Ahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahah!!!
XD
Scusate lo sclero U.U
Questa… cosa
xD che leggerete fra poco, è il frutto di un mio sogno.
Sì,
questo è il sogno che ho fatto questa notte. Lo so, faccio
sogni strani e ormai
tutti lo sanno, ma che ci posso fare? xD
Premetto che i Jonas Brothers non
sono proprio il mio gruppo preferito, però come
dire… non potevo cambiare il
mio sogno! È uscito così e così me lo
devo tenere xD
Spero che questa cosa vi piaccia
almeno un po’ e vi avviso che non sarà fra le mie
priorità, quindi potrebbe
passare anche tantissimo tempo prima di un nuovo aggiornamento u.u
Ho altre 3 ff - ufficiali, poi ci
sono anche tutte quelle non ufficiali che si scrivono nel frattempo *-*
- da
finire e da scrivere! E inoltre sono una ragazza impegnata u.u xD
Concludo ringraziando tutti
quelli che da sempre, sempre, sempre mi sostengono. Chi vuol capire, ha
capito
*___* Grazie!
PS: Buona lettura! ;D Vostra, _Pulse_
Can I save You?
Capitolo
1
Mi guardai intorno e suonai a
quel maledetto campanello, con una fifa blu di essere catturata.
«Arianna,
sei qui per…», mormorò
una voce flebile nell’apparecchio, aprendomi il portone.
Certo che quella Fiore
era proprio strana.
Entrai
nell’edificio e feci di
corsa le scale, fino a trovarmi davanti quella ragazza
dall’aspetto fragile,
esile, i capelli castano scuro ricci e corti fino alle orecchie, gli
occhi neri
e la pelle caffèlatte. Quando mi guardava sembrava che
sapesse tutto di me, e
mi metteva un po’ in ansia.
«Vieni»,
disse indicandomi di
entrare, anche se da dentro provenivano rumori strani, come se qualcuno
picchiasse contro una porta per liberarsi.
«Non farci caso», mosse la mano,
dirigendosi nella piccola cucina, da dove proveniva quel rumore.
Sbattè un
pugno contro il legno chiaro di una porticina e in risposta qualcuno
spinse per
aprirla, lei la bloccò sorridendomi.
Io,
ancora sulla soglia, pensai
che proprio io dovevo finire in quel casino colossale. Proprio io.
Perché? Che
avevo fatto di male per meritarmi tutto quello?
Ero finita in un mondo parallelo
con una mia amica, mio padre e i miei due zii, perché mia
madre, giornalista,
aveva visto scomparire di fronte ai suoi occhi quella ragazza mezza
pazza, che
al tempo era una bambina di soli cinque anni, di nome Fiore. Da quel
giorno
aveva iniziato a fare strani esperimenti sui mondi paralleli e aveva
avuto la
magnifica idea di trasportarci tutti lì, esclusa lei.
Ora dovevo scegliere se lasciarmi
aiutare da una pazza che sembrava buona, dopotutto, ed una vecchia maga
di quel
mondo che aveva la casa divisa in passaggi segreti e cunicoli
sotterranei che
per mia grandissima sfortuna avevo già avuto modo di
visitare, rischiando anche
la pelle.
E inoltre, non era certo finita
qui, dovevo liberare mio padre, mio zio Dario e mio zio Manuel dal
carcere in
cui erano rinchiusi perché sospettati di aver trovato un
modo alternativo per
tornare a casa. Era infatti abitudine del luogo non tornare
più nell’altro
mondo, perché senza abitanti questo sarebbe scomparso.
Ma io volevo tornare a casa, non
mi importava se avevo tutto il paese contro e che mi cercassero
dovunque, con a
capo quei strani tizi che si facevano chiamare Jonas Brothers.
Non li avevo mai sentiti in
vita mia, ma dovevano essere abbastanza famosi, visto che erano un
po’ i capi
dei cortei per la mia cattura.
Quel
qualcuno nascosto dietro la
porticina riuscii a liberarsi e scoppiò a ridere guardando
la mia faccia mezza
sconvolta, mentre Fiore si sistemava un ciuffo dietro
l’orecchio, arrossendo
d’imbarazzo.
«Ti
presento… Alessandro, il mio
ragazzo», disse piano, indicandolo.
Era in soli boxer con fantasia
natalizia anche se non era affatto Natale, un fisico scolpito, la pelle
caffèlatte come quella di Fiore , gli occhi verdi e i
capelli rasati sulla
testa.
«Piacere»,
mi disse stringendomi
la mano, sorridendo. «Si vergognava a farmi
vedere…», mi spiegò sussurrandomi
all’orecchio.
«Ahm…
capisco», annuii,
corrugando la fronte e seguendolo in cucina.
«Finalmente
sei arrivata!», mi
gridò Loruama, abbracciandomi di slancio.
«Scusa
il ritardo, ho solo
rischiato la vita un paio di volte oggi!»
«Oh,
figurati!», ridacchiò
tornando a guardare fuori dalla finestra: si stava svolgendo un nuovo
corteo, a
cui capo come al solito c’erano i Jonas Brothers. Se ci
avessero scoperte pure
lì sarebbe stata la fine…
«Dovrebbe
essere questo il
palazzo!», gridò qualcuno nel corteo, fermandosi
lì di fronte.
«Loru,
non farti vedere,
mannaggia!», dissi io, tirandola dentro, ma era ormai troppo
tardi. Un coro si
era levato dalla strada e pian piano erano entrati tutti
nell’edificio: li
sentivo salire le scale come un branco di tori imbufaliti.
«Ary,
vai al mare, vai al mare!»,
mi gridò Loru prima che venisse buttata giù la
porta dell’appartamento.
«Che
cosa?! È tu?!»
«Non
ti preoccupare per me! Ora
vai!», mi spinse con violenza e finii nella porticina nella
quale si era
nascosto Alessandro al mio arrivo.
Ci caddi dentro e finii in un
cunicolo nel quale dovevo camminare a carponi, talmente era stretto.
Non ne potevo più di passaggi
segreti, ne avevo la nausea!
Vidi
una luce alla fine del
tunnel e, distratta, non mi ero resa conto che il terreno duro era
diventato
improvvisamente scivoloso. Caddi con la pancia e gridando scivolai
giù a
velocità sostenuta, come negli scivoli d’acqua,
verso la luce, fino a cadere in
mezzo a salvagenti, braccioli, palle gonfiabili e paperelle di gomma:
almeno
era stato un atterraggio morbido!
Dovevo
essere all’interno di una
cabina sulla spiaggia, visto gli accessori su cui ero caduta, e sentivo
anche
gli schiamazzi dei bambini all’esterno. Tentai di
disincastrarmi da un
bracciolo che mi si era infilato nella caviglia e da quel paio di
salvagenti
che mi stringevano in vita.
«Ma
porca…», biascicai, quando la
porta della cabina si aprì violentemente e per un attimo
venni accecata dalla
luce del sole, poi riuscii a distinguere tre figure conosciute di
fronte a me.
«Oh no, ancora voi!», mi lagnai.
Com’era possibile essere così sfigati?!
«Guarda
guarda chi abbiamo
trovato!», esultò la cheerleader, con tanto di
divisa rossa e rosa e pom-pom
fucsia, dai capelli biondi.
«Ci
si rivede!», mi salutò con un
sogghigno quella mora.
«Che
bella sorpresa che ci hai
fatto, venendo tu da noi! Ci hai risparmiato pure la fatica di venirti
a
cercare!», disse invece la rossa, prendendomi per un braccio
e tirandomi verso
di loro, che mi placcarono in una morsa d’acciaio.
«Avete
visto? Che culo!», gridai,
tentando di divincolarmi. «Ragazze, non sapevo foste anche
giocatrici di rugby!
Avete imparato dai vostri compagni di college? Allora le cheerleader
non fanno
solo quello che si dice che facciano ai giocatori!»
«Fai
poco la spiritosa! Non
abbiamo voglia di scherzare!», mi strapparono di dosso i
braccioli e i vari
salvagenti, facendomi un favore.
«L’altra
volta ci sei sfuggita
per un soffio, ma questa volta ti porteremo dai Jonas e come ricompensa
diventeremo le loro ragazze!»
«E
gli faremo togliere
quell’anello della purezza!», ridacchiarono
eccitate, saltellando e dandosi i
cinque.
Ma perché erano capitate proprio
a me quelle oche esagitate?
Mi
trascinarono per un bel tocco
di spiaggia, il sole stava calando all’orizzonte, e in
prossimità degli scogli
vidi i tre fratelli Jonas camminare verso di noi con sguardo
compiaciuto.
«Ragazze,
è il nostro momento!»,
gridò la biondina, lasciandomi libero il braccio per
sistemarsi i capelli sulla
testa.
«Che
idiota», biascicai prima di
tirare i capelli ricci a quella rossa, facendola gridare, e di mettere
K.O. la
mora con uno sgambetto a tradimento.
Dopodiché cominciai a correre
dalla parte opposta dei Jonas, che dopo aver gridato qualche insulto
alle tre
inutili oche cheerleader, iniziarono l’inseguimento.
Mi
faceva male tutto, arrivai sulla
cima dello scoglio e mi guardai intorno: alla mia sinistra
c’erano due dei
Jonas (E il terzo?), dietro di me solo roccia impossibile da scalare,
di fronte
a me il mare che brillava al tramonto e quando mi girai verso la mia
destra
vidi il terzo Jonas, il più piccolo e con i capelli ricci.
«Buh!»,
mi sorrise facendomi
spaventare. La roccia sotto il mio piede cedette e caddi in acqua, il
ragazzo
tentò di prendermi la mano, ma con l’unico
risultato di cadere con me.
Aprii
gli occhi sott’acqua e lo
vidi nuotare velocemente verso di me, io mi lasciai scappare qualche
bolla
preziosa di ossigeno e tornai in superficie, per poi tentare di
scappare dalla
parte opposta, ma mi scontrai contro l’altro Jonas, il
più grande.
Il mezzano era rimasto sullo
scoglio: magari aveva paura che i suoi capelli perfettamente piastrati
si
rovinassero. Sicuramente.
«No,
lasciatemi!», gridai
dimenandomi, ma mi avevano bloccata ormai.
«Stai
ferma, non ti faremo del
male!», gridò il più piccolo.
«Non
m’importa! Nessuno può
impedirmi di tornare a casa! Io voglio tornare nel mio mondo, voglio
liberare
mio papà e i miei zii! Voglio tornare a casa!»,
gridai con tutto il fiato che
avevo, ma mi coprirono la bocca con la mano e mi trascinarono verso
riva.
Una
volta usciti dall’acqua,
ancora placcata da i due Jonas, il terzo si avvicinò e
passò due asciugamani ai
fratelli.
«Tante
grazie!», gridai, fuori di
me.
«Non
iniziare a lagnarti! Vieni
qui con me!», gridò il più piccolo,
attirandomi a sé e avvolgendomi nel suo
asciugamano con lui. Rimasi piacevolmente sorpresa da quel gesto e mi
arresi al
fatto che ormai non mi restava altro da fare che seguirli e scoprire
che cosa
volevano da me.
«Ora
vieni a casa con noi», disse
il piastrato, prima di girarsi e di guidare il gruppo.
Risentii
le voci stridule delle
tre cheerleader dietro di noi e sbuffai infastidita, contemporaneamente
al
ragazzo che mi teneva abbracciata a sé.
Lo guardai sorridendo e arrossii
notando anche il suo di sorriso, così girai subito il viso
dalla parte opposta.
«Io
sono Nick, comunque», mi
sussurrò all’orecchio.
«E
io… io sono Arianna.»
«Onorato
di sapere finalmente il
tuo nome, causa di tutte le nostre ricerche»,
ridacchiò.
«Vorrei
poter dire lo stesso, ma
non sono affatto onorata di sapere il tuo, causa di tutte le mie fughe
e di
tutti i miei guai», sogghignai.
«Amoriiiiiiiii!
Aspettaticiiiiii!», gridarono le oche dietro di noi; il
maggiore si girò e gli
fece segno di andarsene, io ridacchiai.
«Lui
è Kevin. Invece l’altro è
Joe», mi spiegò Nick.
«Te
l’ho chiesto?»
«Vedi
di non fare troppo l’acida,
siamo sulla stessa barca tutti quanti!»
«Ah
davvero?»
«Sì,
davvero. Quindi vedi di
collaborare.»
Sbuffai
brontolante e non dissi
più niente fino a quando non arrivammo a casa loro, una
villetta a picco sul mare,
nascosta da palme ed altri tipi di vegetazione.
Mi fecero entrare e riuscii solo
a notare il grande salotto immacolato con immense vetrate che
mostravano il
mare al tramonto e l’immensa cucina, prima che Nick mi
accompagnasse in camera
mia: una grande stanza con letto a baldacchino, un televisore al plasma
alla parete,
un armadio gigante, un bagno con tanto di idromassaggio e una finestra
dalla
quale si vedeva la città illuminata.
«Ora
stai qui buona, ci vediamo
dopo», mi disse, guardandomi negli occhi, tenendo la maniglia
della porta.
Sospirò e si massaggiò la fronte con una mano:
«Devo chiuderti a chiave?»
Sollevai
le spalle, infilando le
mani nelle tasche dei jeans e abbassando lo sguardo.
Abbassò lo sguardo anche lui e
chiuse la porta; io rimasi in ascolto, ma non sentii nessuna chiave
girare.
Sorrisi e mi gettai sul letto, le braccia dietro la testa.
«Beh,
poteva andare peggio»,
sospirai girandomi e chiudendo gli occhi, addormentandomi subito.