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Autore: The Corpse Bride    10/12/2009    2 recensioni
-Bianca, per favore, smettila con questa storia. Non cederò mai. Devo ripetertelo? Sono il tuo professore; non sarò mai il tuo amante.
La ragazzina sbuffò. Sedici anni, capelli rosso fuoco freschi di cotonatura, un trucco nero pesantissimo sfumato dal giorno prima.
Aveva una scollatura così profonda, e una minigonna così corta, e degli stivali così alti, che non si poteva fare a meno di guardarla, a prescindere dagli istinti sessuali che poteva o non poteva provocare.
'Provocare': ecco cosa faceva.
Non chiedeva solo sesso. Chiedeva anche l'altrui disapprovazione. E chiedeva che le parlassero alle spalle, sicuramente. In fin dei conti, per come la vedeva Emanuele, quello che chiedeva era semplicemente attenzione.
-Professore, lei non può sapere per certo che non cederà mai. Chi lo sa cosa potrebbe passarle per la testa domani, o il mese prossimo, o l'anno prossimo?
-Lo so io, cosa mi passerà per la testa: la mia fidanzata, il mio lavoro, i compiti da correggere, le cene fuori coi miei amici. Il mio cane, al massimo. Ma non il sesso con te. Non mi induci in tentazione, Bianca, mettitelo in testa.
-Ma davvero? - lei sorrise malignamente, alzò un sopracciglio, accavallò le gambe e si stese bene sullo schienale; si comportava come una spogliarellista trentenne. - Allora perché ha usato il termine 'cedere'? È alle tentazioni che si 'cede', o sbaglio? Altrimenti avrebbe detto 'non mi piacerai mai'. È già più vicino al concetto del quale lei cercava di convincermi.-Bianca...
-O di convincere se stesso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Mentre stringeva la bottiglietta tra le mani, si accorse che stava stringendo i denti al punto di farsi male alle gengive. Il cuore gli batteva furiosamente. Ma era spaventato come sempre accade quando arriva il momento della verità.
E quindi, gli aveva sempre mentito. Nonostante proclamasse di amarlo, nonostante professasse sincerità, nonostante quella sua aria da innocente, aveva mentito.
Ma era anche colpa sua, avrebbe dovuto saperlo. I drogati erano capaci di tutto, le menzogne erano soltanto l'inizio. Ovvio che non confessassero. Ovvio che facessero di tutto per proteggere il loro sacrosanto diritto di ingoiare pastiglie da una bottiglietta marrone.
Stava giusto aprendola con foga quando con la coda dell'occhio intravide una confezione azzurra.
Stranito, la prese in mano: aveva tutta l'aria di un medicinale. Probabilmente era la pillola: la prendeva davvero, dopotutto. L'unica cosa vera che gli avesse detto.
 Andò avanti a tormentare la bottiglietta fino a quando si accorse che recava una scritta, e poi nella sua testa si formò un pensiero nuovo, inquietante, un pensiero che gli aprì davanti un mondo come uno squarcio netto sul ventre.
Un drogato non avrebbe mai messo delle pastiglie, e in una simile quantità per giunta, in una bottiglietta che era alla portata di tutti e che poteva essere rubata o scoperta in qualsiasi momento, figurarsi addirittura a scuola.
E fu un attimo dopo che si accorse, iniziando a sudare freddo e avvertendo un brivido quasi doloroso sul torso, che la confezione azzurra non parlava di prevenzione anticoncezionale.
La confezione recava la scritta Lamictal.
E la bottiglietta marrone invece era piena di qualche cosa che si chiamava Zyprexa.
Le guardò attentamente, con il cuore a mille, sentendo un calore affannoso salirgli al collo, sperando di trovare qualche indicazione; ma le etichette non dicevano nulla al riguardo del disturbo che curavano; elencavano gli ingredienti, ma lui non era in grado di riconoscerli.
Sentì che qualcuno si stava avvicinando e, con le mani che tremavano e il cuore che gli batteva furiosamente fin dentro alle orecchie, gettò tutti gli oggetti alla rinfusa nello zaino di Bianca.

Si precipitò nell'aula computer. Ne accese uno nervosamente, dondolando le gambe in modo frenetico per l'agitazione, gli sussurrò di sbrigarsi, sbrigarsi, sbrigarsi, si morse l'interno delle guance, si mordicchiò le dita, ma alla fine riuscì ad aprire Google.
Digitò “Zyprexa”.
Mentre si aprivano i link, gli sembrò di impazzire, sebbene si fosse trattato di una frazione di secondo. Quando finalmente si aprì la pagina, lo stomaco gli si attorcigliò.

    1.    Olanzapina - Wikipedia 
    1.    Olanzapina (in commercio in Italia come Zyprexa e nella forma ... Detailed Zyprexa Consumer Information: Uses, Precautions, Side Effects - da medlibrary.org ...
    2.    Farmacologia - Farmacocinetica - Metabolismo - Effetti collaterali
    3.    it.wikipedia.org/wiki/Olanzapina - Copia cache - Simili
    1.    ZYPREXA 5 mg 
    4.    Lattosio: le compresse di Zyprexa contengono lattosio.Frequentemente sono stati osservati aumenti transitori ed asintomatici delle transaminasi epatiche, ...
www.torrinomedica.it/.../ZYPREXA_5_mg.asp - Copia cache - Simili
    1.    È Scoppiato il Caso «Zyprexa Uccide» - La Leva di Archimede (IT) 
    5.    Il caso Zyprexa è scoppiato grazie a Jim Gottstein: un avvocato, sopravvissuto alla psichiatria, nonchè fondatore del sito PsychRights. ...
www.laleva.org/.../e_scoppiato_il_caso_zyprexa_uccide.html - Copia cache - Simili
    1.    Il caso Zyprexa - La Leva di Archimede (IT) 
    6.    Questa volta è il turno dello Zyprexa, uno psicofarmaco neurolettico molto utilizzato in psichiatria, spesso spacciato per un farmaco «miracoloso» con pochi ...
www.laleva.org/it/2007/06/il_caso_zyprexa.html - Copia cache
    1.    Zyprexa : Forum alFemminile 
    7.    30 mag 2007 ... Zyprexa. Volevo sapere se voi o qualcuno che conoscete lo usa e come si trova con questo farmaco. Grazie -Io l\'ho preso per poco.. -Prendo zyprexa ma non è ...
forum.alfemminile.com/.../__f10_f485-Zyprexa.html - Copia cache - Simili
    8.    Zyprexa noooooooooo‎ - 15 giu 2009
Zyprexa aiuto‎ - 18 gen 2009
    9.    Altri risultati in forum.alfemminile.com »
Ma alla fine, quando ormai si stava rassegnando a cercare 'olanzapina', vide un link che conteneva una parola che gli stritolò lo stomaco in una morsa che gli si sciolse solo parecchie ore dopo.

    1.    Zyprexa, INN-olanzapine 
    1.    Formato file: PDF/Adobe Acrobat - Visualizzazione rapida
Zyprexa è un farmaco contenente il principio attivo olanzapina. ... Zyprexa è indicato per il trattamento degli adulti affetti da schizofrenia. ...
Gli mancò il respiro. Cercò di calmarsi, passò al link successivo.

    1.    Zyprexa - Farmaci - Salute - Attualità 
    1.    Questi fantomatici farmaci, droghe in tutto e per tutto, che arrivano a sedare per anche 42 ore di file (zyprexa 10 mg) sono il miglior ritrovato in fatto ...
www.wikio.it/salute/farmaci/zyprexa - Copia cache - Simili
La confusione gli invase la mente. Adesso si parlava di droga. Quindi Bianca usava questo farmaco come un eccitante? Allora era davvero una tossicodipendente? Non sarebbe stata certo la prima ragazza a farsi di Prozac o di Valium in alternativa alle amfetamine o all'eroina.
Ma poi la ragione urlò: come avrebbe potuto procurarsi farmaci tanto pesanti senza ricetta? Le compresse erano nella loro scatola, acquistata in farmacia. Non le erano state vendute sfuse da un pusher.
Andò avanti, disperato, alla ricerca di qualche informazione in più.

    1.    The Official ZYPREXA® (Olanzapine) Site 
    1.     - [ Traduci questa pagina ]
    2.    Includes information for patients with schizophrenia.
www.zyprexa.com/ - Simili
Saltò alcuni post nei forum di utenti che parlavano della loro esperienza e alcuni link di conferenze che non gli servivano. Andò avanti, in cerca di chiarimenti.
Prevalentemente, trovava la parola 'schizofrenia' associata a quel farmaco.
Ma poi gli si presentò davanti un link in inglese che introduceva una parola nuova.

    1.    Zyprexa Information from Drugs.com 
    1.     - [ Traduci questa pagina ]
    2.    3 Sep 2009 ... Zyprexa (olanzapine) is used to treat the symptoms of psychotic conditions such as schizophrenia and bipolar disorder. Includes Zyprexa side ...
Disturbo bipolare.
Quella parola iniziò a comparire più spesso nei link forniti da google.

    1.    [PDF]
    1.    See full prescribing information for complete boxed warning. 
    2.     - [ Traduci questa pagina ]
    3.    Formato file: PDF/Adobe Acrobat - Visualizzazione rapida
ZYPREXA IntraMuscular is indicated for the treatment of acute agitation associated with Schizophrenia and Bipolar I Mania. ...

    1.    Zyprexa Reduces Symptoms Of Mania, Severe Depression In Bipolar ... 
    1.     - [ Traduci questa pagina ]
    2.    s antipsychotic medication Zyprexa(R) (olanzapine) improved the symptoms of mania in patients with bipolar disorder. Moreover, these benefits were seen ...

    1.    Zyprexa Medication Profile - Olanzapine - atypical antipsychotic drug 
    1.     - [ Traduci questa pagina ]
    2.    Zyprexa - generic Olanzapine - is an atypical antipsychotic medication used to treat schizophrenia - bipolar disorder - also Alzheimer's.
Andò avanti ancora per un po', ma le parole che ricorrevano più frequentemente erano 'schizofrenia' e 'disturbo bipolare'.
Non potendo crederci, decise di non dare adito a simili teorie, non subito, non prima di essere assolutamente certo che si trattasse di quello. Decise di cercare l'altro farmaco, cercando assurdamente di convincersi che il Lamictal avrebbe sfatato quelle teorie, avrebbe dimostrato che il problema era tutto un altro.
Ma sapeva d'illudersi.

    1.    LAMICTAL - LAMICTAL ODT - Medicine for Certain Types of Seizures 
    1.     - [ Traduci questa pagina ]
    2.    LAMICTAL is a prescription medication for epilepsy and for maintenance treatment of bipolar I disorder. Visit LAMICTAL.com for more information.
Questo fu il primo link sufficientemente esauriente che trovò. La parola 'bipolare' ricorreva. Ma decise di proseguire, sperando di trovare qualcosa, qualsiasi cosa, che gli confermasse che non era così, che era solo droga, che si poteva risolvere.

    1.    Lamictal patient advice including side effects 
    1.     - [ Traduci questa pagina ]
    2.    Lamictal information from Drugs.com. Lamictal is prescribed to control seizures in people with epilepsy. It is also used to control a serious form of ...
www.drugs.com/pdr/lamictal.html - Copia cache - Simili
L'epilessia era un po' meglio. L'epilessia poteva starci. Ma quella frase abbozzata lo chiamava come il canto delle sirene, e, sebbene sentisse l'ansia divorarlo da dentro al pensiero di ritrovare quella parola maledetta, aprì quel link e lesse la pagina.
“It is also used to control a serious form of epilepsy known as Lennox-Gastaut syndrome. Lamictal is used in combination with other antiepileptic medications or as a replacement for a medication such as carbamazepine, phenytoin, phenobarbital, primidone, or valproate.”
Questo era già meglio. Non sapeva cosa fosse la sindrome di Lennox-Gastaut, ma almeno era qualcos'altro. Andò avanti con la lettura, vorace, per saperne di più, di questa sindrome che, aveva deciso, aveva affetto Bianca e che sicuramente era qualcosa di gestibile.
“In addition, Lamictal is used to help prevent the manic and/or depressive phases of bipolar disorder.”
Si sentì il cuore scendere nell'intestino con un tonfo sordo, stridendogli contro le viscere.
Tornò indietro, mente sentiva le dita diventare gelide. Fece per cliccare sulla seconda pagina dei risultati, ma Google gli mostrò le parole con cui più spesso il Lamictal veniva associato.
“lamictal bipolar” era il primo nell'ordine.
Andò avanti; tutto ciò che trovò, per la seconda pagina, fu qualche informazione sul fatto che, come l'altro farmaco, era una droga usata come stabilizzatore dell'umore in persone affette da disturbi di ordine psichiatrico.
Principalmente, notò Emanuele, tentando di ignorare i crampi allo stomaco, ci si riferiva a pazienti che soffrivano di bipolare o di epilessia; in particolare, veniva combinato ad altri farmaci per combattere il primo. A volte veniva indicato come trattamento per entrambi i disturbi, a volte invece si menzionava solo il disturbo bipolare.
Emanuele chiuse la finestra, si coprì il volto con le mani, si abbandonò sulla sedia.
Tentò di ragionare lucidamente.
Le possibilità erano tre: schizofrenia, disturbo bipolare ed epilessia.
Ma Bianca non sembrava epilettica. Non aveva mai avuto crisi epilettiche. Quanto alla schizofrenia, era un po' più probabile, ma c'era da considerare una cosa: questi due disturbi non venivano mai associati da soli ai farmaci che aveva trovato nel suo zaino.
Il bipolare veniva associato anche da solo allo Zyprexa e al Lamictal, ma la schizofrenia e l'epilessia, per quanto riguardava quei due farmaci, venivano menzionate solo in coppia con il bipolare.
Inoltre, il bipolare era una costante di entrambe le ricerche; lo Zyprexa non includeva il trattamento dell'epilessia, e il Lamictal non prevedeva la cura della schizofrenia.
Chiuse gli occhi, prese un respiro e ritornò a Internet. Stavolta non sentiva più alcuna fretta di avere i risultati, mentre Google elaborava una ricerca per “disturbo bipolare”. *

Quel giorno non aveva altre ore. Lo considerò una fortuna, perché non ce l'avrebbe fatta a mettere in piedi una qualsivoglia spiegazione.
Era quindi corso verso l'uscita senza guardare in faccia nessuno, senza salutare, per paura di vederla; per paura che vedessero lui. Una nausea insistente lo tormentava. Inspirò a fondo l'aria di aprile, ma non gli servì; la nausea gli era penetrata dentro fino in fondo, gli si era attaccata addosso, non intendeva lasciarlo. E mentre tentava di calmare il pulsare della testa e il battito furioso del cuore, pensò che Bianca gli aveva lanciato un sortilegio, che l'aveva maledetto, perché anche quando non c'era gli entrava dentro a viva forza impedendogli di camminare, respirare, guardare dritto davanti a sé.
Salì sul treno sentendosi addosso centinaia di chili, sentendosi come se fosse stato fatto di gesso; fastidiosamente rigido e al contempo terribilmente fragile. Non era quello il modo di lavorare, considerò. Non poteva farcela, non andando avanti così.
Nonostante tutto, in treno si addormentò pesantemente; le emozioni di quella giornata l'avevano stravolto, e, momentaneamente, liberò la mente dalla preoccupazione. Si svegliò poco prima della sua fermata. Si svegliava sempre poco prima della sua fermata: per lui quel tragitto in treno era un'abitudine tanto consolidata che il suo orologio biologico aveva finito per adattarcisi. Lo trovava atroce. Gli permetteva di scendere sempre alla sua fermata senza rischiare di ritrovarsi a Rovigo, certo; ma lo trovava lo stesso una cosa atroce.
Quando fu a casa, si tolse con calma la giacca e la sciarpa, sfilò le scarpe, le mise nella scarpiera e infine si gettò pesantemente sul divano. Non pensò a nulla. Guardò le foto di lui e Camilla sparse per la casa, guardò i loro libri, i loro fumetti. Gengis lo raggiunse scodinzolando e gli zampettò pietosamente sulla pancia. Gli diede una carezza lenta, distratta; era immerso nel vuoto della sua mente e non intendeva uscirne.
Rimase a lungo così, sfiorando il cane senza davvero registrare la sua presenza, fissando insistentemente il volto di Camilla nella carta stampata. Guardò la loro casa così bella, progettata proprio come l'avevano voluta loro – anche se era lontana dal centro, anche se a entrambi toccava prendere il treno per andare al lavoro.
Camilla tornò poco più di un'ora dopo, intorno alle due e mezza. Sapeva che lui era già a casa, ma non suonò il campanello; non lo suonava mai, per non disturbarlo, perché non dovesse alzarsi per aprirle la porta. Entrò silenziosamente, si pulì le scarpe sullo zerbino, abbandonò la borsetta di fianco all'uscio. Emanuele udì un sospiro fatto a bassa voce. Si alzò sui gomiti e la guardò.
-Ciao – disse lei, con un sorriso.
-Ciao – rispose, tentando anche lui di accennarne uno.
-Tutto bene?
-Più o meno. Tu?
-Più o meno.
I loro dialoghi, ultimamente, si svolgevano più o meno così. E la cosa più brutta era che non si chiamavano. Né “Ema”, né “Lele”, né “amore”. Si parlavano e basta, nel limite degli argomenti sicuri.
-Hai sospirato – precisò Emanuele, seguendola con lo sguardo mentre portava scarpe e giubbotto al loro posto.
-Sono solo un po' stanca – disse dolcemente Camilla, poi si diresse verso la cucina. - Hai già mangiato?
-No, non ancora. Scusa, non ho preparato nulla.
-Nessun problema – fece lei, ma la sua voce era così stanca che non poté non raggiungerla in cucina. Incrociò le braccia sullo stipite.
-Parlamene, se c'è un problema – la incitò.
Lei continuò a concentrare la sua attenzione sulla pentola piena d'acqua e sul fornello.
-Vuoi parlarmene...? - ritentò.
Camilla prese un lungo respiro, poi si voltò verso di lui.
-La Milanesi oggi era un po' di cattivo umore, e si è rivolta a me in modo molto poco gentile. Tutto qui. Niente di inusuale, è solo che non pensavo che potesse essere così sgradevole.
Annuì e guardò verso il pavimento. Lasciò che fosse Camilla a riprendere la conversazione.
-E tu, invece? Anche tu mi sembri piuttosto provato.
-Sì. Credo che Bianca sia bipolare – snocciolò con voce ferma; non era più disposto a lasciarsi intimidire dalle pretese e dai capricci della sua fidanzata. Ne conseguiva che non aveva più paura di parlare di Bianca e degli sconvolgimenti che gli causava, se ne sentiva il bisogno.
Camilla, comunque, tacque. Si mise a lavare i piatti della sera prima e non alzò nemmeno gli occhi verso di lui. Emanuele lo prese come un atteggiamento di rifiuto.
-Mi sembra costruttivo, questo tuo fare – sibilò; all'improvviso sentì montargli dentro una rabbia e un nervoso che sembravano portarsi dietro tutte le preoccupazioni e le tensioni provate negli ultimi mesi – davvero da persona matura, complimenti. Una ragazzina viene picchiata e molestata dai suoi genitori, non riesce ad avere relazioni che non siano sessuali, ha un disturbo mentale debilitante che potrebbe compromettere la sua vita per sempre, ma non parliamone, non menzioniamola, è infinitamente più importante che conserviamo questa finta cortesia da salotto settecentesco! Grande. È proprio così che mi immaginavo il mio matrimonio, grazie, Camilla!
Fu soltanto dopo averlo detto, dopo aver sfogato quella che ora riconosceva come l'agitazione data dalle scoperte di quel giorno, che scoprì che non ce l'aveva con Camilla. Non ce l'aveva con nessuno. Ce l'aveva soltanto con la vita che gli aveva rovinato tutti i piani, la sua opinione di se stesso, la sua relazione più importante e in generale la tranquillità che si era costruito faticosamente negli anni.
-Scusa – sussurrò subito dopo, inorridito, portandosi una mano davanti alla bocca come per impedire che ne uscissero altre nefandezze – mi dispiace.
Ma Camilla taceva. Non osò sollevare lo sguardo su di lei finché non si accorse che, nonostante trafficasse animatamente con le pentole, nonostante strofinasse la spugna con l'energia di un'indemoniata, nonostante non si voltasse nemmeno verso di lui, era perché stava piangendo. Da dietro le spalle, in silenzio, cercando di non farsi vedere.
-Mi dispiace – ripeté, con voce tremula, ma un muro si era creato e non bastava scusarsi per abbatterlo. E non sarebbero nemmeno bastate le chiacchierate, e gli abbracci affettuosi, e il sesso, e le cose fatte assieme.
Niente avrebbe cancellato la macchia tra loro due, soltanto il tempo avrebbe potuto appena farla sbiadire.
Si sentì schiacciato dalla sua stessa impotenza.
-Io – mormorò lei, tra le lacrime – non volevo dire niente del genere. È solo che... non sapevo... cosa dire. - Singhiozzò. - Sembrava volessi sfidarmi. Io non ce l'ho con Bianca, lo sai, Ema, e odio queste buone maniere che non mi vogliono dire niente, così come le odi tu. Il fatto è che mi sento sempre in colpa verso di te.
-Cristo, non devi – esclamò tristemente, correndo ad abbracciarla. - Non volevo farti sentire in colpa. Volevo solo spiegarmi, volevo solo poter parlare liberamente. Sono io che mi sento in colpa per non aver saputo farti sentire amata. Per favore, smettiamola qui – la implorò. Lei si nascose sul suo petto.
-Lo sai che non sarà uguale – sentì la sua voce attutita arrivargli dalle pieghe della camicia. Le accarezzò i capelli, come aveva fatto Cappelletto con Bianca.
-Non sarà uguale subito – affermò, deciso – ma lo sarà presto. Chiaro che non possiamo far finta di niente. Ma proprio per questo non possiamo continuare a fare dei sorrisini ipocriti. D'ora in poi, promettiamo di parlarci qualunque cosa accada.
-Te lo prometto – Camilla scoppiò in lacrime di sollievo, e si strinse forte a lui.
Non era la prima volta che si riproponevano qualcosa del genere, ma era la prima volta che sentiva che avrebbero dovuto farlo, se non volevano perdere tutto.
Ora che il segreto di Bianca era stato svelato, Emanuele aveva addosso una curiosa sensazione di fine. Sentiva che da adesso potevano davvero ricominciare.

Il giorno dopo, andrò subito a parlare con la preside, prima ancora di entrare in aula.
Lei lo accolse con un sorriso; stava rigirandosi tra le mani una collana che costava come un anno degli stipendi di Emanuele. Molti colleghi parlavano male di lei, definendola una 'borghese piena di soldi e di boria'. Ma non era vero. Per quanto lo riguardava, aveva tanto denaro quanta intelligenza.
-Buongiorno – lo salutò gentilmente, indicandogli la sedia. Lui si affrettò ad accomodarsi. - Così mattiniero. È successo qualcosa?
-Non è propriamente successo – incominciò – ma volevo chiederle una cosa. Ho bisogno di saperlo.
-D'accordo – fece lei, calma – riguarda Bianca, vero?
-Già – ammise – riguarda lei. Mi dica la verità, la prego. Bianca è bipolare?
Giovanna prese un bel respiro, fece un sorriso amaro. Infine lo guardò negli occhi.
-Te l'ha detto lei? - gli chiese. Emanuele arrossì.
-No, non me l'ha detto lei. Ma un giorno ho visto delle medicine che sporgevano dal suo zaino, e mi sono preoccupato. Non sono riuscito a non curiosare. Ho cercato su Google cosa fossero; mi ha dato vari risultati, ma quella del bipolare era l'ipotesi più probabile. Risponde perfettamente a tutti i criteri, preside.
La guardò supplichevole. Lei si sistemò la collana attorno al collo, sospirò ancora e abbassò lo sguardo.
-Sì, è bipolare – confermò infine.
A Emanuele parve di sentir scoppiare una bomba in lontananza. E una dentro di sé, così vicino che per un attimo ci vide buio.
Cercarla in Internet era un conto. Era una scommessa.
Sentirselo dire da qualcuno che sapeva, però, metteva fine ad ogni speranza. Era davvero così.
-Quindi... - riprese, con voce e mani tremanti – quindi è per questo che è assente così spesso?
-Proprio così. È stata anche ricoverata in ospedale. Stando a quanto mi raccontano i tuoi colleghi, non manca molto prima che ce la riportino di nuovo.
-Ma perché non ci avete mai detto niente?!
-Una richiesta esplicita della famiglia – mormorò Giovanna, con evidente perplessità – non chiedermi il perché. Forse si vergognavano a farlo sapere al corpo docenti, forse volevano negare il problema anche davanti a se stessi; come saprai, finché non dici una cosa chiaramente puoi sempre far finta che non sia vera.
-Lo so bene – disse piano, e lo sapeva davvero.
-Questo è quanto. Mi hanno chiesto di promuoverla comunque nonostante le assenze, e io ho replicato che Bianca recuperava sempre alla perfezione la parte di programma a cui non aveva assistito, quindi non c'era problema. Ho promesso loro di mantenere il riserbo, nonostante a volte mi risultasse impossibile e assurdo. Mi creda; avrei voluto informarvene. Ma loro insistevano col dire che doveva essere trattata come tutti gli altri, e io, un po' per giustificarli e giustificare me stessa, mi sono aggrappata a questa teoria. Ma mi rendo conto che non si può andare avanti così. - Si tolse lentamente gli occhiali, li osservò come se contenessero delle risposte. - Ultimamente è molto peggiorata. Ha allucinazioni, vuoti di memoria, sbalzi d'umore a ciclo ultrarapido. Prima queste cose non succedevano. Non capisco cosa l'abbia sconvolta fino a questo punto.
-Crede che ci sia qualcosa, dietro ai suoi cambi d'umore?
-Sicuramente sì. Ma il bipolare si autoalimenta. Alcune teorie sostengono che il periodo maniacale sia una sorta di ripresa di potere da parte dell'io, che recupera le energie e l'allegria perdute. È anche vero che alle fasi maniacali seguono quelle depressive, poiché l'eccessivo dispendio di forze porta alla prostrazione del fisico e della mente. Ciò che le accade ha sicuramente un'influenza sulle fluttuazioni del suo umore, ma spesso è totalmente ininfluente.
-Si è informata molto.
-Ho dovuto.
-Ma è possibile che... qualcosa aiuti l'insorgere di una fase?
-Certo, è possibile. Benché sia la pazzia a dettar legge, incurante dello stato d'animo della persona, l'ambiente esterno contribuisce senza dubbio ad alimentare le oscillazioni. Senza dubbio, se Bianca ha pensieri negativi la fase depressiva sarà decisamente più pesante.
-Quindi... i pensieri negativi potrebbero averla portata a ciò che è adesso...?
-A sentire gli psichiatri che la seguono, a contribuire molto sono l'abuso di alcool da parte di Bianca e una certa refrattarietà alle cure. Quand'è nel periodo maniacale, com'è tipico, pensa di non aver bisogno di nulla, di stare a meraviglia. Credo l'abbia notato anche lei, no? A volte sembra che sia estasiata di fronte al mondo, è vivace, scherzosa, ottimista, non sta calma un momento... e magari qualche giorno dopo si rifiuta di alzarsi dal letto.
-Ma adesso non ci sono più distanze di mesi, preside. Adesso succede da un momento all'altro.
-Ed è esattamente questo a preoccuparci; una volta era sotto controllo, ma il fatto che abbia dato segni di psicosi è assolutamente allarmante, significa che sta avvicinandosi alla perdita delle proprie facoltà mentali.
Emanuele rabbrividì.
-Ma da quando? - esclamò, agitato - Da quando ha questa malattia?
-La madre dice, da quando ha dodici anni. Non si sa cos'abbia scatenato il disturbo.
-Ho letto che esiste in effetti un evento scatenante – osservò Emanuele – qualcosa che l'ha, come posso dire... acceso.
-Hai usato un vocabolo appropriato. Il disturbo c'era, ma dormiva, non l'aveva ancora afferrata. Qualcosa l'ha acceso, ma noi non sappiamo che cosa. Nemmeno i genitori. Non l'ha mai confidato a nessuno degli specialisti che l'hanno seguita.
-Dodici anni...? - sussurrò Emanuele.
-Sì. Perché, le dice qualcosa?
In quel momento, mentre lui si sentiva una colata di lava riversarglisi nelle viscere, ricordò alcune parole, sentite in un colloquio tanti mesi prima.
Beh, Bianca ha iniziato a fare un po' la stupidina quando aveva dodici anni. Magliettine scollate, poi voleva tenere i capelli lunghi e stava sempre lì a spazzolarseli, poi le è venuta la mania di truccarsi... sa, è l'età.
Dodici anni. Sbarrò gli occhi, la preside lo guardò confusa, ma lui riuscì solo a boccheggiare. I ricordi riaffiorarono.
E lo fecero graffiando come artigli d'acciaio.

Avevo dodici anni. Mi ha infilato la mano dentro i pantaloni, e poi dentro le mutande.

Iniziò a battere i denti, pietrificato. Il suo sguardo fisso nel vuoto preoccupò Giovanna, che gli toccò la mano delicatamente.
-Emanuele? Tutto a posto?
-No – mormorò – no. Io... no.
Quindi era stato quello. Era stato quello a svegliare la pazzia addormentata profondamente dentro Bianca, ed era stato da quel momento che lei aveva intrapreso quel cammino che l'aveva poi portata ad essere la ragazza più scandalosa ed isolata della scuola.
-Che cosa succede, Emanuele?
Quindi era stato suo padre a renderla quello che era. A farla impazzire, e a farla diventare la puttanella dell'istituto. Era stato lui a dare il via a tutto, e non aveva mai fatto altro che alimentare quel fuoco che stava bruciando Bianca da dentro, lasciando sempre più cenere sotto di lei, finché non sarebbe sparita definitivamente sotto strati e strati di incoscienza.
-Io credo... credo di aver... - “credo di aver capito tutto”, avrebbe voluto dire. Ma non poteva. Se Bianca non voleva parlarne, non l'avrebbe fatto nemmeno lui. - Io credo di aver bisogno di un po' d'acqua. Mi permetta.
-Certo.
Tirò fuori una bottiglietta dalla ventiquattrore. Bevve diverse sorsate. Si mise una mano sulla fronte accaldata.
-Immagino che sia shockante – commentò Giovanna – scoprire che una ragazza così giovane sia passata attraverso sofferenze che noi non potremo mai nemmeno immaginare. È stato un brutto colpo anche per me, mi creda.
-Non è giusto – sussurrò.
-No, non è giusto. Il suo modo di fare, oltretutto, la distanzia dai suoi compagni. Ma io non posso dire loro: ragazzi, non ha potere su questo, non ha il controllo di sé stessa. Non lo posso fare.
Notò negli occhi della preside una tristezza che lo scosse molto. Lei, sempre così posata, così lucida di fronte ad ogni evenienza. Non l'aveva mai vista tanto toccata da qualcuno o qualcosa.
-Guarirà? - le chiese, con una voce incerta e sperduta che non riuscì in nessun modo ad impostare come quella di un adulto.
-No, non guarirà – asserì Giovanna, amareggiata – qualunque cosa l'abbia portata a questo, lei non potrà tornare indietro. Può fermarsi qui, al massimo; può tenere sotto controllo la sua malattia, può attutirne gli effetti, se prende i farmaci, ma non guarirà. Se devo dirle la verità, non credo nemmeno che migliorerà. È troppo tardi e il bipolare invade la mente come un esercito armato. Puoi solo cercare di sopravvivere vagando tra le rovine.
Emanuele sentì diversi impulsi prendere possesso di lui tutti insieme. L'impulso di piangere, quello di spaccare a pugni la faccia di quell'uomo, quello di strapparsi i capelli e urlare, quello di abbracciare Bianca.
Forse era così che lei si sentiva tutto il tempo.
Strinse i denti.
-La ringrazio – disse alla preside – mi scusi il disturbo. Non ne parlerò con i miei colleghi.
-Grazie, Emanuele. Cerchi soltanto di vederla come una ragazza normale. Ne ha bisogno.
Le sorrise tristemente; ma le sorrise, perché lo meritava, perché aveva capito senza nemmeno dirglielo che lui aveva bisogno di sentirsi dire cosa fare.
Lei lo salutò con lo stesso sorriso appannato.

Ormai mancava meno di una settimana al suo matrimonio, e in classe qualcuno aveva disegnato i due sposini alla lavagna, premurandosi di colorare i suoi capelli interamente di bianco. Non riuscì a risalire all'autore dell'opera.
Notò che Bianca si stava trattenendo in corridoio, vicino all'ascensore, con un tizio. Uno nuovo. Le andò vicino.
-Ehi, è ora di entrare – le disse; lei lo guardò, le si illuminò lo sguardo e smise di ascoltare il suo interlocutore.
-Certo! Arrivo subito, prof. Ci vediamo, Zampi.
Gli si fece di fianco; sembrava felice. Lo guardò, con quell'espressione gioiosa che la caratterizzava nei suoi momenti buoni, e che, ora lo sapeva, probabilmente non corrispondeva a reale allegria. Forse era finta. Forse non era Bianca a sorridere.
Chissà quando era lei ad avere il controllo sul suo sorriso, chissà quanto tempo le lasciava la malattia per esprimere sé stessa, e non quella versione esagerata di Bianca in cui il bipolare la trasformava.
-Come sta, prof? Manca poco al gran giorno, eh?
-Già. Ma non vorrei parlarne, se non ti spiace.
-Che c'è? Si preoccupa per me? Stia tranquillo, se non l'avessi accettato non gliel'accennerei. Non deve trattenersi in classe per paura che io ci stia male.
-Io non mi...
-Sì, prof, lo fa. Mi lancia delle occhiate ansiose talmente poco sottili che mi sorprende come mai nessuno si sia ancora accorto che lei scruta la mia espressione ogni volta che parla della sua ragazza.
-Non hanno motivo di farci caso.
-O forse non sono abbastanza acuti, prof. Anche se in effetti, senza offesa, ma lei proprio non ha il dono dell'imperscrutabilità... le sconsiglio fortemente una carriera da ninja.
-Non credo comunque che avrei deviato tanto dalla carriera che ho già, comunque grazie del consiglio, Bianca. Su, vai in classe.
-E lei?
-E io arrivo tra due minuti, ho bisogno di un caffè. A proposito, più tardi vorrei parlarti.
-Volentieri, prof. Quando?
-Alla fine della sesta ora, se hai tempo. Ti offro una pastasciutta riscaldata al Fly.
-Wow, prof, grazie. Se voleva un appuntamento galante, però, poteva almeno portarmi in un ristorantino carino dall'atmosfera intima, suvvia...
-Sparisci – la ammonì; e quello pose la parola 'fine' alla conversazione. Lei si allontanò sorridendo e salutandolo con la mano.
E mentre inseriva i trentacinque centesimi nella macchinetta e pigiava “espresso lungo”, si chiese se durante quel tempo avesse parlato con Bianca, la vera Bianca che aveva iniziato ad andarsene quattro anni prima, o con la pazzia che si stava lentamente impadronendo di lei.
Il pensiero lo inquietava così tanto che decise di lasciar perdere il caffè. I suoi muscoli e i nervi erano già fin troppo tesi.

La lezione passò tranquillamente; Bianca non seguì una sola parola, era troppo impegnata a disegnare un ritratto a penna di Valeria che, Emanuele notò di sfuggita, era anche piuttosto ben fatto. A fine lezione glielo consegnò raggiante, le diede un bacio sulla guancia e le disse di non buttarlo via. Valeria, spiazzata, lo prese in mano e guardò prima lei, poi il disegno, poi di nuovo lei, poi di nuovo il disegno, infine arrossì e lo mise in una busta che aveva nel raccoglitore.
-Cosa si dice? - la riprese bonariamente Benetazzo.
-Fatti gli affari tuoi – fu la dolce risposta; ma Benetazzo sorrise pacificamente e le arruffò i capelli con la sua enorme mano. - Dai, smettila, coglione, che mi tiri i capelli con quelle cazzo di borchie.
-Si dice grazie, signorina. E se vuoi che smetta, si dice...?
-”Guarda che ti spacco la faccia”.
-Ma no, scemotta, si dice per favore.
-Che bella coppietta che siete – squittì Bianca – così... neri.
-Non ripeterlo se ci tieni alla vita.
-E invece ripetilo, che suono delizioso!
-Guarda che ti strozzo con quella catena che porti attaccata alla cintura.
-Wow, Valeria, ti piace il sadomaso? Non ti facevo così porcellina – cinguettò Bianca.
Valeria sbatté la testa sul banco, Benetazzo, che ormai aveva fatto l'abitudine a certe battute, rispose con un “magari!” estasiato.
Sembrava tutto ok.
Sì, sembrava che tutto andasse bene, ogni volta... fino a che, ogni volta, andava puntualmente a finire male.

Ma Emanuele si sbagliava, perché quel giorno Bianca non si perse mai d'animo. Fu quasi impossibile tenerla a bada, anche se ora, quantomeno, concentrava le avances sessuali solo su Cappelletto e Valeria; ma preferiva vederla così piuttosto che catatonica. Anche se, e lo sapeva, le due situazioni erano da considerarsi pari.
La recuperò al portone ed assieme attraversarono la strada, dirigendosi verso la tavola calda nella galleria di fronte alla scuola. Si sedettero in un angolo un po' appartato; Emanuele voleva assicurarsi di poterle parlare con calma.
-Che bello, a pranzo col prof – cantilenò Bianca; sembrava che la cosa la rendesse davvero felice. Probabilmente quella gioia era vera. La pazzia non era in grado di crearla.
Emanuele le sorrise, ma non disse nulla, perché non sapeva come introdurre il discorso. Lasciò che fosse lei a condurre la conversazione.
-Quindi, prof? Ho come idea che lei voglia tirare in ballo qualcosa di serio, ma stavolta sono pulita, ne sono sicura. Non mi sono più fatta trovare in bagno con nessuno e ho tenuto rigorosamente bocca e gambe chiuse. Stavolta non mi può rimproverare – dichiarò orgogliosa. Emanuele la guardò divertito. - Che c'è, prof? Cos'è quella faccia? Mi sta prendendo in giro?
Lo guardò con aria ammonitrice.
-No, non ti prendo in giro. Volevo solo chiederti una cosa.
-Mi dica.
-Stai bene?
Bianca sembrò spiazzata. Spalancò gli occhi, batté più volte le ciglia, aprì e richiuse la bocca, e infine rispose, confusa:
-Beh... direi di sì. Sono piuttosto in forma. Come mai?
-Sei sicura di stare bene? Nel senso, è tutto ok? Non c'è niente di strano?
Ricordò le volte in cui lei aveva detto che se le cose andavano troppo bene, significava che in realtà non andavano bene per niente. Quando gli diceva che presto, sicuramente, sarebbero andate male.
Non era pessimismo. Era solo consapevolezza di quello che la sua malattia comportava.
Così tanti tasselli che andavano al proprio posto.
-Di strano? Del tipo?
Si rese conto che Bianca aveva sempre evitato accuratamente di rispondergli. E che gliel'aveva suggerito più volte, accennandolo appena, ma non gliel'aveva mai detto.
I tasselli che si riunivano stavano formando un'immagine cupa e densa di tristezza.
-Tu non ti droghi – affermò, di punto in bianco.
-Eh, no che non mi drogo. Si è convinto, prof, finalmente?
-Sì, ne ho la certezza. Quelle pastiglie non erano ecstasy o roba del genere, e tu non vedevi gli scoppi delle bombe per via degli allucinogeni. Tu non ti droghi.
-No – mormorò Bianca, che però era impallidita, e sembrava piuttosto agitata. Continuava a far dondolare la gamba accavallata a ritmi velocissimi, e si morse le labbra.
-No – ripeté Emanuele – tu mi hai detto la verità, da un lato, ma hai omesso diverse cose.
-Io non...
-Non serve che tu me lo dica, Bianca. Lo so. Ma voglio sapere perché me l'hai tenuto nascosto.
Lei prese un respiro tremolante, a bocca aperta. Guardava il tavolino.
-Non volevo tenerglielo nascosto – disse, a voce bassissima – io credo... di aver voluto che lei lo capisse. Solo, non volevo dirglielo.
-Non potevo, Bianca. Non ne avevo gli strumenti. Non so niente di psichiatria.
-Non volevo dirle che... sono pazza – la voce le si spense nell'ultima parola, e il suo viso si fece tanto triste e vergognoso che Emanuele allungò una mano verso di lei. Bianca posò la sua, piccola ed esile, nel suo palmo infinitamente più grande. La strinse con delicatezza.
Dentro di lui stava pensando: non ci sono più scappatoie. Me l'ha detto lei. È tutto vero.
Quella che gli si prospettava di fronte aveva tutta l'aria di un'altra battaglia da combattere; non contro qualcuno, ma contro una terra impervia per la mera sopravvivenza.
Doveva essere forte anche per chi non lo era.
-Non lo sei, infatti. Non lo sei per niente. Hai risultati formidabili, Bianca, hai capacità incredibili. Non puoi essere pazza.
Lei lo guardò, sconsolata.
-Spesso è la mania a darmi le energie per fare e memorizzare tutte quelle cose. Me l'hanno detto i dottori. Quando sto dietro a troppe cose, a un livello in cui una persona normale inizierebbe a dar segni di stress, allora vuol dire che c'è sotto la pazzia. Niente di quello che faccio è vero.
-No – protestò Emanuele, che pure avrebbe avuto bisogno che fosse Bianca a gridare quel “no” – la mania forse ti dà l'energia. Ma il cervello è il tuo, e su questo non c'è dubbio. Tutte quelle cose intelligenti che scrivi nei temi, le tue conoscenze su così tante materie. I pazzi di solito sono soltanto pazzi. Ma tu hai qualcosa dentro che non può essere soffocato. E forse le fasi maniacali l'amplificano, ma se l'amplificano è soltanto perché c'è una base, ed è una base brillante, Bianca, cazzo, lo so meglio di chiunque altro.
-Prof – lei scosse la testa, con amarezza – sa quanti bipolari sono stati considerati dei geni? Dante, Pirandello, Virginia Woolf, Kurt Cobain, Hesse, Andersen, Napoleone, Hemingway, Van Gogh... non ha idea di quante personalità di rilievo potrebbe trovare in questa lista. Le possibilità sono due: o il bipolare colpisce solo i geni, oppure quel presunto 'genio' è soltanto frutto di una capacità che non proviene da noi. Una sorta di patto col diavolo. Siamo tutti dei Faust bugiardi, professore.
-No – ripeté, ostinatamente. Bianca lo guardò, in attesa di una risposta, ma senza convinzione. - Esistono moltissimi cosiddetti 'geni' che il bipolare non l'hanno avuto. Perché Virginia Woolf non poteva essere un genio e una persona ammalata?
-Non saprei darle una risposta immediata. So solo che, quando arriva la mania, io non sono propriamente io. Non credo che normalmente avrei voglia di fare tutte quelle cose.
-Credi che non andresti con tutti quei ragazzi, se non fosse per la mania...?
Lei lo guardò fisso negli occhi.
-Oh, no – affermò convinta – quello lo farei comunque. Non dico che a volte non mi aiuti a distaccarmi dai pensieri, ma... lo farei comunque.
-Lo credi davvero?
-Sì, lo credo davvero. Quell'uomo pensa di avermi tutta per sé, e invece... invece la do esattamente a chi voglio io. Anche a tutti, se mi gira di darla a tutti. Non sarà mai lui ad avere il controllo su quello che faccio a letto, mai.
-Mi sembra che non ce l'abbia nemmeno tu, Bianca.
-D'accordo, forse la cosa mi è un po' sfuggita di mano. Ma l'importante è che sia io a decidere. E che siano altri a toccarmi, e non lui. Io voglio...
-Tu vuoi riappropriarti di te stessa. L'ho capito. Ma con la tattica che hai scelto non ottieni altro che farti del male.
-Siete tutti assurdamente convinti che fare tanto sesso sia sinonimo di autodistruzione. Sa che durante l'atto sessuale il corpo rilascia delle sostanze chiamate endorfine, che producono una sensazione di benessere prolungato e generalizzato? E poi fa dimagrire. Non può certo fare del male.
-Ma tu non la vorresti, una persona che ti ama...? Farlo con qualcuno che vuole soltanto te, che vorrà farlo soltanto con te per tutto il resto della sua vita?
-Sì – si limitò a dire lei, puntando i due grandi occhi castani fin nel profondo dei suoi.
In quel momento dovettero ordinare, e il discorso si interruppe. Dopo che ebbero chiesto le loro pizze, ci fu un attimo di silenzio, che fu interrotto da Bianca.
-A proposito del resto della vita – un sorriso birichino le nacque sulle labbra – fra poco qualcuno sottoscriverà una promessa d'amore eterna.
-Dai, non serve tirare fuori il discorso se non vuoi.
-Ma scherza?, avanti, non sono così infantile. Certo: non dico che verrò, perché, sì, insomma, mi sembrerebbe irrispettoso verso Camilla, dopo quello che le ho combinato quella volta in hotel. E poi diciamolo: se entrassi in chiesa l'acqua santa evaporerebbe e Cristo si schioderebbe dalla croce, se la metterebbe sotto braccio tipo baguette e scapperebbe dall'entrata sul retro.
-Cretina – ridacchiò – se solo ti infilassi una camicetta chiusa fino al colletto e un bel pantalone classico, e magari ti sistemassi un po' quei capelli, nemmeno Don Giuseppe avrebbe da ridire su di te.
-Scherza? Lui e quelli come lui hanno sempre avuto il fastidioso hobby di perseguitare noi rosse dicendo che eravamo delle streghe mandate dall'inferno.
-Ma è passato un po' di tempo – sottolineò – ah, voi anticattolici ad oltranza. Vi attaccate a certe cose...
-Sì, sì, vabé, lei ha sempre vissuto nel suo paesetto con Don Giuseppe che conosce tutti, il lattaio che le fa lo sconto e i vicini di casa che le tengono il cane quando va in vacanza. Non pretendo che capisca.
-D'accordo, Bianca, hai ragione, scusami se alla mia bigotta e limitata mentalità da paesino sfugge il momento in cui Don Giuseppe ha afferrato una rossa per i capelli, l'ha legata a un palo e le ha dato fuoco, incitando la folla al linciaggio.
-Le concedo che non intenda bruciarle, ma non che non gli piacerebbe portarsele a letto.
-Tu hai davvero una peculiare idea del mondo.
-Anche il signor Freud pensava che tutto girasse attorno al fiki fiki, ma perché lui è un genio e sta nei libri di storia, mentre io invece sono solo un'assatanata?
-Beh, credo che sia perché lui da questa idea ha ricavato delle teorie, mentre tu ne hai ricavato soltanto un codice comportamentale quantomeno opinabile, volendo essere diplomatici.
-Ma quel codice è mio – osservò Bianca – mio e di nessun altro. Né di mio padre, né di quel cane poliziotto di mia madre, e neanche della pazzia. È solo mio. E se agli altri dà fastidio non importa, perché è una parte di me, e io... io ci tengo a conservare un pezzo reale e sincero di me stessa, capisce?
-Credo di sì – fece Emanuele – è un po' confuso, come concetto, ma credo di esserci arrivato.
-Bene – Bianca sorrise – e adesso per favore parliamo di cose belle. Mi racconti del suo matrimonio.
-Cosa vuoi sapere?
-Mmmh... Camilla avrà l'abito bianco?
-Beh, sì. Perché?
-Così, curiosità. E chi avete invitato?
-I nostri genitori, fratelli, cognati, zii, cugini, amici stretti, relativi consorti.
-E come decorerete la chiesa?
-Non me ne sono occupato io, ma credo ci saranno dei bouquet di rose bianche e lilium.
-Che meraviglia, prof. Me ne porterà uno?
-Vuoi un bouquet del mio matrimonio...? Ne sei sicura?
-Certo, ne sono sicura. Devono essere bellissimi. Allora, mi promette che me li porterà, lunedì? Il giorno dopo dovrebbero ancora essere belli. Me lo promette? Che mi porterà i fiori?
-D'accordo, Bianca. Te ne porterò un mazzolino.
-Promesso?
-Promesso.
-Grazie – sorrise felice – e allora... dov'è che andrà, in viaggio di nozze?
-Ci hanno regalato un coast to coast negli Stati Uniti – sorrise, non potendo nascondere la soddisfazione – New York, San Francisco, Hollywood, Chicago, Los Angeles, Las Vegas.
-Peeerò – commentò Bianca, spalancando gli occhi – che bellissimo regalo. Ma sarà costato un occhio della testa.
-In effetti se lo sono diviso tra tutti gli invitati, più o meno – ammise – ma in fondo abbiamo già una casa, dei mobili e dei corredi, e abbiamo specificato che non avevamo bisogno di soprammobili o cazzate varie. Certo, un assegno per pagarci il mutuo di quest'anno sarebbe stato il massimo, ma non mi lamento.
-Ma non può lamentarsi – esclamò Bianca, stupita – che bel regalo, davvero. Devono volerle molto bene.
-Spero quanto io ne voglio a loro.
Lei sorrise.
-Mi piace questo suo lato genuino e tenero, prof. Davvero.
Non poté fare altro che restituirle il sorriso, un po' imbarazzato. Ma lei riprese con le domande.
-E quindi, quanto starà via? Suppongo un bel po', vero? Non verrà neanche a salutarci, prima di partire? - Bianca sporse il labbro inferiore e lo fece tremolare, scherzosamente.
-Beh, il progetto era quello di partire mercoledì. Dato che ci prenderemo un paio di settimane, abbiamo dovuto organizzarci al lavoro, e non è stato possibile partire subito. Pazienza; ora come ora siamo troppo occupati con i preparativi, quantomeno avremo il tempo di fare i bagagli.
-Certo, capisco. E così mentre noi siamo qui chiusi in una stanza tutti assieme lei se ne va a prendere il sole e a far shopping! Quanto la invidio. Non sarebbe male andare a New York.
-Un giorno, magari, quando ti sposerai, potrai chiedere come regalo di nozze un viaggio nella Grande Mela.
Bianca rise e non aggiunse altro, quindi si concentrarono finalmente sulle pizze ormai fredde.
Finirono di mangiare velocemente e poi si diressero verso la fermata; lei salì sul 13, la salutò con la mano, lei lo salutò allo stesso modo, con un gran sorriso sulle labbra. Poi dopo qualche minuto passò un 8 che lo portò in stazione, e lui inspiegabilmente si sentiva il cuore leggero.

-Oggi l'ha ammesso – disse a Camilla, entrando a casa – di avere il bipolare. Ma sembrava tranquilla, al riguardo. Forse ha accettato di doverci convivere.
-Mi dispiace così tanto – mormorò Camilla, che stava versando il purè sui piatti – davvero. Se solo fossi stata più informata, se solo ne avessi saputo qualcosa... è un caso talmente eclatante.
-Lascia stare, non hai idea di quanto mi sono sentito stupido e ignorante. Certo, non è il mio campo, ma è un disturbo così diffuso, e così pericoloso! Eppure non se ne sa nulla.
-Te ne ha parlato?
-No, in realtà poi il discorso è caduto sul nostro matrimonio. Mi ha detto che non vuole venirci, ma ha insistito perché le portassi uno dei bouquet che ci sono in chiesa. Ti dà fastidio?
Camilla tacque per un attimo. Emanuele si sentiva un po' teso, forse aveva chiesto troppo, pensò. Ma poi lei, timidamente, con voce incerta, suggerì:
-Stavo pensando che, anche se non posso lanciarglielo... forse potremmo portarlo a lei, il mio bouquet. Che ne dici? Come buon auspicio per il suo futuro.
Quello era un gesto di pace, ed era un gesto di fiducia, ed Emanuele sentì che finalmente aveva una tregua. Baciò Camilla e l'abbracciò forte. Lei aveva un sorriso timido e felice che non le vedeva addosso da tanto tempo.

Nei quattro giorni rimanenti, la casa fu tutto un viavai di genitori, fratelli e cognati, telefonate, prenotazioni, conferme, ulteriori conferme, conferme definitive.
-Ma guarda Alberto se proprio adesso doveva prendersi l'influenza. Poi dico, almeno dammi la certezza che non ci sei, come fai a dirmi 'boh, forse ci sono, tienimi il posto'?
-Emanuele, dove ze che te ghe messo i anei? [ Dove hai messo gli anelli? ] - sbuffò in dialetto sua madre, che girava per la casa senza scopo da mezz'ora – No te poi assarli in giro dove che capita, ostia! [ Non puoi lasciarli in giro dove capita, accidenti! ]
-Non sono in giro, mamma – davanti a Camilla le parlava in italiano; a casa, invece, le rispondeva in dialetto, perché così era stato cresciuto – li ho messi in cassaforte, al sicuro.
-E ora cossa 'spetavito a dirmeo? Go da portarli via! Possibie che te sipi sempre el soito savaton... [ E allora cosa aspettavi a dirmelo? Devo portarli via! Possibile che tu sia sempre il solito ciabattone... ]
-Dai, mamma, sta' calma due minuti, ché c'è già abbastanza casino.
-Te digo mi beo, tuto el casin nasse parché ti no te si bon de fare e robe come che ga da 'ndare [ Ti dirò, bello, tutto il casino nasce perché non sai fare le cose come si deve ] - chiocciò sua madre – 'Scoltime qua Camilla, sarà ben che te me parli co mi, assa stare 'sto pandoeo che no 'l se ga gnancora incorto de esare al mondo [ Senti, Camilla, sarà meglio che tu parli con me, lascia stare questo tanghero che non sa neanche di stare al mondo ].
Camilla rise, Emanuele scosse la testa e decise di lasciar perdere. Per fortuna, pensò, se n'era trovata una diversa da sua madre.
-Cami, me lo lanci il bouquet? - chiese Vittoria, che quel pomeriggio era venuta a provarsi ancora una volta il vestito da damigella. - Così magari poi mi sposo con Davide!
-Tesoro, mi dispiace, ma pensavo di tenerlo io per ricordo, il bouquet – mentì Camilla, con un dolce sorriso. Si scambiarono un'occhiata complice –  però, se vuoi te ne do uno di quelli in chiesa.
-Non è la stessa cosa – Vittoria fece una smorfia, ma si dimenticò presto il bouquet quando poté provarsi il vestito; era la prima volta che ne metteva uno vero, elegante, e sua madre non faceva che ripetere loro quanto fosse irrequieta in quei giorni.
-Più ci avviciniamo alla cerimonia, e più si agita – sospirava – neanche l'avessero allestita per lei. Che incubo. Continua a dirmi di portarla dal parrucchiere e che vuole farsi i boccoli, ma lei ce li ha già i capelli ricci, non c'è bisogno di andare dalla parrucchiera, ma lei no!, vuole i boccoli fatti col ferro dalla parrucchiera, e poi mi chiede di truccarla, ma figuratevi se trucco una ragazzina di sedici anni; l'acqua e sapone è sempre il trucco più bello, no? Vero, patatina?
-Non chiamarmi patatina!
-Guardatela, come si vergogna. E invece sei ancora una patatina, la patatina della mamma, vero, tesoro?
-Daaii!
Camilla ed Emanuele sorridevano, annuivano e intanto pensavano a come defilarsi, e ogni tanto si lanciavano qualche occhiata ad occhi rovesciati.
-Non trovi assurdo che il giorno del nostro matrimonio – le sussurrò Emanuele quando furono soli in cucina a preparare il caffè per gli ospiti – saremo costretti a sorbirci queste chiacchiere per l'intera giornata, mentre invece teoricamente dovrebbe essere il nostro giorno, dedicato solo a noi?
-Poi abbiamo due settimane di pace in solitudine – sussurrò Camilla di rimando – cerchiamo di resistere.
-Insoma, quanto te voe par pareciare un caffé? El giorno che ea Camilla se stufa de ti, come pensito de fare, indormesà come che te si? [ Insomma, quanto ti ci vuole per preparare un caffé? Il giorno in cui Camilla si stuferà di te come pensi di cavartela, tonto come sei? ]
Emanuele sospirò. Sua madre faceva così perché era nervosa, lo sapeva, e non ci diede molto peso; ma ricordava che, quando abitava con lei, i suoi attimi di nervosismo erano molto frequenti, perché lui aveva studiato una cosa inutile, perché non trovava lavoro, perché perdeva troppo tempo con le ragazze e perché tornava tardi.
Guardò Camilla e pensò che era felice che la sua nuova vita iniziasse con lei, che la sua famiglia d'ora in poi e per sempre fosse quel visino dolce e sorridente.

-Prof, mi sono provata un vestito per la cerimonia – esordì Francesca – vedrà come saremo eleganti.
-Ma in quanti intendete partecipare? Anche tutte le altre classi che seguo hanno detto che vogliono intervenire. Guardate che al ristorante ci sono solo parenti e amici stretti, è già prenotato, potreste solo assistere alla cerimonia in chiesa e probabilmente stareste in piedi.
-No problem! - gli assicurò Crivellaro – E prometto che non aprirò bocca se non per recitare l'Ave Maria e il Padre Nostro. Anzi no: neanche quelli, dato che non me li ricordo. Starò muto e immobile per tutta la cerimonia.
-Anche se è un luogo di ritrovo per il culto cristiano, io ci sarò – promise Benetazzo – e... e per lei, io... io mi metterò in giacca e cravatta!
-Sono sinceramente commosso – si stupì Emanuele – e, giuro, non ti sto prendendo per il culo.
-Non bestemmierò neanche una volta – giurò Cappelletto.
-Sarà bello per una volta vedervi senza jeans e Converse – sorrise – ad ogni modo, vi ringrazio davvero per la vostra partecipazione. È un gesto molto bello da parte vostra.
Bianca lo guardava sorridendo e col labiale gli ricordò 'fiori'. Emanuele annuì impercettibilmente ed iniziò la lezione, durante la quale Bianca, che aveva fatto in modo di sedersi di fianco a Valeria, parlottò per tutto il tempo, ridacchiando e tentando di palparla.
L'ora dopo gli chiese di uscire perché era troppo irrequieta; acconsentì e ogni tanto la videro passare mentre faceva le ruote per tutto il primo piano. Poi iniziò a correre da un capo all'altro del corridoio, e la sentirono che spiegava al bidello, affannata, che si era data al jogging. Iniziò a chiacchierare col vecchio Gigi e nel frattempo Emanuele notò, con la coda dell'occhio, che si stava esercitando con le verticali contro il muro. Non ci fece caso.
Si era a inizio trimestre e le lezioni erano costellate di spiegazioni; Bianca gli comunicò che per un paio di giorni avrebbe saltato scuola, ma che sabato sarebbe venuta a salutarlo, per fargli le congratulazioni. Un giorno a ricreazione le chiese cos'avrebbe fatto, e lei, con un sorriso furbo, gli rivelò:
-Dico a mia mamma che vado a dormire da una mia amica. In realtà vado a un rave, e poi resto al chill-out. Ho bisogno di movimento.
-Ne hai un po' troppo bisogno – osservò Emanuele – non è che...
-No no no – lo rassicurò lei, agitando le mani – si figuri. Sto prendendo il litio regolarmente; è tutto a posto, sono stabile. È solo che ho deciso di non pensare a lei e di dedicarmi a me stessa, alle mie passioni, ai miei interessi...
-I tuoi interessi sono il cinema e la letteratura, Bianca. Me ne hai sempre parlato.
-Beh, io non sono un'intellettuale che non pensa al divertimento. Mi piace anche ballare, fare tardi, fare sesso e poter raccontare storie allucinanti. Se non lo faccio ora, quando?
-Mi sembra di averla già sentita, questa.
-Ma su, prof, guardi che ho anche periodi di calma – protestò – non sono sempre esagitata o superdepressa. Le mattane mi lasciano anche dei momenti di normalità – rise.
Era pur vero che la normalità di Bianca erano le feste, il sesso e l'alcool. Dimenticava sempre che, per quanto fosse intelligente, le piacevano cose anche molto banali e stupide.
-Promesso che non fai cazzate?
-Promesso, prof. Non mi drogherò, mi metterò il preservativo e cercherò di tornare a un'ora decente del pomeriggio.
-Il pomeriggio – mormorò Emanuele – non ci sono più i giovani di una volta. E pensare che ai miei tempi la trasgressione era fare mattina.
-Perché lei non ha mai vissuto appieno la sua vita – gli fece l'occhiolino – ma se lei è contento così, con la casa e il cane e la fidanzata fissa, allora sono felice per lei. Non sono nessuno per criticare.
La guardò attentamente. Riconobbe la trappola dietro il sorriso innocente; aveva già sentito una volta questa storia, e un bravo combattente non si fa colpire due volte dallo stesso attacco. Fu così che decise di passare al contrattacco.
-Non me ne farai pentire – asserì – nossignora. E so che tu la vorresti, una casa con dentro un cane e un fidanzato fisso come la mia: ma non riesci a trovarla e sai che se non cambierai sistema non la troverai mai, inoltre sai altrettanto bene che non cambierai, quindi per consolare te stessa vieni a dire a me che mi prendo dalla vita quello che lei si degna di darmi e che non auspico a niente di meglio di quello che mi è caduto tra le mani. Ti dirò: puoi anche considerare il mio stile di vita poco avventuroso, all'insegna dell'accontentarsi, delle regole da bigotti per bene... ma io sono davvero felice di quello che ho, e credo che essere felici con quello che si ha venga prima di tutto. Anche di quel qualcosa che tu cerchi e che forse non ti servirà a niente.
-Lo so, ha ragione lei – ammise, con un sorriso timido – gliel'ho sempre detto che a me sarebbe piaciuto molto, se solo... - si interruppe. Emanuele pensò che forse volesse dire che le sarebbe piaciuto, se avesse potuto stare con lui; ma non seppe mai cosa Bianca avesse inteso dire quella volta. - Beh, comunque sì, ha ragione, sono un po' invidiosa! Ecco perché devo andare a quel rave e darmi una bella botta di vita.
-Se lo dici tu.
-Non si preoccupi – gli ripeté – faccio la brava.
Con questo lo salutò perché doveva scappare a prendere l'autobus. Forse l'aveva accettato davvero. Forse questa volta, forse, avrebbe potuto avere il suo lieto fine.

I due giorni che seguirono furono frenetici. Tutto il loro tempo libero era dedicato ai parenti che invadevano la casa portando regali e un fastidioso chiacchiericcio. Venerdì avevano a cena i testimoni di nozze da parte di lei; si trattava della migliore amica di Camilla, Elena, e del suo fidanzato giapponese incontrato in Erasmus, Soichiro, il che rubò una discreta quantità di tempo ai preparativi, ma portò loro in cambio i cinnamon rolls preparati appositamente da Soichiro, e naturalmente una serata piacevole, libera dal parentame.
-Quindi sono questi gli ospiti? - ripeté per l'ennesima volta il proprietario del ristorante – E mi conferma anche la disposizione dei posti?
-Sì, sì, tutto perfetto. In giornata ripassa mia mamma a controllare chi si siede dove e tutte quelle robe là.
Fu il turno del prete.
-Mi raccomando, ricordatevi sabato di venire a confessarvi, ché poi vi devo comunicare. Questione di cinque minuti. Se spera.
Poi di sua mamma.
-Sempre a mi me toca fare e robe al posto tuo [ Tocca sempre a me fare le cose al posto tuo ] - si esasperò – ah, Dio, quando ze che te metarè giudisio, mi no so pì che santi ciamare [ ah, Dio, quand'è che metterai giudizio, io non so più a che santo votarmi ]!
In effetti, pur di non averla attorno l'avevano spedita a fare commissioni e controlli; così, almeno, era lei stessa a fare le cose e non poteva criticare gli altri. Criticava comunque, ma in misura molto limitata.
-Camilla, sei sicura che ci siano tutti i documenti per il viaggio? - si preoccupava il padre di lei, che non contava molto sulla sua capacità di cavarsela al di fuori del loro controllo genitoriale – Non per dire che tu non sia capace, per carità, ma controlla una volta in più se c'è tutto.
-Ho i biglietti, papà, per tutte le destinazioni e per il ritorno; ho la prenotazione degli aerei, ho la carta di credito internazionale carica, le valige le faccio la settimana prossima. È tutto pronto.
-Ma hai ricontrollato un'altra volta se c'è proprio tutto...? Hai telefonato agli hotel per avere conferma...?
-Due volte ciascuno questa settimana.
-Ecco, richiamali anche la settimana prossima. Il giorno in cui parti. Mi raccomando.
-Sì, papà.
La sera di giovedì si gettarono a letto esausti, sospirando in coro. Presero un bel respiro.
-Più che un giorno di gaudio, è una gran rottura di maroni – commentò Emanuele.
-Non dire così, dai. Necessita organizzazione. Magari se mi avessi sposata in una chiesetta alla periferia di Parigi, quella domenica mattina, solo io e te e i prati innevati e le campane... - sorrise – ma hai voluto fare le cose in grande, visto? Ed ecco cosa ci è capitato.
Emanuele rise.
-Ma sì, chi se ne frega. In fondo, ti sposi un po' il giorno in cui lo chiedi, no? È lì che davvero nasce la promessa. Domenica ci limiteremo a confermarla davanti a tutti quelli che conosciamo.
-E anche a noi stessi.
-Già. Che dici – la scrutò, un po' indeciso se chiederglielo o meno, ma poi prese coraggio – tu confermi...?
-Confermo – sorrise lei, e poi gli accarezzò il viso – e tu...? - aggiunse, con malcelata tensione.
-Confermo – mormorò, prendendole la mano e baciandola; si addormentarono tenendosi per mano.

Il venerdì passò all'insegna dei lavori di casa: occuparono il pomeriggio sistemando la casa per il rinfresco. Il giardino era troppo piccolo perché potessero starci tutti quegli invitati, per cui furono costretti ad adattare il salotto; spostarono mobili, sprimacciarono cuscini, spolverarono i soprammobili.
Si divisero i compiti: Camilla lavò i pavimenti, sua madre spolverò i mobili, Emanuele pulì i vetri delle finestre e diede una riordinata generale a tutte le stanze della casa. Si accertarono che ci fossero asciugamani puliti in bagno in tinta con la tappezzeria; i libri ebbero la loro passata di straccio e poi furono chiusi nelle loro librerie con vetrina; tutti gli oggetti lasciati in disordine in garage furono ammassati sugli scaffali o nella casetta per gli attrezzi. Appesero alcuni festoni, prepararono il tavolo in salotto, chiamarono la pasticceria per assicurarsi che domani alle nove potessero passare a ritirare ciò che avevano ordinato.
Cenarono con i loro genitori, che se ne andarono comunque abbastanza presto; la casa era più bella che mai, ne erano soddisfatti.
-Almeno, domani possiamo concederci una giornata di relax. In teoria.
-Tranquillo Ema, salterà fuori qualche inconveniente, me lo sento.
-No, basta – gemette, afflosciandosi sul tavolo.
Ma non era davvero esausto. Dovevano fargli fare ben altro, prima di fargli cambiare idea su lui e Camilla.

In quei due giorni di fatica aveva quasi dimenticato Bianca e il suo rave. Anzi; poteva tranquillamente affermare di averla accantonata per tutto quel tempo. Ma aveva promesso di comportarsi bene, per cui non si era preoccupato e aveva dormito tranquillo.
Arrivò a scuola sabato mattina e fu accolto da un boato e da un applauso, che lo imbarazzarono un po', ma gli fecero anche piacere. Bianca, assieme ad alcuni altri, era ancora in spogliatoio dopo educazione fisica; non ci fece caso finché non la vide arrivare in classe, scarmigliata e affannata, per ultima assieme a Cappelletto.
-Sì, è come pensate – dichiarò lui entrando in classe, poi si sedette tranquillo al suo posto. Lei rise e fece lo stesso.
-Beh, con comodo – disse loro – dai ragazzi, oggi ho voglia di fare presto. State buoni per quaranta minuti e gli ultimi quindici sono tutti vostri.
-Ma prof, domani si sposa! Non è necessario che anche oggi si affatichi per fare lezione!
-Grazie della preoccupazione, Francesca, ma se arriva qua il direttore dopo il viaggio di nozze non torno più a scuola. Dai, prometto che saprò rendervi interessante l'Italia prerinascimentale.
-Non credo – gemette Francesca – comunque, prof, abbiamo qui una cosa per lei...
-Una cosa per me?
-Le dico già che non è una spada intarsiata – sospirò Benetazzo, scuotendo la testa con amarezza.
-No, ragazzi, sul serio...
-Prof, è il minimo, ci mancherebbe altro – intervenne Giulia con fermezza – lei è sempre stato il migliore. Se non facciamo il regalo a lei, allora possiamo anche spararci.
Rise ed accettò il regalo di buon grado. Li ringraziò uno per uno, stretta di mano ai ragazzi e bacio sulle guance alle ragazze; tutti erano emozionati, fu difficile tenerli calmi quel giorno.
Bianca in particolare fu più irrequieta del solito; con la scusa di non avere il libro, si avvicinò a Cappelletto e non fece che provocarlo per tutto il tempo. Rise ad alta voce per chissà cosa lui le aveva detto, incurante della spiegazione in corso, ad un tratto lanciò un urlo e scattò in piedi, poi si risedette come nulla fosse. Era strana, ma non disse mai di sentir parlare le voci, o di sentire i boati delle bombe.
Chiese ad altri insegnanti delle ore successive e gli confermarono che era stata piuttosto agitata; ma poi, a un certo punto, durante l'ora di religione, aveva urlato “ma sì! Tanto si risolverà tutto!” e poi si era calmata; Emanuele la incontrò alla fine della sesta ora, alla fermata, e la trovò effettivamente serena.
-Prof! - lo salutò, allegramente – Salve. Allora, è agitato? Quando ci rivedremo lei sarà un uomo sposato, wow!
-Già, avrò una fede al dito – ammise – sarò ufficialmente il Signor Emanuele Vettorel.
Lei sembrava felice per lui. Gli diede una piccola gomitata.
-Dica la verità, lei è contentissimo.
-Ti dirò che sono emozionato, sì. Non pensavo che avrei sentito le farfalline nello stomaco, eppure eccomi qui. Stanotte mi sa che non chiudo occhio.
-Vuole che le presti uno dei miei sonniferi? Volentieri, prof.
-No, grazie, Bianca, abbiamo così tante cose da fare che arriverò a stasera stanco morto. Grazie del pensiero, comunque – le sorrise.
-Per così poco. Comunque... oh, no – sugli occhi di Bianca spuntò uno spesso velo di lacrime. Lei si toccò le guance dove quelle scivolavano giù una dopo l'altra, sorpresa. - Oh... questo non era previsto. Mi scusi. - Si asciugò il viso alla bell'e meglio. Si sporcò con il trucco nero, ed Emanuele cercò un fazzoletto nella ventiquattrore; trovatolo, le pulì velocemente il viso.
Lei rimase immobile mentre lui passava il kleenex sul suo volto bagnato di lacrime.
-Mi scusi. Non è per il matrimonio, glielo giuro.
-E per che cos'è, allora...?
-Niente. Non ho davvero motivi per piangere. Adesso non più – affermò, con un tono tanto deciso che Emanuele si sentì subito rassicurato.
Forse quello era il regalo di nozze di Bianca, pensò.
Assicurargli che non l'avrebbe fatto sentire in colpa per amare Camilla, mai più.
-Devo prendere il treno – le disse – sono sicuro che è tutto ok?
-Sì, prof – gli sorrise – ogni tanto succede, sa. Non dipende dai miei stati d'animo reali. Succede e basta.
-D'accordo – annuì – ricordati le medicine.
-Certo, prof, grazie. Senta...
-Sì?
-Posso chiederle una cosa?
-Certo, dimmi.
-Prima che lei vada, le posso dare un abbraccio? Tra poco devo andare, e mi farebbe piacere andarmene con il ricordo del suo profumo. Dato che tra poco potrebbe essere un atto di adulterio – gli fece l'occhiolino.
Emanuele le sorrise.
-Ma sì, perché no. Avanti, vieni qui.
Bianca in un saltello gli fu davanti, e lo guardò fiduciosa, in attesa. Lo intenerì. Si appoggiò la testolina rossa sul petto e con l'altra mano le circondò la schiena. Sentì il piccolo peso di Bianca appoggiarsi a lui, e il suo petto gonfiarsi nell'inspirare il suo profumo; infine abbandonò la fronte contro il suo petto. Appoggiò la testa sulla spalla di lei.
Si separarono dopo pochi secondi. Bianca guardava il marciapiede, con le guance lievemente arrossate. In quel momento il 13 si avvicinò alla fermata.
-Grazie, prof – mormorò, e, prima di voltarsi e salire sull'autobus, gli regalò uno dei suoi bellissimi sorrisi pieni di luce, che gli occhi lucidi e le guance rosate riuscirono a rendere soltanto più luminoso e dolce.
La salutò con la mano, ma lei questa volta non lo stava seguendo con gli occhi dal finestrino; stava districando i nodi degli auricolari, ed Emanuele fu felice che fosse così.

Quella notte non dormì, come aveva previsto. Era stanchissimo – i preparativi non finivano mai, e per di più quel giorno aveva avuto sua madre per casa – ma non riuscì a dormire; sembrava che quella notte, tutta in un colpo, gli fosse scesa addosso la consapevolezza di stare per compiere un atto definitivo, di stare per dire 'sì' a una promessa che non avrebbe mai potuto infrangere. Mai, era la parola chiave. E sempre. Due parole che davano il capogiro.
Stettero immobili e in silenzio, ma entrambi sapevano che l'altro non stava dormendo. Dopo anni in cui avevano condiviso ogni singola notte, ormai avevano imparato a distinguere se la persona accanto a loro fosse immersa nel sonno o soltanto nei suoi pensieri. Emanuele trovava che quella capacità acquisita con la vicinanza fosse una cosa bellissima.
Restarono svegli molto a lungo, ma non parlarono. Rimasero ognuno alle prese con le proprie emozioni, ma saldamente abbracciati.

E finalmente arrivò il mattino, e dovettero alzarsi presto; i genitori di Camilla e quelli di Emanuele arrivarono carichi di tramezzini, pizzette, pasticcini e ogni genere di stuzzichino. Si affrettarono a disporli sul tavolo già preparato e munito di salviette, stuzzicadenti, bicchieri e bevande. Vassoi di confetti alle mandorle coronavano il tavolo. Gli invitati non tardarono a raggiungerli, alla spicciolata.
Sì, l'atmosfera era di festa, e la giornata splendeva di un sole bellissimo, galleggiante in un cielo di un azzurro da fotografia. La giornata si prospettava allegra.
Salutarono gli amici, conversarono amabilmente con i più anziani, scherzarono con i bambini; le Action Figures erano state tutte riposte dove i più piccoli non potessero raggiungerle.
In chiesa trovarono gli alunni di Emanuele, molti dei suoi colleghi, e diversi colleghi di Patrizia.
-Prof! - gridò un coro – Congratulazioni!
-Ehilà – li salutò, raggiante – peccato che non possa presentarvi la mia fidanzata. Adesso è da un'altra parte, sapete, la tradizione...
-Adesso è sua moglie, prof – gli ricordò Francesca.
-Ehi, manca ancora un'oretta – protestò scherzosamente – ragazzi, siete veramente belli, ve lo devo proprio dire. Fatti vedere, Benetazzo? Vediamoti?
Quello si fece strada timidamente tra i suoi compagni. Coi capelli raccolti in una coda, giacca e cravatta e un paio di scarpe classiche, sembrava un'altra persona.
-Sì, ma non guardate tutti me – si affrettò ad esclamare.
-Sì, infatti – ghignò Cappelletto – guardi come si è tappata Morticia. Vista così è quasi pisellabile, vero?
-Siamo davanti a una chiesa, imbecille – grugnì una voce, ed Emanuele si stupì di scoprire che quella voce proveniva da Valeria, la quale, fasciata da un vestito di lana bianca e munita di décolletés, anche se forse non era il momento più opportuno per una simile considerazione, era decisamente più pisellabile del solito.
-Complimenti, ragazzi. Veramente. Non vedo l'ora di farvi una foto.
-No – lo implorò Valeria.
-Oh, sì, anche tu, regina delle tenebre – Cappelletto le mise un braccio attorno al collo; Valeria e Benetazzo si affrettarono a rimuovere quel braccio – lo sapranno tutti. La notizia raggiungerà ogni angolo della provincia, che dico: dell'Italia! Che dico: dell'Europa! Che dico...
-Annichilisciti – sibilò lei, poi si diresse verso l'entrata – beh, io vado a sedermi, voi fate quello che volete. Prof, viene?
-Devo salutare qualcun altro, ma dopo la cerimonia torno da voi – le assicurò – ci vediamo più tardi.
Allontanandosi, sentì che parlavano di Bianca.
-Ma non viene davvero?
-Non l'ho più sentita.
-Hai provato a scriverle un sms e chiederglielo?
-Sì, ma mi ha risposto 'grazie'. Non credo abbia afferrato il punto.
-Mi spiace che proprio oggi non ci sia – commentò Benetazzo; fu l'ultima frase che udì distintamente prima di essere risucchiato da un'orda di parenti.

La cerimonia fu all'insegna della tradizione, non molto briosa, come c'era da aspettarsi da Don Giuseppe; questo smorzò un po' il fermento degli invitati e degli stessi sposi, ma il momento del 'sì' fu ugualmente memorabile.
Camilla era bellissima nel suo abito di seta; tutto quel bianco attorno a loro, le rose, i gigli, il vestito, la coroncina; tutto era candido e brillante come la luce della luna in un cielo pulito. Quando le infilò l'anello al dito, la mano gli tremava, e lei gli rivolse un sorriso così tenero che per un momento si fermò per guardarla negli occhi e sorriderle.
Il gesto non sfuggì agli astanti e scoppiò un applauso fragoroso. Camilla rise e si gettò tra le due braccia, e lui la strinse forte e la baciò tanto a lungo che scoppiò un secondo applauso, ancora più forte del primo. Tutti sorridevano, tutti erano felici; quel giorno fu speciale non perché disse un 'sì', ma perché, per un'ora in tutta la sua vita, seppe che negli occhi di tutti c'era gioia e che quella gioia era dedicata a loro due.

-Dai, mamma, non piangere – le mise un braccio attorno al collo; a fine cerimonia, ancora si stava asciugando gli occhi con il fazzoletto. Lei lo scrollò scocciata.
-No pianxo mìa par ti seto [ Non piango mica per te, sai ] - rimbeccò, con voce tremolante -  pianxo par 'sta poareta che desso ghe toca tendarte par tuta ea vita.  [ Piango per questa poveretta a cui toccherà tenerti d'occhio per tutta la vita. ]
Suo padre scosse la testa, sospirò e poi li abbracciò entrambi. Notò che anche lui aveva gli occhi un po' lucidi.
-Papà, non mi dire che ti sei commosso! - esclamò, anche se era sull'orlo delle lacrime anche lui. Si sentiva il cuore gonfio di qualcosa di inesprimibile.
I genitori di Camilla l'avevano presa più tranquillamente; dopo averla abbracciata, sorridenti e commossi, avevano lasciato spazio agli altri invitati ed erano usciti portandosi dietro alcuni parenti, iniziando già a dare indicazioni per il ristorante.
La preside fu la prima a raggiungerlo, quando gli amici iniziarono a seguire i parenti fuori sulla scalinata.
-Tanti, tanti auguri – esordì, prendendogli una mano tra le sue – non sai quanto solo felice per voi. Permettimi di presentarmi – sorrise a Camilla, le porse la mano – Giovanna, molto piacere. Siete davvero bellissimi, ragazzi. Congratulazioni.
-La ringrazio, preside.
-Camilla, sappi che questo è un bravissimo ragazzo, uno dei migliori che abbia avuto nella scuola; e lo dico nel senso umano, non professionale.
-Senza dubbio – confermò Sonia – vi faccio i miei più sinceri auguri.
-Che meraviglia – commentò Antonella – date un senso di gioia soltanto a guardarvi. Vi auguro davvero un futuro sempre migliore.
-E questo da parte di tutti – soggiunse Mariolina con un sorriso; poi fu il turno di Rossella di felicitarsi. Gli altri non avevano potuto venire, ma ad Emanuele andava bene così; c'erano esattamente quelli che voleva che ci fossero.
Poi arrivarono gli studenti, e finalmente riuscì a presentarli a Camilla.
-Allora – incominciò – questo qui è Benetazzo. Guardalo bene, perché è la prima e l'ultima volta che lo vedrai così.
-Così come?
-Senza una ferramenta attaccata ai vestiti – commentò Monica Miotto, scuotendo la testa. Ma era un giorno di gioia, per cui ridacchiarono senza badare alla critica.
-Anche lei – Cappelletto sospinse Valeria davanti a Camilla – normalmente sembra la Morte, le manca solo la falce.
-Ringrazia che non possa usarla contro di te – lo apostrofò quella – scusami, Camilla. Congratulazioni di cuore.
Le strinse la mano; a lei seguirono Giulia, Francesca, Crivellaro, Benetazzo, Cappelletto, Monica e altri due o tre che erano intervenuti; portarono anche i saluti e le felicitazioni degli altri compagni che, per un motivo o per un altro, non avevano potuto venire.
Emanuele non lo disse, ma in fondo era contento: anche in quel caso, quelli a cui era più affezionato erano lì.
Tranne una, diceva una vocina nella sua testa. Ma la ignorò pensando che Bianca ora aveva altro per la testa, che sabato aveva gridato 'si risolverà', e aveva fiducia nelle sue possibilità. Sapeva che avrebbe sconfitto la pazzia, che se ne sarebbe liberata prima o poi.

Il pranzo si risolse in un viavai infinito tra i tavoli; dovevano chiacchierare con tutti perché nessuno si sentisse escluso, ascoltare un'infinità di insegnamenti sul valore di quel sacramento e sui sacrifici che esso comportava ( “pensavo che dopo la messa questi discorsi fossero finiti” sussurrò Emanuele tra i denti a Camilla) e consegnare le bomboniere; il pranzo tirò per le lunghe e ne uscirono a pomeriggio inoltrato, esausti e con l'unico desiderio di togliersi gli abiti da festa e stare finalmente da soli, con il fermo proposito di non riunire mai più tutti i loro parenti nella stessa stanza fino almeno alle nozze d'oro, quando, auspicavano, almeno la metà di loro non sarebbe più stata in circolazione.
-E mi raccomando, e guardate che, e non sarà sempre facile – li scimmiottò Emanuele – ma ci siamo appena sposati, non puoi lasciarmi nel mio stato di eccitazione estatica e rimandare le prediche a un altro giorno?
-Dimenticano che viviamo assieme da tre anni e che siamo fidanzati da parecchio. Pensano che non abbiamo idea di cosa voglia dire condividere il proprio quotidiano con una persona – sospirò lei, togliendosi le scarpe con la punta dei piedi e lasciandole cadere per terra.
-Ma sì, lasciamoli perdere... Dio, sono esausto. Andrei a dormire subito, se non avessi una quindicina di portate nello stomaco.
-Non dirmelo. Andrei a fare una passeggiata, ma non ho nemmeno la forza per alzarmi dal letto.
-Ci facciamo un the?
Lei sorrise.
-Finocchio e liquirizia. Il digestivo ideale – lo informò – faccio una caraffa?
-No, riempi direttamente il pentolone per il minestrone con tutta l'acqua che riesci a farci stare, e poi falla bollire. Dovrebbe essere sufficiente, ma non ne sono sicuro.
Camilla rise e, con uno slancio, si tirò su e andò al piano di sotto. La raggiunse quasi subito; prima tirò fuori il regalo dei suoi alunni dallo scaffale su cui l'aveva lasciato, e lo portò di sotto.
-Lo apriamo? - disse a Camilla, che stava scegliendo le foglie di the – Questo è il regalo dei miei studenti.
-Ma certo, apriamolo! Sono curiosa.
-Tieni, scartalo tu – glielo porse. Lei l'afferrò con un sorriso e lo scartò velocemente.
Era una grande cornice d'argento, molto elegante; ci avevano inserito una specie di collage, fatto con un programma di grafica, dove avevano inserito tutte le loro facce.
-Ma dai, che carini! - rise Camilla – C'è anche un biglietto... leggilo, dai!
-Vediamo... dunque, dice: “Tanti auguri di cuore dalla terza A! Ovviamente la cornice è destinata a ospitare una foto sua e della sua bellissima moglie, non le nostre brutte facce! Grazie per tutto quello che ha fatto per noi... le vogliamo bene. Terza A”, e poi ci sono le firme.
Tacque, inebetito.
Camilla lo guardò.
-Ti vogliono molto bene – disse. Lui annuì.
-Alla fine, forse, un piccolo segno gliel'ho lasciato.
Dopo il the, iniziarono a spreparare il tavolo del soggiorno, a buttare gli avanzi che non era possibile conservare, a pulire il pavimento e a rimettere i mobili al loro posto. Quella sera non cenarono; guardarono assieme Balle Spaziali e, sebbene fosse divertente, si addormentarono entrambi a metà film. Dato che la sveglia era puntata piuttosto presto per entrambi, Emanuele spense tutto e si addormentarono abbracciati, dopo un lungo bacio caldissimo.

E la mattina dopo si alzò con la sveglia, era un'altra bella giornata di sole, l'aria fresca del mattino penetrava dolcemente attraverso la finestra socchiusa. Erano felici; altri due giorni e poi finalmente sarebbero partiti, i preparativi erano terminati, erano marito e moglie e finalmente tutto era finito, le nubi si erano dissolte.
Dopo aver infilato i jeans, la camicia e la giacca, dopo aver dato un lungo bacio a Camilla e averla abbracciata forte, dopo averle mormorato “non vedo l'ora di riabbracciarti quanto torno a casa”, uscì in giardino e ammirando il cielo turchino aprì il cancello.
Fu nel richiuderlo che si accorse di una lettera che sporgeva dalla cassetta della posta.
-Ma dai? - mormorò tra sé e sé, poi chiamò Camilla che stava richiudendo la porta – Cami, ma il postino a che ora passa?
-Intorno a mezzogiorno – gli disse lei, guardandolo con aria interrogativa – ci è arrivata posta?
-Pare di sì – rispose, infilando la mano nella fessura della cassetta – che sia arrivata ieri, e non ce ne siamo accorti?
-Non credo, il postino non passa di domenica.
-Aspetta un attimo.
Camilla rimase sulla porta in attesa. Riuscì a recuperare la busta; non indicava un mittente né un destinatario. Era bianca e asettica, come la parete di una casa.
La aprì incerto.
Poi riconobbe quella calligrafia che aveva visto così tante volte nei temi, e pensò, ha voluto farmi gli auguri. Un po' sorpreso, iniziò a leggere.

“Caro Emanuele,
è strano, vero? È la prima volta che ti chiamo così. Forse, se ti avessi chiamato così fin dall'inizio, se non ti avessi chiamato 'prof', 'professore', non ti saresti sentito come il mio insegnante, ma soltanto come un uomo posto di fronte a una donna, e le cose tra noi magari sarebbero state diverse. O magari no, ma mi piace pensarlo. Stavolta, però, volevo proprio chiamarti così, come fanno tutti i tuoi amici e i tuoi genitori e Camilla, perché avrei voluto farlo tante volte, davvero, ma la convenzione imponeva che io rispettassi il tuo stato di docente, e così non l'ho mai fatto, nonostante mi sembrasse di allontanarmi da te. Sebbene ti amassi, non ho mai potuto chiamarti per nome.
So che adesso starai sorridendo e pensando che esagero, come al solito. L'hai sempre pensato. Non ho mai saputo farti cambiare idea, e anche adesso, nonostante tutto, la cosa più importante mi sembra ancora cercare di dimostrartelo; almeno dimostrartelo. Vorrei farti capire che forse era infantile, forse era ossessivo, forse era mal espresso, ma non ho dubbi che il mio verso di te fosse amore.
Non fraintendermi: lo è ancora. Non sono mai riuscita a cancellarti dal mio cuore, nonostante ci abbia provato mille volte. La mia mente viene sempre trascinata qua e là, in mille direzioni, e a volte non riesco a tenere stretta la sua mano e quella scivola giù per il precipizio, ma c'è sempre stata una costante nei miei pensieri, sempre, ogni volta che schizzavo in alto o sprofondavo in basso. Sei sempre stato dentro di me, al centro di ogni mio istante.
Se non vuoi chiamarlo amore, allora non chiamarlo in nessun altro modo.”

-Ema? Tutto bene?
-Aspetta... aspetta un attimo – esalò.

“Forse, come dici tu, non sono mai riuscita a trovare un appiglio, e mi sono aggrappata a te con le mie ultime forze. Ci ho riflettuto molto, Emanuele. Qualcosa non mi tornava, stonava, non mi convinceva. E mi sono chiesta: non lo facciamo forse tutti? Quando ci innamoriamo, non ci sentiamo forse come se avessimo trovato un'ancora di salvezza in mezzo a tutta la cattiveria che c'è nel mondo? Camilla non è forse per te una scintilla luminosa che illumina le tue notti?
E così mi sono chiesta se non potesse essere così anche per me, verso di te. Tu protesteresti che io sono sempre stata sola, che sei stato l'unica persona che mi abbia mai teso la mano. Può darsi. Ma il fatto che tu sia stato l'unico a guardare oltre non ti rende degno d'amore? E questo non perché hai guardato in me, in particolare; ma semplicemente perché hai teso la mano a qualcuno che ormai era solo in mezzo al palco, immerso nel cono luminoso dell'occhio di bue.
Non so se ora tu mi creda. Non so se mi crederai mai. Forse continuerai ad aggrapparti alla tua teoria per non pensare che una sedicenne sia capace d'amore, e che in un modo o nell'altro tu sia stato coinvolto in una storia che ti stava logorando.
E a proposito: perdonami. Perdonatemi, tu e Camilla, per tutti i disagi che vi ho causato. So di aver invaso la tua vita e il tuo tempo più di quanto sarebbe stato lecito fare, e so di averti dato troppi pensieri che tu non meritavi di portarti sulle spalle. Vi chiedo scusa dal profondo del cuore. Perdonatemi, se potete, e cercate di essere felici, perché ve lo siete meritati, e perché quello che avete è molto più di quanto io e miliardi di altre persone avremo mai in tutta la vita. Vi è stato elargito un dono raro. Figurati che io non ci credevo nemmeno più, finché non ho visto voi. Quindi, anche per me, prendetevene cura. Ve lo chiedo come favore.
Ma torniamo a noi.”

-Ema, di chi è quella lettera...?
-Aspetta solo un secondo, ti prego. Un secondo solo.
-Tutto a posto?
-Un attimo. U... un attimo.

“Ti ho scritto perché volevo che almeno tu capissi. E, se puoi, che lo spiegassi agli altri.
Vedi, ho scritto miliardi di volte questa lettera, in momenti di lucidità, perché so che se l'avessi scritta poco prima di imbucarla in questa cassetta, mentre tu eri al matrimonio, avrei scritto soltanto una sfilza di frasi senza senso, e non avresti capito niente, perché non avrei capito molto neanch'io. Quindi non so cos'avrò avuto esattamente per la testa nel momento in cui sono venuta qui, davanti al tuo cancello. Probabilmente, se l'ho fatto, è stato perché mi sentivo sola. Perché tu e lei vi stavate unendo per tutta la vita, perché ti ho definitivamente perso. Perché in fondo non sono mai riuscita ad accettarlo. Perché oltre a te non avevo nessuno, e non sono mai stata davvero disposta a condividerti. Perché il mio amore è destinato a non essere ricambiato... ma, soprattutto, perché ho preso una decisione cosciente.
Una mia amica, un po' di tempo fa, mi aveva fatto ascoltare una canzone. Non ricordo chi fossero gli autori, ma mi è piaciuta subito. Mi ha ricordato me stessa.
Mi dispiace di aver delirato sulle bombe, sulla guerra, davvero, non avrei voluto dare scena a quel modo. Le vedevo davvero, questo è il fatto. E sentivo i boati degli scoppi, a volte sentivo addirittura delle urla di agonia. Mi succede sempre più spesso, e io sono stanca.
Come ti ho già detto, sono stanca di tante cose, e queste cose non cambieranno mai.
E c'è un altro aspetto da tenere in considerazione: io la pazzia non la voglio più nella mia vita.
Il punto è che lei non se ne andrà, continua a farmi visita e lo fa sempre più frequentemente. Tenerla sotto controllo è così difficile, Emanuele, e quando arriva mi sconvolge così tanto che ho paura del momento in cui perderò definitivamente me stessa, il momento in cui non sarò io a parlarti ma un pagliaccio caricato a molla che scatta a sorpresa fuori da una scatola, e poi, dopo qualche rimbalzo, si affloscia pesantemente sul tavolo.
Ho paura, ho sempre avuto paura. E quando arriva la tristezza, mi schiaccia a terra in un modo che non puoi immaginare. Qualunque cosa io faccia, non mi lascia finché non è lei a decidere di farlo.
Non è questo che volevo.
Non volevo questa madre, non volevo di certo quel padre che ho. Non volevo essere messa in disparte da tutti, ma non ho potuto evitarlo. Mi sono sempre sembrati tutti così bambini. Così felici, e io così sola.
E quando ho visto l'unica persona che mi abbia mai ascoltata, l'unica che abbia mai amato davvero, quando l'ho vista allontanarsi per mano con qualcuno, ho capito che c'era un modo per uscire da tutto questo, perché era evidente che questa realtà non facesse per me; cercava di dirmelo in ogni modo, continuava a suggerirmi di lasciar perdere, era quasi buffo il modo in cui cercava di farmelo entrare in testa, il modo in cui io fingevo di non capire.
Ero così stanca di sentire le bombe, Emanuele.
E quella canzone mi ha fatto capire alcune cose; mi ha detto che potevo non sentirle più, se era questo che desideravo. Prima ero disperata, ma dopo questa scoperta ho recuperato la speranza. Come ti avevo detto, era tutto a posto; alla fine sono riuscita a risolvere tutto.
Davvero non ricordo l'autore, ricordo solo alcuni versi. Te li riporto, forse tu potrai capire. E se così fosse, spiegalo anche agli altri, ti prego. Vorrei che almeno questa volta capissero quello che ho fatto.
Oh, e per favore, non dimenticarti di portarmi i fiori come mi avevi promesso.

“Vivere non è possibile”
Lasciò un biglietto inutile
Prima di respirare il gas
Prima di perdersi nel caos
Era una mia amica
Era una stronza
Aveva sedici anni appena

[…]

E nonostante le bombe vicine e la fame
Malgrado le mine
Sul foglio lasciò parole nere di vita
“La guerra è finita
Per sempre finita
Almeno per me.”

Emotivamente instabile
Viziata ed insensibile
Il professore la bollò

[…]

E nonostante la madre impazzita e suo padre
Malgrado Belgrado, America e Bush
Con una bic profumata
Da attrice bruciata
“La guerra è finita”
Scrisse così.

Con vero amore, e grazie di tutto.

Bianca.”











*Nel caso non conosciate questo disturbo, vi consiglio fortemente di leggere la breve spiegazione che vi ho fornito qui sotto. Penso di poterla ritenere abbastanza esauriente, e, soprattutto, se non sapete nulla del bipolare non capirete granché di quello che verrà detto d'ora in avanti su Bianca ^^;.

Il disturbo bipolare è una psicosi (per questo viene anche chiamato psicosi maniaco-depressiva) contraddistinta dall'alternarsi di fasi di mania e fasi di depressione, intervallate da periodi di normalità.
Lo stato maniacale consiste in un periodo di grande energia e vitalità da parte della persona malata: in questo periodo è sempre allegro, ottimista, scherzoso, pronto a tutto; non avverte la fatica, la fame e il sonno, tende a parlare esageratamente ed a velocità eccessiva, a volte perdendo il filo dei suoi stessi discorsi (fuga d'idee). Lo stato depressivo invece è un periodo in cui la persona ha pensieri negativi, perde la vitalità e la voglia di vivere. Questi due periodi non hanno una durata precisa poiché questa dipende dalla rapidità del 'ciclo' delle oscillazioni: possono durare mesi come pochi minuti, a seconda della persona.
Questo disturbo viene suddiviso in due assi:
-bipolare II: considerato meno grave del bipolare I, è caratterizzato dall'alternarsi di fasi depressive (in cui comunque devono essere diagnosticati i sintomi di depressione maggiore) a fasi di normalità o di ipomania, ovvero una forma meno estrema dello stato maniacale.
-bipolare I: viene riconosciuto allorquando compaia un'alternarsi di fasi depressive a fasi maniacali; inoltre è necessario che sia avvenuto un episodio maniacale, come ad esempio un tentativo di suicidio.
Esiste anche il disturbo ciclotimico, che prevede l'interscambiarsi di episodi depressivi (quindi la diagnosi non è quella di depressione maggiore) ad episodi ipomaniacali.
Questi stati d'animo sfuggono dal controllo della persona bipolare, che avverte il proprio stato mentale come in balia della pazzia e nutre il timore di perdere il contatto con la propria personalità e con la realtà stessa. Spesso i bipolari tendono ad abusare di alcool, convinti che possa avere un effetto lenitivo sui sintomi della mania - che è caratterizzata da un treno velocissimo di pensieri incoerenti; spesso la persona affetta da questo disturbo ricorre al suicidio solo per fermare quel fiume in piena di pensieri inafferrabili - dove in realtà l'alcool peggiora soltanto i sintomi del loro disturbo; per di più agisce danneggiando il fegato, solitamente piuttosto provato dagli stabilizzatori dell'umore.
I medicinali possono tenere sotto controllo il disturbo e garantire una vita pressoché normale, ma devono essere assunti regolarmente e venire associati a una vita regolata e sana.
Nel momento in cui gli effetti del bipolare rendessero impossibile il condurre una vita normale, si ricorre all'ospedalizzazione e in casi estremi all'elettroshock. Durante le fasi di mania acuta, la psicosi porta alla perdita della memoria, ad avere manie di grandezza, ad ingigantire fatti ed eventi, a inventare storie sulla propria vita e su quella dei propri conoscenti, fino ad arrivare alle allucinazioni visive ed uditive. In questi casi si manifesta una perdita di controllo sulla propria mente e la persona viene ritenuta incapace di intendere e di volere. Se riconosciuto ai suoi inizi e se curato regolarmente, il disturbo bipolare non raggiunge questi picchi di psicosi. Se trascurato, invece, tende a peggiorare: più episodi maniacali avvengono, più è certo che ne avverranno in futuro.
Il disturbo bipolare presenta un'altissima percentuale di suicidi. Questo perché le fasi depressive sono tanto profonde e le fasi maniacali tanto estreme che la persona arriva a desiderare di porre una fine a quell'alternarsi di sensazioni tanto intense. Esistono anche episodi misti in cui, ai pensieri negativi tipici delle fasi depressive, si unisce il flusso incessante di pensieri tipico della mania: in momenti come questi è altamente probabile che la persona tenti il suicidio. E' importante sottolineare che la psicosi può portare a una morte accidentale poiché spinge ad azioni potenzialmente pericolose e rischiose: guida spericolata, abuso di alcool e droghe.
Non è raro che chi soffre di questa malattia tenda ad avere una vita sessuale, sociale e lavorativa molto intense; l'energia portata dalla mania porta a pensarsi capaci di sostenere ritmi impensabili e, da una parte, una vita piena può costituire una valvola di sfogo; la persona maniacale tende a non stare mai ferma, mai zitta, ad essere sempre in movimento. In realtà un simile modus vivendi è altamente sconsigliabile, poiché debilita il fisico mostrando, però, gli effetti di tale sfinimento soltanto una volta conclusosi il periodo maniacale. Al periodo maniacale segue sempre un periodo depressivo, tanto più grave quanto più intensa è stata la mania. Tuttavia, alcune teorie sostengono che la mania sia un modo utilizzato dalla psiche per riprendersi la spinta vitale sottrattale dalla fase depressiva.
Il disturbo bipolare è genetico e può anche rimanere latente; di solito a risvegliarlo è un trauma psicologico.
E' stato spesso riscontrato in persone universalmente riconosciute come 'geniali'; se può interessarvi, vi fornisco una lista di bipolari celebri: http://www.bipolarsupport.org/famous.html.










(Nda: e quindi siamo arrivati alla fine. L'epilogo vi racconterà quanto succede dopo la lettera, ma la fine vera e propria è questa.
Alla luce dei fatti che sono emersi, volevo fare un paio di considerazioni sui personaggi.
Camilla e Bianca hanno suscitato reazioni opposte in chi ha letto la storia e l'ha seguita fino a qui, soprattutto negli ultimi capitoli. Credo che in Bianca la spiegazione sia stata fornita: è eccessiva perché è bipolare. Oscilla da uno stato all'altro perché è un caso da manuale di quella che è la sua malattia. E può risultare affascinante perché, come moltissimi bipolari, ha un'intelligenza spiccata, interessi culturali, un carattere vivace e un modo di fare particolare, capace di sorprendere - almeno così mi dite ^^ io spero di averla resa così. Il fatto che susciti opinioni contrastanti non mi sorprende; come ripeto, è un caso tipico.
Quanto a Camilla, c'è chi la voleva combattiva e chi invece la voleva dolce e riservata fino alla fine. C'è da dire che Camilla è soltanto un essere umano. Una persona mite e gentile di carattere, che ha provato a farla funzionare finché ha potuto, ma che poi non ce l'ha fatta più e ha confessato i suoi disagi. Spero che non sia stata interpretata da tutti come una che ha recitato una commedia. Le relazioni umane sono molto più complicate di 'essere' o 'non essere' (senza alcun rimando shakespeariano); ci sono molte zone grige, molte debolezze e molti tentativi. Questa è la storia normale e senza gloria di un cavaliere e una principessa che hanno scoperto che nella vita non può sempre andar bene, e che quindi hanno smesso i loro panni per vivere qualcosa di più reale. Di meno edulcorato, ma reale. Spero che questo messaggio fosse passato anche senza la mia spiegazione :).
Quasi dimenticavo: la canzone, se vi interessa, è La guerra è finita dei Baustelle. Non amo il gruppo e non ho mai ascoltato questa canzone, ne conosco solo il testo, ma non ha potuto non farmi pensare a Bianca.
Per rispondervi ^_^:
-complimenti a Dance of Death per aver intuito che il disagio di Bianca era di tipo psichiatrico ^^! Non si trattava appunto di schizofrenia, ma sono contenta di vedere che gli hint sono stati colti :*.
-Khristh: ehm... ^^; non so se scriverò una nuova storia tanto presto, non credo in ogni caso; non ho idee ora come ora e l'idea di un'altra long fiction mi uccide *_*''. Ma se ti è piaciuta questa, tra le mie storie prova a leggere No Hope, No Love, No Glory: è un'angst come questa, anzi, forse lo è di più XD con la differenza che è più lunga e quindi il tormento non finirà facilmente :P.
-Rebellion: no, io e Bianca non abbiamo niente a che vedere ^^, a parte cose molto generiche che però non fanno testo. E' un personaggio che ho completamente inventato. I riferimenti ovviamente sono pescati dalle mie conoscenze personali, ma questo credo sia normale ^^.
E ovviamente un GRAZIE enorme a tutti voi che avete recensito, davvero. Siete stati carinissimi, un pubblico obiettivo e capace di spunti di discussione. Vi ringrazio infinitamente per avermi regalato una porzione del vostro tempo commentando la mia storia e i miei personaggi. Grazie davvero. (E un chu ;* a CTA.)
Il ringraziamento finale va al mio ragazzo :* che ha seguito fino a qui commentandomi pezzo per pezzo, e gettando lui stesso luce su alcuni aspetti dei personaggi e della narrazione che non avevo considerato. Grazie, di questo e di tutto il resto naturalmente.
Spero davvero di avervi dato qualcosa con questa storia, un pizzico d'informazione o una prospettiva diversa su certi modi di vivere, magari.
Ancora grazie per il vostro prezioso sostegno. Vi lascio all'epilogo ;) e buon fine settimana!

Arianna aka The Corpse Bride)
  
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