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Autore: Willow Gawain    23/11/2009    2 recensioni
Hidel, contea di Northumberland, Inghilterra - 1852.
Quel villaggio era perennemente bagnato dalla neve, perennemente avvolto dal freddo, dal vento, dalle nubi. Non compariva sulle carte, ma la sua figura tanto piccola quanto antica era sempre lì, ad aspettare pazientemente. Come un mostro in agguato, come un fantasma dagli occhi spietati. Una volta entrati a Hidel, la legge del villaggio proibiva tassativamente di abbandonarlo. Una maledizione, un sortilegio, una stregoneria lanciata tempo addietro da Satana camuffato da vecchia strega.
Forse, però, c’era ancora una speranza per Hidel. E quando il primo degli Angeli, il Supervisore, varcò la soglia di quel villaggio costruito in modo perfettamente circolare, come un cerchio magico, il conto alla rovescia per l’Apocalisse di Hidel ebbe inizio.
«Ora aggrappati al mio braccio. Tieniti forte. Visiteremo luoghi oscuri, ma io credo di sapere la strada. Tu bada solo a non lasciarmi il braccio. E se dovessi baciarti nel buio, non sarà niente di grave: è solo perché tu sei il mio amore.» [Cit. S.King]
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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What colour is the snow

What colour is the snow?

- Capitolo 02: L’etica del riccio -

 

Secondo una vecchia e poco conosciuta leggenda, Hidel prendeva il suo nome da una montagna le cui caverne, nel lontano 1555, erano state fonte di rifugio per i protestanti in fuga dalle persecuzioni operate dalla regina Mary I.

In seguito alla successione alla corona da parte di Elizabeth I, alcuni dei sopravvissuti avevano eretto nella valle antistante al monte un piccolo villaggio che ne portava il nome.

Hidel si era sempre mantenuto esiguo, poco noto, così disperso in mezzo alla bianca neve che lo ricopriva quasi tutto l’anno.

Per portare avanti la discendenza, come in ogni piccolo paese, i villici si erano dovuti arrangiare tramite relazioni a distanza o, sebbene più raramente, con le famiglie che giungevano nel villaggio con l’intenzione di trasferirvisi. Quando questa fortuna non si presentava, venivano ad intrecciarsi alberi genealogici che già precedentemente si erano conosciuti.

Principalmente artigiani e mercanti, durante la stagione calda si improvvisavano contadini. Per secoli il villaggio era riuscito a mantenersi sulle sole gambe dei suoi abitanti, che ogni sera avevano l’abitudine di ritrovarsi nella grande sala comune, detta Sala maestra – la quale sorgeva esattamente al centro del villaggio -, per cenare tutti insieme. Ogni famiglia portava il cibo per sé da casa, si mangiava e parlava fino a un’ora dopo il tramonto, quindi si tornava a casa.

Questa tradizione era dettata principalmente da due fattori: un bisogno psicologico che imponeva a quella povera gente lontana dal mondo di stringersi tutti insieme attorno ad un unico focolare, e il reale pericolo costituito non solo dai famelici lupi che ogni notte, specialmente durante la stagione fredda, si addentravano nel villaggio, ma anche da ben altri pericoli di cui la gente si rifiutava di parlare apertamente.

Stando tutti insieme, i paesani si illudevano di poter fronteggiare anche il peggior nemico.

Il peggior nemico per essi era la strega che secoli prima aveva dettato la legge più importante che governava quel luogo: non lasciare il villaggio. Ma questa è un’altra storia che tratteremo più avanti.

Una delle caratteristiche più particolari del paesino era la sua forma circolare: alcuni l’avevano attribuita a una sorta di cerchio alchemico o magico, ma con l’andare del tempo le voci si erano dissolte nell’aria, e nessuno seppe più la verità.

Una verità che ben presto sarebbe tornata dalla tomba, per portarci dentro quegli ignari villici.

 

Una meraviglia, nient’altro da aggiungere. Una casa accogliente, calda e sicura. Beh, forse non era esattamente sicura, infatti le pareti non erano delle migliori, perdevano qualche pezzo e di tanto in tanto si intravedevano piccoli buchi, me era pur sempre una casa! E, in ogni caso, la sicurezza di una dimora non era data tanto dalla forza di quest’ultima, quanto piuttosto dalla forza di chi l’abitava. In questo caso, quella era una casa mediamente sicura.

Tralasciando questi inutili discorsi sulla sicurezza… non si può di certo dire che Nathan Metherlance non si stesse abituando molto in fretta allo stile di vita del villaggio.

Aveva passato mezza giornata ad Hidel, ma già conosceva quasi tutti, girava tranquillamente per il paese salutando e aiutando chiunque ne avesse bisogno. Insomma, un bravo ragazzo, ecco come era stato immediatamente additato. Da sotto il suo ciuffetto biondo, sorrideva con gli occhi. Gioviale, allegro, piaceva a tutti.

Ma non ad Annlisette Nevue, e l’antipatia era ricambiata. Se da un lato la giovane contadina considerava lo straniero troppo montato per scendere in mezzo ai comuni mortali, dall’altro lo straniero si chiedeva che cosa avesse fatto di male, che cosa avesse mai sbagliato per ricevere un trattamento così freddo da una ragazza con cui aveva parlato solo due volte.

Già, perché i due si erano rincontrati una seconda volta durante quella giornata. Del resto Hidel era talmente tanto piccolo ed i posti dove andare talmente pochi da rendere impossibile il non vedersi una media di due o tre volte al giorno con tutti.

Sicuramente Annlisette non era rimasta felice del loro secondo incontro, soprattutto perché in questa occasione la ragazza non era stata da sola, bensì col fratello. Costui, da quanto aveva capito Nathan, si chiamava Gabriel. Avevano più o meno la stessa età, ma erano di carattere ed aspetto completamente differenti.

L’uno castano, piuttosto basso ma forte sia caratterialmente che fisicamente, molto schietto e diretto, a volte anche burbero; l’altro invece alto e biondo, gentile e volenteroso, per non parlare delle buone maniere che già erano diventate il suo biglietto da visita. In breve, tra i due non era corso sin da subito buon sangue. L’unica cosa che i due avevano in comune era la giovane Ann, la quale però era dalla parte del fratello. Ed era cosa ben strana, in quanto quasi sempre Ann e Gabriel erano in disaccordo. Rarissime erano infatti le volte in cui i due potevano dirsi concordi su qualcosa. Ma i fratelli erano accomunati dall’antipatia verso il biondo straniero, il cui gentile sorriso aveva la strana abitudine di trasformarsi in canzonatorio solo per loro.

Ann non aveva a cuore tale esclusiva.

«Ma che bello… Ci incontriamo di nuovo.»

Queste erano le uniche parole che la ragazzina era riuscita a proferire nel momento in cui si era ritrovata faccia a faccia con Nathan. Il suo falso entusiasmo era talmente tanto ovvio da essere quasi palpabile.

Dal canto suo, Nathan sapeva benissimo che il suo sorriso mandava in bestia Ann. Dunque, ovviamente, non la smetteva di sorridere.

«È destino, lady Nevue…» aveva risposto di rimando, sottile.

Si trovavano davanti alla vecchia e fatiscente bottega del falegname, a sud del villaggio. Ann era lì per far aggiustare una grande e pesante cesta che, a detta sua, era stata mezza mangiata dai ratti.

«Ratti? Come fanno a sopravvivere con queste temperature?» aveva chiesto con fare sorpreso l’uomo, aiutandola  a portare il cesto ora più pesante a causa delle varie cose comperate.

«Ma in casa c’è caldo.»

Ann sorrise candidamente. Nathan, evidentemente preso in contropiede, non rispose, limitandosi a guardarla come si guarda qualcosa di molto strano. Si divertiva davvero così tanto a prenderlo in giro? O forse era una cosa che faceva con tutti?

La cosa non sembrava importare in realtà all’uomo, che si limitava a scortarla in silenzio.

Nel frattempo si guardava intorno, alla ricerca di continui punti di riferimento che lo potessero aiutare ad abituarsi alla geografia del villaggio.

La bottega del falegname, ad esempio, era particolarmente anonima: una casupola fatiscente, simile a quella che gli era stata prestata; dalla porta in vecchio legno perennemente aperta, quasi il muscoloso e bisbetico proprietario avesse smesso di soffrire il freddo ormai da tempo immemorabile, si udiva forte e chiaro il continuo e meccanico segare e tagliare e martellare.

Questa considerazione portò lo straniero a credere che avrebbe fatto meglio ad affidarsi soprattutto all’udito e all’olfatto finché restava a Hidel.

Si guardò intorno, e l’unica cosa che vide, tanto per cambiare, fu il pesante mantello bianco dell’inverno coprire uniformemente il marrone di quelle che per lui erano baracche.

«E voi, messere Metherlance?»

La vocina squillante di Ann lo ridestò dai suoi pensieri; alzò lo sguardo sulla fanciulla vestita di blu, e solo allora ricordò che per seguirla doveva muoversi, e che per muoversi doveva allungare prima una gamba e poi l’altra, e non perdersi nei suoi pensieri.

Una domanda ambigua, quella che gli era stata posta; una domanda facilmente raggirabile. Come lasciarsi scappare questa occasione d’oro?

Nathan piantò i piedi per terra, poi fece un mezzo sorriso come se stesse per rivelarle un grande segreto.

«Io vi seguo con costanza.»

Ann arrestò il suo incedere veloce ormai reso istintivo dall’abitudine, alzando poi un sopracciglio per guardarlo malissimo. Lo squadrò da capo a piedi, come a volerlo trapassare da parte a parte con un’occhiata di fuoco.

«Ovviamente, milady. Non so dove abitate.»

Metherlance inclinò il capo mantenendo quell’espressione beatamente infantile. L’aveva fregata. Uscendo poco prima dalla vecchia falegnameria lui si era offerto di aiutarla a portare a casa il pesante carico, e, non sapendo dove la ragazza abitasse, si era limitato a seguirla.

Ann invece aveva frainteso, cadendo in errore.

«Intendevo dire… come mai dal falegname?» si corresse la giovane contadina dal tono ora stizzito. Diede le spalle a Nathan, trattenendosi dal pestargli un piede. Tuttavia un sorriso le scappò. Doveva ammettere che quell’uomo era bravo con le parole, forse aveva trovato un degno rivale. E quella piccola dimostrazione di furbizia valse a far crescere l’esigua stima che la ragazza provava per lui.

«Dovevo rendere il martello al falegname. Me l’aveva cortesemente prestato per apportare alcune sistemazioni alla dimora che mi avete gentilmente dato in prestito.» sorrise ancora una volta lui, senza staccare gli occhi dalla strada che percorrevano.

Ann sbuffò, rimangiandosi tutto quello che aveva pensato fino a poco prima. Non solo usava frasi ambigue, non faceva altro che sorridere, ma addirittura metteva in mezzo a discorsi complicati un sacco di termini che lei conosceva a malapena. Si sentiva inferiore, ed era una cosa che il suo immenso orgoglio le faceva disprezzare.

«Avete un linguaggio troppo colto, messere, per una povera contadina…»

«Non dite così, milady.» ridacchiò allegramente lui. Alzò finalmente lo sguardo per incontrare i suoi occhi, ed Ann sentì l’impulso di prenderlo a pugni.

Quando avrebbe smesso di sorridere in quel modo?

«Vi prego, l’abito non fa il monaco, probabilmente avete ragione riguardo la questione del lessico, ma ciò non implica che voi non possiate imparare e raggiungere il mio livello di competenza linguistica, e chissà, forse addirittura superarlo. Dopotutto, il mondo è fuori da Hidel.»

«… Eh?»

Ann si bloccò, voltandosi a guardarlo come se avesse parlato un’altra lingua «Perché mi dite cose del genere, messere?» non capiva il senso di quel discorso. Dove voleva arrivare con quella frase su Hidel?

Nathan si fermò, incatenando con lo sguardo la ragazza. Lui aveva quel potere di riuscire a catturare talmente tanto l’attenzione da farti dimenticare tutto il resto. Un potere che la ragazzina aveva già sperimentato due volte, e che davvero non le piaceva. Nonostante ciò, non poteva certo negare che lui avesse dei bellissimi occhi.

«Andare oltre, milady. Nella vostra voce avverto un pizzico di rassegnazione.» si spiegò meglio il biondino, dando un piccolo calcio alla neve che faceva da sfondo alla scena «Non vorrei che vivere in un piccolo villaggio vi avesse fatto rinunciare alle vostre prospettive future. Capita spesso in situazioni simili. Brutta cosa, nascere nei villaggi come questo.»

Alzò lo sguardo al cielo, contemplando quel poco di azzurro che si poteva intravedere attraverso il bianco e grigio strato di nubi onnipresente, liberando Ann dall’incantesimo degli occhi.

«Non bisogna mai arrendersi alle avversità del fato.» decretò infine, con voce bassa, seriamente convinto di ciò che diceva.

Qualche secondo di assoluto silenzio passò, durante in quale Ann guardò Nathan come si guarda un pazzo. Non aveva capito niente di quel che il ragazzo le aveva appena detto, e non aveva la più pallida idea di cosa rispondere per togliersi da quella situazione imbarazzante.

Però una cosa l’aveva capita: le aveva consigliato di andarsene da Hidel perché credeva che lì dentro non avrebbe avuto futuro.

“Innanzitutto con che coraggio si azzarda a dirmi che me ne devo andare da qui? Arrendersi alle avversità del fato? Lo dice come se fosse una disgrazia essere nati qui! Ma guarda che… che pallone gonfiato!” pensò tra sé e sé, pronta a saltargli addosso per fargli rimangiare tutto.

Strinse i pugni e gonfiò le guance, come ogni volta in cui la stizza prendeva il sopravvento. Si costrinse a concentrarsi sul paesaggio intorno a loro pur di calmare l’adrenalina che le circolava in corpo.

Lanciò sguardi poco attenti alle case di legno, alle insegne dei negozi sbiadite dal tempo. Notava solo ora che il grande albero accanto al magazzino delle scorte comuni sembrava più smorto, probabilmente qualche folata di vento più forte durante l’ultimo temporale aveva rotto diversi rami che ora giacevano a terra, abbandonati sulla neve. Quella visione le diede un forte senso di solitudine che la fece calmare, ma che le mise addosso anche un po’ di malinconia.

Forse Nathan aveva ragione quando diceva che lì ad Hidel, in fondo, erano tutti abbandonati, proprio come quei rami. Probabilmente nella capitale nemmeno conoscevano quel paesino di nome Hidel.

Nathan tornò a guardarla. Attirò l’attenzione di lei schiarendosi la gola.

Ann lo accontentò, lasciando correre gli occhi dai rami di poco prima alla sua figura che, stavolta, aveva qualcosa di strano, di diverso. Sorrideva, sì, ma non era la solita espressione beffarda che lei avrebbe volentieri cancellato a suon di pugni, piuttosto pareva venato di sincero rammarico.

«Vogliate perdonare la mia sfrontatezza, lady Nevue. Non vi conosco, ergo non ho diritto di esprimere giudizi affrettati.» e tornò a guardare la strada, aspettando che Ann lo guidasse.

“Che ha fatto? Mi ha letto nel pensiero… ?” pensò la ragazzina, sospirando per poi scuotere lentamente il capo. Quell’uomo l’avrebbe fatta impazzire. Un attimo prima sembrava convinto di ciò che diceva, l’attimo dopo si scusava e si rimangiava tutto, neanche avesse avvertito la sua rabbia e la sua tristezza!

 «Spero di non avervi ferita in alcun modo.» concluse lui.

Ann, forte del suo orgoglio, mormorò un seccato «Per stavolta vi perdono…» 

Quando tornò a guardarlo, notò che il suo solito sorrisino da strapazzo aveva lasciato spazio a un’espressione davvero triste.

Le si strinse il cuore. Davanti a quello sguardo malinconico si sentì responsabile, e abbassò il suo.

«Non pensiamoci più…» riuscì a dire, nella speranza di vederlo tornare più sereno, ma ciò non avvenne, quindi riprese a camminare verso casa, guidando il ragazzo che portava la cesta.

Durante il tragitto nessuno dei due aprì più bocca. La ragazza credeva di averlo in qualche modo intristito. Non aveva capito assolutamente dove Nathan Metherlance volesse arrivare con le cose che le aveva spiegato, forse ciò lo aveva in qualche modo innervosito o qualcosa del genere, sicuramente lo aveva toccato.

Ma lei non poteva farci niente, e continuava a ripetersi che non era colpa sua. Lui se l’era cercata.

Raggiunsero in fretta l’abitazione della ragazza, una casa vecchia come tutte quelle di Hidel, organizzata su due piani. Da fuori, essa appariva scura e poco curata, tanto che Nathan la guardò accigliato.

Davanti alle scale che conducevano alla porta d’ingresso, Gabriel attendeva il ritorno della sorella, seduto sui gradini. Non appena vide sopraggiungere Ann accompagnata da uno sconosciuto scattò in piedi, avvicinandosi con passo veloce ai due.

Scoccò uno sguardo torvo a Nathan, chiedendosi chi accidenti fosse quel biondino che seguiva sua sorella portando in mano la cesta della madre Elizabeth.

«Mi sono perso qualcosa?» chiese alla sorella, molto più bassa di lui, che dovette alzare di molto il capo per guardarlo in faccia.

Ann mise una mano sotto il mento, come per pensare, quindi rispose scuotendo il capo «Uhm… no.»

«Ehm…» Gabriel la guardò truce, quindi indicò Nathan «A meno che qui i bambini non nascano adulti, costui è nuovo.» quindi si allontanò dalla sorella con un “bah”.

Avvicinandosi al biondo, gli porse una mano «Gabriel Nevue.»

Nathan, tra lo stupore dei due fratelli, liberò una mano dal peso decisamente grave della cesta, sostenendola con una mano sola, mentre con l’altra andava a stringere quella di Gabriel.

«Nathan Metherlance, e non sono nato adulto.»

Quell’affermazione, che doveva forse essere una battuta, bastò a suscitare l’antipatia di Gabriel. Non solo si presentava con la sua sorellina, in più lo prendeva in giro?

«Ma sono arrivato oggi qui, a Hidel.»

«Ah, ora si spiega tutto.» annuì il contadino, facendogli poi cenno di dargli la cesta «Beh, grazie dell’aiuto che hai dato a Annlisette, da sola si sarebbe sicuramente fatta male, e io non ho potuto accompagnarla.»

«Non è vero!» esclamò Ann stringendo i pugni davanti al viso, arrabbiata «Non sono debole!»

«Aiutare una giovane in difficoltà è un mio dovere.»

Nathan sorrise, e pian piano passò la cesta a Gabriel, il quale in un primo momento ebbe qualche difficoltà ad alzarla, ma subito dopo riuscì a recuperare l’equilibrio. La teneva ben stretta con entrambe le braccia.

Si rivolse a Nathan, chiedendosi come diavolo avesse fatto a tenerla con una mano sola «Visto che sei nuovo dovrei farti conoscere la nostra famiglia, nostro padre si occupa di molte cose nella gestione del villaggio, quindi, se devi restare qui per un po’, è necessario che tu lo conosca. Vieni, entriamo in casa.»

Il biondino annuì, annotando mentalmente che doveva rivolgersi al padre di Ann in caso di necessità. Sorrise placidamente in direzione di Ann, la quale gli si era accostata guardandolo dal basso verso l’alto. Nella sua mente la figura di quell’uomo era sempre più confusa.

La porta di casa Nevue non fece rumore mentre si apriva, cosa molto gradita a Nathan, che non aveva mai sopportato le porte scricchiolanti. Entrando in casa si veniva investiti da un calore meraviglioso, talmente tanto intenso che per un attimo il ragazzo pensò seriamente di togliersi quel mantello talmente pesante da risultare quasi insopportabile stando là dentro.

Ann lo superò sulla soglia, correndo al piano di sopra per una rampa di scale dall’aria molto vecchia e poco sicura, di fronte alla porta d’ingresso. Sentendosi un po’ fuori luogo, il giovane uomo cercò di non guardarsi intorno per non dare l’impressione di essere il ficcanaso di turno.

«E questo chi è?»

La voce colse di sorpresa Nathan, che per poco non sobbalzò. Era un timbro potente, di un uomo maturo, profondo e serio, ma anche molto burbero. Voltandosi verso destra, i biondino poté trovare risposta ai suoi interrogativi. Si trattava davvero di un omone alto molto più di lui, dalle spalle larghe e i muscoli di un contadino, con una camicia consumata dal tempo ma ancora ben resistente. Aveva uno sguardo buono, severo sì, e anche molto scocciato, ma i suoi occhi trasmettevano uno strano senso di sicurezza. Anche se quei baffoni neri poco curati non davano propriamente un tocco di classe…

Era il padre di Ann, ovvio. Ora capiva da chi doveva aver preso la moretta tutta quella schiettezza e franchezza quasi irriverenti.

Nathan piegò il busto in un decoroso inchino, chiedendosi come avesse fatto a finire in quella situazione. Come poteva Ann portare tutti questi guai?

Si rimise dritto per poi prendere la parola «Ossequi, messere Nevue. Il mio nome è Nathan Metherlance, sono giunto a Hidel stamane...»

«È nuovo, vecchio.» lo interruppe Gabriel.

Nathan accennò un sorriso sentendo il ragazzo rivolgersi a suo padre chiamandolo “vecchio”.

«Siccome starà da noi per un po’, ho pensato di presentartelo.» Gabriel si allontanò tenendo ancora in mano la cesta «Ha portato fin qui la cesta per aiutare Ann.» aggiunse infine, scomparendo nella stanza affianco.

«Ah, mi avevano parlato di un giovane uomo arrivato da poco.» riprese con tono serio messere Nevue, avvicinandosi a Nathan e porgendogli la mano.

«Lazarus Nevue, nel villaggio mi occupo delle lamentele. Se c’è qualcosa che non ti piace, dillo a me e troveremo una soluzione insieme.»

«Ah… grazie della disponibilità, messere Nevue.»

Nathan strinse con vigore la mano del padre di Ann. Era una situazione un po’ strana, sembrava una di quelle scene in cui il fidanzato della ragazza si presenta al padre di quest’ultima. Per fortuna non era finita con la classica “buttata fuori a calci” del pretendente. Anche perché Nathan non era assolutamente un pretendente di Ann, e nella sua mente la reputava piuttosto acida. E probabilmente non lo sarebbe mai stato, si disse, dopo aver conosciuto quell’enorme gigante dalla mano forzuta che si proponeva di aiutarlo a risolvere i problemi insieme. Non voleva sapere in che modo.

«Cosa ti porta nelle ghiacciate Lande senza nome, ragazzo?» chiese allora l’uomo, facendo cenno a Nathan si sedersi al tavolo al centro della cucina assieme a lui.

Compostamente, lo straniero fece come gli era stato detto, rispondendo nel frattempo «Ricerche, messere. Vivo a Terren, sono un ricercatore. Hanno detto che da queste parti si trovano delle rovine piuttosto interessanti, così mi sono catapultato alla prima occasione.»

«È vero.» confermò Lazarus «A nord, in mezzo ai monti. Ma è un luogo pericoloso.»

Abbassò la voce, stava parlando di qualcosa di molto serio «Devi sapere che Hidel sorge sul territorio di un branco di lupi molto famelici. Ogni tanto vengono di notte, sbranano qualcuno e se ne vanno. Quando riusciamo li cacciamo, ma sono spaventosi. Molto, molto più forti dei normali lupi.» notando una reazione confusa da parte di Nathan, si affrettò a spiegare «Crediamo che discendano da qualche branco giunto dalle montagne all’estremo nord, quelle che costeggiano il mare. Lì sopravvivere è molto difficile, penso che abbiano sviluppato nel corso delle generazioni una forza particolare. In realtà la cosa non mi è mai interessata più di tanto. Qui vige la legge del più forte: vivi o sopravvivi, ragazzo, o crepa.»

«Capisco…» il biondo capiva davvero: trovarsi davanti il branco significava morte, ma cominciava seriamente a chiedersi quanto fosse sicuro anche rimanere in compagnia di messere Nevue.

«E il luogo delle rovine è terreno di caccia?» davanti al cenno affermativo del padre di Ann, Nathan portò una mano al mento, pensando «Allora dovrò attrezzarmi per bene. Sono qui per quel luogo, non posso tornare a mani vuote o rischio di peggio dello sbranamento!»

Nathan ridacchiò, ma Lazarus non sembrava altrettanto propenso al risolvere quella complicata situazione con un battuta.

«Vedremo di trovare qualcuno abbastanza coraggioso da accompagnarti.» assicurò il contadino.

«No, messere, assolutamente no.»

Il biondo cambiò totalmente tono e alzò gli occhi, inchiodando il padre di Ann. Chissà se quella strana magia funzionava anche su un uomo forte e vecchio come Lazarus? A quanto pareva qualche effetto lo aveva, infatti riuscì a zittirlo «Non voglio coinvolgere nessuno in questioni pericolose. Non mi perdonerei mai se dovesse accadere qualcosa ad altri per colpa mia.»

L’altro lo fissò intensamente, forse mettendo a disagio Nathan, per qualche secondo.

Infine, con timbro serio, acconsentì «Come vuoi.»

Nathan sembrava preso dai suoi pensieri e congetture, forse stava pensando a come giungere alle rovine da solo senza rimetterci la pelle. Che gente strana arrivava lì a Hidel.

«Ma ti avverto che quelle vecchie pietre sono piene di scritte in latino. Qui nessuno lo conosce, anche se mia figlia è un’appassionata e lo studia per i fatti suoi da qualche tempo.»

«Di questo non deve preoccuparsi, messere.» intervenne il biondo con un sorriso «Conosco il latino come le mie tasche.» e davanti alla evidente curiosità di messere Nevue, che gli strappò una risata, si affrettò a spiegare «Ho detto che vivo a Terren, ma sono nativo di Arkata, una cittadina nella provincia di Francoforte. Ho avuto la fortuna di essere cresciuto presso una corte dove la conoscenza del latino era obbligatoria.»

Lazarus parve pensarci sopra, alzò gli occhi al soffitto della casa, borbottando «Arkata… mai sentita. Francoforte però mi pare di conoscerla. Uhm… Austria? Francia?»

«Germania.» lo corresse Nathan.

Sul viso dell’uomo moro comparve un sorriso marpione, ed esclamò a gran voce «Quindi abbiamo un “teteskien” tra noi!» e sbatté un pugno sul tavolo.

Il ragazzo biondo per un attimo si vide davvero sotto quel pugno, e, di nuovo, si costrinse a far buon viso a cattivo gioco «J-ja…»

«Devi avere una bella rendita per aver attraversato la Germania e l’Inghilterra per arrivare qui!» continuò messere Nevue, con tono che fece preoccupare lo studioso.

«Beh, ho la fortuna di discendere da una casata di conti abbastanza facoltosa…» provò a spiegare, ma uno sguardo fulminante del vecchio lo costrinse a zittirsi e schiacciare la schiena contro la sedia.

Messere Nevue sembrava sul punto di saltargli addosso e sbranarlo.

«Quindi potresti fare il dongiovanni con la mia bambina?!»

Che cosa aveva capito! Nathan strabuzzò gli occhi: lui che faceva la corte a quella acidissima ragazzina? Né ora né mai!

«Assolutamente no, messere! Non sarebbe decoroso da parte mia!» provò alzando le mani all’altezza del capo, come a volersi sinceramente scusare di qualcosa che non aveva fatto.

L’uomo tornò a sedersi. La quiete dopo la tempesta; Nathan tirò un lunghissimo e silenzioso sospiro di sollievo.

«Mi sembrava.»

La vociona del signor Nevue riportò il silenzio tra le mura dell’abitazione. Nathan, avendo capito di essere scampato a un’orribile morte per un pelo, si chiese in che razza di posto fosse andato a finire.

«Quindi…» riprese il vecchio bisbetico «Puoi fare da solo alle rovine, almeno per quanto riguarda il latino.»

«Cosa?! Sai il latino!?»

La voce di Ann fece irruzione nella stanza. I due uomini si voltarono, cercando la sua figura, ma realizzando poco dopo che la ragazza stava origliando la conversazione dal piano di sopra. Si era tradita con quell’urlo.

«Annlisette!» con tono scocciato, il padre la riprese.

«Sì, lo so!» lo interruppe la ragazzina «Non ascoltare le conversazioni altrui e dai del voi alle persone più grandi. Scusate, messere Metherlance!»

Nathan sorrise forzatamente per l’ennesima volta, rispondendole con tono gentile «Non c’è problema, milady. Comunque sì, come avete appena sentito, conosco il latino.»

«Invidia!» urlò Ann, quindi corse facendo un gran rumore, chiudendosi in camera sua dopo aver sbattuto forte la porta.

Nathan non sapeva più che pesci pigliare. Quella era una famiglia di pazzi!

Lazarus sospirò poggiando i gomiti sul tavolo «Scusala.» mormorò poi, mettendo una mano sulla fronte con fare rassegnato.

«Non ha fatto nulla per cui meriti biasimo.» “Dopotutto la mentalità di una contadina, è normale… credo…” completò la frase nella sua mente.

Doveva abituarsi e capire che quel posto era abituato da contadini che da chissà quante generazioni non abbandonavano il villaggio se non per pochi mesi all’anno, e che quindi erano piuttosto chiusi di mente.

«Quanto avete intenzione di restare?» chiese infine l’omone, lasciando cadere il discorso sulla figlia.

«Uhm…» Nathan tornò nella posizione di prima. Alzò gli occhi al soffitto facendo quattro calcoli e infine riportò lo sguardo sul suo commensale.

«All’incirca un anno.»

«Cosa?! E chi lo sopporta per così tanto!»

Lazarus sospirò, mentre Nathan nascondeva il proprio imbarazzo.

 

Al piano di sopra, intanto, Ann aveva chiuso ancora una volta la porta alle sue spalle, ignorando i rimproveri del padre.

Si gettò sul letto caldo, decidendo di prendersi una pausa dal lavoro. Dopotutto, per completare l’arazzo che durante l’estate sarebbe stato portato dal padre a Terren per la fiera, c’era tempo. Certo, era un processo lungo e difficile, ma era sicura di farcela per la data della consegna. Ora aveva ben altro a cui pensare, ad esempio come convincere quell’antipatico di Nathan Metherlance ad andarsene da Hidel.

Non era la prima volta che Ann intratteneva gli stranieri con inquietanti discorsi sulle cruente leggende di Hidel; non sarebbe stato diverso con messere Metherlance.

Sotto le coperte, al caldo, la ragazzina però si sentiva malinconica. Non riusciva a togliersi dalla mente quell’espressione afflitta di poco prima. Che cosa aveva detto di male? Era uno dei suoi difetti, quello di non riuscire a reggere un’espressione triste maturata per colpa di un suo comportamento.

“Oh, maledetto biondino pieno di te!” imprecò mentalmente rigirandosi tra le lenzuola vecchie e un po’ strappate, agguantandone un lembo col la mano destra.

“Sei arrivato solo oggi e sei già causa di problemi! Che cosa farai in un anno intero?”

Ann sospirò, ma non ne voleva proprio sapere di convivere con quell’antipatico per un anno. Scosse la testa, dopotutto non c’era bisogno che stessero sempre insieme. Sì, era vero che Hidel era troppo piccolo per non incontrare sempre le stesse persone, ma era anche vero che, secondo ciò che aveva detto, sarebbe stato impegnato quasi sempre con le rovine.

E chissà, magari i lupi l’avrebbero sbranato!

Ma quel pensiero non fece affatto ridere la ragazzina, anzi, la intristì ancora di più. Il ricordo dell’espressione affranta di lui non voleva saperne di abbandonare la sua mente, era come una maledizione. Si sentiva davvero in colpa, come ogni volta che si trovava in una situazione simile. Tirò forte sopra di sé il lenzuolo, sentendo freddo.

In quel momento sentì la porta d’ingresso aprirsi. La sua stanza si trovava sopra la cucina, quindi poteva udire tutti i rumori. Finalmente lo straniero se ne stava andando. Tuttavia, curiosa com’era, non poté resistere all’impulso di alzarsi per affacciarsi dalla finestra, aprendola poco. Voleva vedere se aveva ancora quell’espressione.

Il mantello nero del tedesco si distingueva bene, nonostante il marrone delle case e della legna lasciata in mezzo ai sentieri; ancora una volta quell’immagine ricorreva nella sua vita. Sporgendosi un po’ per vedere meglio, notò che teneva le mani in tasca. Doveva essere un vizio, infatti ricordava che lo aveva fatto anche quella mattina dopo averla aiutata. Le dava le spalle, quindi non riusciva a vederlo in faccia, ma voleva comunque tentare.

Si sporse quanto bastava per farsi vedere fino al busto, quindi lo chiamò «Mister Metherlance!» Nathan, sentendosi chiamare, si fermò e si voltò, notando la figura abbastanza lontana della piccola Ann.

«Ci si vede stasera!»

Esclamò la ragazzina, e lui estrasse la mano destra dalla tasca per salutarla con un mezzo sorriso, quindi tornò per la sua strada.

Ann invece tornò al caldo della sua stanza, richiudendo la finestra. Sospirò affranta, ancora non aveva eliminato dal viso quell’espressione malinconica nonostante le avesse sorriso, e lei non poteva fare a meno di chiedersi se fosse colpa sua.

Scivolò sotto le coperte nuovamente, lasciandosi scappare uno stizzito starnuto per il freddo preso poco prima.

“Beh” si disse “più tardi gli porgerò delle scuse. E farà meglio ad accettarle!”

E chiedere scusa per Annlisette Nevue significava perdere la faccia davanti a tutti, almeno nella sua visione di ragazza orgogliosissima. Ma almeno si sarebbe tolta un peso dalle spalle.

«Quanti problemi mi creerai ancora, Nathan Metherlance?»

 

«Quanti problemi mi creerai ancora, Annlisette Nevue?»

Il lamento di Nathan ruppe il silenzio della logora casa.

Richiuse la porta alle sue spalle, appoggiandovisi poi per lasciarsi andare ad un sospiro.

Almeno dentro l’abitazione c’era un po’ di caldo. Fuori, in paese, era quasi impossibile stare troppo a lungo per strada. Avrebbe dovuto procurarsi un mantello più pesante, anche se gli dispiaceva abbandonare il suo vecchio compagno di avventure. Quante ne aveva viste indossando quella cappa nera? Beh, non poteva di certo rischiare il congelamento in quelle benedette lande che persino sulle cartine geografiche non avevano nome.

Scivolando a terra, si sedette sul legno tiepido - incredibile come riuscisse a trattenere il calore -. Aveva lasciato il camino spento, e ora nella casa si respirava aria fredda, anche se di meno rispetto a fuori. Tutto il contrario di casa Nevue.

«Uhm…»

Avrebbe dovuto sistemare la casa? Beh, se davvero intendeva abitarla per un anno questo era il minimo, ma doveva parlarne con i due uomini che gliel’avevano prestata. Era una casetta molto piccola e carina, ma decisamente da restaurare e rendere meno… stalla.

Con un sorriso scoraggiato, Nathan si rese conto che era inutile parlarne. Trovare un’agenzia di restaurazioni a Hidel sarebbe stato un paradosso, era sicuramente più veloce prendere un martello, dei chiodi e mettersi a lavorare.

Eppure, rispetto agli altri tre villaggi di quella zona, Hidel era davvero il più tranquillo e piacevole. O almeno, questa era l’impressione che aveva avuto da quella prima giornata.

Se non fosse stato per quella Annlisette Nevue… 

 

Chissà se avrebbe ricevuto regali per il suo compleanno.

Ma che cosa le importava dei regali in quel momento? Ann scosse il capo, scacciando quei pensieri. Le succedeva sempre così: quando non aveva niente a cui pensare le venivano in mente le cose più assurde e fuori luogo.

In realtà non le importava assolutamente niente di ricevere regali per il suo compleanno, ma non aveva potuto evitare di pensarci, poiché era rarissimo che le succedesse. Generalmente, solo a Natale riceveva qualcosa dai genitori, ed ora… il passaggio all’età matura, cosa le avrebbe riservato? Sapeva solo che alla sua età già buona parte delle ragazze del villaggio erano fidanzate o addirittura sposare, mentre lei era ancora sola come un cane.

E non era un bene.

Una figlia non sposata era uguale a un peso inutile sulle spalle della famiglia. Spesso, l’arrivo di una neonata non era accolto felicemente quanto invece lo sarebbe stato quello di un maschietto; le ragazze richiedevano molte spese, particolarmente ingenti erano quelle matrimoniali, che potevano portare all’indebitamento; la dote era una tragedia per una famiglia povera.

Ma meglio essere indebitati che avere una figlia zitella!

Invece un figlio maschio era un capo nato, e non avrebbe mai creato problemi ai parenti. O almeno, questo era quello che ad Ann, come ad ogni altra ragazza di Hidel, di quella fascia di Gran Bretagna e forse dell’intero mondo, era stato inculcato sin da piccola.

Ovviamente i suoi genitori non le avevano mai fatto pesare di essere una ragazza, anzi l’avevano cresciuta più che bene, facendola diventare una donna fiera di essere ciò che era. Eppure c’era sempre quella consapevolezza che il genere femminile era reputato inferiore a quello maschile. Ma Ann non si lamentava, d’altronde era sempre stato così, e probabilmente lo sarebbe sempre stato.

«Tesoro, sei pronta?»

La dolcissima Elizabeth entrò nella stanza della figlia sorridendo radiosamente. Voltandosi verso di lei, la piccola ragazza non poté fare a meno di sorridere, estasiata dalla bellezza della madre, mista alla sua incredibile amabilità.

Elizabeth aveva trent’anni, era esattamente quindici anni più grande di Ann, e tredici di Gabriel. Un altro esempio di quanto la giovane moretta fosse in ritardo sulla tabella di marcia. Elizabeth non aveva mai perso quell’amore infinito per ogni cosa e la pietas che la caratterizzava. Insomma, era una persona a dir poco deliziosa.

«Sì, mammina!»

Esclamò di rimando la ragazzina. Si avvicinò alla porta, seguendo la madre giù per le scale.

Aveva una fame incredibile, talmente tanta che avrebbe volentieri divorato un cavallo. Eppure, lo stomaco era completamente chiuso. Se prima non avesse trovato il coraggio di chiedere scusa a messere Metherlance non sarebbe riuscita a cenare, ne era sicura.

Indossando il mantello di lana per coprirsi bene dal freddo pungente, Ann uscì di casa seguendo a ruota il fratello Gabriel e la madre. Lazarus uscì per ultimo, ma non si preoccupò di chiudere a chiave la porta d’ingresso dell’abitazione.

A Hidel tutti si conoscevano ed erano amici, non c’era bisogno di temere. Nessuno chiudeva mai le porte di casa, anche perché in caso di attacco da parte dei lupi, si sarebbero potuti rifugiare ovunque il più presto possibile.

Ann alzò gli occhi al cielo, e le sue pupille blu si colorarono di mille altri colori.

Chissà come aveva reagito Nathan uscendo di casa e scoprendo il segreto di Hidel, il motivo per cui molte delle tante famiglie del paese non abbandonavano quelle terre.

L’aurora boreale era più luminosa del solito quella sera. La sua forma sinusoidale si muoveva lenta, in mille sfumature di colori talmente varie da rendere impossibile contarle tutte. Sembrava davvero una magia.

Ma la magia non esisteva, e in questo Ann credeva fermamente nonostante tutte le leggende su uomini lupo, streghe, vampiri e maghi che andavano tanto di moda.

Con un sorriso nuovo sulle labbra, rincuorata da quella visione, la ragazzina si avviò. Certo, per una orgogliosa come lei ammettere una sconfitta era un oltraggio, ma sapeva anche che solo i forti hanno il coraggio di ammettere e pagare i propri errori. E davvero credeva che quell’espressione malinconica fosse colpa sua. Quindi avrebbe rimediato.

Nella notte, il cui buio avvolgeva ogni cosa, Ann provava spesso timore se doveva attraversare il paese.

Nemmeno la luce lunare era risparmiata dai cocciuti nuvoloni pesanti e statici, che lasciavano penetrare di rado qualche raggio, un barlume soffocato dalle tenebre; i paesani provvedevano ad ogni calar delle tenebre ad appendere lampade ad olio, le quali traballavano minacciosamente quando un soffio di vento più potente le investiva. Le fiamme allora si muovevano in una danza sfrenata, lambendo le pareti vetrose come se si stessero in realtà preparando a far irruzione fuori.

Ann aveva sempre preferito la neve di notte. Non che essa cambiasse particolarmente, solo assumeva quella colorazione bluastra che la giovane prediligeva. Ma di notte la neve era anche pericolosa; non facile da notare, facile era anche scivolarci sopra, e dura, durissima, era al contatto con la pelle. Per evitare brutte cadute che avrebbero potuto arrivare a rompere ossa – o causare anche di peggio -, i villici si adoperavano ogni inverno per spalarla, i sentieri erano dunque abbastanza liberi e sicuri.

Ciò che forse incuteva più timore negli stranieri che si ritrovavano a passeggiare di notte, era l’eco. I larghi sentieri di Hidel durante la sera erano quasi sempre vuoti, ed ogni passo produceva un’eco che rimbombava diverse volte.

Ann rideva di quei poveri sprovveduti che arrivavano a credere di essere seguiti, ma non esitava ad agguantare il braccio del padre quando quella suggestione notturna la soggiogava.

Giunsero finalmente presso la Sala Maestra, e la giovane notò che non erano i soli in ritardo; molte altre persone del paese si affrettavano solo ora per raggiungere il luogo, dal quale già si sentivano voci e risate.

Quella sera non faceva particolarmente freddo, e probabilmente avrebbero acceso il grande rogo appena fuori dal luogo di ritrovo. Ed Ann sarebbe rimasta a guardare, come sempre.

Era usanza nel piccolo villaggio accendere un grandissimo braciere davanti alla Sala maestra durante le sere meno fredde. Davanti al fuoco ci si riscaldava, si parlava e scherzava, si giocava a carte e si beveva, e soprattutto si ballava. Ma solo le coppie ballavano. Ergo, anche stasera la piccola mora sarebbe rimasta davanti al fuoco con Krissy a riscaldarsi mentre gli altri danzavano allegramente.

Quando giunsero davanti alla Sala, Gabriel confermò le supposizioni della sorella.

«Stanno preparando il fuoco. Stasera si balla.» sorrise, entrando nel caldo capannone, mentre pregustava già il ballo con la sua Louise.

Appena entrata, Ann sentì un incredibile caldo investirla, tanto che fu costretta a togliersi il mantello. Il legno non permetteva al freddo di entrare, e dentro l’ambiente era riscaldato in mille e uno modi diversi. Il profumo di ottimi cibi aleggiava nell’aria; sicuramente la carne era la portata della serata, almeno a giudicare dall’aroma. Avevano davvero preparato una cosa in grande per festeggiare l’arrivo dello straniero! Inoltre un forte odore di olio rendeva l’atmosfera gradevole.

Voci su voci, risate e moltissime parole mescolate davano fastidio alle orecchie più sensibili. Un gran numero di persone era presente quella sera; gli uomini erano divisi in gruppi, immersi nelle più svariate discussioni, mentre le donne si preoccupavano di apparecchiare il grande tavolo circolare che occupava il centro della Sala; su di esso si potevano contare decine e decine di bicchieri, piatti e posate, tutti provenienti da case diverse. E la moltitudine di colori, qualcosa che dava alla testa!

Un grande camino perennemente tenuto sotto controllo riscaldava l’ambiente. 

Come sempre, sarebbe stato arduo riuscire a trovare una persona precisa lì in mezzo.

Ebbe modo di scorgere e salutare il macellaio Guy, che ricambiò il suo saluto con una amichevole e dolorosa  pacca sulle spalle, Louise alla ricerca di Gabriel, i coniugi Clokie corredati della loro adorabile figlioletta, il falegname e il signor Scottfish, il quale però non sapeva dove si fosse nascosta la sua piccola Krissy.  

“Uhm…” rifletté la giovane “forse mi conviene aspettare la cena. Sicuramente a tavola sarà più visibile…”

Dunque, in attesa che il momento di cenare arrivasse, si sedette su uno sgabello in un angolo. Era un posticino abbastanza tranquillo, ed era anche il punto in cui lei e Krissy si ritrovavano ogni sera. Dopotutto, in che modo altro sarebbero mai riuscite a trovarsi in mezzo a quel putiferio?

Ma Ann non avrebbe raccontato all’amica il suo problema. Non voleva cadere così in basso anche ai suoi occhi. Le bastava già l’umiliazione di perdere la faccia davanti a quel biondino dall’aria superba.

Decisamente, le stava causando fin troppi problemi.

 

Le cose alla fine non andarono esattamente come aveva previsto Ann.

Nonostante l’avesse visto e seguito per tutta la sera con gli occhi, non era proprio riuscita ad avvicinarsi a Nathan, che a un certo punto era letteralmente sparito.

Il risultato era stato che la ragazza non era riuscita a mangiare tranquillamente, e lo stomaco le aveva urlato addosso tutte le maledizioni del mondo.

«Devo togliermi questo peso dallo stomaco…»  si lamentò a fine cena Ann, abbandonando il capo sul tavolo.

Krissy la guardò confusa, cercando di capire a quale peso si riferisse l’amica.

«Beh, il bagno è di là, lo sai…» la rossa indicò una porticina in fondo alla sala.

Ann alzò un sopracciglio, senza rispondere. Krissy non aveva il minimo senso dell’umorismo, ormai si era abituata.

«Sto cercando il sapientone.» si arrese la mora, rivelando le sue intenzioni.

«Dovevi dirmelo prima!» la rimproverò Krissy, stringendo i pugni davanti al viso e guardandola con espressione di rimprovero.

Ann alzò lo sguardo per guardarla.

«È fuori, a guardare il cielo!» esclamò allora l’amica.

«E non potevi dirlo prima?!»

«Ma che ne sapevo io che lo cercavi?»

«Eri tu quella fissata con lo straniero!»

«E ora perché ti interessa?»

La domanda della rossa zittì Ann. Di certo non poteva dirle il vero motivo. Purtroppo però, Krissy interpretò male il suo silenzio. Sorrise con fare furbo, come se avesse appena scoperto un segreto.

«Eh eh eh, lo trovi fuori, cara…»

La mora si alzò e guardò malissimo la ragazzina, come a volerle dire con gli occhi “Dopo facciamo i conti.”

Si avviò per uscire. Non fu propriamente facile né veloce, molte volte infatti fu costretta ad urlare per chiedere permesso, o ad attendere che il contadino di turno la notasse, le chiedesse in media due o tre volte cosa aveva detto, sbuffasse, si alzasse, spostasse la sedia e finalmente si togliesse anche lui dalle scatole, liberando così il passaggio.

“È meglio togliersi questa noia il prima possibile!” disse a se stessa, guardandosi intorno dopo essere finalmente uscita dalla Sala.

A quanto aveva capito mister Metherlance era una specie di poeta, o comunque una persona dagli interessi artistici, ed essendo la sua prima notte a Hidel doveva essere rimasto affascinato dall’aurora boreale, quindi c’era una buona probabilità di trovarlo ancora fuori.

Faceva freddo, ma meno rispetto al solito, soprattutto grazie alla presenza del falò. Il buio agguantava ogni cosa non illuminata dai getti di luce, rendendo difficile scorgere i sentieri che conducevano alle altre strade del paese. Qualche profilo di casa in lontananza veniva illuminato dalla luna appena visibile sopra l’aurora. Di tanto in tanto, assieme allo scoppiettare del fuoco, il verso di qualche animale notturno o un ululare lontano sferzava l’aria, dando ad Ann una sensazione di inquietudine a cui ormai era abituata.

Nonostante la cena si fosse conclusa, gli abitanti di Hidel non erano ancora usciti dalla Sala maestra, quindi non fu difficile per la ragazza scorgere il mantello nero illuminato dalle fiamme.

Come aveva immaginato, l’uomo era ammaliato dalle stelle. Guardava in alto senza muoversi, sembrava non respirare neanche. Seduto su una panca, con le mani in tasca e il naso all’insù, faceva quasi ridere.

«Ehm…» esordì la ragazza «Disturbo?»

Lui si voltò e, non appena la vide, le sorrise. L’espressione triste non c’era più. Ann sentì uno strano calore sulle guance, ma si costrinse a tenere alto lo sguardo.

«Assolutamente no, milady Nevue.» si fece un po’ da parte, facendo spazio ad Ann, invitandola a sedersi.

La ragazza considerò l’idea.

“Beh” si disse “almeno ha smesso di essere triste…”

A tal punto non aveva motivo di stare lì. Ma ormai quella discussione era sul punto di iniziare, tanto valeva non lasciarla in sospeso.

Si avvicinò a passi lenti e si sedette accanto al ragazzo, mettendo compostamente le mani sulle gambe. Si voltò a guardarlo, sembrava davvero stare meglio rispetto a quella mattina.

«Immagino che siate rimasto sorpreso dall’aurora boreale.» sorrise, cercando di non apparire antipatica come quella mattina.

«Sì, è meravigliosa.» confermò lui, poi rialzò il viso alla volta celeste, splendidamente illuminata «Mi hanno detto che qui è così ogni sera.»

Si stava sforzando di non usare più quelle parole ricercate che Ann tanto odiava in bocca ad un perfettino come lui. Era una cosa apprezzabile, che la ragazza gradì.

«Sì. Da dove venite voi non c’è la neve, messere?»

Nathan annuì, senza staccare gli occhi da quello spettacolo naturale «Sì, ma non avevo mai visto l’aurora boreale. Le descrizioni che ne fanno sui libri non rendono la sua magnificenza.» fece una pausa per afferrare con un gesto veloce uno dei tanti fiocchi di neve che cadevano, per poi contemplarne la semplice purezza. Infine risollevò lo sguardo ad Ann, sorridendole spontaneamente «È davvero bello Hidel.»

«Già.» e senza sapere per quale motivo, Ann aggiunse un po’ titubante «Ma messere, sbaglio o questo pomeriggio eravate piuttosto triste?»

La domanda parve sorprendere il ragazzo, che la guardò accigliato «Siete un’acuta osservatrice, milady.»

Quel complimento le piacque, molto.

«In effetti ero piuttosto stanco. Il viaggio mi ha provato duramente.» socchiuse gli occhi e guardò il fuoco. Dopo un attimo di silenzio tornò a sorridere in direzione della giovane «Ma dopo un bel pasto il malumore è passato. Sapete, quando si ha lo stomaco pieno si è in pace col resto del mondo.»

E finalmente, i due risero insieme. Era la prima volta che riuscivano a formulare una conversazione normale senza attaccarsi a vicenda o precipitare in discorsi strani. Forse era stata davvero la stanchezza a rendere quel primo impatto così glaciale.

«Meno male!» sorrise Ann inclinando il capo «Avevo davvero paura di aver detto qualcosa che vi aveva offeso.» ammise, togliendosi definitivamente quel peso dallo stomaco.

Nathan la guardò sorpreso per un attimo, poi abbassò lo sguardo sul fuoco sorridendo «Milady…» sorrise beffardamente «Davvero non vi facevo così sensibile.»

«Cosa?!» esclamò Ann contrariata, arrossendo visibilmente «Io sensibile?! Sono una donna, mica un vecchio bacucco zotico e cafone!»

Si voltò con le braccia incrociate, facendo l’offesa.

«È una bellissima qualità, la vostra.» avanzò gentilmente lui.

«Ne farei volentieri a meno. Essere sensibili significa soffrire per ogni minima cosa, e io voglio vivere una vita felice!»

Nathan la guardò da sotto il ciuffo biondo, sorridendo piano. Abbassò la voce «Annlisette…» mormorò il suo nome con estrema tranquillità, ma col tono di chi sta per dire qualcosa di segreto.

Ann lo guardò interessata.

Dopo un attimo di silenzio, il tedesco domandò di punto in bianco «Voi siete davvero felice qui?»

A quella domanda non vi fu una risposta.

Ann rimase per diversi secondi a guardare Nathan come se avesse qualche braccio in più del normale. Ricominciava con quelle domande assurde?

«Natha… ehm… messere…»

«Nathan va benissimo.» la interruppe lui «Scherzavo con la storia del dare del Lei alle persone più grandi.»

Alzò di poco il tono della voce, tornando a guardare Ann «Scusate queste domande. Avendo vissuto un’esperienza simile mi viene naturale cercare di confrontarmi con voi. Ma non ho diritto di chiedervi cose simili, milad…»

«Ann.» stavolta fu lei a interromperlo.

«Hm?»

«Vi chiamo Nathan solo se mi chiamate Ann.» riprese lei con naturalezza incredibile. Sembrava che avesse già dimenticato l’assurda domanda che le era stata posta poco prima.

Il biondino sorrise piano, quindi annuì «Ann.»

«Comunque…» Ann fece un’espressione indecisa «Mi sono sempre reputata felice. Mi piace Hidel, anche se…»

«Anche se?»

«Beh…» la ragazza alzò gli occhi al cielo «Mi piacerebbe viaggiare, vedere cose nuove… non sono mai uscita da Hidel.» si voltò verso di lui «Com’è il mondo fuori?»

Nathan ridacchiò. Gli sembrava davvero di essere davanti ad una bambina. Ann era davvero una contadina, lo dimostrava ampiamente, anche se, almeno per una volta, quel pensiero non venne formulato con malizia.

«Il mondo è bellissimo, ma anche duro da affrontare. È come il fuoco.» si alzò in piedi, fronteggiando l’ardente fuoco.

Lo fissò con intensità, mise sentimento in quello che disse in seguito, talmente tanta forza che persino Ann si sentì avvampare e crescere un fuoco dentro di sé.

«Domate il fuoco, Ann, o sarà il fuoco a domare voi.»

La ragazza rimase in silenzio. Da dove accidenti prendeva tutte quelle citazioni? Eppure, sapeva che aveva ragione lui. I problemi vanno affrontati; il fuoco stesso, che da sempre terrorizzava Ann, non doveva rappresentare un limite. Questo era quello che voleva dire Nathan, ed era davvero convinto di ciò che diceva. Ann abbassò lo sguardo, non sapendo che cosa rispondere. Si sentiva molto ignorante in confronto a lui, così giovane eppure così esperto…

«Ah, ragazzi!»

Una voce femminile attirò l’attenzione dei due. Si voltarono verso l’ingresso della Sala maestra, dove stava in piedi una donna. Era una signora piuttosto giovane, sui trentacinque anni, dalle lunghe ciocche castane che le raggiungevano le ginocchia. Aveva uno sguardo molto preoccupato, mentre cercava di scaldarsi come poteva sfregando le mani contro le spalle coperte da una maglia marrone.

«Avete visto mia sorella Dora?» chiese alzando la voce, per farsi sentire.

Nathan ovviamente non poteva sapere chi fosse Dora, quindi fu Ann a rispondere per entrambi, scuotendo il capo con decisione «Qui fuori non c’è.»

La donna sbuffò. Si guardò intorno incrociando le braccia «È da questo pomeriggio che è sparita. Dove accidenti si sarà cacciata?»

«Se lo desidera…» si propose il ragazzo «Posso aiutarla a cercare sua sorella, anche se non so che aspetto abbia.»

Sorrise un po’ a disagio, in effetti non era molto utile essere uno straniero in un villaggio dove tutti conoscono tutti.

«Vi sarei grata.» sospirò la donna.

Anche Ann si alzò, intenzionata ad unirsi alle ricerche. Di lupi non vi era traccia, per cui le possibilità di ritrovare un cadavere le sembravano poche.

Anche se… non era la prima volta che Hidel mangiava i suoi villici.

 

In lontananza Hidel sembrava molto pacifico. Un grande fuoco era stato acceso al centro del paesino, là dove la gente si riuniva la sera, e molto probabilmente tutti erano impegnati a cenare o a parlare.

«Che noia. Tutta questa tranquillità aumenta solo la mia voglia di far casino!» si lamentò una voce. Un figura incrociò le braccia con fare irritato, e il tono annoiato della sua voce confermò il suo stato d’animo poco propenso a portare ancora pazienza. Pareva incredibilmente ansioso; evidentemente aspettava qualcosa.

«Sta calmo, fratellone! Non è ancora il tuo momento!»

Una seconda figura riprese la prima, frapponendosi tra lei e il villaggio. A differenza dell’altro, questa sembrava essere molto calma e tranquilla, la sua voce femminile e musicale trasmetteva serenità.

«E quando sarà il mio momento?» sbottò il primo, nervoso.

«Quando sarà tu sai chi a volerlo.» assicurò l’altra «Ma per ora abbi pazienza, e lascia tutto in mano a Nathan…»

 

 

 

Note dell’Autrice:

Completata anche la revisione del secondo capitolo, si spera ora privo di errori ^^ ringrazio il mio beta reader, VeganWanderingWolf, per l’immensa pazienza dimostrata e il grandissimo e validissimo aiuto che mi sta dando!

Mi ha fatto una domanda che potrebbe interessare anche altri: a cosa si riferisce il titolo di questo capitolo? Ebbene, è una storpiatura. Poco tempo fa mi sono trovata a leggere Verga, per la precisione la raccolta di novelle ‘Vita dei campi’, alla quale è posta in appendice la novella ‘Fantasticheria’, in cui viene esposto ‘l’ideale dell’ostrica’. Tramite questo, l’autore illustra una teoria secondo cui nei piccoli paesini, Hidel nel nostro caso, si tende a stringersi nella comunità a mo’ di ostrica e vedere l’esterno, e in particolare la scienza, come un pericolo. Come l’ostrica che ha paura del palombaro e delle onde. Dunque penso che riprenda abbastanza bene Hidel, e l’ho ripreso modificandolo in ‘etica del riccio’ per la nostra Ann: chiusa nelle sue convinzioni e pungente con Nathan, che dovrebbe simboleggiare il progresso, e quindi il palombaro. Bene, finiti gli sproloqui xD

Dalla vecchia versione del capitolo riprendo il ringraziamento a Nimi_chan per la recensione, e, anche se ormai non è più registrata su EFP, spero che continui a seguire Snow come visitatrice ^^

A presto,

Sely.

 

  
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