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Autore: Geneviev    25/11/2009    1 recensioni
Gli ingredienti per una serata fantastica? Alcuni giovani d'oggi sono propensi a rispondere: alcol, droga, sesso e musica a palla.
Giovani d'altri tempi non la pensano esattamente allo stesso modo. Ma sicuramente, c'è qualcosa che inizia per s.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Baci oscuri'
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L’inferno negli occhi

"… Why won't you die?
Your blood and mine
We'll be fine
Then your body will be mine …"

System, Linkin Park.

 

 

 

La sera era umida e fredda, una sera d’inizio inverno. Buia come tutte le sere che declinano verso la più oscura notte.

Nel viale si susseguivano le macchine parcheggiate lungo il marciapiede sgretolato in una lunga processione. La strada era bagnata, e l’asfalto luccicava del riflesso dei lampioni che emanavano una luce scadente.

Accanto ad alcune automobili c’erano gruppi di ragazzi avviluppati nei giubbotti per proteggersi inutilmente dal gelo. Dalla loro bocca, impastata di alcol o meno, uscivano nuvolette bianche di vaporosa condensa, insieme al fumo grigio delle sigarette. Alcune macchine erano coperte di un sottilissimo strato di brina, altre avevano i finestrini completamente appannati, e alcune di queste, almeno due persone nell’abitacolo che si muovevano lasciando intendere le loro attività.

Nell’aria gelida e pungente, pregna di umidità, si udiva il suono ovattato di musica da discoteca di cattiva qualità. Poco distante c’era una costruzione squadrata e di un cupo grigio, resa ancora più cupa dalla notte, senza il minimo gusto artistico. Aveva una porta, sopra la quale era appiccicata un’insegna di pessimo gusto, dalle sgargianti scritte al neon gialle e arancioni. Da questa enorme e triste porta, presidiata da scimmioni vestiti di nero, uscivano ed entravano ragazzi giovani e desiderosi di passare una serata all’insegna della droga, dell’alcol e del sesso, condita dal ritmo della musica chiassosa. Quello che i giovani traducevano con divertimento.

Lungo il viale camminavano l’una accanto all’altra le due figure. Lei, alta e affascinante, avvolta in uno stretto giubbetto di pelle nera che le arrivava fino a metà coscia, stretto in vita dalla cintura, con alti stivali del medesimo materiale e dal tacco rilevante, e le calze scure. I mossi capelli neri sciolti a incorniciare il viso perfetto. Lui, poco più basso e più giovane, indossava una giacca di pelle e jeans strappati su un ginocchio. I capelli castani erano vezzosamente sistemati dal gel e le ciocche appuntite, forse un po’ troppo lunghe, erano rivolte all’indietro. Il viso terribilmente bello era imbronciato in un’espressione annoiata.

"Perché mi hai portato in questo sudiciume?". La ragazza rise, divertita.

"Per farti distrarre un po’" rispose voltandosi per fissarlo e sorridergli dolcemente, come la luna crudele sorride ai disgraziati.

"Ne hai bisogno. Qui ci sono delle povere oche adatte allo scopo" aggiunse mentre saliva il marciapiede in migliori condizioni davanti all’entrata de locale, seguita dallo sguardo famelico di un uomo accanto alla prima macchina.

"Non ne ho voglia" rispose il ragazzo fulminando con lo sguardo quel povero idiota. C’era qualcosa di sadico e diabolico nei suoi occhi scuri, qualcosa che spaventò l’uomo che salì velocemente sull’auto.

"Ti verrà" asserì lei, voltandosi per guardarlo per un fugace secondo, prima che il buttafuori aprisse la porta lasciandoli entrare. C’era il sorriso della perdizione su quelle labbra perfette e rosee.

La musica assordante li colpì appena varcarono la soglia, così come l’afa terrificante e l’odore di fumo mischiato alla polvere. La differenza termica era astronomica, e la maggior parte dei ragazzi sentiva il bisogno di spogliarsi dopo aver fatto un passo all’interno del locale, lasciando i soprabiti alle ragazze del guardaroba.

Così fecero anche loro due. Abbandonati i cappotti, s’inoltrarono nel luogo rintronante e ingombro di corpi caldi e frenetici. Lei indossava un attillato abito nero che metteva in risalto le forme femminili e seducenti, con un’ampia e morbida scollatura e lunghe maniche d’organza. Lui un’altrettanto attillata maglietta nera che lasciava intendere un torace atletico e tonico, e che risaltava sulle allenate braccia dal candido incarnato.

Lei sembrava divertita e incuriosita dall’ambiente e dalle prospettive della serata, lui apatico la seguiva svogliatamente, troppo bello per l’aria torrida e sudaticcia che si respirava nel locale. Alzò il viso sprezzante, mentre fissava dall’alto la marmaglia che si muoveva sulla pista da ballo. La ragazza si girò verso il ragazzo per sorridergli, come farebbe una serpe entrano nella tana dei topi.

Individuò subito le tre oche di cui parlava, che avevano messo gli occhi sul suo giovane fratello e che ora ridevano e confabulavano. Diede uno sguardo al resto della sala troppo affollata e poi si fermò attirando l’attenzione del ragazzo per indicargli le tre con un cenno del capo. Sorrideva divertita e trionfante, con l’aria di chi sa come inchiodare la luna al cielo.

Il bellissimo viso del ragazzo virò nella direzione indicatagli. Gli occhi oscuri e terribili fissarono le sue prede con indifferente fame, poi donò uno sguardo alla sorella che ancora sorrideva e che alzò una mano bianca per prendere la mascella del ragazzo e baciarlo sulla guancia. Fu allora che lui sorrise. Un sorriso molto più crudele e malvagio. Un sorriso che solo alcuni fra i più spietati demoni possono avere, il ghigno dell’inferno.

Si girò e camminò sicuro verso le ragazze, mentre lei continuò diretta al bar. Alta e sinuosa, una predatrice che si aggira nella sua riserva di caccia. Troppo bella per non attirare l’attenzione dei maschi dall’ormone fremente, che già avevano la bava alla bocca. Lei sorrideva, velenosa e meschina, perché sapeva di averli tutti in pugno.

Vicino al bancone del bar la musica era più bassa, e la ragazza si sedette con provocante eleganza su uno dei pochissimi alti sgabelli liberi. Fissò le bottiglie allineate sulle mensole di vetro, illuminate dalla luce azzurra al neon, oltre la pedana dove camminavano i barman. Bastarono pochi minuti e la sua prima preda si avvicinò, attirata dai sonagli della sua inumana bellezza.

"Ciao splendore". La ragazza girò il viso, lasciando le braccia poggiate al bancone, con già un sorriso stampato sulle labbra accattivanti e pericolose. Gli occhi di freddo smeraldo si posarono sulla figura palestrata del biondo che era stato tanto ardito. Eccolo lì, povero idiota. Aveva in mano una brocca di vetro mezza piena di birra e il viso dalla mascella pronunciata ruvida di barba malfatta.

"Bevi qualcosa bellezza?". Lei si limitò a fissarlo in silenzio con i suoi occhi meravigliosamente spietati, poi il sorriso si fece malleabile, diretto a inzuccherare la vittima, preservando la sua crudeltà.

"Certo". Il tuo sangue.

Il bell’imbusto sembrò perdere per un attimo la sua spavalderia, abbassando lo sguardo sciocco e mettendosi una mano in tasca.

"Ma il tuo ragazzo non sarà geloso?" chiese indicando il giovane con cui era arrivata. Neanche l’arguzia di capire che stava per morire, davvero un povero idiota. Lei si voltò lentamente, abbassando la testa, facendo scivolare le morbide ciocche di capelli corvini oltre le spalle, andando a posare gli occhi verdi sul ragazzo oltre la folla, che ora sedeva sui divanetti con le braccia allungate sullo schienale, mentre una delle oche gli accarezzava gli addominali sotto la maglietta e un’altra gli lisciava la spalla. Aveva un’espressione soddisfatta sul viso, l’espressione di chi ha appena ordinato una pietanza prelibata e attende di saggiarla. La ragazza sorrise diabolica, tornando a fissare il biondo dalla camicia macchiata.

"Quello è mio fratello" rispose ridendo.

"Oh, allora…" ribatté lui, per poi fare un cenno al barman, e tornò a fissarla mentre si sedeva sullo sgabello accanto al suo, cacciano il precedente occupante con fare sprezzante di chi crede di avere il mondo a sua disposizione.

"Allora, vieni spesso qui?". Cercava di intavolare un discorso casuale sopra le note della musica pungente, prima di chiederle qualcosa di più sconcio. Che patetico individuo.

"No, è la prima volta. Ma me ne hanno parlato così male…". Voce vellutata e calda. Sorrise ancora, come una dotta sgualdrina dedita ai più peccaminosi piaceri, abbassando una mano affusolata sulla patta dei suoi pantaloni. Al ragazzo per un attimo mancò il fiato.

Il barman mise una coppa da cocktail piena di un liquido incolore accanto a lei sul bancone. La ragazza abbandonò i jeans di quel triste fantoccio per rivolgere la sua attenzione alla bevanda. Prese in mano il bicchiere freddo come la neve che presto sarebbe scesa, e fissò l’intruglio alcolico attaccarsi alle pareti di vetro e la sottile fetta di limone aggrappata al bordo. Ne inalò l’odore secco e rancido, lo trovò disgustoso e vomitevolmente sterile.

"Come ti chiami?". Sentì a malapena la voce dell’individuo accanto a lei. Era davvero troppo penoso per suscitare il suo interesse, non più di quel cocktail. Pensò che avrebbe potuto trovare un pasto più stimolante. Non era nemmeno un bel ragazzo e aveva la faccia di uno a cui avrebbe potuto facilmente causare una crisi d’erezione se solo lo avesse toccato un’altra volta.

"Nicole". Una voce alle sue spalle la sorprese. Una voce calda e seducente quanto la sua, ma spietata e virile come quella del più temendo demonio. Si voltò con naturale lentezza e posò gli occhi sull’uomo appena arrivato. Era alto, dinoccolato, il torace avvolto dalla camicia nera in parte sbottonata, pantaloni e scarpe costose dello stesso colore. I capelli mossi in sinuose spirali, scuri come la notte, attorno al viso affilato e pallido, freddo e terribilmente attraente. Gli occhi come pece, pozzi profondi di un’anima imbevuta di ombre, un mondo parallelo d’infernale crudeltà dalla quale, se perduti, non si poteva più tornare.

La piega agli angoli della bocca si accentuò quando le sorrise sadicamente fissandola negli occhi. Erano così demoniaci i suoi, così disumanamente belli, perfetti. Facevano male.

Il biondiccio tutto muscoli dall’alito alla birra si dileguò velocemente, lasciando libero lo sgabello accanto a lei. Sembrava seccato, probabilmente avrebbe inventato la scusa del fidanzato, per salvarsi la faccia con gli amici, e le avrebbe dato della puttana, nascondendo la paura.

Il nuovo arrivato si sedette senza degnare di uno sguardo l’individuo, senza staccare gli occhi dal viso della ragazza che ricambiò silenziosamente, fiera della sua terribile bellezza.

"E’ sempre un piacere rivederti".

"Il piacere è tutto tuo" replicò lei in un soffio provocante, sorridendogli con accattivante malignità. Lui rise sommessamente e posò una mano sulla sua schiena, accarezzandola. Rivolse uno sguardo alla sala piena di gente gongolante, mostrandole il profilo incantevole del suo collo bianco, mentre la musica urlava con voce dura e martellante.

"Come sta il piccolo Ruben?" domandò tornando a guardarla. La ragazza socchiuse la bocca e si voltò per cercare il giovane seduto ai divanetti, trovandolo a cingere con un braccio il busto della ragazzina inginocchiata alla sua sinistra, mentre lei gettava la testa all’indietro e lasciava che il Vampiro bevesse avidamente dalla sua gola nuda. Alla sua destra un’altra ciondolava semisvenuta con la testa e un braccio poggiati allo schienale e la terza in ginocchio davanti a lui, gli slacciava i pantaloni.

"Decisamente bene direi" rispose la ragazza tornando a guardare l’uomo con un sorriso decisamente divertito e soddisfatto sulle labbra. Si scorgevano i canini più lunghi e affilati del normale sotto quelle labbra allettanti.

"Balli Rick?" chiese mentre la musica si abbassava in ritmici e melodici colpi di batteria, come gocciole di dannazione che vibravano lentamente in uno scenario di oblio inquietante.

"Non ballo, lo sai" disse lui lapidario. Lei sorrise ancora, terribile, e si alzò abbandonando il cocktail ancora integro. Allungò una mano verso la fibbia della sua cintura per prenderla e attirarlo verso di sé, mentre procedeva verso la pista. Lui sorrise a sua volta, sadicamente accondiscendente, lasciandosi condurre.

La musica si alzava in un ritmo più incalzante e rintronante, si faceva più peccaminoso. La ragazza s’insinuò nella folla a raggiungere quasi il centro, dove la luce sprizzava in abbagli colorati, azzurri e vermigli, disarmoniche bolle artificiali. Si voltò verso il suo compagno che non esitò a metterle le mani sui fianchi mentre lei iniziava a muoversi languidamente. Nicole alzò le braccia per metterle attorno al suo collo, e i loro corpi si toccarono in una fatale sincronia. La frenesia della musica faceva salire la temperatura e lo scorrere del sangue nelle vene della gente che li circondava. La Vampira non pensava al sangue, il sorriso aveva lasciato posto a un’espressione statica di godereccio piacere muto. Amava ballare, e lo faceva in modo oltremodo sconvolgente, sfregandosi contro di lui come una maledetta sgualdrina di alto credito.

Si girò, poggiando la schiena al suo petto, muovendo svenevole i fianchi addosso a lui, provocante e dannata. Sentì le sue mani sul ventre e il suo mento insinuarsi sulla sua spalla, mentre le morbide spire dei suoi capelli le accarezzavano la guancia. Alzò ancora le mani per sfiorargli la nuca, facendosi cingere dalle sue braccia. Depravata meretrice, inarcò la schiena, poggiando la testa alla sua spalla, intanto che la musica rallentava il ritmo infernale alzandosi di volume e lei strusciava il bacino contro il suo.

Il sorriso demoniaco e bellissimo riapparve quando lui le leccò il collo, il sorriso trionfante di chi ha appena ferito la sua preda. Si voltò nuovamente facendosi stringere con delicata prepotenza, appiccicandosi a lui per alzare il viso a cercare la sua bocca in un osceno bacio.

Gli leccò le labbra procace mentre le mani di lui scendevano sul suo fondoschiena, trovandolo seducentemente morbido. La accarezzò passionale scivolando sulla coscia dove sentì il pizzo delle autoreggenti sotto il sottile tessuto dell’abito. Estasiato cercò la sua lingua per baciarla a sua volta con spregevole depravazione finché non avvertì la sua bocca socchiusa scostarsi e colare sul suo mento, lambendogli la pelle come succulento e bruciante veleno.

La afferrò per le braccia prima che potesse morderlo e le strinse fino a farle male, lasciando che le sfuggisse un gemito flebile.

"Non ci provare" le sussurrò all’orecchio, e nonostante la musica assordante che rimbombava attorno a loro lei sentì chiaramente. La fissò negli occhi dicendole qualcos’altro di silenzioso e lei rispose con un cenno impercettibile, poi insieme si avviarono verso il guardaroba.

Ruben alzò lo sguardo quando passarono davanti a lui, mentre abbandonava la sua seconda portata sul divanetto, con le labbra macchiate di porpora. Le ripulì con la lingua, pensando che sua sorella sapeva cavarsela benissimo da sola, poi abbassò gli occhi scuri e diabolici sul dolce, appoggiata alle sue gambe aperte.

Nicole e Richard uscirono nell’aria gelida dopo aver recuperato i cappotti. La ragazza alzò il bavero, stringendosi le spalle, mentre lui camminava accanto a lei lungo il viale con la lunga giacca di pelle aperta.

"Non ti ricordavo così puttana" fece lui con espressione intrigata sul viso bianco e incantevole.

"Stronzo". L’uomo ridacchiò sommessamente con fare irritante.

"Sei sempre stato solo un maledetto stronzo" rincarò la ragazza lasciando scemare per un momento la rabbia, per non deturpare la sua statica perfezione. Lui la spinse nel vicolo sul retro del locale.

"Oh ancora con questa storia mia bellissima Nicole?". Era per questo che lo odiava, e che ora l’ira saliva come serpentine di fumo nebuloso a infiammale lo sguardo di smeraldo. Per l’ostentata vena di bastardaggine, per l’inferno che aveva negli occhi neri e per il fatto che ora la bloccava con il suo corpo contro la fredda e sporca parete di cemento.

"Non ti ricorda nulla tutto ciò?" domandò con un sussurro e un sorriso diabolico lui. Sì. Un vicolo dei sobborghi di Copenaghen, cento e passa anni prima. La nebbia, il freddo della sera, proprio come in quel momento. E il corpo del suo affascinante carnefice che la costringeva contro un lurido muro di periferia, mentre succhiava ingordo il suo sangue.

"Stronzo" sussurrò arrendevole lei, prima di spingerlo via.

"Mi avresti lasciato morire in quello schifoso vicolo se Valerius non mi avesse abbracciata!" gli urlò in faccia, indispettita ancor di più dal sorriso sardonico che si delineò sulla sua faccia affilata. Richard alzò una mano per sfiorarle il profilo del viso con l’indice freddo.

"Il tuo prezioso e potente Signore". L’espressione beffarda non scomparve mentre sussurrava quelle parole, avvicinandosi ancora a lei lentamente. La ragazza cercò di spingerlo di nuovo via, battendogli la mano sul petto con insufficiente decisione. Lui le prese il mento con una mano e la spinse con fin troppa convinzione contro la parete.

"Tu sei sempre stata mia Nicole" sussurrò con voce gelida e spietata. Abbassò il viso sul suo collo, passandole velocemente un braccio dietro la schiena, e affondò i canini affilati nella sua gola. La pelle fredda e bianca della Vampira si lacerò con indubbia facilità, e lei rimase in perfetto silenzio, socchiudendo le labbra mentre rivolgeva gli occhi verdi infondo al vicolo maleodorante. Il sangue tuttavia faticava ad abbandonare il suo corpo morto e bellissimo e Richard succhiò vorace stringendola fino a farle male.

La ragazza si maledì più di quanto non potesse, sentendosi la sua inerme marionetta. Sciocca troietta, che da indomabile cacciatrice era diventata ancora una volta vittima di quel figlio di puttana, e come la prima volta sentiva un’irrefrenabile eccitazione pervaderla. L’ardente desiderio di essere sua come non mai, nel corpo e nell’anima, sentire i suoi baci ovunque, questo proprio non se lo riusciva a perdonare.

Solo due abbondanti sorsi di quel sangue maledetto e oscuro, poi la lasciò, cercando i suoi occhi. Le sorrise prima di baciarla sulla bocca, veloce e bastardo.

Nicole si sentì tremare, poiché vide in quegli occhi l’essenza stessa della parte più buia dell’inferno, quella dove ci sono solo grida silenziose di dolore muto e lancinante, e la tenebra più impenetrabile, la più dolorosa. La disperazione delle anime dannate e il letale e succulento eterno castigo.

L’abbandonò con un cenno reverenziale e ironico del capo, allontanandosi verso dove erano venuti, lasciando dietro di sé solo il suono secco e sordo delle scarpe sulla strada.

"Stronzo" bisbigliò lei, scuotendo il capo e i mossi capelli corvini. Lo odiava davvero dal più profondo delle viscere. Sia perché era un dannato bastardo, sia perché era irrimediabilmente attraente.

   
 
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