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Autore: KikiWhiteFly    11/12/2009    4 recensioni
[Terza Classificata al Total Black Contest indetto da keli e Vincitrice del Premio Angst] «Faresti meglio ad andartene.» Sentiva perfino la sua presenza, vedeva nell'oscurità le linee immaginarie di un corpo, ne distingueva la solida mascella, le braccia lunghe e mascoline, lo sterno ampio. «Faresti meglio a cacciarmi via.»
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Una giovane fanciulla stava camminando a passo lesto e deciso lungo le vie più popolate di Konoha; le rivolgevano occhiate languide e fischi di ammirazione, probabilmente per la gonna osé che le copriva a malapena il bacino.

Alla veneranda età di diciotto anni, Sakura Haruno realizzò una cosa: bastava un pezzo di stoffa a far girar la testa agli uomini, quindi si convinse del fatto che la razza maschile non fosse altro che un'insieme di ormoni impazziti.

Fin quando il suo corpo sarebbe stato giovane e vigoroso, non avrebbe avuto problemi. Ma un giorno anche la bellezza sarebbe appassita, si sarebbe tramutata in polvere e sarebbe perita... Oh sì, le rughe d'espressione si farebbero fatte più marcate, delineando delle ragnatele ai lati degli occhi, così come le labbra, che si sarebbero incurvate pigramente verso il basso.

Preferì negare col capo, ammirandosi davanti il riflesso di un piccolo negozio: la pelle candida, le curve perfette, i capelli di un insolito color pastello ma, dopotutto, era proprio quella tonalità che la rendeva una perla più unica che rara nella monotona Konoha di fine primavera.

Sarò bella per Sasuke-kun – si diceva alcuni anni prima, davanti quello stesso riflesso.

Sarò bella perché lui un giorno mi amerà – e continuava a sorridere inebetita, compiendo un'euforica piroetta attorno a se stessa.

Sarò bella. Sarò una donna stupenda, un dì.



Hai mai pensato di essere bella per te stessa, Sakura? – non si diede risposta stavolta.

D'altronde, chi conosce la verità tace sempre,

ha paura di crederci davvero.








Aveva paura di chiudere gli occhi, perché aveva paura di vedere.




A Domi, una carissima amica.

Un regalo pre-natale e pre-compleanno, spero

sia gradito <3

Ti voglio bene, **.







Quando Sakura rientrò nella modesta abitazione, le sfuggì dalle labbra un sospiro laconico. Lanciò le chiavi sul mobiletto d'ingresso, non avrebbe mai pensato che perfino lo shopping potesse risultare faticoso. I numerosi pacchi sulla soglia della porta stavano a confermare la quantità di oggetti che avevano attirato la sua attenzione finché non avevano supplicato, con occhi lucidi, di essere comprati.

E poi, con una Ino Yamanaka al proprio fianco, gli acquisti non potevano che essere dispendiosi ed inutili. Sorrise tra sé e sé, canticchiando un assurdo motivetto.

Chiamò a voce alta i genitori, ma ottenne solo un religioso silenzio, che quasi la intimoriva. Si batté una mano sulla fronte quando ricordò che i due coniugi erano andati a mangiare fuori, insieme ai vecchi compagni di gioventù, per una sana rimpatriata tra amici.

Gettò il bigliettino di carta, sopra vi era impressa una calligrafia blu oltremodo illeggibile – la solita fretta di sua madre, evidentemente. Sul tavolo la cena era scaldata, i piatti coprivano altre scodelle, il bicchiere all'ingiù, un modesto mucchietto di tovaglioli ornati da astrusi ghirigori, il pane già tagliato.

Sua madre era sempre perfetta, impeccabile, quasi surreale. Ciononostante decise che quella sera si sarebbe dedicata ad una lettura, magari avrebbe approfondito gli studi di Medicina, raccogliendo appunti sulle nuove tecniche curative. Ligia come sempre alle regole di Tsunade-Sama, alunna modello ed eletta dell'Hokage; se solo si fosse ricomposto un ultimo tassello, diavolo... Se solo...

No – fece un cenno di diniego col capo – non le sembrava proprio il caso di pensare al passato, doveva concentrarsi sul radioso futuro che le spettava.

Credi forse che perderò la mia giovinezza pensando a te, Uchiha? - pensò tra sé e sé, quando tentò di spazzare via dalle guance l'ultimo briciolo di sofferenza.

Si liberò dei vertiginosi tacchi, massaggiandosi indolenzita le caviglie. Avvertì l'essenza di lavanda che sua madre spruzzava settimanalmente nell'abitazione; quell'effluvio aveva il potere di avvolgerla in spire violacee, imprimendo sopra la sua epidermide quel delizioso profumo. Quando riuscì a superare la rampa di scale annaspò, era decisamente stanca quella sera. Forse si sarebbe concessa un bagno caldo e poi sarebbe filata dritta a letto, abbandonandosi al richiamo di Morfeo.

Un ultimo scalino, prima di mollare la presa dal corrimano di mogano. Distinse un paio di porte di legno ma si limitò ad aprire la propria, girando la chiave nella serratura. Un piccolo barlume di luce – l'ultimo di una lunga giornata – guizzò diretto nei suoi occhi; Sakura si buttò di peso sul materasso in lattice, sprofondando con la testa nel guanciale. Tutto quel silenzio sembrava inghiottirla, la intimoriva a tratti. Forse perché era abituata al caos giornaliero, alla routine quotidiana – tutte queste cose la infastidivano alcune volte – eppure ora che non c'erano ne sentiva la mancanza, per qualche astruso motivo.

Aveva paura di chiudere gli occhi, perché aveva paura di vedere.

Il suo fantasma galleggiava nei suoi occhi, in ogni momento. Era solo prima che il sonno giungesse, ovvero quando i primi raggi solari – un'alba ipocrita, fatta di cartapesta – sarebbero subentrati nuovamente nella sua camera dando vita a forme insicure sul pavimento piastrellato, che la sua sagoma sarebbe sparita, dissolta, putrefatta in un nonnulla. Non sapeva come definire la dipendenza morbosa che mostrava verso di lui, era una sorta di nicotina di cui non riusciva proprio a fare a meno.



«Faresti meglio ad andartene.»

Sentiva perfino la sua presenza, vedeva nell'oscurità le linee immaginarie di un corpo, ne distingueva la solida mascella, le braccia lunghe e mascoline, lo sterno ampio.

«Faresti meglio a cacciarmi via.»

Ecco, aveva sempre la battuta pronta. Sakura sfregò i suoi occhi contro il dorso della mano, spazzando via un segno di debolezza; erano diversi mesi, parecchie settimane, più di trecentosessanta giorni che il suo spettro la raggiungeva in sonno ogni notte, accendendo in lei la speranza, l'illusione di un attimo.

E poi scompariva, come in una nuvola di fumo. Uno stupido e insignificante alone grigiastro, che prima si mostrava in tutta la sua eleganza, prendendosi lo spazio necessario... E poi lasciava solo una scia del suo segno, una sola traccia del suo passaggio. Ma Sakura sapeva, era cosciente: conosceva l'illusione – tanto ch'era diventata una delle sue più fidate amiche – ed era pronta a pagarne il prezzo.

«Vattene»

Mormorò, stringendo le dita al lenzuolo di lino, digrignando a denti stretti. Stavolta non le rispose, troppo occupato a sospirare.




A volte crediamo nell'impossibile, pur sapendo che per definizione non è realtà... Ci aggrappiamo saldamente ad un ricordo, una persona o un'ancora – a dir si voglia – promettendo a noi stessi che presto o tardi ce ne libereremo. C'è un oceano davanti a noi, un oceano in cui specchiarsi. Dobbiamo solo decidere se farlo da soli o essere accompagnati – eppure il riflesso nella laguna blu ci mostrerà solo il nostro volto, l'altro sarà oscurato, proprio perché non esiste.

Ed è così che ci convinciamo della nostra forma di pazzia, acuta follia che si manifesta sotto vari aspetti, volti più o meno noti. Ma è una pazzia piacevole, ci riscalda l'animo, ci fa sorridere, ci informa che, dopotutto, quel ricordo frutto della fantasia ci rende felici.

Allora continuiamo a credervi, stavolta coscienziosi.




E nego il negabile
Vivo il possibile
Curo il ricordo
E mi scordo di me” (*)




«Vattene!»

Era un grido, pura angoscia e straziante dolore. In un attimo, non riuscì più ad udire il suono mellifluo della sua voce, il timbro roco e affascinante che l'aveva ammaliata anni prima.

Se n'era andato davvero, l'aveva presa in parola. «Ti preferivo quando mi contraddicevi»

E adesso, sola, sfogava la sua sofferenza in modo assai atroce, spegnendo ogni grammo della sua felicità, riducendo il suo orgoglio in poltiglia, rotolandosi nelle coperte e ballando la danza dell'Inferno – quella che riduceva ogni essere umano in uno stato pietoso.

Piangeva, soffriva, si lamentava, gemeva di dolore... L'avrebbe fatto chiunque, sì, ma la consapevolezza che non sarebbe stata l'ultima volta – così come non lo era la prima – l'avrebbe accompagnata sempre, riempiendola d'angoscia e infarcendo il suo cuore di un'acuta depressione.

Sopraggiunse il sonno, il dolore si era riposato per un momento, se tutto andava bene anche alcune ore, assopendo l'ira funesta e il rancore malcelato verso quell'essere ribelle, che tanto si beffava di lei. Dormire, sembrava l'unica maniera di scacciare il dolore. Dormire, era sinonimo di stare bene... Sì, l'attimo in cui il cuore pompava di meno, diveniva meno ligio al suo dovere, l'attimo in cui ci si lascia addomesticare. Ogni nostra cellula, osso, tendine si prostra alla sacra volontà mentale, inchinandosi come uno schiavo al suo potere.

Vattene... E rimani.

Cosicché la notte sembri un po' più radiosa.






Diversi anni dopo.






Così mi scordai di me stessa, del fatto che stavo invecchiando e che avevo sprecato la mia gioventù amando un relitto, un essere senz'anima, uno spettro”







Il suo fantasma, vive e vivrà per sempre dentro lei. Solo il taglio dei suoi occhi, solo una ciocca dei suoi capelli, solo le sue dita affusolate provocano in lei un brivido di terrore – e piacere.

E solo ricordare le dita che adesso rinnega con la stessa intensità con cui le adorava è un fardello troppo pesante da portarsi in groppa.

Il suo fantasma non si scaccerà mai dalla sua mente, ma deve quanto meno farlo dal suo cuore, non può sprecare la sua gioventù amando un essere senz'anima, senza corpo materiale.

Quale donna sprecherebbe la sua vita così?

Mentre sta bagnando il pavimento ligneo con le sue sciocche lacrime, si chiede perché non riesca ad amare nessun altro, perché ogni volta che quei baldi giovani si prostrano ai suoi piedi – disposti anche ad aspettare – li fa dileguare in men che non si dica con stupide giustificazioni.

Amerà ancora, dirà ti amo mille volte, lo griderà forte, lo piangerà piano, si donerà corpo e anima a colui che lo meriterà veramente, magari un giorno riderà di quella cotta che si era presa.




Non hai mai saputo dire le bugie.

Vuoi vivere tutta la vita invano, amando un fantasma? Questa è la tua vita, fa' pure, sfida il destino, le leggi della fisica, il confine tra realtà e fantasia, la sottile linea tra vero e falso. Giostra a tuo piacimento la tua vita, ma ricorda: arriverà un momento in cui rimpiangerai di non esserti più innamorata, l'istante in cui ti renderai conto di non poter procreare più, perché hai rifiutato quella stessa maternità che, anni prima, ti era stata offerta su un vassoio d'argento, anche da buoni partiti.

Poi sarai anziana, la tua pelle diventerà rugosa, si rovinerà, i segni del tempo scalfiranno le tue adorate gote di un rosa tenue, appena accentuato, e ti renderai conto che la vita è passata davanti a te come una carrellata di diapositive... ma tu non le hai guardate bene. Il tuo occhio è stato attento, sì, ma non ha voluto vedere oltre. Ha preferito fermarsi, in sospeso tra un'immagine e l'altra, e hai continuato a far correre le suddette diapositive, magari lanciando un occhio, incuriosita, a quelle degli altri, e forse le hai invidiate anche un po' – dì la verità, vorresti essere tu quella Ino Yamanaka che adesso abbraccia quel nerd asociale di Shikamaru Nara... o magari quel Kiba Inuzuka che mostra segni d'affetto verso un Hinata Hyuga che capisce di aver sempre avuto accanto a sé il vero amore e non se ne era mai resa conto.

Ma la tua vita è fuggita così – come un soffio d'erba – e ora, una vecchia quarantenne, stanca, visibilmente frustrata, ti accingi ad entrare in casa, accendendo distrattamente la luce e trovandovi un buffo quadretto familiare, quando eri ancora una ragazzina e sorridevi felice della vita – avevi sogni, speranze... Illusioni?




Posa la pila di libri sopra il tavolo, ha impartito una lezione ai suoi allievi, così come aveva fatto Tsunade-Sama con lei. È la più brava medic-ninja, tutti la elogiano, si sente soddisfatta del suo operato ogni giorno salva vite umane... Ma non ha mai pensato di salvare la propria.

«Cosa diamine ci fai qui?»

Le urta i nervi, si presenta sempre a quell'ora di notte, facendole qualche assurda proposta.

«Sakura-chan... Sei tornata tardi»

Sfiora la spallina della sua veste. Si ritrae, irritata, spingendolo pochi centimetri più in là.

«E non sono affari tuoi», si denuda dei tacchi, si massaggia indolenzita le caviglie pesanti, lanciando le scarpe sul tappeto, distrattamente. Accende tante luci, è pronta a gettarsi tra le coperte, magari digiunando per l'ennesimo giorno; d'altronde il frigorifero è vuoto, la sua vita gira tutta intorno al lavoro.

«E se lo fossero... Invece?»

E le sfiora con le dita vellutate il viso, blocca i suoi fianchi con le braccia, respira sulla sua schiena. Non gli importa di parer ridicolo, non gli interessa di suonar mieloso, se non addirittura romanzesco.

«Diamine, Naruto! Fatti una famiglia, trovati una donna... lasciami in pace!»

Lo dice davvero. Sa di averlo offeso, molla la presa, si libera dai suoi tentacoli. Annaspa, sa di aver gridato troppo... l'età inizia a farsi sentire e i primi acciacchi della vecchiaia non sono da meno; Naruto si appoggia all'intonaco bianco della parete, spingendo un gomito verso di essa, in un impeto di rabbia.

«Che senso ha... Se non ci sei tu?»

Proferisce quelle parole piano, lentamente, come se le avesse trascinate. Sakura capisce che, dopo tanti anni, ancora non l'ha dimenticata... E magari in gioventù ha accontentato i suoi desideri carnali, ma ora non più. Ora, ragionando da donna matura, capisce che non può più, non può amarlo come merita di essere amato un uomo.

Sarebbe un amore a senso unico, un'unica via. «Dammi una sola, valida, ragione Sakura»

I suoi occhi sono fari nella notte e la stanno sfidando. Annaspa ancora Sakura, stavolta un po' in ansia, visibilmente provata; comincia a piangere, iniziano a scendere lacrime – ancora? – dai suoi occhi smeraldo e le rigano il volto, crudeli.

«Amo ancora... Sasuke»

Quanti anni sono che non pronunciava il suo nome? Ora sembra un tabù, ma non sa che ogni giorno lo pensa, ogni attimo della sua vita il suo pensiero volge a quel ragazzino arrogante, ogni volta che osserva il cielo, fissando un puntino nella volta celeste, comprende che non è casuale quel gesto.

«Sasuke è morto», dice con freddezza l'amico – amico, sì – di fronte a lei, scrollandole le spalle minute e indolenzite.

«Sasuke è vivo!»

Grida, rispondendo con un urlo.

«È morto... morto Sakura!»

Le scrolla le spalle magre con maggior potenza.

«I morti sono morti solo quando lo decidiamo noi, Naruto»


Arcigna, scosta le sue mani dalle sue braccia. Con un sol sguardo gli intima di voltarsi e andarsene, e farsi una vita, magari. Lui che ancora può. Solo dopo pochi minuti se ne va, non distingue più i suoi passi, non sente più la suola delle sue scarpe sul pavimento ligneo, non vede più la sua ombra aggirarsi tra le pareti.

Tuffa la testa nel guanciale, Sakura. Vorrebbe che i morti fossero vivi sempre... Vorrebbe che a tutti fosse concessa una seconda possibilità – chissà, anche lui sarebbe potuto cambiare, se solo... Se solo avesse avuto qualcuno accanto ad indicargli la retta via – e vorrebbe essergli accanto, anche da sola, anche contro il mondo, anche se per entrare nel suo mondo avrebbe dovuto affrontare l'Inferno – sarebbe disposta a rimanerci.

Si culla nella speranza di un indomani felice. Ma domani è oggi e oggi sarà ieri e ieri sarà un pallido ricordo, insieme a tanti altri, finché essi non comporranno un puzzle e costruiranno l'album della vita.

È già mattino, sai?

Il mattino di un altro giorno, di un altro anno, di un'altra piaga al corpo ormai segnato dal dolore.


«Buongiorno Sasuke-kun»

Le sembra di vederlo accanto a sé, mentre col solito ghigno sghembo non manca di ricordarle quanto è noiosa.


Addio Sakura...



Non distingue più il suo riflesso nello specchio, è sparito. Piega le labbra in un'espressione dolorosa, se le morde con veemenza, inchinandosi solamente di fronte al dolore... E urla il suo nome, ancora, ma non le risponde.

Lo sapevo che mi avresti abbandonata – proprio come facesti anni fa.

Tu hai avuto sempre il coraggio di lasciare, io no.

Non ti dirò addio, Sasuke-kun.




~ Fine.




(*) Il sole esiste per tutti, T. Ferro.




Nd/A: beh, come dire... ci ho messo un po' a scriverla, mi sono immedesimata così tanto nel personaggio principale che sentivo la sua stessa sofferenza. C'è da dire anche che questa shot è stata scritta in un momento non proprio positivo della mia vita, quindi c'è più me stessa in questa storia che nelle altre. Sakura è una donna che non si piega a niente, nemmeno di fronte alla morte che dovrebbe essere la conclusione di tutto. Sasuke è con lei, dentro di lei, sempre lì per lei... E non riesce a liberarsene. Credo di non essere andata OOC, se così fosse mi scuso anticipatamente e aggiungerò l'avviso una volta postata la fic.
Alla fine ho scelto la seconda canzone “Il sole esiste per tutti”, ci sono un paio di versi che calzano a pennello per la mia storia. Sebbene non mi piaccia proprio il cantante, spero di aver reso l'atmosfera mediante pochi versi.
Kiki.


EDIT: mi è stato detto nel commento che Sakura pecca un po' di ooc, quindi inserisco l'avviso come avevo allegato nelle note quando inviai la storia.



   
 
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