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Autore: LawrenceTwosomeTime    11/12/2009    1 recensioni
Una favola horror in tinta agrodolce, che mi premurerò di non tirare troppo per le lunghe.
Genere: Sovrannaturale, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La signora bianca aveva la caviglia svelta, faticavo a starle appresso.
Mentre incespicavo e arrancavo dietro a quell'ombra sfuggente, arrampicandomi per gradinate claustrofobiche e sottoportici incassati, arrischiai una domanda.
"Dov'è qui?"
La donna sbuffò e agitò la mano in segno di impazienza: "Mai una volta che qualcuno si azzardi a cambiare registro…Dov'è rispetto a cosa, di grazia?"
"Ci troviamo ancora sulla Terra? Insomma, questa è la realtà?"
"Certo che siamo reali, noi e il mondo che ci ruota intorno! E per rispondere alla tua prima domanda…ni"
"Ni?"
"Viviamo in una realtà parallela, una dimensione alternativa, un qualcosa che però è qualcos'altro"
"Stai cercando di dire che esistono delle dimensioni tangenti, degli…spazi periferici, per approssimare?"
La donna bianca scomparve in un sottopassaggio. Mi affrettai a seguirla.
La luce non era che un baluginio di rame, il fetore e i miasmi di decomposizione, molto concreti.
"Ci manca ancora un po', dunque mi permetto di darti una lezione di esistenzialismo", proclamò la signora, niente più che una sagoma tremolante tra le piastrelle scrostate.
"Noi nasciamo in dei corpi, dunque non possiamo fare a meno di pensare di essere il centro del mondo"
"Io lo so benissimo di non essere al centro del mondo! E comunque, è inevitabile osservare le cose da un punto di vista soggettivo…"
"Ecco, appunto, è inevitabile. Anche sotto il giogo della razionalità, la mente tende a setacciare la realtà circostante secondo il proprio personalissimo metro di giudizio. Di conseguenza, anche la concezione del proprio vissuto soggiace a criteri di unicità e "completezza". Gli unici parametri di cui disponete sono quelli della vostra realtà di appartenenza, perciò non concepite che possano esistere altri dove e quando non dissimili da quello in cui vivete voi"

La luce di un tiepido sole lancinante ci investì quando sbucammo all'aperto.
La signora si appoggiò a una murata di cemento e mi squadrò con un po' più di attenzione.
"A proposito, qual è il tuo nome?"
Non me lo ricordavo. Dissi il nome del primo albero che mi veniva in mente.
"Acero"
"Aha. Io sono Altea"
Mi strizzò l'occhio. E proseguimmo.

"Quello che non capisco", dissi riprendendo il filo del discorso, "è perché sono finito qui. Che cos'è questo posto?"
"Non ha nome", rispose lei con tono cupo, "ma tutti lo chiamano "Il limbo degli attori". A suo tempo capirai perché"
"Tutti chi? Non c'è anima viva"
"È perché ognuno vive questa realtà in modo differente. Chiunque sia capitato in questo luogo, ci è capitato per sua scelta: ogni, e dico ogni persona che abbia mai avuto accesso a questa realtà, vi è entrata perché ha deciso di imboccare un dato sentiero, e sempre in completa autonomia, ha scelto di varcare una determinata porta"
"Cosa intendi con "in modo differente?""
"La città è infinita, ed è in simbiosi con chi la abita. Ma potrebbe non essere una città. Lo è nel tuo caso. C'è chi percorre vaste pianure desolate o futuribili megalopoli piene di vita e di rumore. Parte dell'estraniazione che sperimentiamo deriva da questo luogo, e parte è opera nostra. Come pure la scansione temporale funziona in modo totalmente differente"
"Cioè?"
"Qui il tempo è bloccato. A ognuno viene assegnato un determinato settore temporale, un frammento, un istante non scomponibile di tempo. E lì vi rimane. In eterno"
"Certo", aggiunse poi, notando la mia espressione, "può darsi che in un determinato futuro, questa città torni a rifiorire, ma tu non vedrai mai quel momento. Perché il tuo momento è qui, ora, e per sempre. Solo chi osservasse da fuori l'intercalazione di un determinato numero di soggetti in questo recipiente dimensionale, potrebbe avvedersi di uno scorrere del tempo. Ma tu no, tu vivi dentro un istante"
"E tu, allora?", chiesi con la bocca incredibilmente secca. Stavamo costeggiando una fila di casette a schiera.
"Io? Io sono una sibilla; un essere umano che, come te, è capitato in questo luogo senza riferimenti, e ha scelto di farne parte. Ho sempre amato fare da guida alla gente", precisò con una punta di orgoglio. "E la mia carica mi impone di aiutare tutte le anime sperdute a trovare il loro centro; di contro, posso viaggiare attraverso tutti i dove e i quando che compongono questa dimensione"
Avvertii un tono di mestizia nella sua voce.
"Ma…?", la incalzai.
"Ma sono condannata a rimanere qui per tutta l'eternità. Non che la cosa mi dispiaccia: per me questo posto è meglio del Paradiso"
"Vuoi dire che è possibile uscire da qui?"
"Possibile, ma non dimostrato. È come la teoria dei buchi neri, o le speculazioni sulle proprietà dell'antimateria: il calcolo probabilistico non impedisce di negare la possibilità che esista una via d'uscita. Se ci sei entrato, dovresti poterne anche uscire"
"E qualcuno ce l'ha fatta?"
"Non che io sappia"

Intanto avevamo raggiunto un piccolo viale cosparso di lamiere accartocciate, che affiancava una serie di porticine dall'aria molto graziosa e curata, in legno lucido, incastonate in un muro leggermente ribassato rispetto al livello del suolo.
"Ecco, siamo arrivati", annunciò Altea.
"La tua casa è dietro quell'ultima porta in fondo", disse indicandomi uno degli usci.
"Vivici come ti pare e piace, e non disperare: in questo posto c'è molta più vita di quanto non appaia"
"Ma che cosa si suppone che faccia?", domandai.
"Quello che facevi tutti i giorni", rispose lei con sguardo enigmatico. "Fingi di vivere"

Avrei avuto ancora molte domande da farle, ma prima che potessi avvedermene era sfuggita alla messa a fuoco dei miei occhi. Non c'era più.

Mi volsi verso l'entrata della mia nuova abitazione, conscio che probabilmente non si trattava di una semplice casa, e ruotai la maniglia di ottone.
  
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