piccolo Trunks prese un profondo respiro e, poggiando una mano alla parete, fece leva sulle gambe tremanti per potersi alzare: Vegeta si era fermato. Aveva interrotto il suo incedere. Ma non si era voltato. Il suo mutismo voleva fargli intendere di spicciarsi a parlare e, anche se con timore, il figlio non esitò.
«Papà... perché sei arrabbiato...»
La mano scivolò via dalla parete e i suoi piedi si mossero con fatica di qualche passo. Il respiro soffocato era l'unico suono che produceva, oltre alla sua voce di bambino.
«Non ho forse combattuto come un vero guerriero? Fino... alla fine?» chiese intonando la domanda inizialmente come una supplica per finire, poi,  in un tono più fermo e alto. Tanta era la tensione albergante in quella stanza che la sua frase si sciolse nell'aria come un insignificante eco. Il mezzo saiyan si asciugò con un avambraccio la fronte madida di sudore e, sperando in una risposta, serrò le palpebre, deglutendo.
Sarebbe arrivata, lui aveva fiducia in suo padre, e gli avrebbe risposto... anche solo con un grugnito o con una risposta negativa, ma l'uomo che viveva della sua stessa aria avrebbe parlato, mugugnato, si sarebbe espresso, avrebbe bofonchiato qualcosa di incomprensibile.
Lo sbattere della porta d'acciaio diede vita ad un pianto silenzioso.


Era una calzatura davvero graziosa, scelta con malizia, perfetta nei minimi dettagli e, sicuramente, molto costosa. Delineata da una forma senza dubbio elegante, decisa, di gran classe; una di quelle scarpe degna delle alti passerelle. Veniva mossa di continuo: la punta arrotondata, infatti, veniva picchiata in modo secco sul pavimento di parquet da un piede, decisamente, in preda al nervosismo.
«Insomma» la voce alta e ferma risuonò per l'intera, ampia, cucina. «Mi volete dare una spiegazione?» scandì ancora, questa volta, alzando il tono divenuto d'improvviso arrabbiato e vibrante.
Minacciosi, gli occhi cristallini, si spostarono prima su uno, poi sull'altro: «So perfettamente che non siete sordi!» sbraitò ancora la donna, con una certa ironia, incrociando le braccia sotto il seno prosperoso. Doveva forse mimargliela quella domanda per far sì che venisse recepita? Cos'è, erano anche diventati scemi a suon di cazzotti?
Quello che aveva davanti agli occhi era inconcepibile. Quella mattina si era alzata di buon umore. Mancava poco al grande giorno e tutto doveva essere perfetto. Perfetto e in gran segreto. E lui lo sapeva: era al corrente di tutto, eppure... gliela aveva fatta un'altra volta.
«Vegeta...» Bulma si alzò dalla sedia ritraendola bruscamente all'indietro, appoggiò le mani ai fianchi e iniziò a squadrare il compagno con maggiore scrupolo.
«Ti ha dato di volta il cervello?!» urlò, infine.
«Mamma, non è niente di gr...» provò ad intromettersi il figlio che, a capo chino, fissava il piatto ricolmo di pietanze senza provar il minimo languore.
La donna dai capelli azzurri scostò per qualche istante lo sguardo, addolcendolo automaticamente: «Tesoro, è una questione tra me e tuo padre, non preoccuparti e finisci il tuo pranzo.» mitragliò perentoria, sfoggiando un sorriso perfettamente sostenuto.
Poi, posando nuovamente lo sguardo sul Suo Amato Principe delle Oscenità, il suo viso perfetto tornò ad accigliarsi.
«Vegeta» ricominciò adirata, socchiudendo gli occhi, per poi sgranarli in quella che sua figlio chiamava l'Espressione Ammazzasette della Mamma «Te lo ripeto per l'ultima volta: come hai potuto conciare tuo figlio a quest'ignobile modo?!»
Aveva allungato un braccio e indicato con l'indice tremante il suo povero bambino quando, finalmente, le scure ed agghiaccianti pupille la degnarono della sua presenza.
«Mi hai seccato, Bulma» fu l'asciutta e insensibile risposta del saiyan che, con assoluta disinvoltura, tornò a dedicarsi al suo pasto.
Le braccia di Bulma cascarono lungo i fianchi e la donna rimase per qualche secondo interdetta, immobile, fissando con dannazione il compagno che si ingozzava con veemenza di un enorme tacchino farcito. Le rosse labbra si aprirono e si richiusero, boccheggianti, fino a che, preso un lungo e profondo respiro, tornarono a spalancarsi: «Mi hai secc... Come sarebbe a dire mi hai seccato, razza di scimmione tracotante!» esplose, accecata dalla furia e dall'indignazione «Stammi bene a sentire, questo io non lo chiamo allenamento! Hai completamente massacrato tuo figlio, te ne rendi conto?!» continuò scandalizzata, ritornando ad additare il soggetto del discorso che, suo malgrado, si fece ancora più piccolo nella sedia.
Vegeta alzò di scatto un sopracciglio e la fulminò con  un'occhiata nervosa, addentando selvaggiamente una coscia di tacchino e strappandone volgarmente un boccone con i denti. Masticò la tenera carne e la ingoiò rumorosamente. «Chiudi quella bocca, o il cibo mi andrà di traverso continuando a sentire il tuo starnazzare» sputò gelido, ricominciando da dove si era interrotto.
«Cosa?» strillò l'altra, un grumo di saliva attorcigliato in gola.
La donna si lasciò cadere sulla sedia riavvicinandola con una mano, puntò un gomito sul tavolo e si passò stancamente una mano sulla fronte sudata, lasciandola poi scivolare delicatamente fino allo zigomo, mentre pensava saggiamente d'immagazzinare il più ossigeno possibile nei polmoni, inspirando ed espirando. Intimò Trunks di andare in camera sua e una volta rimasti soli si sporse truce verso Vegeta, che dal canto suo continuava imperterrito a mangiare.
«Che problemi hai?» pronunciò istericamente, l'espressione visibilmente scioccata «E' successo qualcosa, stai giurando rappresaglia, ti sei svegliato con una commozione celebrale particolarmente efficace?» chiese scettica, la voce più stridula del solito.
Prese a scrutare con insistenza il volto teso del compagno con una devastante sensazione di deja vù nel cuore: quel Vegeta era molto simile al Vegeta che conobbe ai tempi del lontano Cell Game. Non si sbagliava nell'affermarlo, da un po' di tempo a quella parte il burbero Principe aveva preso man mano ad incupirsi, collerico, infastidito. Un orgoglio ferito, un animo ferito. Non aveva assolutamente idea di cosa l'avesse fatto regredire così all'improvviso, ma si era chiuso a riccio, con un piccolissimo e quasi impercettibile barlume di afflizione negli occhi scuri, un segnale d'allarme che solo lei poteva individuare.
Era successo qualcosa, e quel qualcosa l'aveva offeso.
«Senti, Vegeta» intavolò con risoluzione, facendo appello a tutto l'autocontrollo di cui poteva disporre, come se stesse parlando con un bambino particolarmente intestardito nel manifestare i suoi capricci «Questo sabato nostro figlio compirà nove anni e ci sarà una grandiosa festa a sorpresa in suo onore, con tutti i nostri più cari amici, te l'avevo detto» spiegò falsamente sorniona «Come mi devo giustificare quando vedranno il meraviglioso aspetto che hai deciso di conferirgli per l'occasione?» chiese infine, una punta di sarcasmo mista a irritazione nella voce cristallina.
«Non sono problemi miei» affermò mestamente il saiyan, trangugiando avidamente un bicchiere di vino rosso.
Quella frase l'aveva sentita così infinite volte che ormai non si dava nemmeno più la pena di coglierla: le rimbalzava addosso, semplicemente.
«Sono precisamente problemi tuoi» ribatté bellicosa «L'unica persona in grado smontare e rimontare al contrario il viso di tuo figlio sei tu!» ricominciò a sbraitare e, nella foga, sbatté inconsapevolmente un palmo al centro del rotondo tavolo di legno, provocando un leggero tremolio.
«Quel moccioso si sta rammollendo, non fa altro che giocare e bighellonare in giro con quell'espressione beota stampata in volto!» proclamò allora l'efferato interlocutore, alzando definitivamente lo sguardo infuocato dal piatto, per puntarlo con astio nei grandi occhi accusatori della compagna «E' solo colpa sua, e quindi sono problemi suoi, se non riesce più a starmi dietro nell'allenamento» decise infine stringendo i pugni, la voce autoritaria che cercava di nascondere dietro una certa dose d'indifferenza il tono irato e contrariato.
«E' un bambino!» strillò esasperata la donna, riprendendo a sudare nell'agitazione «Pensavo ci fossimo chiariti, anni e anni fa, peraltro, riguardo a questo punto: Trunks è un bambino! E non perché è tuo figlio gli si deve togliere il diritto di giocare come tutti i bambini della sua età fanno!» scacciò seccamente una ciocca di capelli azzurri che le solleticava la fronte contratta. «Avevamo fatto un patto, mio caro: giusti spazi e assolutamente no agli allenamenti pericolosi!» ricordò infine con accusa, puntando un indice al soffitto.
«Che io sappia, il fatto che debba rincitrullirsi giorno dopo giorno con quella dannatissima spada e quel perfetto cretino del figlio di Kakaroth appresso, doveva avere un certo limite, mia cara» fece con intimidazione, masticando l'appellativo appena rivoltole contro con una profonda derisione, che scivolò naturalmente oltre le labbra seriche, un ghignò sghembo a sfregiargli il volto mascolino. «I tuoi diavolo di “giusti spazi” non vengono più rispettati da mesi, grazie a quel ridicolo giocattolo che gli hai permesso di maneggiare, e Trunks trascura sempre più gli allenamenti. E' bene che quella pellaccia si irrobustisca, non accetto che batti la fiacca solo perché stiamo attraversando un periodo di pace» Così dicendo si alzò in piedi, allontanandola di qualche passo.
Bulma, che stava per controbattere acidamente di come quella fosse solo una delle sue stupidissime scuse, si bloccò d'impulso e, con un lampo ad attraversarle la mente, spalancò gli occhi. Rimase completamente sbigottita difronte alle larghe spalle del marito e alle sue parole. Che si lamentasse di Goten era perfettamente naturale; di norma, il figlio dell'eterno nemico troppo affezionato al proprio, era fastidioso quanto un aculeo che, intermittente, gli punzecchiava un fianco. Ma aveva imparato ad accettare che Trunks lo frequentasse, col tempo, e perfino a sopportare la sua vista senza avere il morboso impulso di afferrarlo per la collottola e lanciarlo fuori dalla finestra ogni volta che il visino arzillo del bambino sopraggiungeva in casa Brief.
Quel vivo disprezzo nei confronti della Spada Leggendaria era invece del tutto nuovo: l'arma che fu un tempo destreggiata da un eroe appartenente a un pianeta lontano, un ragazzo il cui animo era stato oscurato dalle peripezie che il lungo cammino gli aveva imposto. Un giovane uomo tuttavia intriso da un'indole gentile, da princìpi onorevoli, una figura sprezzante del pericolo, forte, impavida.
Trunks fu attirato da Tapion nel momento stesso in cui i suoi occhi incrociarono quelli ardimentosi dell'alieno e, da quel momento in poi, il bambino non si era più staccato da lui: se non c'era, andava caparbio alla sua ricerca fino a raggiungere gli angoli più remoti della città, pur di trovarlo; e se c'era, il piccolo Brief diveniva tutto un fascio di pura elettricità. I due erano inseparabili tanto che, una sera, Tapion l'aveva addirittura accompagnato in camera sua, prima del riposo notturno. E Trunks lo guardava, lo guardava continuamente con i suoi grandi occhi di bambino che si allargavano rapiti, illuminati, sognanti, completamente ammirati.
Lo guardava come un idolo.
Esattamente come guardava suo padre.
«Quindi...» mormorò stupefatta, senza saper se credere o meno a quello che stava per dire «... sarebbe questo, il problema?» borbottò, la voce fino a qualche istante prima alta ed echeggiante, ora ridotta a un sussurro strozzato.
Il saiyan si voltò incerto «Cosa sarebbe questo?» sfiatò duro, facendosi subito serio, come se avesse intuito quello strano luccichio negli occhi della moglie.
Bulma rilassò il viso e, abbassando il capo, passò pensosa le dita della mano tra la chioma sbarazzina; assunse un'espressione seria e tornò finalmente a posare le iridi chiare sul volto del suo uomo.
«Vegeta» iniziò con voce controllata «Hai esagerato. Trunks è terribilmente mortificato, chissà cosa gli starà passando per la testa, in questo momento...» sfociò in un moto di dispiacere che quasi le fece salire le lacrime agli occhi. Si alzò a sua volta e, aggirando il tavolo, accorciò di qualche passo la distanza che c'era fra loro.
Aprì il volto in un sorriso commosso: «Tuo figlio ti ama immensamente!» proclamò, semplicemente, allargando le braccia, per poi tornare ad unirle davanti al ventre. Anticipò il saiyan e continuò a parlare, prima ch'egli potesse investirla con la serie di imprecazioni che già stavano per fuoriuscire pronte da quella bocca audace.
«Per Trunks tu sei l'uomo più forte dell'intero universo. Sei l'uomo più forte e non solo in combattimento, ma in ogni più piccola cosa. Tu, per lui, sei tutto il mondo e l'intero universo. Sei tutto quello che vorrebbe essere... tu sei il suo esempio, la sua giuda, il suo sogno! Per Trunks, suo padre è la persona più irraggiungibile e al contempo la persona a cui si vorrebbe avvicinare molto più di ogni altra!»
Parlava trasportata da una profonda commozione, le parole le scivolavano calde e sicure oltre la lingua, insorgevano dentro di sé limpide, naturali.
Vegeta era l'uomo che le aveva cambiato la vita, per sempre. Giunto per la prima volta sulla Terra, ad ogni passo che aveva compiuto, aveva lasciato cadere lentamente dai palmi delle mani nient'altro che terrore e disperazione. Sentimenti barbari e inumani, erano ciò che offriva con spietatezza e divertimento, erano ciò di cui era fatto. Un'anima oscura, sporca, talmente orgogliosa, viva, che sembrava non poter essere contenuta in un unico corpo. Era un uomo crudele, che reggeva con fierezza l'unica cosa che aveva: lui stesso. E gli bastava, lui non aveva mai voluto avere altro che sé stesso.
In quelle stesse sporche mani, anni dopo, Bulma vi aveva adagiato il suo cuore. Anche se lui non lo voleva e anche se lei sapeva perfettamente che non avrebbe fatto altro che gettarlo via, non aveva potuto far altro che compiere quel gesto: era inevitabile. Bulma non aveva potuto fermarsi, i suoi sentimenti si erano fatti inarrestabili, come la lava che copiosamente scende lungo il vulcano. E così era stata a guardarlo mentre sbatteva quel cuore lontano, nell'angolo più lontano della stanza, e lì abbandonarlo.
Dopodiché era venuto il tempo dell'attesa. Un'interminabile attesa dedicata a quel suo irraggiungibile amore. Un'ulteriore, piccolo, cuore era stato offerto al Principe dei Saiyan, ma lui non aveva voluto nemmeno sfiorarlo e l'aveva lasciato cadere, nel momento stesso in cui gli era stato allungato, al centro della stanza.
Poi, un giorno, Vegeta aveva silenziosamente messo un piede dietro l'altro, con circospezione, senza farsi cogliere da occhi indiscreti. Aveva raccolto quel cuore che aveva gettato e l'aveva portato al centro di quella stanza, deponendolo affianco all'altro. E si era seduto sulla stessa superficie, poco lontano da loro.
Infine, arrivò il giorno in cui Vegeta si strappò violentemente il cuore dal petto per donarlo interamente a Bulma e al suo unico figlio, Trunks. Il giorno i cui il Principe dei Saiyan si rese conto che, ora, la sua anima era contenuta un po' in sé stesso, un po' in Bulma e un po' in Trunks.
«In questo momento sta morendo di paura» continuò il suo discorso, reggendo quegli occhi scuri che la fissavano contrariati da quell'improvviso scorrere di sentimenti «Sarebbe la fine del mondo, per Trunks, se tu non lo considerassi. Stroncheresti il suo obiettivo e...»
«Adesso piantala!» sbottò astioso, digrignando i denti e stringendo i pugni, il fiato corto e il nervosismo che scorreva avanti e indietro percorrendo ogni capillare del suo corpo. «Non ho intenzione di continuare a dover sentire il tuo vagheggiare, stupida donna!» l'ammonì, truce, le diede frettolosamente le spalle e s'incamminò spedito verso l'uscita che dava sul giardino.
Era da parecchio che non la chiamava a quel modo, subito pensò, la stupida donna. Sapeva che Vegeta stava per uscire e spiccare il volo. Sapeva anche ch'egli era già da tempo cosciente di tutto ciò che gli aveva appena detto, ma andava bene così. Era indispettito perché geloso delle attenzioni di suo figlio. Lui era terribilmente possessivo nei confronti di tutto ciò che gli apparteneva, di natura, e ora che loro avevano finalmente ricevuto il suo cuore, lo era diventato ancor di più. E questo Bulma lo adorava, perché era una delle poche manifestazioni dell'amore che quel burbero e tracotante Principe dei Saiyan provava per loro.
Solo per loro.
Tanto da arrivare a donare la propria vita.
Lo adorava, anche se a volte faceva male, ma Vegeta era Vegeta, non lo si poteva cambiare. E nonostante tutto, loro non lo avrebbero cambiato per nessuno al mondo.


Sfrecciava a supervelocità in alto nel cielo, facendo dissipare ogni candida nuvola che attraversava con la forza abbacinante dell'aura che gli avvolgeva l'intero corpo. Teneva le braccia nerborute piegate su sé stesse, i pugni chiusi in una morsa tale che poteva spappolare con estrema facilità una testa umana. La fronte spaziosa era divisa da una profonda ruga, le scure sopracciglia corrugate donavano al volto fiero un'aria stizzosa, gli angoli della bocca erano inclinati verso il basso.
Gli occhi di Vegeta apparivano turbati, concentrati, come se il saiyan fosse particolarmente coinvolto dal turbine di pensieri che gli affollavano la mente. Esprimevano fastidio, rabbia, preoccupazione.
Un ringhiò salì roco dalla gola dell'uomo che strinse con maggiore forza i pugni, e la mascella si serrò, mentre d'improvviso l'andatura già veloce, venne aumentata tanto che la figura del suo corpo parve smaterializzarsi.
Quando scorse l'imponente cupola della Capsule Corporetion, planò in sua direzione, lasciandosi spingere verso il basso dalla forza di gravità, e atterrò nel giardino di casa, come al solito perfettamente curato e pulito. Evitò con assoluta indifferenza i vari sguardi e saluti che gli invitati a cui passava vicino, nel suo veloce incedere, gli porgevano e continuò ad arrancare con passo pesante, voltando il capo da una parte all'altra, alla ricerca di qualcuno.
Nel momento in cui lo vide, egli vide lui. Trunks stava in piedi accanto alla lunga tavolata allestita in giardino per il buffet, reggeva fra le braccia un pacco molto grande, che non riusciva ad avvolgere completamente con le sue braccia di bambino.
Vegeta si bloccò, fissandolo con il suo sguardo severo, mentre quello già gli stava andando in incontro, correndo leggermente.
«Papà!» lo chiamò, arrestandosi a qualche passo da lui e levando il capo per guardarlo negli occhi. Il lividi sul volto erano ancora freschi, gonfi, ma il bambino non pareva curarsene.
Il saiyan puntò a sua volta le pupille scure in quelle limpide del figlioletto e rimase così, per qualche interminabile secondo, in silenzio. E per la prima volta nella sua vita si diede francamente dell'idiota.
Poi, socchiuse appena le labbra e così come aveva fatto le richiuse, voltò di scattò il viso imbronciato, guardando altrove, e mugugnò qualcosa d'incomprensibile che il piccolo Trunks non capì minimamente; infatti il figlio allargò gli occhi e chiese che cosa avesse appena detto.
«Auguri!» sbottò, allora, Vegeta, il tono più alto e aggressivo di quel che avrebbe voluto e il sangue che gli saliva velocemente verso le tempie, in un principio di collera.
Ma quell'ira si spense sul nascere, persa in quell'incredibile sorriso, che vide non appena si voltò, richiamato dalla dolce e spensierata risata del piccolo.
  
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