Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: swan87    10/12/2009    2 recensioni
Quando i Cullen arrivano in città non passano inosservati. Jessica, Angela e Lauren reagiscono come tutti!Nel primo libro della saga, Twilight, Jessica lascia intendere a Bella di essere stata rifiutata da Edward...Ecco com'è andata secondo me! La storia dai punti di vista di Edward e delle ragazze!buona lettura...
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Angela, Edward Cullen, Jessica
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Missing Moments: The Twilight Saga'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Voglio restare solo!

Ultimo capitolo della mia fiction, mi piacerebbe sapere molto che ne pensate!lasciate delle recensioni!

Vediamo che ne pensa Edward del maldestro approccio di Jessica e Lauren...

Voglio restare solo! 

Capitolo 5 Edward POV

Forse sperare di avere il dono dell’invisibilità era troppo. Non avevo dubbi che l’avrei barattato volentieri con il mio dono di leggere nel pensiero altrui. Mi sarebbe anche solo bastato poter spegnere la caotica mescolanza di pensieri che avevo nella testa. Voci, voci diverse, ma tutte con un unico pensiero:noi! Dieci minuti, non avrei chiesto molto, una piccola tregua prima di buttarmi nuovamente nel turbinio di pensieri della mensa scolastica. Il mio fisico perfetto e la mia mente soprannaturale non richiedevano lunghi tempi di riposo, anzi a dire la verità proprio non ne richiedevano, però avevo bisogno di un attimo di raccoglimento personale.

Camminavo lentamente seguendo i miei fratelli e osservando il nuovo edificio scolastico. Ottant’anni prima, quando io e la mia famiglia vivevamo qui e avevamo stabilito la tregua con i Quilleute, questo posto non c’era. Era molto nuovo e moderno, con mattoni a vista ed aule super accessoriate per seguire tutte le lezioni. Al suo posto c’era una fabbrica grigia e tetra , che però dava lavoro a molte persone. In seguito avevano costruito il liceo di Forks.

La mensa era suddivisa in tavolini ordinati e grande tavolate dove già avevano preso posto alcuni studenti. Mangiavano, ma con la coda dell’occhio guardavano nella nostra direzione. Emmett ogni tanto li sorprendeva con la sua occhiata minacciosa.

Rosalie, che ci precedeva tutti, camminava a testa alta. Senza nemmeno guardarlo afferrò un vassoio verde e si diresse verso il self-service. Tutti gli altri la imitarono e si misero in fila dietro di lei. Dietro di me sentivo degli strani pensieri, infastiditi e nervosi. Senza voltarmi mi misi in ascolto. Intuì subito quale fosse il problema: le due ragazze che prima si trovavamo in bagno avevano deciso di seguirci e tentare l’approccio. Oh no! Ci mancava solo questo a rovinare la mia terribile giornata.

A quanto pare si erano fatte largo tra la coda di ragazzi pazientemente in attesa per tentare di guadagnare una posizione alle spalle dell’ultimo dei nostri. Io. Cosa avevo fatto di male per meritarmi tutto questo? Un paio di cose mi vennero in mente, ma scacciai i pensieri. Volevo solo restarmene solo per il resto della mia esistenza, senza interferire con le loro brevi vite umane. Chiedevo troppo?

Sentivi pensieri e insulti sussurrati rivolti alle due studentesse dietro di me. Un pungente odore floreale mi giunse al naso, mischiato a cosmetici e metalli di poco valore. Mi infastidiva molto. Sentivo Alice disapprovare le scelte delle ragazze. Lei non avrebbe mai comperato dei gioielli di bigiotteria o dei profumi così scadenti e, di conseguenza, non avrebbe mai permesso a noi di utilizzare tali prodotti. Ci costringeva a vestirci all’ultima moda, firmati dalla testa ai piedi. La cosa migliore era assecondarla, il rischio era di sentirla petulante per giorni e giorni.

Chi cavolo si credono di essere quelle due? “ pensò una ragazza dietro di me.

Eh sì, comportandosi così da sciocche dovevano aver suscitato le antipatie di molti.

Erano arrivate dietro di noi e ci stavano osservando. Sentivo una delle due analizzare la situazione  osservandoci bene di spalle. L’altra cercava di capire cosa avesse in mente la sua amica per approcciarmi.

Cercai con tutte le forze di ignorarle, ma la cosa si rivelò più difficile del previsto. Trovandosi proprio dietro di me era come se mi stessero parlando nell’orecchio, così tentare di scacciare i loro pensierini fu impossibile.

Dopo una risatina irritante sentì una delle due parlare “sono proprio loro. L’ultimo sembra da solo.”

Ecco la vittima designata. L’ultimo della fila, come al solito. Il più solo di tutti, escluso dalle liaison amorose della mia famiglia. Avrei tanto voluto scomparire.

“Già” rispose la seconda con il respiro affannato “e adesso cosa facciamo?”.

Dovete sparire dalla mia esistenza! Avrei anche potuto girarmi di scatto e fulminarle con lo sguardo, ma si sarebbero spaventate a morte. In effetti sarebbe stato un bene, almeno me le sarei levate di torno.

“Non ti preoccupare Lauren, ho già in mente un piano”. Dovevano essere veramente organizzare, una soprattutto, per avere anche un piano per approcciarmi. Questa proprio non mi era mai capitata.

Afferrai un vassoio e lo appoggiai alle barre di scorrimento metalliche. Movimento perfettamente inutile, avrei potuto reggere quell’insignificante oggetto per anni senza mai sentire il bisogno di appoggiarlo, ma la nostra natura di vampiri civilizzati ci imponeva di imitare gli umani in tutto e per tutto.

La ragazza dietro di me mi imitò e appoggiò il vassoio rumorosamente schiarendosi la gola. Potevo sentire i suoi pensieri e provavo un forte imbarazzo per lei.

“ Allora LAUREN come sono andate le vacanze?” chiese questa dopo un attimo di esitazione. Lessi un certo stupore nei pensieri di Lauren, così evidentemente si chiamava, che si rese conto di quale fosse il “piano” dell’altra e le rispose sulla stessa linea d’onda.

“Bene JESSICA, sono stata da mia nonna in California e là il tempo è decisamente migliore, sole, mare e un sacco di ragazzi carini!”

“ Beata te! Io sono rimasta a Forks e il massimo che ho fatto è stato un paio di gite a La Push alla spiaggia. Mi sarebbe piaciuto andare in Alaska!” ribatté Jessica.

Se avessi dovuto dare un voto per l’originalità dell’approccio sarebbe stato basso, anzi molto basso. Provavo una certa compassione per quella ragazza e la sua smania di notorietà che traspariva dai suoi pensieri. Lessi un’acuta delusione quando non colse nemmeno un minimo cenno da parte mia dopo aver nominato l’Alaska.

“Si beh certo, l’Alaska deve essere molto interessante come stato. Poi d’estate non è così freddo” tentò disperata di rispondere l’altra sperando in un movimento da parte mia.

Secondo il loro piano mentale io mi sarei dovuto girare istantaneamente  sentendo nominare “casa mia” e con un gran sorriso in faccia  mi sarei dovuto rivolgere a loro dicendo “Ehi, avete per caso detto Alaska?! Che coincidenza, io vivevo là fino a pochissimo tempo fa, mi sono trasferito con la mia famiglia e non conosco assolutamente nessuno. Piacere mi chiamo Edward Cullen e vorrei diventare vostro amico”. La mente umana ragionava in una maniera così elementare? Speravo di no, ma il dubbio che potesse essere così mi pervase.

Ad un certo punto mio fratello Emmett, che era rimasto in ascolto dello scambio di battute delle ragazze, scoppiò in una fragorosa e sguaiata risata. Rosalie lo imitò dopo poco. Ridevano come bambini. “Oh povero Edward. Ma va ancora di moda tentare l’approccio buttando il discorso sul casuale? Forse funzionava quando avevo quindici anni io. E direi che di anni ne sono passati un bel po’…” pensò Emmett.

“Ma insomma, come mai non si gira. Oh cavolo, stiamo arrivando in fondo alla fila e non ha ancora preso nulla da mangiare, prenderà qualcosa al volo e mi scapperà. Non posso permettere che accada. Oh no, Jessica Stanley non lascerà che questo splendido ragazzo se ne vada senza degnarmi di uno sguardo.”

D’improvviso mi resi conto che il mio vassoio era ancora vuoto, così di getto afferrai una mela. Grazie Jessica, una cosa utile l’avevi fatta! La sentivo macchinare e progettare la prossima mossa. D’istinto prese una bottiglietta d’acqua, non sarei potuto sfuggirle. Non avrei potuto rifiutare una richiesta di aiuto. Uffa!

Arrivai alla cassa con espressione vuota e vacua. Vidi la cassiera strabuzzare gli occhi alla vista del mio viso perfetto. Ogni volta era sempre così, pulsazioni accelerate, respiro affannoso e sgomento. La mia natura di predatore infallibile faceva sugli umani (donne soprattutto) lo stesso effetto.

“Poca fame?” balbettò dopo un attimo lei. La sentivo sudare leggermente nell’incontrare il mio sguardo d’oro. Fece finta di distrarsi battendo le dita velocemente sulla tastiera della cassa. I suoi pensieri erano così ovvi e scontati che non mi diedero nemmeno fastidio. Era più concentrato sulle due ragazze dietro di me e aspettavo pazientemente che Jessica si decidesse a parlare. Speravo che non trovasse il coraggio in modo da potermi andare a sedere tranquillo al mio posto lontano da tutti.

“Già” le risposi in un attimo e la fissai. Rimase impietrita per un attimo interminabile e poi digitò il tasto dell’emissione scontrino.

Jessica stava per parlare, la sentii raccogliere tutto il coraggio che aveva e accennare un timido “Scusa?”. Inspirai a fondo prima di voltarmi e buttai un’occhiata al tavolo dei miei fratelli. Mi fissavano e si godevano la scena. Emmett se ne stava con le braccia appoggiate sul tavolo e le mani sotto il mento per sottolineare il suo interesse e godersi appieno l’approccio. Lo sentivo ridere mentalmente.

Automaticamente mi irrigidì e mi voltai con assoluta lentezza. Aspettai paziente le reazioni delle ragazze alla vista del mio volto. Mi paragonarono ad un modello, al principe azzurro e ad altre stupidaggini simili. Si soffermarono in particolare sui miei occhi di “oro colato” e miele , cosa abbastanza inconsueta per un umano e sprecarono complimenti su quanto fossi bello.

Tenevo le braccia distese lungo i fianchi ed i pugni leggermente serrati, un modo stupido e assolutamente inutile per difendermi ed isolarmi dal mondo circostante. Non sarebbe bastata la mia forza di volontà a bloccare l’istinto omicida del predatore, ma non ne sentivo il bisogno impellente. Nel corso degli anni il mio autocontrollo si era affinato, non ai livelli di quello di Carlisle, ma abbastanza per sopportare la vicinanza di umani. Nella mia vita immortale avevo ucciso solo persone colpevoli e ripugnanti e, per quanto fossero sgradevoli le due ragazze, di certo non le avrei mai considerate tali. Evitavo qualsiasi contatto, specialmente fisico, che non fosse strettamente necessario e non sarei stato da meno in quell’occasione.

Dopo queste brevissime riflessioni tornai a concentrarmi sul viso di Jessica e con un sussurro mi rivolsi a lei. Tentai di rendere la mia voce più cupa che potessi, un modo per lanciare il messaggio implicito “devi lasciarmi in pace”.

“Si?” e la fissai per un istante di rimando analizzando i suoi pensieri. La vidi sconcertata di tanta freddezza e disinteresse. Osservai i suoi piani frantumarsi, presa in contropiede dal mio approccio così disinteressato. In un primo momento decise di rinunciare e scappare, poi però si disse “perché no? ormai sono qui!”.

“Beh, ecco, mi chiedevo se per caso non potessi aprirmi la bottiglietta dell’acqua, non riesco a svitare il tappo…” e con mano leggermente tremolante me la offrì dopo alcuni secondi.

Fissai il contenitore di plastica che avrei potuto sbriciolare in un attimo e poi, con un gesto rapido e ben attento a non sfiorare la sua manina pallida (mai quanto la mia), prelevai la bottiglietta e svitai il tappo. Il naso mi faceva male per l’eccesso di profumo e la situazione si stava facendo sgradevole ed imbarazzante. Con una smorfia le restituii la bottiglietta.

Fine. Aveva raggiunto il suo scopo, cosa voleva ancora da me? Aveva tentato di approcciarmi senza risultato e avrebbe dovuto rinunciare. Era palese che non mi sarei dimostrato un perfetto amico, o peggio, FIDANZATO!

Lessi rapidamente nella sua mente che non sarebbe finita lì. Per mia fortuna ero molto paziente. Probabilmente l’errore risiede nella nostra natura. La capacità di pazientare e collaborare ci è stata infusa da mio padre. I vampiri per indole sono violenti ed abituati ad avere tutto e subito. Le loro vittime non hanno nemmeno la possibilità di interagire con loro, vengono uccise in un attimo e poi dissanguate.

Nel corso degli anni Carlisle ci ha insegnato a comunicare ricordandoci che una volta, seppur per pochi anni, siamo stati umani anche noi e che in una certa maniera dobbiamo continuare ad esserlo.

Jasper percepì il mio disagio e mi infuse uno stato di calma. Subito mi sentii più rilassato, seppur determinato a seminare le ragazze il prima possibile.

Mi voltai lentamente e mi avviai verso i miei fratelli che mi aspettavano ridacchiando. Ci mancava solo che cominciassero a prendermi in giro. Stavo per fare il primo passo quando la ragazza parlò di nuovo con la sua voce da bambina.

“Beh, ehm, grazie. Mi chiamo Jessica. Jessica Stanley” riprese la ragazza in uno slancio di coraggio, accaldata in viso e agitata. Ne sentivo il sangue pulsare frenetico sotto la pelle del collo.

Voltai leggermente la testa verso Jessica. La mia educazione mi imponeva di rispondere al ringraziamento e presentarmi a mia volta. Poco importa che dopo tutti avrebbero saputo il mio nome, era solo questione di tempo.

Sussurrai con la voce cupa e fredda di prima “Prego. Mi chiamo Edward Cullen” in tono monocorde. Detto questo mi avviai senza attendere la risposta che non sarebbe tardata. Forse mi allontanai con troppo fretta, ma lei era troppo sconvolta per rendersene conto. Forse sconvolta non era la definizione esatta, piuttosto era indignata e offesa nell’orgoglio per tanto disinteresse.

Come previsto la sua risposta arrivò, ma ormai avevo già quasi raggiunto il mio tavolo. “Se dovessi aver bisogno di qualcosa…” lasciò cadere la frase nel vuoto arrendendosi.

Ce l’avevo fatta! Ero assolutamente sicuro che quelle ragazze non si sarebbero più avvicinate a me e sicuramente si sarebbe sparsa la voce che Edward Cullen è un maleducato scontroso. Non chiedevo di meglio. Brava Jessica, hai fatto bene a parlarmi. Ora nessuno mi avrebbe più infastidito e io sarei potuto rimanere da solo a riflettere sulla mia esistenza immortale.

Ero sicuro di avere offeso il suo orgoglio perché i suoi pensieri si tramutarono in parole poco dopo che mi ero allontanato. Infatti la sentii chiamare Lauren a sé ed esclamare con voce rabbiosa “Andiamo a mangiare!”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: swan87