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Autore: Exodus    18/12/2009    4 recensioni
Uno sguardo dietro le quinte in dieci atti, uno per ciascun Espada, più una Overture ed un Intervallo a sorpresa; una raccolta di racconti su passato, presente e futuro dei nostri dieci piccoli Hollow preferiti. Popcorn esauriti, Yammy li ha fatti fuori tutti.
Capitolo "Overture" secondo classificato nel contest "La semplificazione - II edizione" indetto da Only Me.
Capitolo "Quinta" primo classificato e vincitore del premio Originalità nel contest "Le Fleurs du Mal" indetto da Pagliaccio di Dio.

Capitolo "Septima" secondo classificato nei contest "Riflettori sui cattivi" indetto da AkaneMikael e "Gratta e Vinci... forse" indetto da Yuri_giovane_contadina
Genere: Commedia, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Espada, Gin Ichimaru, Sosuke Aizen, Tousen Kaname, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Overture

Tra un paio d'anni governerò io il mondo; perché ho deposto il vecchio Dio.
                                                                                                                                          (Friedrich Nietzsche)



Attraverso i suoi occhiali dalla montatura spessa Sosuke Aizen, Capitano della Quinta Compagnia del Gotei 13, fece correre lo sguardo sui suoi colleghi: scrutò il volto di ciascuno, attentamente, uno dopo l’altro. Tutto sommato, si trovava ad essere molto stupito: era incredibile come tutto potesse procedere così bene. Di fronte a qualsiasi progetto, sogno, o anche semplice desiderio, una persona saggia si aspetterebbe qualche intoppo… era una sensazione irreale, constatare invece che ogni singolo pezzo del puzzle si stava incastrando perfettamente con gli altri. Sentiva un piacevole formicolio allo stomaco, come sempre, negli ultimi tempi, quando le circostanze portavano in quella stanza i pezzi grossi della Seireitei; come la prima volta che aveva messo piede lì, nel sancta sanctorum, la stanza dei bottoni dove venivano prese tutte le decisioni… purché altri le avessero già approvate, naturalmente.
Era una sorta di piacere infantile, se ne rendeva conto, eppure…

Ecco, è la furba risata di un bambino nascosto sotto il tavolo della sala da pranzo, che ascolta i genitori parlare, sapendo di poter fare qualunque cosa senza essere visto…

Aizen sorrise: poteva permettersi un sorriso, dopotutto. Quello era un giorno di festa: un altro buco tappato nello squarcio sanguinante che lui stesso aveva aperto… era stata la sua prova del nove, doveva ammetterlo. Ora, il Gotei 13 si rialzava zoppicando, leccandosi le ferite del cambiamento; un’Idra a tredici teste, che si credeva invincibile, eterna, e non si accorgeva che le frecce di Ercole erano avvelenate…

Il bambino eccitato dentro di lui rise di nuovo: beh, non è che le cose siano andate proprio così, nella favola.
Ma a chi importa? Questa, dopotutto, è la MIA storia.

La voce del Comandante Generale Yamamoto lo strappò ai suoi pensieri, riportandolo al presente. Alzò la testa e lo fissò: un viso inalterabile, solenne, pieno di rughe… il vero specchio dell’istituzione che rappresentava, e l’uomo che aveva odiato più di ogni altro sulla faccia della Terra… se si eccettuava, naturalmente…

No. Non adesso. Idiota, ecco cosa ti succede a pensare a bambini acquattati sotto i tavoli. Oggi è un giorno di festa; il tuo sorriso deve essere sincero. Niente dubbi, nessuno spazio ai ricordi, oggi.

“Signori, è una lieta evenienza a riunirci qui oggi: lieta per tutti coloro che hanno l’onore di occupare il seggio di Capitano, perché un altro fratello si unisce finalmente a noi; ma particolarmente gioiosa per quelli che, fra noi, ricordano personalmente il tragico episodio di alto tradimento che ha scosso le basi stesse della Soul Society, più di cinquant’anni fa, ed ha privato la nostra famiglia di ben quattro dei suoi migliori figli…”.

Il sorriso di Aizen si spense sulle sue labbra: il momento lo richiedeva… il lutto lo richiedeva, ma il bambino pestifero che gli ballava nello stomaco gli strizzò l’occhio; tutto come previsto… i grandi continuavano a discutere di cose serie, senza badare a lui: poteva scegliere con calma quando e a chi mollare un pizzicotto sulle gambe, per farsi finalmente notare. Ma prima doveva far sì che i lacci delle scarpe di tutti fossero bene annodati, in modo che non potessero acciuffarlo. Sarebbero caduti tutti, rise a crepapelle il fanciullo: tutti, tutti, tutti…

Non c’era solo il ben conosciuto monello, ad agitarsi sotto la pelle del Capitano Aizen… non era un bambino, dopotutto. Conosceva bene quella sensazione di semplice, puro divertimento: nonostante tutto, sapeva di doversi ritenere un uomo fortunato, a non avere perso quel ponte con la sua infanzia. I bambini vedono cose che gli adulti non notano neppure; era l’universo stesso, a parlare con la bocca dei bambini; ma l’adulto, dentro di lui, era una presenza altrettanto forte. Prese per mano il piccolo, e lo infilò sotto le coperte: era tempo di provare un’altra sensazione, tutto secondo la tabella di marcia.

Se qualcuno avesse prestato attenzione ai dolci occhi marroni sotto le lenti, per un attimo avrebbe intravisto un’illusione ottica: un attimo di puro intento omicida, così rapido che anche un osservatore attento avrebbe dubitato di averlo visto davvero.  
L’uomo che attendeva sull’attenti al centro della stanza gli dava le spalle, ma fu anche l’unico che sembrò registrare qualcosa: un viso affilato, un paio di occhietti semichiusi passarono in rassegna le due file di ufficiali su ambedue i lati, finché lo sguardo di Ichimaru Gin non incontrò quello del suo ex-comandante; l’onnipresente ghigno si allargò vistosamente. Aizen gli restituì un’occhiata dura: da quel giorno, le prove generali erano terminate, e si entrava in scena con il primo atto…  Storia di un bambino prodigio, ovvero: il colpevole è sempre la volpe dagli occhietti malvagi…

Il bambino rise, nel suo lettino caldo. Non era ancora completamente addormentato… sorrideva, un dolcissimo angelo dai capelli castani, ma Aizen già sapeva che qualcosa si agitava nel suo piccolo cuore.

Posso lasciare la luce accesa? Per favore…

No, piccolo Sosuke. La luce va spenta, quando si va a nanna. Altrimenti, domani come farà il sole a svegliarti con la sua luce dorata?

Il piccolo si drizzò sopra le coperte: un faccino disperato, le manine giunte, un vero attore…

Ma io ho paura, mamma… nel buio ci sono i mostri! Quelli che dice sempre papà… i pholli, gli holli… gli Hollipop!

Lo scoppio di una risata squillante, argentina: Aizen era ancora in piedi nella stanza, ma sapeva che la scena era cambiata: non c’era più lui sul palco, seduto sul letto, a parlare con il bambino, ma una donna esile, dai capelli del suo stesso colore e dal sorriso dolce e rassicurante, che lo abbracciava stretto stretto… il piccolo sembrò un tantinello offeso, e la spinse via, imbronciato.

Non ridere! L’ho sentito papà, l’altra sera a cena! Mi avevi mandato a letto, ma io ho aspettato che tu te ne fossi andata e mi sono nascosto nella stanza accanto… sono stato bravo, mamma! Nessuno di voi due mi ha sentito! L’ho capito, sai, che papà è sempre via perché va a combattere gli Hollipop! Ha detto che ha ucciso il loro capo, che si chiamava Tatolode, ed era più piccolo degli altri per nascondersi meglio, ed era fortissimo e…

Ma al piccolo Sosuke la voce morì in gola, perché si era accorto del cambiamento sopravvenuto nello sguardo della madre: qualcosa non andava… gli occhi della donna si erano riempiti di rabbia, la bocca era una linea diritta…

…mamma?

Lo schiaffo arrivò inatteso, e gli fece male.

Non devi mai più origliare. Hai capito, Sosuke? Non devi MAI PIU’ permetterti di ascoltare quando mamma e papà parlano per conto loro. Sono cose che ai bambini non devono interessare…mi hai capito, Sosuke?

Il piccolo la guardò con occhi pieni di lacrime. Era scosso: il primo schiaffo della sua vita, perché mai la mamma lo aveva sfiorato, se non per fargli una carezza… la sua prima esperienza con il dolore…

M-ma mamma… mi dispiace… guarda che io sono contento che papà combatta gli Hollipop! Papà è forte, e coraggioso! E anche tu sei coraggiosa… io lo so che tu lo vai ad aiutare, che combatti anche tu! Ecco perché sei ferita…

Ferita? Di cosa stai parlando, Sosuke?

Ora la donna era impallidita; istintivamente si portò la mano alla spalla, e altrettanto di scatto la allontanò, riportandola in grembo. Stava tremando.

Lì sotto, sulla spalla… io sento che ti fa male, sento quando alle persone fa male qualcosa…

Un fruscio di seta, la sagoma bianca che si alzava di scatto e si allontanava, lasciandolo solo al centro della stanza scura, a fissare la porta sul corridoio, sconvolto. Il giorno dopo la madre sarebbe tornata, e lui avrebbe capito che gli voleva ancora bene: che non aveva fatto nulla di sbagliato. Ma il mattino era ancora lontano, quando il lume sul comodino si spense ed il buio lo avvolse…
Quel ricordo non se ne sarebbe mai andato, per quanti secoli Sosuke Aizen potesse attraversare. Non faceva più male, comunque. Proprio no. Aizen aveva smesso di soffrire da tempo. Aizen non aveva paura di nulla.

Non c’è nulla da temere nel buio, piccolo. Avrai tutto il tempo di impararlo: nel buio ci puoi vedere quello che vuoi. E neanche degli Hollipop c’è da avere paura. Non c’è nulla da temere davvero, al mondo.

Il bambino si addormentò, finalmente: Aizen sbatté le palpebre, tornando al presente, e si rese conto che il suo piccolo viaggio nei ricordi gli aveva risparmiato la maggior parte della tiritera di Yamamoto.

Il mio cervello ha pietà di me, oggi… su, vecchio, recita fino in fondo la parte che ti ho assegnato. Incorona il Re che io ho scelto per te.

“… pertanto, avendo egli superato l’esame e raggiunti i necessari requisiti, nomino il Luogotenente della Quinta Compagnia Ichimaru Gin Capitano della Terza Divisione. Congratulazioni, Capitano. E’ per me un onore accoglierti come un figlio.”

Il neo capitano si inchinò, e si affrettò a prendere posto in uno degli spazi liberi.

Razza di ipocrita… scommetto che non hai dato neanche un’occhiata, ai tuoi veri figli. Ukitake sembra piuttosto triste… a Kyoraku, poi, non riesco neppure a vedere gli occhi; ha abbassato il cappello sulla fronte. Se solo li avessi ascoltati, quando ti hanno supplicato di risparmiare Shinji e gli altri, ora potresti vedere la mia spada puntata alla tua gola: ma gli ordini dei 46 erano chiari, non è vero? L’onore della Soul Society prima di tutto, come quella volta… nessun compromesso. Ma in fondo ti devo ringraziare… è grazie a te, che ho potuto vedere chiaro dentro me stesso, e nel cuore del mondo. Per questo, ti garantirò una morte rapida, quando sarà il momento.

Un sorriso increspò di nuovo le sue labbra, mentre i Capitani rompevano i ranghi. La figura snella di Soi Fon scomparve semplicemente, invisibile all’occhio, sulle ali di uno Shunpo; Byakuya Kuchiki, la cui nomina in seguito alla morte di Ginrei aveva preceduto quella di Gin di poche settimane, gli passò accanto, altezzoso e regale come sempre… il passo pesante di Komamura Saijin, del cui segreto era uno dei pochi, fidati custodi, sparì oltre la porta…

Così giovani, così giovani…

Gin lo deliziò con un altro dei suoi sorrisi storti: come da copione, rispose con una smorfia di disgusto, assicurandosi che Kyoraku, l’ultimo rimasto nella stanza, lo notasse chiaramente. Poi uscì anche lui, incontro al sole del pomeriggio.

Che si alzi il sipario, dunque…


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Complici le ombre della notte, quasi nessuno notò la figura sottile che percorreva il delizioso sentiero fiancheggiato da alberi che conduceva agli alloggi della Quinta Compagnia. Non che il silenzioso visitatore si preoccupasse eccessivamente di non essere notato: uno dei vantaggi di essere diventato un Capitano era proprio quello, il fatto di non dover più rendere conto a nessuno dei propri spostamenti; vantaggio che sarebbe stato sfruttato a dovere, nei mesi successivi…

Lungo il percorso, incontrò un paio di sentinelle di pattuglia: lo divertì il fatto che sembrarono colti da terrore solo dopo averlo riconosciuto. Sospettava che, quando fosse entrata in carica, la piccola Hinamori sarebbe stata accolta con grande sollievo come nuovo luogotenente…

Beh, io ho fatto tutto quello che potevo per incoraggiare le amicizie! Deve esserci qualcosa che non va nel mio dopobarba… o forse sono semplicemente troppo simpatico, e la gente si sente minacciata dalla mia verve…

Terminato lo scambio di convenevoli, Ichimaru Gin riprese la sua passeggiata, diretto alla fioca luce che si scorgeva in lontananza: l’ufficio del Capitano Aizen si trovava un po’ discosto dai dormitori, circondato da aiuole e cespugli ben curati.
Sostò per qualche attimo al di là del cerchio di luce delle torce: il Capitano Aizen era seduto su di un cuscino di seta, apparentemente intento ad esercitarsi in calligrafia; con grazia estrema, faceva scorrere il pennino sul foglio, lentamente, con mano esperta, sotto gli occhi del terzo seggio Momo Hinamori che lo guardava amorevolmente. Sembravano immersi in conversazione: ogni tanto Gin li sentiva scoppiare a ridere. Una deliziosa scena di vita quotidiana… un ufficiale fortunato. Una Divisione fortunata. Un uomo che pareva avere avuto tutto dalla vita; l’amore, e la serenità, il rispetto dei subordinati… eppure, intenzionato a spogliarsi di ogni traguardo raggiunto. Inutile chiedersi perché, arrivati a quel punto, Gin lo sapeva fin troppo bene; il dado ormai era tratto, e non restava che giocare. Perché, dunque, si preparava ad indagare nei segreti di quell’uomo?  La risposta, come spesso accadeva per le domande che Gin si poneva, era molto semplice: era curioso. Tutto lì.

Fece un passo avanti e rivelò la sua presenza; Hinamori trasalì al suo apparire, e portò istintivamente la mano all’elsa della spada: Aizen, rapido, le appoggiò una mano sul braccio, facendola rilassare immediatamente. Il suo ex-Capitano lo scrutò freddamente: “Sei in anticipo, Gin. Eri così desideroso di vedermi?”
“Bé, Cap, è che sai… uno non può immaginare quante scartoffie un Capitano è costretto a compilare, finché non si ritrova nei suoi panni. Ne avrò per tutta la notte… ma d’altro canto, ti avevo promesso un salutino… se hai qualcosa di meglio da fare, io ti capisco! Fa niente…” con un ghigno storto, spostò gli occhi lentamente dall’uno all’altra. Hinamori sembrava equamente divisa tra timore e disgusto: Aizen sostenne il suo sguardo in maniera simile per qualche secondo, poi si rivolse alla luogotenente a bassa voce: “Hinamori, devo chiederti di uscire per qualche minuto… io ed il Capitano Ichimaru dobbiamo parlare in privato. Non credo di aver bisogno di assistenza, ma… posso chiederti di radunare i nostri quarto e quinto seggio, e di montare la guardia qua fuori? E’ una semplice precauzione…”

Gin non riuscì ad udire la risposta, ma vide la piccola Hinamori ritirarsi, senza togliergli un attimo gli occhi di dosso; non appena la porta si fu chiusa alle sue spalle, Aizen fece un mezzo sorriso ed estrasse la sua Zanpakuto dal fodero appoggiato al tavolino, conficcandola nelle assi del pavimento: era il segnale che, protetta dai poteri di Kyoka Suigetsu, la conversazione poteva iniziare.

“Sono rimasto sorpreso nel ricevere il tuo telegramma. Credevo avessimo stabilito di incontrarci il meno possibile d’ora in avanti, per non dare nell’occhio…”

Il Capitano della Terza Compagnia si limitò a prendere posto accanto a lui, distendendo le gambe con soddisfazione: “Ohi ohi ohi… tutte quelle ore in piedi durante la cerimonia, e poi all’ispezione delle truppe… e pensare che da bambino sognavo la “comoda” vita della Seireitei… ma in fondo è sempre meglio che morire di fame, o passare le giornate a cercare di sfuggire a qualche maniaco…”

Il sorriso dell’altro si allargò sornione: “Molto bene… Devo dedurne che la tua piccola ricerca è finalmente andata a buon fine?”

Gin rimase per un attimo interdetto, poi riprese, ghignando a sua volta: “ Perspicace come sempre, eh. Sì, è andata a buon fine.”

“Quando?”

“La farfalla infernale ha fatto rapporto ieri sera; i tuoi uomini l’hanno identificata al confine con il sessantesimo distretto, e hanno immediatamente inviato le immagini, è proprio lei, non ci sono dubbi… Naturalmente, non sa che ci siamo io e te dietro a tutto; sembrerà che l’abbiano individuata per caso, e le pratiche per la sua ammissione all’Accademia sono già state avviate… del resto, è estremamente dotata, scommetto che brucerà le tappe dell’addestramento…”

“Il che mi costringe a ricordarti i termini del nostro patto, Gin: niente distrazioni. Il piano viene prima di tutto.”

Il sorriso di Gin si incrinò; con una sfumatura di rimpianto nella voce, replicò: “… già, già… Decima Compagnia, come stabilito. Però, Cap, avresti dovuto vederla! Irresistibile, con quel faccino spaventato… poi, ha messo su un gran paio di…”

“Bene, Gin. Sono lieto che tu ti sia tolto un peso dal cuore. Ora… possiamo passare al motivo della tua visita? Per quanto mi renda felice assistere ad un evento raro come un tuo sorriso sincero, per riferirmi della tua amica sarebbe bastato il telegramma… non avrai avuto qualche ripensamento…?” domandò Aizen, guardando il suo luogotenente in viso per la prima volta.

Questi non rispose immediatamente; per qualche minuto, nessuno dei due disse una parola. Tutto attorno a loro era pacifico, il silenzio spezzato soltanto dal frinire dei grilli e dal fruscio delle fronde.

Infine, Ichimaru sospirò e rispose: “Nah… nessun ripensamento. Ho ottenuto tutto quello che desideravo, dopotutto: sono vivo. Sono al top della catena alimentare; sono riuscito a proteggere la donna che amo… e presto lei sarà in grado di difendersi da sola. E tutto questo lo devo a te, Capitano Aizen: no, non ci ho ripensato, e ti seguirò nel purgatorio… e poi nell’alto dei cieli, se è davvero lì che vuoi andare.
Ma… c’è un ma, Capitano. Ahimè, io sono solo un povero ragazzo di Rukongai: devo dartene atto, all’inizio eri quasi riuscito a fregarmi! Se mi seguirai, piccola volpe, siederai al mio fianco nell’alto dei cieli; nulla potrà fermarci. Ah, Capitano! Avevo solo tredici anni… un orfanello sporco di sangue, e poi arrivi tu e mi prometti il mondo! Roba che uno si innamora!”

“Dubiti forse delle mie parole, Gin? Ho detto le stesse cose anche a Kaname, e lui non era certo un bambino...”

“Oh, non metterti a giocare con me, adesso! Kaname è un bambino; nessuno può davvero diventare adulto finchè non può vedere il sangue sulla propria spada.
Io invece sono cresciuto, Capitano; crisi ormonale, prima cotta, perdita della verginità… casa, lavoro e famiglia. Tutto alle spalle. Beh, beh… forse la famiglia proprio no. D’altronde, come farei con i bambini? Dopotutto faccio un lavoro ad alto rischio, non ti pare?” replicò Gin ridacchiando.
“Ma... poi hai voluto strafare. Hai parlato della decadenza del Gotei 13, e dell’ipocrisia dei nobili, che restano al sicuro dietro pile di scartoffie mentre i loro sottoposti muoiono in battaglia contro gli Hollow; dei milioni di anime che soffrono la miseria nei distretti poveri di Rukongai… e poi di un nuovo trono nei cieli, di un nuovo ordine, in cui noi avremmo regnato sugli Shinigami e sugli Hollow…”

“Ed ho mentito, amico mio?”

“Al contrario! Hai detto la verità… già, esattamente la verità che io e Kaname volevamo sentire.
Sì: noi siamo quelli che non hanno mai avuto niente da perdere; noi quelli che hanno sofferto la fame a Rukongai, e che non chiedono di meglio che aprire una strada di sangue fino ad un Re così bastardo da permettere tutto questo… ma tu, Capitano?
Tu sei nato nella Seireitei, un vero”sangue puro”; tu eri già potente, popolare e rispettato… tu hai sempre avuto tutto quello che uno potesse desiderare… o, perlomeno, questo è quello che hai voluto far credere a tutti.
Già, perché ho fatto qualche piccola ricerca, spinto naturalmente solo dalla mia devozione al piano... e indovina che cosa ho scoperto?”

“Che cosa, Gin?”

Niente. Assolutamente niente, a tal punto che in tutti gli annali della Soul Society, il nome Aizen non compare nemmeno una volta, fino alla nomina di un certo luogotenente della Quinta Compagnia, più o meno duecento anni fa…

Aizen rimase in silenzio, ma l’intensità del suo sguardo non intimidì minimamente Gin; ora sapeva che la domanda sulle sue labbra non solo non giungeva sgradita, ma neppure inaspettata: il suo vecchio comandante stava di nuovo sorridendo, di quel sorriso speciale che aveva sempre e solo riservato a lui… l’espressione soddisfatta che indicava il superamento di un’altra prova.

E forse questa è davvero l’ultima, eh, Capitano Aizen?

“Così ho riflettuto, e mi sono detto: ok, so che il Capitano vuole salire nell’alto dei cieli; che è abbastanza folle, o geniale per sfidare i pilastri dell’Universo… ma, diavolo, dopo tutti questi anni non gli ho ancora chiesto perché vuole farlo.” incalzò, e concluse: “Così, te lo chiedo adesso, Capitano… non vorrai lasciare proprio me senza una risposta, vero? Qual è la tua verità?”

Aizen scoppiò in una risata dolce e tranquilla; rise a lungo, serenamente, come un bambino a cui è stata raccontata una barzelletta divertente… poi, togliendosi gli occhiali ed appoggiandoli in grembo, riprese asciugandosi gli occhi: “Ah, Gin, non ho davvero più nulla da insegnarti… ero sicuro, sicuro che la cosa non ti sarebbe sfuggita a lungo. Bene, credo che tu abbia meritato di sapere, anche se temo che rimarrai deluso… mi piacerebbe davvero poterti confessare che sono riuscito a cancellare i dati su di me con un’abile macchinazione, o grazie ai poteri di Kyoka Suigetsu! Purtroppo, la mia verità è molto più banale…” e fece una pausa.
“ Vuoi davvero udirla, Gin? Vuoi dunque sapere perché voglio salire dove nessun altro è mai arrivato? Ebbene, eccoti accontentato…”


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“… verrà con me, donna, che tu lo voglia o no, dovessi trascinarlo via per i capelli”

“No, non lo farà. Non lo costringerai. Non sarà mai uno Shinigami… non lascerò che tu lo trascini nel tuo mondo delirante!”

Il suono secco di uno schiaffo... il secondo. La donna dai capelli castani fu scaraventata a terra, ma non smise un attimo di fissare in volto l’enorme Shinigami avvolto in uno haori scuro, che avanzò, una luce fredda nello sguardo.

“Non osare mai più rivolgerti a me in quel modo. Ricorda che mi devi rispetto…!”

La fragile figura di sua madre alzò il viso e si passò una mano sul labbro rotto, davanti all’occhio spalancato di Sosuke: perché il bambino era in piedi dietro la porta, e sbirciava dalla sottile fessura tra i battenti… il reiatsu del genitore lo aveva svegliato nel cuore della notte, e non aveva neppure pensato al fatto che stava disobbedendo di nuovo nello scendere le scale… era quasi un anno che papà non tornava a casa. Voleva vederlo…

Rispetto? Rispetto?” replicò la donna con una risata stridula “A te? Ho sopportato per anni la bestia che sei… gli insulti, le botte e… e… ho fatto tutto quello che hai voluto…”

Fu il turno dell’uomo di ridere sarcastico: “Vuoi disturbare il sonno del nostro piccolo, Kyoko? Non urlerei così forte se fossi in te… pensavo di portarlo via con me domani mattina, ma se lo fai svegliare, lo farò subito! Sai che non sopporto i piagnistei…”

Non lo porterai via da me, ho detto!"

“Sei una maledetta ingrata! Dopo tutto quello che ho fatto per te… A chi credi di dovere questa bella casa, i domestici… e, riflettendoci bene, anche il moccioso...?

“Tutte cose che puoi riprenderti all'istante! Ma lui no… lui non sarà mai tuo!”

Un altro schiaffo. E un altro ancora. E un altro…

- io lo sento, quando alle persone fa male qualcosa-
 
Poi sua madre fu spinta con violenza contro il muro e crollò nuovamente a terra; Sosuke non riuscì a reprimere un sospiro, attirando l’attenzione di entrambi verso la porta: gli occhi di lei si sbarrarono allarmati…

Mamma!

“Sosuke! Torna immediatamente in camera tua! ORA!”

La sagoma imponente di suo padre fece due passi nella sua direzione; l’espressione sul suo volto mal rasato era a metà tra il divertimento e il disgusto: “Ma guarda, il nostro piccolo Sosuke è sveglio… e guarda come si è fatto grande.” Sospinta da una forza invisibile, la porta si spalancò con uno schianto, mentre Sosuke indietreggiava impaurito. “Allora è questo il meglio che tua madre ha saputo insegnarti… strisciare lungo i muri ed origliare le conversazioni degli altri! Un comportamento vergognoso. Vieni qua, ragazzo: da domani mattina le cose cambieranno. Otto anni, proprio l’età a cui è cominciato il mio addestramento. Donna, per stavolta soprassederò al tuo atteggiamento ribelle. Ora và a preparare le sue…”

Si udì un rumore metallico, seguito da un sibilo minaccioso: l’uomo dall’haori nero si voltò, ed il suo ghigno si incrinò per un attimo: la donna si era rialzata e lo fissava con occhi spiritati, brandendo una Zanpakuto comparsa dal nulla, il fodero abbandonato per terra.

“Ti avverto, Aizen, sta’ lontano da lui! Altrimenti…”

“Dopo tutta la fatica che ho fatto per farti ritirare dal servizio attivo… non credevo fossi ancora capace di tirare fuori quella roba.” fu il commento sprezzante dell’altro, ma non pareva più così tracotante: “Ma ora mi hai stancato: preparati ad essere rimessa al suo posto, donna…”

Non aveva ancora mosso un passo, che Sosuke aveva ceduto completamente al terrore, ed istintivamente aveva spiccato una corsa, per cercare rifugio presso la madre, grosse lacrime di paura che gli scorrevano sulle guance; il padre lo catturò non appena gli passò accanto, afferrandolo per un braccio e sollevandolo crudelmente in aria.

“Ma-mammaaaah!”

“Piantala, moccioso, o te lo do io un buon motivo per piangere...”

“AIZEN!!!”

Sembrò impossibile che un ruggito del genere potesse provenire da una figura così delicata: un’ondata di reiatsu anomalo inondò la sala come un fiume in piena, ricoprendo gli oggetti con una sorta di nebbiolina argentea, mentre la spada calava con un preciso fendente in direzione del suo obiettivo…

Dispiega, Yuurei-Shinsen! Ali dello Spettro!”

Una folata di vento gelido e tagliente prese a soffiare nella sala, sollevando le tende e facendo tremare le fiamme delle candele; la nebbia sempre più fitta però non accennò a dissiparsi, anzi, acquistò spessore e cominciò a ruotare vorticosamente attorno al bambino ed al polso dell’uomo che lo teneva stretto, gonfiando i suoi vestiti… tutto accadde in poco più di dieci secondi.

Uno squarcio scarlatto si aprì lungo il braccio teso, dalla spalla all’avambraccio, mentre uno schizzo di liquido caldo ed appiccicoso colpiva in pieno volto Sosuke, che sentì tra le labbra un sapore metallico: suo padre, colto alla sprovvista, grugnì di dolore e rabbia e perdette la presa… il bambino fu strappato dalle sue mani e sbalzato via, ma un attimo prima di precipitare a terra fu avvolto dalle spire di foschia, che si avvolse attorno a lui come un essere intelligente, fermandone la caduta e depositandolo dolcemente sul tappeto, dove si accasciò singhiozzante, il suo piccolo cuore che batteva forte…

“Sosuke, vai VIA! SCAPPA!”

MAMMA!

Rimase: paralizzato dal dolore e dallo shock, non c’era altro spazio nel suo cervello che per le ultime immagini spezzate del suo mondo stravolto, di quell'uomo che non era suo padre, che era uno Hollipop venuto a divorare lui e la mamma, che era tutto il male ed il buio e la paura e che aveva estratto la sua spada nera come la notte, ringhiando come un animale feroce; il mostro si gettò in avanti, folle di furia omicida, disperdendo la corrente che aveva raggiunto l’ intensità di un piccolo tornado, nascondendo la donna alla vista del bambino…

Ci sei, puttana!

...e le candele si spensero.


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“… quella fu l’ultima volta che vidi mia madre: i domestici trovarono il suo cadavere pochi minuti dopo, credo, ma io ero già stato portato via. Ti lascio immaginare come la faccenda andò a finire; come avrei presto scoperto, mio padre era un Capitano del Gotei 13, e mia madre… uno sfortunato ufficiale di seggio che aveva attirato la sua attenzione anni prima. Io ero il suo unico figlio, e nella sua mente contorta, sarei dovuto diventare anche il suo successore; mia madre commise l’errore di provare a fermarlo. Doveva amarmi molto…
Non ci fu neppure un’inchiesta. A voler essere onesti, anni dopo venni a sapere che i nostri amabili colleghi Kyoraku ed Ukitake avevano proposto che mio padre venisse punito e destituito, ed io cresciuto a spese della Seireitei; ma il vecchio Yama aveva ricevuto ordini precisi… l’onore ed il prestigio del Gotei 13 sarebbero stati macchiati irrimediabilmente da un processo per omicidio ad uno dei Capitani: di fronte a questa vergogna, che cosa era mai la vita di mia madre? Che cosa era mai la vita di un bambino di otto anni?” La voce di Aizen era irrealmente tranquilla; il suo tono era distante e malinconico, gli occhi celati alla vista di Gin dai riflessi sulle lenti. Il tenue sorriso con cui aveva cominciato a parlare non aveva abbandonato il suo viso nemmeno per un secondo.

“Come sai, il ritiro di un Seggio non viene mai ufficializzato; non fu difficile insabbiare tutto, mettere i testimoni a tacere e registrare il decesso di mia madre come avvenuto in missione. Ciliegina sulla torta, mio padre ottenne il mio affidamento, e poté cominciare ad “addestrarmi” a piacere, sempre che di addestramento si possa parlare: temo, ahimè, che non corrisposi mai alle sue aspettative…” ed Aizen fece una pausa, passandosi una mano tra i capelli.
“Immagino, Gin, che il giovane Hisagi ti abbia già recapitato la Gazzetta della Seireitei come ogni mese, giusto? C’era un articolo un po’ infantile, ma molto interessante a pagina 17…”

“Parli di quel sondaggio idiota che fanno una volta all’anno sul presunto Ufficiale Comandante più popolare? Quello in cui sei in testa da, diciamo, cinque o sei lustri? Aw, se penso che sono addirittura dietro a quel fricchettone di Kurotsuchi…” rispose Gin. Si era sdraiato sulla schiena, le braccia pigramente incrociate dietro la nuca, apparentemente intento a contare i tasselli di legno del soffitto.

“Proprio quello. Tra le altre cose, conteneva uno speciale che mi classificava, pensa un po’, come il Capitano più potente dopo il vecchio… e questo, nonostante non abbia mai mostrato a nessuno nemmeno la metà delle mie abilità effettive. Riesci a crederci, Gin?”

“Beh, in realtà non faccio fatica a…”

“E ti sbagli. Non nego di essere arrivato ad un soddisfacente livello in tutte le Quattro Vie, ma, come sai bene, mi sono anche scontrato da un pezzo con il limite delle mie capacità…” Aizen sospirò tristemente. “La mia padronanza del Kido ancora impallidisce di fronte a quella di Retsu Unohana, dopotutto, e non solo la compianta Yoruichi Shihohin, ma persino la piccola Soi Fon mi ha sorpassato nell’efficacia dello Shunpo; anche l’unico vero talento che mi sia sempre attribuito, e cioè un intelletto acuto, ha trovato il suo degno rivale dall'ingresso sulla scena di Kisuke Urahara…
Il potere in me si era manifestato con eccezionale precocità; ma era un potere mediocre… e tanto più mediocre appariva a mio padre, che sperava di forgiarmi, questa era la parola che usava… in un paio di occasioni arrivò a spezzarmi le braccia, rammento; di solito le nostre toccanti serate padre-figlio si concludevano quando cominciavo a sputare sangue, e non ero più nemmeno in grado di strisciare fino al mio letto per leccarmi le ferite, mentre lui si allontanava inviperito dandomi dell’essere inutile.
No, amico mio, non sono mai stato un bambino prodigio… come te.”

Gin sbadigliò vistosamente, cominciando a grattarsi la testa; Aizen proseguì, facendo finta di niente: “Non feci alcun progresso nelle mani di quell’uomo, nonostante volessi diventare forte quanto e più di lui… perché presto desiderai ucciderlo, naturalmente; perché la mia fanciullezza ebbe presto termine, non appena smisi di versare lacrime nel buio per mia madre e cominciai a sognare il momento in cui avrei trafitto il cuore di chi mi aveva portato via l’innocenza. Cominciai a non provare altro che odio, verso mio padre e verso tutti gli Shinigami, e nella mia immaturità speravo che quell’odio mi avrebbe reso più forte…
Ma era tutto inutile: dopo qualche decennio, disgustato, perse finalmente interesse e mi abbandonò all’Accademia, ormai un giovane schivo e complessato, divorato dal desiderio di vendetta e disperato per la sua debolezza… Gli anni presero a scorrere veloci, Gin, e mi vergogno nel ricordare quanto fui ostinato nella mia ricerca di vendetta…”


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La galleria degli specchi. Pavimenti di moquette rossa. Fruscianti tende di perline che ricoprono in egual misura le aperture e le superfici riflettenti, ingannando l’occhio e costringendo il giovane Shinigami a procedere a tentoni, sbattendo contro i vetri, imboccando vicoli ciechi, aggirandosi angosciato in un labirinto di forme spettrali… i riflessi distorti della sua magra, sproporzionata figura adolescente che si contorcevano ghignanti. Il suo mondo interiore: null’altro che un fragile gioco di specchi.

“Ti prego. Non scappare. Dimmi il tuo nome, ho bisogno di te!”

“…scappare? Ma piccolo Sosuke, sei tu che stai fuggendo da me! Ogni passo che fai, ogni svolta che prendi ti allontana sempre di più dal centro del labirinto. Io sono una che ci tiene alle buone maniere: non posso proprio dare confidenza ad uno che non riesco neppure a vedere in faccia...”

“Ho bisogno di te! Per favore, dimmi come ti chiami… per distruggerlo, per vendicare la mamma… ho bisogno della forza!”

La risata della sua Zanpakuto riecheggia divertita lungo i corridoi di vetro: le superfici scintillanti stridono e si incrinano, spezzando le immagini in mille frammenti grotteschi; lo Shinigami è costretto a coprirsi il volto con le mani, per proteggersi dalle schegge taglienti…

“La forza… La forza! Vendicare la nostra povera mamma, morta per salvarci! Lo vedi, piccolo Sosuke, che sei sempre più lontano? Sei rimasto un bambino… un bambino imbronciato perché gli hanno rubato il suo giocattolo preferito… vorresti la forza per punire il ladro, non è vero?  Per punire tutti i ladri di questo mondo, e per riparare a tutte le ingiustizie…povero, piccolo bambino disilluso. La forza la possono ottenere in tanti, ma quello che ti offro io è il potere più grande di tutti: e non lo avrai mai, finché insisti a guardare il tuo riflesso negli specchi. Il mondo è così grande, Sosuke… credi che la tua sia l’unica madre al mondo che è stata uccisa davanti agli occhi del figlio? O che l’Universo si arresti davanti alle porte della Seireitei? No, Sosuke. Il mondo è immenso, e tu ti ostini a pensare in piccolo… finché questi specchi non rifletteranno che la tua immagine, non ti permetterò di pronunciare il mio nome!”


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 “Ok, ok, Cap. Guarda che se hai intenzione di tenere per te i tuoi piccoli segretucci, bastava dirlo prima…” sbottò improvvisamente Ichimaru, raddrizzandosi finalmente con aria stizzita. Aizen si interruppe e lo guardò con curiosità.

“Sei stato tu ad insistere. Te l’avevo detto che era una storia noiosa…”

“Questa non è una storia, è un romanzo Harmony! Davvero commovente… E spiega proprio tutto, neh! Il nuovo ordine, l’odio per gli Shinigami, il desiderio di salire in alto, di essere davvero il più forte di tutti… tutto ha origine da una così nobile vendetta!  Ma che animo pieno di giustizia, Capitano! Quasi un santo!
Scommetto che la piccola Hinamori ne trarrà motivo di consolazione, quando le spezzerai più o meno letteralmente il cuore...  E il Capitano Hirako, ovunque si trovi, apprezzerà che il suo nuovo make-up permanente sia stato provocato con intenti così nobili!” continuò l’altro, agitando le braccia in maniera teatrale. “Queste sono parole degne di Kaname, e non mi piacciono nella tua bocca… perché tu non sei un santo, Capitano Aizen: tu ti stai divertendo… almeno tanto quanto me.
Nutrivo la speranza che alla fine avresti voluto confidarti, ma ehi! Pazienza… non mi infilerò nel mio futon a piangere.
Ma non insultare la mia intelligenza inventandoti una storia strappalacrime…”

“Ma è una storia a lieto fine. Non vuoi sentire il resto?

“…che, tra l’altro, fa acqua da tutte le parti! Dico, non lo avessi detto adesso, che il nome Aizen non compare nemmeno una volta negli annali! E vieni a dirmi che Babbo Bastardo era un Capitano? Gli archivi tengono traccia di tutti coloro che raggiungono il…” ma si bloccò improvvisamente, colpito da un pensiero improvviso; la sorpresa nella sua reazione fu così evidente che Aizen, per un attimo, riuscì ad intravedere le sue pupille.

“…Bankai?” concluse per lui, annuendo condiscendente.

L'altro ci mise qualche secondo a riaversi dallo stupore; dovette constatare che in quel modo tutto acquistava un senso... come diavolo aveva fatto a non pensarci prima!?
“Stai scherzando, vero?”

“Affatto. Hai detto bene, non c’è alcuna possibilità che il nome di qualcuno che ha raggiunto il rango di Ufficiale Comandante non venga registrato negli annali della Soul Society… ma è possibile che tale nome venga cancellato, a seguito di un avvenimento così vergognoso da costituire un’onta per tutto il Gotei 13: un fatto, ti prego di notare, molto più grave agli occhi del Consiglio persino di un'accusa per omicidio…”

“… come, per esempio, subire un’umiliante sconfitta e venire massacrato davanti a centinaia di subordinati, magari ad opera di uno sconosciuto straccione, sbucato fuori dal nulla alla periferia di Rukongai…” sussurrò rapito il suo luogotenente, mettendo insieme gli ultimi pezzi del puzzle. 

“Un ottimo esempio, sono lieto di vedere che stai al passo. Il nome Aizen venne effettivamente sradicato dagli archivi duecentotrentasei anni fa; mio padre era il precedente Capitano dell’Undicesima Divisione… e fu ucciso da Kenpachi Zaraki.” continuò Aizen.

“Quel giorno, la mia vita fu stravolta per la seconda volta: retrospettivamente, non esito a dire che il cambiamento per me fu epocale. Io ero lì, amico mio, e vidi tutto… riesci ad immaginare mesi, anni, decenni passati ad allenare corpo e mente, giorno e notte, quasi un secolo dedicato a coltivare il seme della rabbia in solitudine, a sognare il giorno in cui avrei abbattuto il mio mostro… tutto spazzato via da un singolo colpo di spada?
In dieci minuti, la belva giaceva a terra, uccisa non dal suo giustiziere, ma da un’altra belva ancora più sanguinosa: Zaraki mi derubò della mia vendetta e del mio scopo… e di fronte alla sua risata maniacale sul cadavere sventrato, raggiunsi finalmente la comprensione.

Capii ciò che era stato la mia vita fino a quel punto: una semplice prigione illusoria, in cui avevo immaginato di essere destinato ad uccidere mio padre; compresi che il destino non esisteva affatto, e che parole come “giustizia” e “forza”, di cui ogni Shinigami ama riempirsi la bocca, non avevano in realtà alcun significato all’infuori di quello che le costringevamo ad avere; tutto quello che la mia Zanpakuto aveva cercato di farmi capire, tutto quello che avrebbe fatto di me ciò che sono fu improvvisamente chiaro come la luce del giorno.
Perché cominciai a guardare la folla che mi stava attorno, con il distacco di un ubriaco, e mi accorsi che i loro sguardi riflettevano altrettante illusioni; alcuni Shinigami sussurravano tra loro, altri sembravano eccitati, altri sconvolti, mentre gli ufficiali tentavano inutilmente di rimettere ordine in quella confusione; quanti tra loro avevano perso una madre, o un fratello, o un figlio…?
Soltanto lui, la belva, si allontanava con noncuranza, gettandosi il mantello insanguinato di mio padre sulle spalle, senza voltarsi indietro; quel giorno mi resi conto che soltanto lui era libero, perché viveva immerso fino al collo nella morte e nel dolore, ma non ne era toccato: era libero, ed innocente, e si divertiva, perché non aveva mai preteso di dare un senso alla sua esistenza.
La mia illusione di giustizia e vendetta era stata frantumata… e credo che non potrò mai ripagare questo debito con il nostro folle collega.

Rientrai in caserma, e dormii un sonno sereno e senza incubi, come non era mai successo da quella notte in cui mi era stata rubata l’innocenza: sognai migliaia di specchi che si frantumavano, e lei mi apparve sorridente, lieta che avessi finalmente capito: alle prime luci dell’alba mi svegliai, e finalmente conoscevo il suo nome; meno di un mese dopo, pronunciavo per la prima volta la parola Bankai.” concluse Aizen, e si voltò verso l’amico.
Trovandosi di fronte l’ennesimo, furbo ghigno, rammentò ancora una volta cosa lo avesse spinto, dopo secoli di pianificazione solitaria, a prendere con sé un piccolo assassino dai capelli d’argento.

“Poi ti incontrai per caso, Gin” proseguì senza smettere di fissarlo “e non dubitai per un istante di aver trovato uno spirito simile al mio: anche tu, che eri solo un bambino, eri ritto al fianco di un cadavere, e sorridevi… avevi forse visto che il colore del suo sangue non era diverso dal tuo, così come quello di mio padre non mi era apparso diverso da quello di mia madre? Ti eri reso conto anche tu che non aveva senso ritenere una vita, forse nemmeno la propria, più importante delle altre, se una spada è in grado di spegnerle tutte con tanta facilità? Forse no. Dopotutto, c’è nel tuo cuore una vita per la quale saresti pronto a donare la tua…”

“Ehi, un uomo deve pure avere un punto debole… la cosa, come vedi, non mi ha fatto rinunciare a divertirmi!” replicò Ichimaru in tono noncurante.

Aizen annuì di nuovo, sorridendo.

“Così, quello è diventato il tuo traguardo… il cielo è diventato il mio. Perché nonostante tutto, le persone sono imperfette, ed anche coloro che vedono attraverso le illusioni non possono esistere senza scopo: che sia l’ebbrezza del combattimento, la curiosità intellettuale o un grande amore… non possiamo evitare di aggrapparci a qualcosa, anche se ne riconosciamo la futilità.
Per questo, ho deciso di conquistare, se mi riesce, l’alto dei cieli. Possiedo il potere di governare le illusioni degli altri , dando loro ciò che più desiderano o precipitandoli nella disperazione, e lo userò, per giocare, recitare, costruire, governare… per vedere fin dove riesco ad arrivare, per mettermi alla prova con il mondo insensato retto da un Re e da angeli ipocriti, fino ad aprire un varco nelle nuvole… e quando sarò arrivato lassù…” ma improvvisamente si interruppe.
 
Ormai consumata completamente, una delle torce appese ai muri si era spenta all’improvviso, immergendo nell’ombra la zona in cui era seduto Ichimaru, che si voltò istintivamente verso il mozzicone; con la coda dell’occhio, allo Shinigami parve di vedere per un istante Aizen irrigidirsi… ma quando si voltò di nuovo verso di lui, il suo Capitano era perfettamente tranquillo, e gli sorrideva alzando le braccia a mo’ di scusa: “Ah, che peccato! Pare proprio che la nostra chiacchierata ci abbia fatto perdere il senso del tempo! La povera Hinamori deve essere ancora lì dietro a morire di sonno… Cosa dici, Gin, posso congedarti senza apparire scortese?”

Gin diede in un lungo sbadiglio e si rialzò faticosamente, stiracchiandosi: “Uurgh! Ma sììì, perchè no… in realtà non l’ho detto prima per non fare brutta figura, ma anche a me si stanno proprio chiudendo le palpebre… più del loro solito, potrei aggiungere per fare un pò di autoironia. Grazie per avermi dedicato del tempo, Capitano Aizen.”

“Hai avuto le risposte che cercavi?” domandò l’altro.

Gin ghignò con aria complice, smontando dal soppalco sull’erbetta del sentiero: “Ho avuto quelle che mi servivano. Dopotutto, hai realizzato la mia illusione: sarei proprio un ingrato se non ti aiutassi a realizzare la tua…”

Rimasero in silenzio per qualche secondo, l’uno in piedi e l’altro seduto, a fissarsi negli occhi, come due bambini che facciano a gara a chi distoglie per primo lo sguardo.
Poi Gin si voltò e prese a risalire il sentiero, con le mani nelle tasche.

“Sei davvero un ragazzo intelligente, Gin… sono fortunato ad averti al mio fianco.” mormorò Aizen a voce bassa.

Ichimaru agitò un braccio in segno di saluto.


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“Davvero non ne comprendo l’utilità!” borbottò Szayel Aporro Grantz, rivolto più a sé stesso che ai suoi due illustri ospiti; non era cosa di tutti i giorni che i luogotenenti di Aizen, Kaname Tosen ed Ichimaru Gin, venissero a fargli visita nel suo laboratorio, anche ora che i lavori di costruzione della possente fortezza di Las Noches erano finalmente completati.
A trent’anni di distanza dal turbolento incontro tra Sosuke Aizen e il Dio Re dello Hueco Mundo (ora Segunda Espada Barragan Luisenbarn), centinaia di torri d’avorio circondate da mura punteggiavano le sabbie dello Hueco Mundo, raccolte attorno alla cupola centrale che ospitava la Sala del Trono e i quartieri degli Espada.
La fioca luce lunare che penetrava dalle finestre non era sufficiente a rischiararne l’interno, ed il luogo era perennemente immerso nella penombra: comunque, nulla che giustificasse il ricorso ad un meccanismo di quelle proporzioni, secondo l’opinione dell’Arrancar.

“Né è richiesto che tu la comprenda” replicò Tosen, asciutto. “E’ un ordine diretto di Sua Eccellenza Aizen, e questo è tutto ciò che ti serve sapere.”

“Ma stiamo parlando di dirottare il 60% della produzione energetica di Las Noches in un meccanismo di nessuna valenza pratica!” insistette l’Octava. Visibilmente contrariato, si avvicinò ad un' enorme leva situata vicino ad un quadrante luminoso che rifletteva uno schema della cupola.

“… disse quello che impiega da solo per i suoi giochini tutto il rimanente. Per la centesima volta, comunque, serve per il monitoraggio…” tentò Gin, conciliante.

“Assurdo! Disponiamo di Numèros il cui pesquis è già un sistema efficace, per non parlare del complesso di telecamere già installato…”

“Sì, ma vuoi mettere l’effetto estetico? Su, da bravo, facci vedere come sei bravo a pasticciare con i cavi elettrici…”

Le labbra arricciate in disapprovazione, Szayel Aporro abbassò la leva, ed un ronzio di intensità crescente si propagò all’interno della cupola; la sua superficie interna cominciò a mandare bagliori incerti simili a lampi, poi tornò nera come la pece; infine, con un ultimo tremolio, si accese di azzurro intenso, assestandosi rapidamente in una perfetta copia del cielo terrestre, punteggiato da nuvole bianche: la cupola di Las Noches era ora perfettamente illuminata a giorno.

“Comunque, insisto che è uno spreco di risorse inaudito” continuò l’Espada incrociando le braccia sul petto, imbronciato. “Dico, neanche Sua Eccellenza avesse paura del buio…”

“Szayel Aporro! Questa è mancanza di rispetto!” lo rimproverò Tosen stringendo i pugni.

“Heee! Secondo me, invece, è molto divertente… te lo immagini, Cap che se ne va a letto con l’orsacchiotto? Questa al prossimo tè gliela racconto… paura del buio! Vedrai, si divertirà un sacco anche lui…” disse Gin.

Non aveva smesso un attimo di sorridere.


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NdA:  Dedicato a Stateira, perchè il primo flash per scriverlo mi è venuto leggendo il capitolo "Kyoka Suigetsu - Io sono solo un gioco"  della sua bellissima fic "Zanpakuto". Dategli un'occhiata, vale davvero la pena!
  
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