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Autore: Bardunfula    19/12/2009    1 recensioni
Devo parte dell’ispirazione per questa fanfiction a ‘The Portrait of the Unknown One’, una fanfiction che l’utente Lemondropseverus ha pubblicato sul sito www.fanfiction.net .
Il resto è opera mia.
La fiction è ambientata nell'Inghilterra di Enrico VII, ma non segue necessariamente il corso 'veritiero' degli avvenimenti storici che tutti noi conosciamo.
Caterina d'Aragona ed Enrico Tudor sono sposati da cinque anni. Hanno già una primogenita, Maria, e sono in attesa del loro secondogenito.
Sarà, finalmente, un maschio?
I personaggi della fic, alcuni sono realmente esistiti, altri no.
Buona lettura, e commentate :)
Genere: Generale, Storico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
Capitoli:
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A Queen's Daughter - Lost and found

Londra/Windsor, Fine estate 1530 – Lost and found

“Ma Maestà..” Osò protestare Maria de Salinas.
Ormai era tarda serata e la Regina aveva avuto una giornata tutt’altro che leggera e scevra di impegni. Era visibilmente stanca e, almeno nelle intenzioni di lady Willoughby, avrebbe dovuto dormire e riposare in maniera adeguata. Il giorno dopo non l’avrebbe certo attesa un carico inferiore di problemi e di guai da risolvere.
“Maria, sono passate ben quattro settimane.” Rispose Caterina impaziente. “Non ce la faccio più a non vederla, lo capite?”
“Sì, Maestà, ma dovrei suggerirvi prudenza..” Balenò l’amica di lunga data.
“Maria, è rimasta con me quando io ero ammalata e non ha sviluppato nulla.” Rispose con una certa decisione. “E direi che è stata imposta una quarantena più che sufficiente. Ad entrambe..” Detto questo, si avviò verso la porta, senza attendere ulteriori risposte.
Dai propri appartamenti andò alle scuderie, dove una carrozza già l’attendeva, e si fece portare immediatamente a Windsor.

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“Mi spiace, Maestà ma non potete stare ancora qui!”
Il dottor Vittoria, richiamato in tutta fretta, non perse tempo. La Regina andava immediatamente separata da Isabel, che poteva essere ancora contagiosa. E fu un’operazione che lui compì con una certa gioia, dato che non aveva certo dimenticato il modo in cui la Principessa lo aveva trattato non più tardi di una settimana prima. Il fatto che poi il suo ragionamento avesse trovato riscontro reale e la Sovrana avesse ripreso a sentirsi meglio, era per lui solo una casualità.
Nient’altro che il destino benevolo.
“Vi prego, dottor Vittoria, solo un attimo..” Implorò Caterina, mentre Isabel veniva stesa sul letto dove fino a poco tempo prima era stata stesa lei. Il medico scosse la testa deciso, come se volesse mostrare tutto il carattere e il decisionismo che nei giorni precedenti non aveva tirato fuori.
“No, mia signora. Per voi potrebbe significare la morte..” Rispose duro, guardando Isabel, che era crollata, sfinita dal sonno e dalla fatica, dopo dieci giorni intensi, sotto ogni profilo. “Lasciamo che i decessi siano il meno possibile.” Aggiunse con poca grazia, senza nemmeno badare allo sguardo sconvolto della Sovrana.
“Decessi?” Chiese Caterina, con un filo di voce, voltandosi a guardare con paura il volto di Isabel, pallido e segnato da occhiaie. Sebbene non si sentisse in grado di avvicinarsi al letto senza l’aiuto di Maria de Salinas, vi provò ugualmente. Aveva estremo bisogno di toccare almeno il viso della figlia.
“Ferma!!” Ordinò il dottor Vittoria, raggiungendola ed osando toccarla per fermarle la mano.
Caterina lo guardò sbigottita. Come si permetteva?, pensò.
“Vi ho già detto che non dovete stare qui..” Riprese lui, riprendendosi dall’aver osato tanto. Si voltò verso le dame che erano venute a prendere la Sovrana. “Avanti, voi, portatela nella stanza che ho preparato per lei.. Ricordatevi Maestà, non meno di cinque settimane di quarantena. Dio non voglia che il contatto con vostra figlia vi uccida ora che siete sulla via della guarigione..” Sentenziò.

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“Hanno attaccato le guardie che li invitavano a sciogliersi in modo pacifico, Maestà..” La voce di sir More era un filo, imbarazzato e confuso.
“E’ la prima volta che succede una cosa del genere?” Chiese Caterina. Tornata alla guida del Paese da pochi giorni, quella era la prima questione spinosissima che si trovava a dover fronteggiare. In realtà sir Thomas le aveva detto delle crescenti difficoltà sue e della Principessa Maria, soprattutto con il ritrovato vigore dell’azione di disturbo dei Bolena. Azione che se prima si era limitata a delle votazioni a sfavore delle decisione prese dalla Reggente e dal suo ‘tutore’, si era poi trasformata in aperta ostilità, con veri e propri commenti malevoli ed ineducati sull’operato della figlia di Enrico e Caterina. E se inizialmente nessuno li aveva seguiti nel loro ardire, col passare dei giorni, quando la Principessa era apparsa sempre più in difficoltà, diversi consiglieri erano passati, o meglio tornati, dalla loro parte.
“No, Maestà, non è la prima volta che i riformisti protestano per le strade..” Ammise sir Thomas. “Io e la Principessa Maria abbiamo cercato di usare la persuasione per ragionare con loro. E’ chiaro che ho sottovalutato la loro azione, Maestà, e sono pronto a prendermi le responsabilità del mio errore. Fino in fondo..” Le disse chiaramente, guardandola negli occhi. Caterina gli sorrise.
“Non c’è ragione che io mi privi di voi, sir Thomas. Ho fiducia in voi e so che avete agito per il bene, anche con mia figlia.” Lo rassicurò, ed era davvero ciò che pensava. “Ora però, è bene che quella feccia sappia che l’ora della gioia è finita. Ora o rigano dritti o saranno estirpati da questo Paese. Uno per uno.” Aggiunse decisa. Sir Thomas annuì, concorde. Dio sapeva se l’Inghilterra poteva sopportare una guerra civile ora, o anche soltanto degli scontri per questioni religiose. “Mandate a chiamare il Capitano Connely.. ho da dargli alcuni compiti..” Ordinò ad un valletto la Sovrana. Quegli annuì immediatamente e dopo un inchino reverente, andò a chiamare il Comandante della guardia cittadina. 

 
“Eleanor, ditemi come sta mia madre?” Chiese Isabel. La dama, poco più grande di lei, che era stata destinata alla sua cura fino a che non sarebbe uscita dall’isolamento, le sorrise e scosse la testa.
“Non lo so, Vostra Altezza. Non esco mai da quest’ala del Palazzo.” Rispose dolcemente.
La giovane principessa sospirò con aria triste, e andò a prendere il liuto. Lo tirò fuori dalla custodia, poi si preparò ad accordarlo. Eleanor la guardò per qualche istante, in attesa di eventuali ordini, poi dopo averla salutata con un inchino, uscì dalla stanza. Non passò molto che la fanciulla vi rientrò.
“Vostra Altezza, il
Señor Fernandez de Velasco chiede di voi, e desidera visitarvi..” Annunciò la dama. Isabel smise in un istante ciò che stava facendo e si alzò in piedi, pronta per riceverlo.
“Altezza..” La salutò lui, inchinandosi quasi fin verso a terra, e mettendola in leggero imbarazzo. “Che gioia vedervi e sapervi in salute..”
Isabel arrossì leggermente. Era da tempo che non lo vedeva e per un attimo fu presa dal panico. La visita cui aveva fatto cenno Eleonor sarebbe stata una visita medica in piena regola, o una visita di cortesia? Imbarazzata come era non osò nemmeno chiederlo, cercò di rispondere al saluto di lui.
“Grazie, mio signore. Siete molto gentile come sempre..” Rispose con educazione, ma cercando di non essere fredda e distante. Juàn si alzò in piedi e si avvicinò a lei.
“State davvero bene?” Chiese soltanto, posando il proprio palmo sulla sua fronte. “Ho avuto il terrore che..” Disse, e non proseguì. I suoi occhi verdi la fissarono intensamente. Non c’era bisogno che lui terminasse la frase, perché Isabel ne capì al volo la parte mancante.
“Sto bene, signore, grazie..” Rispose lei, cercando di mantenere un contegno adeguato. “Prego, sedetevi..” Lo invitò, allontanandosi da lui e facendo respirare il proprio cervello ed il proprio cuore.
“Siete sempre gentilissima, Vostra Grazia..” Le sorrise, accogliendo il suo invito a sedersi.
“Venite dalla Corte?” chiese Isabel, e prima che egli potesse rispondere chiese ancora. “Per piacere, ditemi, come sta mia madre? Qui non so nulla e…”
‘Mi manca da morire, sono preoccupatissima per lei e per la sua salute..’  Continuò mentalmente Isabel. Come sempre, strinse le labbra e assunse il suo solito contegno rigido, tipico di quando era lì lì per mostrare le proprie emozioni e non avrebbe dovuto.
“Per favore, señor Fernandez, ditemi, come sta la Regina?” Chiese, di nuovo, formalmente.

 

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Giunta al castello, Caterina percorse i corridoi che la separavano dal suo obiettivo con una certa velocità, seguita a fatica da lady Willoughby, che l’aveva accompagnata.
Nonostante fossero quasi deserti, se si eccettuavano le guardie non c’era infatti anima viva nel palazzo, le sembrò di impiegare fin troppo tempo a raggiungere gli appartamenti della figlia.
Di fronte alla porta della stanza da letto, fece un respiro profondo e poi aprì la porta.
Isabel, seduta sul letto con il liuto posato su una coscia, suonava una Folia. Caterina restò sulla soglia a guardarla suonare, senza dire nulla. Dato che non si era fatta annunciare non voleva interrompere i suoi esercizi, preferendo che si accorgesse da sé della sua presenza. Quando finalmente Isabel alzò il capo, e si rese conto della sorpresa del tutto inattesa, per qualche secondo non riuscì a dire e fare nulla; poi, quando sua madre entrò dentro ed ebbe chiuso la porta alle sue spalle, la giovane posò il liuto sul letto, si alzò in piedi su di esso e lo percorse, fino alla pediera, quindi con un balzo scese a terra. Percorse gli ultimi cinque metri fino a sua madre a passo svelto, inciampando nei suoi stessi piedi e nella camicia da notte. Rompendo ogni etichetta e senza nemmeno chiedersi se sua madre avrebbe gradito o meno il suo gesto,  quando le fu davanti le buttò letteralmente le braccia al collo.

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“Maestà, la popolazione ha attaccato le guardie..”
Sconvolto dalla fatica e con il respiro pesante tanto da non riuscire nemmeno a parlare, una guardia semplice, di quelle agli ordini del Capitano Connely, aveva cavalcato fino a Greenwich per portare la terribile notizia. Raggiunta la sala del Consiglio, non aveva esitato ad entrare, anche se sapeva che era in corso una riunione.
Caterina gli fece riprendere un po’ di fiato e si preparò ad ascoltare il resto, sempre più stravolta.
“Ci sono almeno dieci rivolte a Londra, due più grosse delle altre. Dei gruppi mercenari armati si stanno affiancando ai riformatori, Maestà benedetta. Sono vestiti come i civili e per noi è impossibile riconoscerli.. Rischiamo di sparare alla nostra gente, mia Regina..”
Caterina lo guardò, incamerando tutte le informazioni e poi si fermò a riflettere, mentre quello le chiedeva cosa mai dovessero fare.. La Regina si sentiva la testa scoppiare. Non si era mai trovata a dover affrontare una cosa del genere e temeva di sbagliare, qualunque passo avesse compiuto. Era chiaro ed evidente che una cosa così virulenta e ben organizzata non era e non poteva essere una cosa estemporanea, organizzata da quattro eretici in fila, spesso ignoranti e semianalfabeti, oltre che senza appoggi economici e politici. No, si disse Caterina, questa è una azione pensata, organizzata e congegnata per distruggere l’Inghilterra. E me.
I consiglieri la guardavano in silenzio totale, senza osare interrompere e disturbare il suo attimo di ragionamento e di organizzazione.
“Maestà, dovremmo lasciare che le guardie aprano il fuoco liberamente su quei rivoltosi..” Disse una voce.
Caterina, che era davanti alla finestra, si voltò di scatto. Era certa di aver riconosciuto quella voce e solo una persona poteva avere avuto l’ardire di interrompere e non rispettare il suo silenzio. Fissò a lungo il suo interlocutore e, rapida e intelligente come era, cominciò a capire.
“E dare quindi ai nostri nemici il pretesto per affermare che la Regina d’Inghilterra spara sulla sua gente?” Chiese gelida fissando sir Thomas Bolena. “Nemmeno per sogno, lord Rochford. Nessun ordine di quel tipo uscirà mai dalla mia bocca.”
Tutti i consiglieri guardarono stupefatti quello scambio, che sembrava uno scontro cruento quanto quello di due cavalieri di opposte fazioni; sir More fissò per un attimo la Sovrana e lei lo guardò a sua volta. Si capirono al volo, senza bisogno di ulteriori cenni. I Bolena erano dentro quel pasticcio fino al collo. Ora bisognava solo trovare le prove e distruggerli per sempre.
“Ma signora.. siete sicura di ciò che dite?” Osò lui. “Non sarete troppo tenera? La politica si sa che non è cosa da donne..”
A quelle parole Caterina avvampò visibilmente. Insulto peggiore non poteva forse uscire dalla bocca dello sconsiderato consigliere. La Regina torse nervosamente le mani una dentro l’altra, ma dopo alcuni istanti si controllò egregiamente, come sempre.
“In Spagna mia madre, alla testa delle sue truppe, ha cacciato i Mori, e reso il Paese una potenza, signore..” Sibilò furente, e tanto bastò perché il messaggio arrivasse chiaro e forte.
Tuttavia contrariamente alle attese sue, ed anche degli altri consiglieri, sir Thomas non si scusò con lei per la frase oltraggiosa. Caterina ingoiò regalmente anche quell’insulto, segnandolo nel conto senza fine che ormai quella dannata famiglia aveva con lei, e poi si voltò verso sir More, ignorando il padre della sgualdrina Bolena. All’improvviso il suo cervello fu colpito da un lampo e la soluzione per quel caos, la possibile soluzione, fu davanti a lei.
“Sir Thomas..” Lo chiamò, e lui si staccò dal gruppo, facendo un cenno rispettoso con il capo.
“Dica al mio scudiero di preparare un cavallo per me.. Io e lei andiamo a Londra.” Annunciò fra gli ‘Ooh’ stupiti dei Consiglieri. “Vediamo chi oserà disobbedire alla Regina, in sua presenza.”

 

“Sta bene, Vostra Altezza, sta bene.” Rispose Joàn, con un sorriso. “E voi, invece? Come state voi?” Chiese, leggermente più preoccupato. Isabel fece un cenno con la mano come a dire chiudere la questione.
“Oh, io sto bene.. figuriamoci, mi sembra un’assurdità che io sia qui ora..” Rispose lei. “Anche se posso capire..” Aggiunse, lasciando la frase a metà.
“Che intendete dire?” Chiese dolcemente Joàn, coprendo la sua mano con la propria. Isabel lo guardò come se avesse parlato senza pensare.
“Eh? Oh, no.. niente, sir Fernandez. Non ho detto nulla..” Disse cercando di essere convincente. “Sentite, se avete un po’ di tempo, potremmo suonare un po’ assieme, oppure potreste dirmi come state, come sta il dottor Griffith.. Sapete, mi manca un po’.. lui ed il suo spedale.. e tutti coloro che girando intorno a quella struttura..” Propose, aggiungendo l’ultima frase a bassa voce, intimidita tutt’ad un tratto.

 

“Dove state andando, signore?”
Thomas Bolena fermò il messaggero mettendogli la mano sulla spalla e stringendogliela.
“Devo partire per Edimburgo, lord Rochford. Ho questa lettera da consegnare..” Rispose quegli, un po’ stranito che sir Bolena si interessasse della corrispondenza della Regina.
“Bene, date pure a me la missiva. Manderò uno dei miei uomini e la consegnerà entro tre giorni al Re in persona..” Gli ordinò, tendendo la mano.
“Io ho ricevuto ordini ben precisi dalla Regina, e..” Obiettò il poveretto, corrugando le sopracciglia. La faccia di sir Bolena assunse allora una espressione ben diversa.
“Datemi quella lettera..” Si impose. Il messaggero lo guardò, sostenendone lo sguardo, per alcuni istanti e poi, riluttante, gli porse la lettera. “Una sola parola a chiunque su questa storia, e la vostra famiglia verrà distrutta.” Lo minacciò poi. Il ragazzo lo fissò spaventato e poi annuì. “Bene, vedo che ci siamo intesi. Per il vostro disturbo..” Lo congedò, dandogli una borsa piena di monete.

 

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Mamà!!!” Mormorò, affondando il viso nell’incavo del suo collo.
“Tesoro mio adorato..” Mormorò Caterina, cingendole la vita con un braccio e posando l’altra mano sulla nuca della figlia. Non si aspettava quell’accoglienza così calorosa e del tutto fuori dall’etichetta, ma fu intenerita e deliziata dall’entusiasmo di Isabel. Era una delle poche cose genuine della sua vita e non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo. La Sovrana sentì la figlia addossarsi ancora di più a lei, e per un attimo tornò indietro nel tempo a quando Isabel era bambina e, turbata o spaventata, correva immediatamente fra le sue braccia o le si sedeva in grembo, a farsi tranquillizzare e consolare. Come allora, Caterina la strinse a sé, accarezzandole la schiena e baciandole il viso.
“State bene, vero? Ditemi, mia signora, state bene?” Cominciò a chiedere convulsamente sua figlia, staccandosi da lei e prendendole teneramente il viso tra le mani. “E’ da almeno due settimane che vorrei vedervi, ma..”
“Calma, Isabel, calma..” La fermò Caterina sorridendole. “Sto bene, come vedi. E tu, come stai?”
“Ah, bene, bene.” Rispose sbrigativamente Isabel, osservando con attenzione il viso della mamma e controllandole la temperatura con una mano, anche se sapeva bene che era assai improbabile avesse ancora anche solo qualche linea di febbre. “Non avete più febbre, per fortuna.. vi siete rimessa in forze completamente, vero? State mangiando ogni giorno con appetito? Dormite tranquilla?”
“Isabel, che sta succedendo?” Caterina abbassò con delicatezza la mano che la figlia le aveva posto sulla fronte, quindi prese il suo mento fra le dita e la guardò negli occhi. Quel comportamento frenetico le suonava strano e per certi versi allarmante. “Io sono qui con te, figlia mia, e sto bene..”
“Bene, madre, sono contenta..” Rispose Isabel visibilmente più soddisfatta. “Non avrei mai sopportato se, oltre a trasmettervi il sudor, avessi anche contribuito a…”
“Cosa? Chi ti ha detto che sei stata tu a trasmettermi il sudor?” Le chiese , prendendola per le spalle. “Isabel, chi ti ha messo in testa questa sciocchezza? Dimmi chi è stato..” Ripeté con maggiore energia, vedendo che non rispondeva.
“Io..” Rispose la fanciulla. “Io pensavo di avervi trasmesso il sudor, madre..”
“Tesoro non sei stata tu..” Disse Caterina, scandalizzata da quello che Isabel aveva creduto in quelle settimane. “Una delle mie dame si è ammalata, povera creatura, ed in meno di un giorno era già nelle mani di Dio.. Tesoro mio, non sei stata tu..”
A quelle parole, Isabel alzò gli occhi al cielo e sospirò di sollievo. Poi, sentendo la tensione emotiva salire e divenire sempre meno controllabile, voltò le spalle alla madre ed andò alla finestra a cercare di calmarsi.
La Sovrana rimase un attimo sconcertata dal suo repentino cambio di umore, ma poi iniziò a riflettere.
Per Isabel doveva essere stato tremendo durante quei giorni affrontare le proprie paure e le proprie certezze, ed occuparsi allo stesso tempo di lei, fare in modo che la situazione non peggiorasse. Un carico eccessivo e fin troppo pesante per una persona così giovane. E quel cialtrone del dottor Vittoria aveva osato dirle quelle parole infamanti e tremende. Dopo qualche istante Caterina la raggiunse e l’abbracciò da dietro.
“Amore mio, sono così orgogliosa di te..” Le mormorò all’orecchio, baciandola e tenendola stretta a sé. “Sei stata tanto coraggiosa e intelligente, bambina mia. Mi hai salvato la vita, amore mio.. mi hai salvato la vita..”

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Da quando la Regina uscì da Greenwich ed a cavallo si diresse nelle zone della città dove erano scoppiate le ribellioni, nel giro di qualche ora la situazione rientrò quasi nella norma. Caterina aveva un mirabile ascendente sulla popolazione e dove i gruppi di ribelli erano pochi, il solo annuncio del suo arrivo era bastato a disperdere i rivoltosi. Inoltre il fatto che lei fosse lì, dopo tutto quello che aveva passato, aggiungeva un che di miracoloso alla sua presenza.
Mancava ormai solo una zona da riportare al controllo della Corona, e lei si diresse con decisione alla Croce di San Paolo assieme al suo seguito ed a sir More.
La Sovrana si era infuriata quando il Cancelliere le annunciò dove si erano radunati i rivoltosi e, nonostante fosse molto stanca, aveva deciso di recarsi sul posto. In quel luogo poco più di dieci anni prima sir More aveva bruciato tutte le opere di Lutero che aveva trovato a Londra. Che ora quegli eretici lo usassero come palco per il loro blasfemo comizio era a dir poco inconcepibile.
Arrivata all’enorme spiazzo, la Regina rimase sbalordita di fronte alla folle enorme che le si parò davanti.. Sconcertata si voltò verso sir More.
“Sì, mia signora, non sono meno di mille persone..” Mormorò lui, imbarazzato. Un conto era avere a che fare con cinquanta rivoltosi, per lo più contadini, un altro era avere a che fare con centinaia di persone, che urlavano e scandivano frasi contro i cattolici e la Chiesa.
“Voglio andare a parlare con loro..” Disse risoluta. “Andate a chiamare chi li guida..”
Sir More la guardò per un attimo sconcertato, come se non si aspettasse quella decisione, ma poi tutto sembrò precipitare.
Dapprima si udirono delle urla, poi degli spari di Matchlock, quindi di nuovo delle urla e dei colpi di spada e di altre armi bianche.
Prima che qualcuno potesse fermarla, Caterina spronò il cavallo e si diresse con decisione verso la ‘battaglia’. Immediatamente sir More la seguì, con la speranza che non succedesse l’irreparabile. Quello che gli si presentò davanti agli occhi non appena la raggiunse, lo stupì e lo impressionò profondamente.
La sola presenza della Regina nei pressi della battaglia furiosa tra guardie cittadine e rivoltosi, fece fermare la contesa tra i due litiganti. Come un’onda, dalla periferia al centro della lotta, tutti si fermarono quasi in attesa delle parole della Sovrana. Le guardie la osservarono stupiti e nervosi, ché qualcuno dei riformati potesse attaccarla o tentare di ferirla; i rivoltosi, ugualmente stupiti nel vederla lì, la guardavano con attenzione, in attesa delle sue parole e quasi increduli che proprio lei fosse lì. Tutt’intorno, come una cornice silenziosa, la popolazione che non apparteneva a nessuno dei due schieramenti e che, non appena si era diffusa la notizia della presenza di Caterina, pur timorosa, era uscita dalle case per vederla.
Le parole che uscirono, pochi istanti dopo, dalla bocca di lei, tese a rassicurare da una parte e ad ammonire dall’altra, fecero il silenzio più totale. Tutti erano in ascolto della sua voce, ognuno dei presenti poteva sentirsi chiamato in causa mentre lei parlava.
“Tutti voi sapete che io sono una madre, oltre che una Regina. Una madre non esita a correggere, e punire, quando ritiene che i suoi figli siano su una strada cattiva e pericolosa. Io stessa l’ho fatto, più volte, con le mie figlie. Un sovrano è genitore del suo popolo. Ebbene, oggi io sono qui in veste di madre dell’Inghilterra, e per il vostro bene, figli miei, vi chiedo di recedere dalla strada pericolosa ed eretica che avete intrapreso. Non lasciate che altri vi ingannino e vi usino per raggiungere i propri scopi. Lasciatevi convincere dalle mie parole; e se non credete a me, avete l’esempio del Signore Gesù Cristo: ‘Tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa.’ Ha detto più di duemila anni fa. Queste parole siano la vostra certezza più delle mie..”
“La Chiesa è corrotta!! Ruba a noi e tiene per sé!!” Rispose pochi istanti dopo una voce tonante. Un attimo dopo, un uomo, corpulento e alto non meno di uno e novanta, si fece largo tra le file dei riformati e si avvicinò alle guardie e poi al cavallo di Caterina. “Siamo poveri eppure siamo derubati di quasi tutto. Non bastano le molte tasse per mantenere voi ed il vostro Regno, dobbiamo anche pagare chi dovrebbe salvare la nostra anima..”
Quelle parole, dure ed irrispettose, fecero rabbrividire sir More. Era proprio sull’ignoranza e la buona fede della povera gente che contavano quei mascalzoni dei riformati. La povertà era, più di tutti, l’argomento più semplice per loro per fare leva sulla povera gente e tirarla dalla propria parte. Bastavano poche frasi ben congegnate, su una realtà certa, ed il gioco era fatto. Il Cancelliere guardò la Sovrana. Non aveva perso nulla della sua proverbiale calma, ed appariva serena e tranquilla, anche se era difficile lo fosse davvero.
“Figlio mio caro, comprendo il vostro dolore e la vostra rabbia..” Replicò la Regina. “E’ vero, non tutti gli uomini di Chiesa sono irreprensibili e meritevoli della posizione che occupano e dei privilegi che possiedono. Avete perfettamente ragione. Sarà mia personale cura far partire una inchiesta, seria e approfondita, su tutti i monasteri e le chiese d’Inghilterra. Mi accerterò di persona che la fiducia nei sacerdoti e nei pastori sia ben riposta. Chi ha frodato sarà immediatamente rimosso e punito severamente, perché chi manca di rispetto a voi, manca di rispetto al Re ed alla Regina.”
Per alcuni istanti il silenzio che seguì quelle parole fu assordante quanto un urlo selvaggio. Poi, all’improvviso, qualcuno scagliò un sasso verso il cavallo di Caterina, colpendolo e facendolo quasi imbizzarrire. La Sovrana prese immediatamente le briglie e, prima ancora che sir More o sir Pole potessero fare qualcosa, riuscì a controllare l’animale.
Le guardie reagirono immediatamente ed attaccarono in massa i rivoltosi. La battaglia riprese, più forte che mai, ma stavolta si aggiunse un ulteriore elemento.
Inferocita per l’attacco proditorio e vigliacco alla Sovrana, la folla attaccò anch’essa i riformati, aiutando le guardie ad avere ragione di essi.

 

“Anche voi mancate allo spedale, Vostra Altezza.” Rispose con un sorriso sir Joàn. Isabel lo guardò e sorrise, in un muto ringraziamento, divenendo tutta rossa in volto. I suoi occhi la guardavano con tenerezza e attenzione e prima che lei potesse parlare di nuovo e spezzare quella dolce tensione fra loro, fu lui a parlare. “La vostra idea di spedale a Windsor ha salvato molte persone, e ha dato modo di assistere e confortare quelle che stavano molto male, sapete?” Continuò Joàn guardandola in volto, con un sorriso a metà tra l’ammirato e l’orgoglioso. “Ho visitato la struttura e, credetemi, avete fatto un buonissimo lavoro..”
Isabel annuì in silenzio. Quei complimenti le facevano enorme piacere, senza dubbio, e si sentiva orgogliosa di sé per aver contribuito a quel modo a creare qualcosa che fosse utile per quelle persone. Tuttavia, qualcosa la angustiava. Era certa che sua madre    fosse ancora adirata con lei per come si era permessa di creare una cosa del genere da sola, senza il suo permesso, ed anzi ben sapendo che le aveva raccomandato obbedienza e basso profilo.
“C’è qualcosa che vi turba, vero Altezza?” Chiese Joàn fissandola con occhi solleciti ed attenti. Isabel non poté negarlo, ma tentò ugualmente di dare poco peso alla cosa.
“Non è nulla che non si possa risolvere al più presto, signore..” Mormorò, sperando di aver ragione.
“Non vi preoccupate, Isabel. Non è necessario mi diciate tutto..” Rispose lui, toccandole il polso ed azzardando una carezza, pur se per pochi secondi. “Sappiate che quando e se vorrete confidarvi, io sarò pronto ad ascoltarvi. E in questi giorni desidero mi consideriate a vostra disposizione. Non sopporterei di sapervi sola..” Rincarò la dose, con un sorriso e tenendo la mano sul braccio di lei.

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“Qualche giorno fa ripensavo al mio primo ricordo..” Mormorò Isabel guardando dalla finestra. Caterina, seduta su una poltrona lunga a due posti, spostò gli occhi su di lei in attesa del resto. “Avevo tre o quattro anni, eravamo in una sala, non molto grande, ma accogliente. Ricordo gli enormi tappeti sul pavimento, il fuoco nel camino. Mio padre stava suonando il liuto e Maria danzava per lui.” Raccontò Isabel. Caterina socchiuse un attimo gli occhi, come se stesse mettendo a fuoco l’immagine, poi li riaprì annuendo. “Era sempre così quando lui suonava qualcosa.. Maria lo accompagnava al virginale, oppure danzava per lui. E quell’occasione non faceva certo eccezione, ovviamente.” Aggiunse con tono più amaro di quanto si fosse mai permessa.
“E tu eri da una parte..” Mormorò Caterina, agganciandosi alla perfezione al suo discorso. Isabel si voltò a guardarla leggermente stupita. Non pensava si sarebbe ricordata dopo tutti quegli anni. “Ti sei avvicinata solo quando ti ho teso la mano. E, come sempre, ti sei seduta sulle mie ginocchia..” Isabel rimase in silenzio. Mai avrebbe creduto che potesse ricordarsi così bene. “Era sempre così ogni volta che tuo padre e Maria erano in qualche sala ed interagivano, o anche quando c’era Maria soltanto.. vero, Isabel?” La Principessa annuì, in silenzio. Non aveva senso contraddire o contestare la madre. Quel che diceva era la pura e semplice verità.
“Tutti hanno sempre amato Maria..” Disse Isabel, con voce neutra. “Era giusto così. Maria è la primogenita, l’erede al trono, ed è vostra figlia. E’ obbediente, simpatica, amabile, sa come comportarsi in ogni momento; è assennata, virtuosa e studiosa. Tutto ciò che io non sono, e forse non sarò mai.” Aggiunse Isabel con convinzione e calore nei confronti della sorella maggiore. All’ultima frase, però, si voltò per guardare dalla finestra, ed abbassò sensibilmente il volume della voce.
Caterina tuttavia, udì ugualmente le sue parole e ne rimase turbata. Si rendeva conto che Isabel non era gelosa della sorella e le voleva sinceramente bene, però per quanto stesse trovando una propria dimensione che la faceva star bene, le permetteva di crescere bene e sentirsi apprezzata, si riteneva tanto peggiore di Maria. La Sovrana non capiva il motivo di quel ragionamento, ma non fu così per molto. “Voi la amate, e il Re.. bè, è pazzo di lei. Lui l’adora davvero. Non fa che parlare di lei, di quanto sia la sua perla, di quanto la apprezzi e la ritenga insostituibile come figlia..” Ammise alla fine, abbassando gli occhi e non osando guardare sua madre.
Non era gelosa del rapporto tra suo padre e Maria. I due erano estremamente legati da che Isabel ricordasse e si guardavano con occhi del tutto speciali. La fanciulla non sentiva quel tipo di legame con lui, quindi non invidiava in alcun modo la sorella, né avrebbe mai voluto esser al suo posto. Semmai, Isabel era consapevole di sentire quel tipo di affetto per sua madre, e nel tempo aveva sperato tante volte di poter creare con lei il legame profondo e complice che vedeva tra il padre e sua sorella. Tante volte però lei e Caterina avevano discusso, litigato, si erano scontrate e nella terribile occasione del Natale scorso, la madre l’aveva addirittura cacciata dalla corte. Un episodio che Isabel ricordava ancora con enorme dispiacere e le dava motivo di credere che sua madre non avrebbe mai pensato di fidarsi di lei, o ritenerla quello che Enrico pensava fosse Maria: la sua erede, non solo in senso stretto, ma anche caratterialmente e spiritualmente. Sapeva che sua madre le voleva bene, non era certo quello in discussione. Tuttavia la fanciulla si rendeva conto di sentire più del semplice affetto per la madre. Come le aveva detto già una volta: quando pensava a sé adulta, era sulle sue orme che voleva camminare; era la sua approvazione che desiderava e ricercava. “... C’è qualcosa fra loro, che sembra così evidente.. si capiscono al volo, si cercano di continuo con gli sguardi e con le parole, lui dice che ha preso tanto da lui.. Insomma, è un genitore innamorato della propria figlia..” Continuò Isabel, tornando a voltarsi e a guardare dalla finestra. Dopo quelle parole così esplicite non aveva il coraggio, non solo di guardarla direttamente, ma nemmeno nella sua direzione. Chiuse gli occhi, pronta a sorbirsi un altro incredibile, strabordante, trionfante elenco di apprezzamenti nei confronti di Maria, stavolta però da parte di Caterina. Si diede della stupida per aver iniziato lei le danze. Ora la madre ne avrebbe tessuto le lodi, ed avrebbe stroncato per sempre le sue speranze.
“Tesoro mio, ricordati sempre che tu hai me..” Mormorò dolcemente Caterina guardando nella sua direzione e sorridendo in attesa che lei si voltasse.
E Isabel si voltò, verso di lei. Gli occhi spalancati, la bocca appena aperta, tutto il suo corpo teso e quasi bloccato da quelle parole che le sembravano irreali. Fedele al suo ruolo di madre di entrambe, Caterina non era stata così esplicita come Isabel, e lei sapeva che era giusto così; tuttavia le aveva fatto capire che la predilezione che Enrico aveva nei confronti di Maria era bilanciata dalla propria nei confronti di lei.
Sua madre continuava a guardarla con gli occhi così traboccanti di amore che non ebbe più senso aspettare lì. La bocca di Isabel si aprì, pian piano ma inesorabilmente, ad un sorriso e la fanciulla a passi lenti si avvicinò alla poltrona su cui era seduta sua madre.
“Amore..” Mormorò Caterina, accogliendola fra le sue braccia. Isabel la abbracciò stretta, e si strinse a lei.
“Vita mia..” Le rispose la fanciulla. Commossa ed intenerita da quella parole, la Sovrana la strinse ancora di più a sé, indicibilmente felice.

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“Mia signora, è un atto estremamente generoso da parte vostra..” Mormorò sir More, guardando Caterina e prendendo il foglio che lei aveva appena firmato, e gli stava riconsegnando. La Sovrana scosse la testa.
“No, sir Thomas..” Lo contraddisse con dolcezza. “E’ piuttosto un atto dovuto. E’ preciso dovere della Corona pensare a quei sudditi che non sono riusciti a guarire dal sudor. Il minimo che io ed il Re possiamo fare è pagare almeno i loro funerali.”
Il Cancelliere la guardò in silenzio, enormemente ammirato. Quella donna era straordinaria ed anche in quella occasione aveva dato prova di immensa generosità. Lui sapeva bene che il Re non si sarebbe mai sognato di pagare di tasca propria il funerale di quegli sfortunati sudditi morti, la cui miseria era talmente nera da non poter avere nemmeno un funerale decente. Caterina, invece, non aveva battuto ciglio e quando l’epidemia era finalmente terminata, una volta imprigionati tutti i riformati ribelli, si era dedicata ai ‘suoi figli più cari’, come aveva preso a chiamare i poveri del Paese.
“Vi prego, sir More, fatemi avere costanti informazioni a riguardo. Non voglio che uno solo dei miei figli debba lamentare ed avere a che dire che la Corona non fa il proprio dovere. Ci siamo intesi, vero?” Si raccomandò con una certa decisione. Il Cancelliere annuì e prese appunti. Stavano per passare alla questione dei riformati, quando da fuori udirono una voce provenire dall’anticamera. Pochi istanti dopo il dottor Vittoria entrò, trafelato e adirato, nello studio privato di Caterina. La Sovrana lo guardò con un misto di curiosità ed ostilità, poi attese che si scusasse per la sua entrata a dir poco irruenta e chiarisse il motivo della sua visita. Dato che da poco più di due settimane si era ripresa più che bene non capiva la sua agitazione. “A cosa dobbiamo questa sua premura, dottor Vittoria?” Chiese la Sovrana, con uno sguardo ben poco felice, ed esortandolo a scusarsi e chiarire il motivo di quella visita.
“Scusate Maestà, non è mia abitudine interrompere il vostro prezioso lavoro, ma devo protestare. Voi non vi siete ancora ripresa e non solo una settimana fa siete andata in giro per la città incontro a quella marmaglia, rischiando anche l’osso del collo, ma non avete minimamente diminuito il vostro carico di lavoro.” Cominciò lui. Caterina lo guardò e scosse la testa, in disaccordo con lui. L’uomo però non la fece nemmeno iniziare a parlare e proseguì la sua personale filippica. “Senza contare che le mosse imprudenti e del tutto sconsiderate di vostra figlia vi hanno messo in estremo pericolo. Dio solo sa che cosa vi ha trasmesso…” Osò dire. Thomas More rimase in silenzio, troppo stupito per l’ardire delle sue parole, ma con la coda dell’occhio guardò Caterina, che, rossa in viso, l’aveva ascoltato, finendo per adirarsi. “Dovreste punirla severamente per ciò che ha fatto.. Non solo non ha ascoltato le mie parole, e prima ancora mi ha disobbedito entrando nella vostra stanza, ma poi vi ha oltraggiata usando metodi a dir poco strani ed irriguardosi nei vostri confronti!! E tutto perché scioccamente convinta di aver ragione!!” Proseguì lui incurante dello sguardo sempre più cupo e meno accondiscendente della Sovrana. “Senza contare che mi ha cacciato dalla vostra stanza impedendomi di fare il mio lavoro..”
Ecco finalmente, pensò Caterina, i termini della questione. Il medico non era adirato per i modi poco ortodossi di Isabel, o perché la fanciulla avesse messo in reale pericolo la vita di sua madre, ma solo per essere stato cacciato e, prima ancora, offeso.
Quando, finalmente, terminò le sue geremiadi, il dottor Vittoria stette in silenzio, in attesa delle parole di Caterina. Si aspettava che la Sovrana lo avrebbe rincuorato e gli avrebbe sostanzialmente tenuto bordone, censurando, e magari punendo, l’atteggiamento della figlia.
“Mi riesce difficile immaginare e pensare che una creatura come Isabel possa riuscire fisicamente a mettervi da parte, dottor Vittoria..” Lo servì una prima volta Caterina. Il medico la guardò, stupito per quelle parole. Si aspettava un appoggio incondizionato, ed invece…
“Che intendete dire Maestà?” Chiese, cercando disperatamente di prendere tempo e capire dove lei volesse andare a parare.
“Quanto pesate, signore?” Spiegò la Regina, con l’aria dell’insegnante stufa di spiegare la lezione ad un alunno intelligente, ma svogliato. “80 chili almeno, mi pare, no? E siete alto quasi uno e ottanta..” E quello annuì. “Ebbene, mi chiedo come mia figlia, che pesa trenta chili ed è alta come minimo venti centimetri meno di voi, possa mettervi in un angolo senza che voi opponiate una pur minima resistenza.” Obiettò, chiudendogli la bocca e facendogli abbassare quello sguardo che negli ultimi mesi era diventato talmente altezzoso da essere ormai apertamente sfrontato.
“Vedete Maestà, in quel momento non ho avuto cuore di mandarla via..” Rispose il dottor Vittoria, dopo un po’. “In fondo era sempre vostra figlia..”
Caterina spalancò gli occhi. La rabbia che in quei minuti sembrava essersi almeno acquietata tornò su facendola quasi rabbrividire e tremare. Sir Thomas la fissò sentendo e percependo il suo dolore e la sua rabbia. Pur non volendo intromettersi in quella conversazione così privata e particolare, sentì di dover fare qualcosa per la sua Regina. In silenzio si avvicinò al medico e lo guardò sperando che capisse che era il caso di scusarsi e poi uscire di lì. Il suo interlocutore non se ne diede per inteso e, spostando lo sguardo di nuovo sulla Sovrana, affondò il colpo peggiore, quello che la fece davvero vacillare.
“E’ un miracolo che voi siate viva dopo le pratiche oscene di vostra figlia!! E’ un miracolo che Dio non si sia adirato con lei, punendo voi..” Buttò lì il furfante. A quelle parole, Caterina impallidì visibilmente e fu sir Thomas a congedare il medico, con modi meno accondiscendenti e disponibili di quelli che aveva solitamente.
Quando si voltò di nuovo verso la Sovrana, ella aveva il viso ancora pallido e lo sguardo atterrito. Era evidente che le parole di Vittoria avevano lasciato un segno tutt’altro che leggero su di lei.
“Mia buona signora, non penserete davvero che..” Cominciò a dire lui, con la sua solita voce calma e rassicurante. Caterina gli lanciò un’occhiata furente.
“Chiamatemi immediatamente lady Willoughby.” Ordinò, controllando a stento la rabbia.

 

“Vedo che il forzato soggiorno non vi impedisce di esercitarvi e di migliorare, Vostra Altezza.”
Isabel alzò il volto dal liuto con cui nelle ultime settimane aveva preso ad esercitarsi sempre di più e sorrise a Joàn che lady Thorston aveva fatto entrare nella piccola sala.
“Siete sempre molto gentile, signore..” Lo salutò lei, alzandosi ed andando verso di lui, dopo aver riposto lo strumento nella custodia. Joàn si inchinò prontamente di fronte a lei ed Isabel gli mise le mani sulle spalle, rialzandolo prontamente. “Vi prego, non è necessaria questa formalità, e questi onori poi non mi sono dovuti, mio buon signore..” Mormorò lei.
“E’ solo questione di tempo, Altezza.” Rispose lui, sorridendo nel suo solito modo, aperto e cordiale. Isabel lo guardò, corrugando le sopracciglia, senza capire dove volesse andar a parare. “Il trono, cara Isabel.. il trono sarà vostro..” Spiegò lui.
“Starete scherzando, spero..” Rispose lei, dopo alcuni istanti di scioccato silenzio. L’idea che suo padre potesse ritenerla adatta a regnare non l’aveva mai sfiorata, anzi si considerava fuori dai giochi in modo totale e completo. Non che le interessasse salire al trono, poi. “Dimenticate mia sorella, signore..” Puntualizzò, con una certa decisione.
“Voi credete che vostro padre darà alla Francia la possibilità di regnare sull’Inghilterra? E’ più facile che diventi io Re, semmai.” Rispose lui, quasi divertito da quell’inaspettato scambio di battute e di pareri.
“State diventando impudente..” Lo avvertì lei, e nei suoi occhi passò un lampo. Dopo di che, Isabel fece due passi indietro, allontanandosi da lui. “E poi dimenticate che io sono fidanzata con..”
“Quel vecchio borioso e gottoso!” Esclamò divertito sir Joàn. “Quanto penserete duri? E poi è già mezzo ammalato..”
“Non lo sapevo..” Ammise Isabel, sedendosi e restando in silenzio. Per diverse settimane il pensiero delle nozze con sir Sten era stato lontanissimo dalla sua mente. La situazione della madre e la sua malattia avevano assorbito completamente i suoi pensieri e le sue azioni. Si rendeva conto che il suo matrimonio era un evento che man mano passavano i giorni si avvicinava inesorabilmente. Il Re non doveva avere molta considerazione di lei per averla destinata ad un marito del genere, senza contare la sua intenzione di spedirla in un Paese lontano e completamente nuovo. Ma quello era il suo destino e lei aveva promesso si sarebbe piegata con serena tranquillità. Ora però, il dolore e la paura di partire, uniti alla sostanziale indifferenza che provava nei confronti del nobiluomo svedese, tornarono a fare capolino dentro di lei, rafforzati stavolta dal nuovo confronto con la madre, cui si sentiva sempre più legata, ma con la quale non erano tuttavia mancati motivi di contrasto e di forte dialettica, e poi dai suoi sentimenti verso sir Joàn, che non aveva mancato di andare a trovarla ogni giorno, restando con lei anche per diverse ore a parlare, far musica assieme, ridere un po’ e tenerla almeno serena nonostante l’enorme solitudine che sentiva. In silenzio alzò gli occhi su di lui e scoprì di non poter più fare a meno della sua presenza, delle sue parole, della sua voce calma e gioiosa che riusciva a rasserenarla ogni volta. I contrasti che nascevano con lui non erano quelli di due persone che non hanno nulla in comune, ma semmai quelli delle menti vivaci ed aperte, che dicono sempre quello che pensano, e che trovano conforto, oltre che nella mutuale vicinanza di idee e gusti, anche nello scambio continuo di punti di vista ed opinioni. La giovane sentiva che per certi versi il suo rapporto con Joàn somigliava a quello che aveva con sua madre. Questo da una parte le faceva enorme piacere, perché sentiva bisogno del confronto con persone come la Regina, ma più vicine per età e non necessariamente legate a lei da vincoli familiari o affettivi, ma dall’altra le incuteva timore e la spaventava; che cosa sarebbe successo se avesse continuato ad avvicinarsi a lui, e lui di rimando, una volta che il Re avesse deciso che era tempo che lasciasse l’Inghilterra e la sua casa? Isabel sospirò e scosse leggermente la testa. Si sentiva presa tra due fuochi: l’attrazione con Joàn era ormai evidente e talmente palpabile che tra i due giovani i silenzi avevano cominciato ad essere più carichi di significato e pesanti delle parole stesse.
“Vi prego, andatevene..” Mormorò Isabel, girando il viso, senza più osare guardarlo. “Vi chiedo la cortesia di non venirmi più a trovare, signore.”
Joàn la guardò, sorpreso ed enormemente addolorato per quella svolta inaspettata. Adorava starle accanto, si sentiva a suo agio e la Principessa gli piaceva enormemente. Sapeva bene che non c’era futuro per un eventuale legame che andasse al di là della amicizia e la vicinanza in alcune attività, ma per il momento riusciva a godere di quanto aveva senza provare troppo dolore, riuscendo a tener a bada l’ansia da separazione. Ora, il fatto che lei lo scacciasse a quel modo gli faceva provare un dolore acuto ed insopportabile. Aveva la sensazione di non capirla più e si sentiva quasi preso in giro dal suo comportamento improvvisamente ondivago ed umorale. Sulle prime ebbe l’impulso di chiederle ragione di quell’atteggiamento, ma poi il proprio orgoglio gli cucì la bocca e non chiese nulla, né commentò in alcun modo. In silenzio la guardò per alcuni istanti, quindi, dopo essersi chinato in segno di saluto, le voltò le spalle e si avviò verso la porta.

 

“Sto aspettando una risposta, lady Willoughby..” Gli occhi blu di Caterina si posarono sulla dama, che fissava in totale silenzio il pavimento. Il piede della Sovrana batteva nervosamente a terra e la sua impazienza era palpabile. La dama ed amica della Regina sospirò e poi annuì.
“E’ vero Maestà. Vostra figlia ha, di fatto, cacciato il dottor Vittoria dalla vostra stanza. E’ vero che gli ha messo le mani addosso, per poterlo spostare e che lui non ha opposto resistenza, nonostante si fosse detto del tutto in disaccordo con la Principessa su cosa fare per voi e le vostre condizioni.” Disse finalmente la donna. Caterina scosse la testa e sospirò, visibilmente adirata.
“Bambina testarda e cocciuta.” Mormorò, incollerita, andando di fronte ad una finestra a guardare il giardino. “Stavolta però non la passi liscia..” Aggiunse a voce talmente bassa da non potere essere udita.
“Aspettate, Maestà.. non ho finito..” Disse lady Willoughby. “E’ vero, vostra figlia ha osato allontanare il vostro medico, ma non vi ha lasciata un solo istante.. Ha dormito due ore per notte, e nell’ultima settimana anche meno. Quando si è resa conto che la febbre non scendeva, ha provato a togliervi le coperte più pesanti di dosso ed a lasciarvi… ehm… più leggera..” Spiegò, non osando scendere in particolari. “E’ vero, i suoi metodi hanno rasentato l’oltraggio quando vi ha messo le pezzuole bagnate con acqua fredda in parti del corpo che una figlia non dovrebbe toccare, tantomeno vedere..” A quelle parole, Caterina si voltò, paonazza.
“Cosa?!” Riuscì a sibilare, gli occhi sbarrati di collera. Maria de Salinas per un attimo non riuscì nemmeno a sostenere quegli occhi, tale era l’enorme imbarazzo provato. Poi però sembrò ricordarsi a cosa avesse portato quella mossa e riprese.
“Però, così facendo, la febbre è scesa Maestà, e voi avete potuto pian piano riprendervi.. e poi, vostra figlia, vi ha davvero salvato la vita.” Le disse, avvicinandosi. Osando toccarla, le accarezzò la spalla ed il braccio. Con delicatezza le raccontò dell’errore commesso, di come le avesse dato da mangiare, rischiando di portarla al soffocamento; poi le disse del coraggio enorme di Isabel, che non aveva esitato a tirarle letteralmente fuori dalla gola il pezzetto di cibo, prima con uno stecco e poi, dopo diversi testativi, con le dita.
Dopo il racconto sofferto e commosso di Maria, Caterina si voltò verso l’amica, e vide che aveva gli occhi colmi di lacrime. Quello sguardo, più che le parole, la convinsero di quanto aveva fatto Isabel e una strana sensazione la invase.
Isabel le aveva salvato la vita. Aveva fatto di testa propria, attuando comportamenti del tutto nuovi, ma aveva avuto intuito e fiuto, ed essi avevano avuto fortuna e portato frutto. Più di tutto, però, la colpiva e le riempiva il cuore il fatto che la sua creatura non si fosse arresa, mai. Aveva tentato ogni modo per salvarle la vita. La fortuna che aveva arriso alle sue azioni era una componente che a Caterina non interessava, ed ora perdeva di importanza anche il comportamento testardo e ostinato di Isabel. Ciò che più contava era che quell’angelo le aveva salvato la vita e le era rimasto accanto, nonostante il rischio praticamente certo di contagio e morte.
Tornando a guardare dalla finestra, l’unica cosa che la Sovrana desiderava era quella di stringere a sé la sua bambina, baciarne il viso e le mani, chiederle in silenzio scusa per aver pensato male delle sue azioni. All’improvviso però, un pensiero tornò a fare capolino nella mente della Regina: il dottor Vittoria le aveva lasciato intendere che Isabel si fosse comportata in maniera non solo sconveniente, ma addirittura oscena nei suoi confronti. E se aveva osato dire quel tipo di menzogne a lei, che era comunque la Sovrana e la sua padrona, che cosa non doveva aver detto ad Isabel, con il proposito di farla sentire responsabile delle condizioni in cui lei versava più di quanto fosse giusto? Che cosa mai quel delinquente non doveva aver insinuato nella mente della Principessa per metterle addosso la paura di una punizione severa? La collera della Regina tornò a salire inesorabilmente, e lei si sentì pian piano letteralmente ribollire.
“Fate sapere al dottor Vittoria che ESIGO venga qui nel più breve tempo possibile.” Disse soltanto, voltandosi verso Maria de Salinas e guardandola con occhi talmente furenti, che la dama abbassò immediatamente il viso, rispondendole con voce malferma.
“Era in partenza per la Spagna, Maestà..” Caterina la guardò con occhi lampeggianti.
“Fategli sapere che o passa qui a darmi spiegazioni, o le darà in tribunale..” Disse soltanto, e tanto bastò perché Maria sparisse a far riferire il messaggio.

 

La mano di Joàn si posò sulla maniglia e la abbassò, quando le sue orecchie vennero solleticate da un rumore sommesso e flebilissimo. Era un pianto. Il giovane restò con la mano posata sull’elegante ma freddo oggetto e girò appena il viso. Con la coda dell’occhio, vide Isabel che gli dava le spalle, scossa da singhiozzi trattenuti. Vederla in quel modo, con il viso nascosto tra le mani e l’ostinazione nel cercare di non farsi sentire, gli spezzò il cuore. Dopo pochi istanti andò verso di lei, azzardandosi a stringerla fra le braccia. Contrariamente a quanto si aspettava, Isabel non si sottrasse alla stretta, ed anzi la ricambiò.
Joàn la sentì tremare e singhiozzare fra le sue braccia e istintivamente la strinse ancora più forte, accarezzandole con una mano la schiena e poi i capelli.
“Perdonatemi..” Mormorò la Principessa contro la sua giubba di velluto. “Vi prego signore, perdonate la mia stupidità..”
Joàn abbassò il viso fino a che la bocca toccò l’orecchio di lei.
“Shht, non ci pensate, Altezza.” Le rispose dolcemente. “Ora calmatevi, su..”
Per alcuni istanti la Principessa continuò a tremare fra le braccia del giovane nobiluomo spagnolo, poi a poco a poco si calmò. Più serena, ma ancora singhiozzante, alzò il viso su di lui e ne incontrò gli occhi verdi. Come incantata da quella espressione dolce, alzò una mano e gli accarezzò la guancia. La barba morbida le solleticò il palmo della mano e le strappò un sorriso. Joàn sorrise a sua volta, e la tensione parve stemperarsi un pochino. Per diversi minuti, i due ragazzi, senza dire una sola parola, continuarono a guardarsi occhi negli occhi e di colpo tornarono a essere seri. Fu allora che Joàn avvicinò il proprio viso a quello della Principessa, e lei gli baciò le labbra.
 

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“Pensate che il Re mi punirà quando tornerà a Londra?”
Le parole di Isabel sorpresero, e non poco, la Sovrana. Caterina guardò la figlia e scosse la testa, sconcertata.
“Amore, no.” Le disse ferma accarezzandole con il dorso delle dita la guancia e sorridendo lievemente. “Nessuno ti punirà, amore mio. E non capisco nemmeno per cosa.”
“Ho rischiato di uccidervi, mamà..” Rispose Isabel. “Le mie azioni a dir poco sconsiderate potevano uccidervi.” Puntualizzò con forza.
“Isabel quello che tu hai fatto, semmai, ha contribuito a farmi vivere..” Ribatté Caterina, con eguale decisione. Isabel scosse la testa e non disse nulla.
“Avrei potuto uccidervi.. con le mie sciocchezze avrei potuto uccidervi..” Prese a ripetere, distogliendo gli occhi da sua madre. Gli occhi le si riempirono di lacrime e dopo qualche istante non disse più nulla. Pian piano si allontanò da lei, andando a finire nell’angolo della poltrona. Tirò su le gambe e si abbracciò le ginocchia.
Caterina la fissò teneramente e si sentì spezzare il cuore. Intuiva quanto dovesse essere stato difficile per Isabel prendersi cura di lei, con la costante paura di sbagliare, il terrore di cadere a sua volta ammalata, e non ultimo il fatto che il sudor fosse una bestia tremenda da sconfiggere e che le sue conoscenze mediche fossero del tutto inappropriate per quella situazione. Maria de Salinas le aveva raccontato dello straordinario coraggio che la figlia aveva dimostrato, del suo fermo decisionismo nel voler tentare di percorrere una nuova strada e dell’incredibile intuito che dimostrò nelle sue scelte. La Regina si sentiva piena di orgoglio e per un attimo, durante quei giorni convulsi e intensi, si pentì di aver ostacolato con tanta pervicacia il desiderio di Isabel di avvicinarsi alla medicina. Era ormai evidente che fosse portata per quella disciplina e che il suo contributo potesse realmente rendere migliori le vite delle persone. Il fatto stesso che, non appena arrivata a Windsor il mese prima, avesse organizzato una sorta di spedale alla buona per persone malate e indigenti, contribuendo a salvarne diverse, la diceva lunga sul suo spirito versatile ed attento e sulla sua enorme generosità. Solo quando parlò con Maria de Salinas, seppe che Isabel le aveva non solo intitolato lo spedale, ma anche dato tutto il merito della preziosa iniziativa, senza prendere per sé nessuna gloria, se non quella di aver contribuito a mettere su in modo concreto il tutto.
“Non mi hai ucciso, bambina mia..” Mormorò avvicinandosi a lei e sciogliendo la stretta delle braccia di Isabel. La fanciulla chiuse gli occhi e girò ancora di più il volto, segno più che evidente che stava ormai per cedere alla commozione. “Non mi hai affatto uccisa, come vedi.. Anzi, sei stata coraggiosa e forte, tesoro mio..” Le disse stendendo le gambe di Isabel e posandosele in grembo, in modo da potersi avvicinare ancora di più a lei. Con l’indice le accarezzò delicatamente la fronte e poi un lato del viso. Per quanto fosse forte, cercò di reprimere l’impulso di girare il viso della figlia verso di sé, e continuò a parlarle dolcemente. “E’ stata dura per te, amore mio, lo posso immaginare. Sono così orgogliosa di te, e tanto felice che sia stata tu a farmi stare meglio..”
All’improvviso Isabel si voltò verso di lei, il viso rigato dalle lacrime. Caterina fece appena in tempo ad aprire le braccia, che la figlia vi si gettò senza dir nulla, stringendo a sé la mamma.

  
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