Memorie
di un Angelo
Capitolo
3.
Una creatura alata, bianca,
candida, che sotto di me, mi guarda con una mano sulla fronte, che scosta i
capelli castano scuro. Le piume delle sue ali si staccano volando via come
foglie secche e creano un’atmosfera sacra in quel momento così peccaminoso.
Come se mi invitasse
a possederlo, a stringerlo, ad assaggiarlo in ogni dove del suo pallido corpo.
Lentamente cominciai a sudare,
chinandomi su quella creatura così inverosimile.
E poi…buio.
Quella
notte mi svegliai sudato. Scostai la mano per prendere la sveglia che segnava,
col suo ticchettio, le tre e quarantasette del mattino.
Mi
massaggiai lentamente le tempie con fare abbastanza scocciato.
-Che
razza di sogno era…- mi buttai sul cuscino, dove la nuca sudata sprofondò nella
frescura del tessuto, cominciando a guardare il soffitto.
Ricordai
quel viso tanto innocente, dalle guance arrossate, il sudore che colava dalla
pelle, e lo faceva brillare come un diamante sotto il sole.
Cos’era?
Forse un sogno premonitore…no, assurdo.
Un magone mi si fermò in gola facendomi apparire flashback di
scene di vita che fino ad allora non avevo mai avuto. Non erano
parte del sogno. Come se il ricordo di un’altra esistenza, riaffiorasse
in modo prepotente nella mia testa, per farmi ricordare qualcosa che non avrei
mai dovuto dimenticare.
A quel
punto non potevo più dormire, o anche pensare di potermi addormentare. Così
decisi di movimentarmi, nonostante l’orario assurdo, e alzarmi dal letto.
Quella
mattina avrei preparato io la colazione.
Scesi le
scale trovandomi nel salotto ancora buio, dove la luce pallida dei lampioni
rischiarava appena il pavimento di legno lucido. Passai intorno al divano buttandomici sopra e sentendo come la stoffa prendesse la forma del mio corpo stanco e scosso.
Quel buio
era pesante come un blocco di marmo e caldo come un’afosa giornata di sole
d’Agosto.
Per poco
non venni schiacciato da quel atmosfera così carica di
angoscia, quando i miei occhi furono catturati da un libro che si trovava sul
tavolino di legno, davanti al divano con una pagina segnata da un pezzo di
carta.
Lo presi
con fare poco interessato, aprendo alla pagina contrassegnata.
“[…] Un amore indissolubile, reso
tale da quel nastro legato nelle loro mani, unendo le loro anime oltre la
morte, oltre l’oblio stesso. Rendendole anime gemelle
fino alla fine dei tempi. […]”
Chiusi di
colpo il libro, come se quella frase che avevo appena letto, cui neanche ci avevo ragionato sopra, mi avesse rivelato una realtà che
andava ben oltre la mia immaginazione o la mia stessa fede, o credenza,
religiosa e non.
Come se ora sapessi, in modo relativo, chi fosse quella figura così
angelica nel mio sogno. Sapevo solo una cosa assolutamente certa. Quella persona era mia.
Mi
sedetti sul divano poggiando il libro come l’avevo trovato sul tavolo,
prevedendo una paternale di mia sorella.
Socchiusi
gli occhi per tentare di ricordare, ma presi sonno, addormentandomi sul divano
fino alle sette delle stessa mattina.
Fino a
quel momento non ricordo granché di cosa successe. Ma i miei ricordi ritornano
abbastanza chiari quella sera, quando uscii con la mia
solita comitiva.
Mentre
passeggiavamo, notai un ragazzo, castano chiaro, gli occhi dello stesso colore,
identico a quello del sogno. Mi fermai per guardalo,
lui fece lo stesso. I nostri sguardi erano identici. Entrambi esprimevano stupore. Ma no quel
stupore che si prova per qualcosa di nuovo, ma quello stupore che si prova
quando si ritrova qualcosa che non si vedeva da tempo.
Schiarì
la voce, non notando che avevo perso completamente il gruppo. Vidi quel
ragazzino schiudere la bocca, ma subito ingoiò la frase mordendosi le labbra.
-Ciao…-
dissi appena alzando una mano. Lui sorrise arrossendo, chiudendosi nella
sciarpa bianca.
Mi
massaggiai la nuca con fare imbarazzato. Oh andiamo! Non era da me fare una
figuraccia del genere.
-Kiba…-
mi voltai guardandolo sorridere dolcemente. Non capì subito.
-Come
scusa?-
-Mi chiamo Kiba…- ridacchiò, porgendo
la mano gelida con le punte delle dita rosse. La strinsi notando che sospirò
sollevato, probabilmente perché avevo la mano che sembrava una stufa.
Ancora
uno sguardo. Ma il suo così dolce come il miele
cercava di gridarmi. Cercava invano di dirmi “ti prego
ricordati…non lasciarmi solo in questa vita…”.
Questo lo
capii dopo.
-Non ti ricordi proprio di me?- disse appena. Io con un grande dispiacere scossi la testa. No. Non ricordavo.
-Mi spiace…- sospirai.
-Ma
come…sono il figlio di Tsume Inuzuka…proprio
non ricordi?-
Un
ricordo vago si fece spazio dentro di me. Due bambini che giocano
nella sabbia e fanno castelli di sabbia; un altro dove io, bambino, difendo un
piccolo moro da dei ragazzini che lo stavano picchiando.
Ora
ricordavo. Ma solo in parte.
-Kiba?
Inuzuka! Ma si!- dalla
stretta di mano, lo tirai a me, abbracciando il suo corpo freddo nonostante i
vestiti invernali.
In quel
momento, con quel contatto, ricordai anche il resto.
Ricordai ciò che la mentre umana non può ricordare. Che elimina in quel sottile passaggio tra una vita e
l’altra.
-Dove sei stato tutto questo tempo…?- dissi appena, stringendolo
più forte. Lo sentì aggrapparsi al giubbotto di pelle nero, e a sospirare
tranquillo.
-Sono sempre stato qui…aspettandoti…dall’altra volta…- sorrise mettendosi in
punta di piedi, e aggrappandosi ancora di più.
-Ti ho sognato stanotte…- lo sentì ridacchiare dolcemente.
-Anche
io…- scostai il viso sul suo nel tentativo di baciarlo, quando voci irritanti
mi fermarono.
-Ohi! Kankuro! Muoviti! Altrimenti facciamo tardi!!- gridò uno de gruppo, ma la distanza che ci separava non
capii bene chi fosse a chiamarmi.
Schiarì
appena la voce, vedendolo lasciare l’abbraccio caldo e rintanare la testa nella
calda sciarpa di lana bianchissima come la neve.
-Vai…ci
rivedremo…- si girò correndo via tenendosi la sciarpa
al collo per evitare che volasse via. Non riuscì a fermarlo
ma quella stessa sciarpa mi capitò tra le mani, scoprendo il suo dolce
viso rosso di freddo e non solo. Appena si voltò per
controllare che fine avesse fatto la sciarpa, vidi che non era rosso per il
freddo; era rosso per le lacrime. Come se sapesse che non si saremmo più
rivisti.
Strinse
gli occhi facendo scendere le lacrime caldissime, e ritornando a correre dalla
parte opposta a me.
Sparì tra
la folla che camminava indisturbata tra i negozi addobbati a festa.
Non stetti affatto tranquillo quella sera. Avvolsi quella calda sciarpa
intorno a collo, beandomi di quel profumo delicato di fiori di
ciliegio che emanava.
Ogni
volta che chiudevo gli occhi ed annusavo lo vedevo che sorrideva contento, con
il viso arrossato dall’imbarazzo.
Ma
riaprivo le palpebre, accorgendomi che il mio angelo non fosse lì con me, trovandomi tra
una massa di balordi idioti. Non ne potevo certo parlare con uno di loro.
Stretto a
quel unico indumento che gli apparteneva, tornai a
casa, notando che mia sorella mi stava aspettando seduta al divano mentre
sfogliava ancora quel libro misterioso.
Lei
sapeva qualcosa che io non sapevo, o forse non
ricordavo.
-Scommetto…che
lo hai incontrato?- chiuse con un colpo secco il libro, riponendolo sul
tavolino lucidissimo. Scossi la testa.
-Chi?- mi
tolsi il giubbotto lasciandomi la sciarpa sul collo.
-Kiba
ovvio…- ridacchiò – Odi il bianco…- disse indicando l’indumento che sfiorava il
candido.
Lo
guardai. Effettivamente aveva ragione. Non avevo mai
sopportato il bianco, mi bruciava alla pelle.
Ma con
quella no . Strano.
-Mh…si…che
ti importa…?- mi raggiunse aggiustandomi la sciarpa
addosso, sorridendo contenta.
-Tienila
e vedrai che tornerà…domani…- disse pensandoci un
attimo su.
Lo
guardai andare via sorridendo contenta.
Non so come
fece. Non so neanche ora se mia sorella avesse dei
poteri premonitori.
Il giorno
dopo si presentò a casa.
Scesi non appena la porta suonò, notando che fuori pioveva a dirotto. Le gocce d’acqua ticchettavano
sul viso pallidissimo di Kiba che mi guardava innocente,
sotto la pioggia scrosciante che lo aveva inzuppato da capo a piedi.
-Cavolo
entra! Ti buscherai qualcosa!- lo tirai dentro
stringendolo. Tremava. Alzò il viso sorridendomi con le guance e la punta del
naso tutte rosse.
-Tranquillo…sto
bene…- chiuse gli occhi lasciandosi andare. Per sicurezza accostai le labbra
alla fronte notando che scottava molto.
-Dannazione…-
lo presi in braccio di peso, portandolo nella mia stanza, e mettendolo sotto le
coperte che presto assorbirono l’acqua sul corpo.
Corsi giù
dalle scale, andando in cucina.
-Temari!
Temari!- si affacciò dalla porta con fare tranquillo.
Come se sapesse.
-Dimmi.-
nascose la mano dietro la schiena mentre con l’altra
girava qualcosa in un pentolino sul fuoco.
-Kiba
è qui…ha la febbre…aiuto!- diedi un pugno allo stipite della porta, dove
lasciai un solco, e il sangue cominciava a uscire
dalla mano. Non avevo mai avuto quella forza in corpo.
-Tieni…-
mi porse una boccetta che conteneva un liquido
giallognolo come il grano. Lo squadrai un attimo, guardando poi mia sorella che
continuava a mescolare nel pentolino.
-Cos’è?-
mi rigirai la boccetta tra le mani
-Miele…- alzai
lo sguardo, assumendo una smorfia schifata.
-Lo sai
che il miele mi fa schifo…- m’interruppe
-Non è per te, è per Kiba…- Si girò
verso di me, sorridendo divertita. Possibile che fosse così meschina da non
rivelarmi ciò che sapeva?
Prese una
tazza bianca, lucida e profumata, versandoci dentro quello
che sembrava latte caldo; prese dalle mie mani il miele versandone un po’
dentro, poi porgendomi la tazza bollente con dentro un cucchiaio.
-Gira, e
lascia che il miele si amalgami con il latte…- girai appena guardandola –Cosa
c’è? Dovresti sapere meglio di me che gli angeli
devono bere solo latte e miele…-
La
guardai sorpreso. In quel momento non ero in vena di domande, così andai in
fretta sopra continuando a girare il latte nella tazza, mentre cominciava a
colorarsi di un leggero strato dorato.
Aprii la
porta, notando che dormiva beatamente. Era più tranquillo
rispetto a prima, poggiai la tazza sul comodino prendendo ad
accarezzargli la fronte sudata. Respirava lentamente ma con respiri profondi.
Sorrisi
appena, ricordando una canzone che cantava mia madre.
-Cosa ho fatto per
meritare il tuo perdono…pulendo l’anima mia…con ogni tuo bacio, il dolore
volava via…- schiuse gli occhi castani, sorprendendomi della ripresa veloce
che aveva avuto.
-Come ti senti?- chiesi subito porgendosi il latte, notando che con
le sole poche forze, si mise seduto sorridendomi e baciandomi la fronte.
-Meglio ora
che ci sei tu…- fece qualche sorso, e dopo sembrava
quasi rinsavito. Poggiò di nuovo la tazza sul comodino di legno prendendomi la
mano e appoggiandola sulle sue labbra ora così calde. Mi baciava la pelle delle
mani fredde, e tozze, piede di tagli e graffi. Ritirai
appena la mano, avvicinandomi a lui e baciandolo dolcemente. Il sapore di miele
non era mai stato così buono come sulle sue labbra. Le leccai lentamente,
sentendolo sospirare appena, mentre stringeva la mia maglietta, come se
cercasse un appiglio per non perdere il controllo.
-La…la
sciarpa…- sibilò appena guardandomi con occhi sciolti di desiderio. Annuii
appena passandogliela. L’avvolse attorno al mio collo tirandomi a se e
baciandomi ancora, dolcemente, mentre esploravo il palato caldo e dolce con la
lingua.
Avvolse
le magre braccia intorno al mio collo, tirandomi di più a se, per poi prendere
un po’ di fiato. Mi guardò languido e sudato, ormai stava decisamente
perdendo il controllo.
-Facciamo l’amore…?- baciò la punta del naso, intricando le dita nei miei capelli
castani, pieni di gel.
-Dannato
angelo maniaco…- ghignai facendolo stendere sul letto,
aprendogli bene le gambe, dopo aver tolto i pantaloni che ingombravano il mio
paradiso nell’inferno del mondo stesso.
Gli morsi
appena il collo facendolo sanguinare, leccando poi il sangue che colava
lentamente sul collo.
Lentamente
cominciai a possederlo, mentre nella stanza le sue urla e i suoi
gemiti mi nutrivano e mi facevano sentire vivo.
Stringevo
la sua pelle che pareva lattice, o una sostanza tanto soffice quanto irreale.
Mentre
ero dentro di lui mi stringeva forte, impiantandomi le
unghie nella schiena con prepotenza, pregandomi di continuare a prenderlo ma
mantenendo una certa delicatezza nei movimenti.
Purtroppo
non mi era possibile.
O le
facevo veloci e bene le cose, o non le facevo proprio.
Che
filosofia egoistica, lo so.
Il forte
amplesso di concluse poco dopo. Io ero appagato, felice, e che ne possiate dire, mi sentivo completo e con quei gesti anche
amato.
Una gioia che non aveva saputo dar nessuno, solo lui.
Sembrava
dormire, così lo strinse a me forte, e mentre lo coprivo con le mie braccia,
che gli avrebbero sempre dato conforto, lo sentii sospirare, e il viso già
angelico, rilassarsi di più, diventando irreale.
In quel inferno di mondo, potei trovare il mio eterno paradiso.
Anche in questa vita
La nostra stessa
ragione,
Stare l’uno accanto
all’altro,
Ci ha portato a fare
le nostre scelte
Che sicuramente molti non hanno
accettato.
Ma l’unica cosa che conta
Siamo noi due
.
Angelo mio puliscimi
da questo peccato.
Perché amando te
Ho peccato di egoismo.
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Grazie
delle letture e dei preferiti…a quanto pare non ha
avuto proprio tanto successo la mia bella storia!
Peccato!
Ringrazio vally kiss: si mora lo so! So che vorresti una storia così…tu conosci il
nostro rappresentante d’istituto…bene…e sai cosa penso di lui…ottimo!^^
Grazie
del commento!^^
Commentate
anche voi se volete portare avanti una mediocre scrittrice come me.