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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    20/12/2009    3 recensioni
“Bones, lei e Spock andrete in esplorazione nel pianeta sottostante.” L’ordine perentorio e improvviso del capitano dell’Enterprise colse letteralmente di sorpresa i due ufficiali superiori, apparentemente impegnati nelle proprie mansioni, che si voltarono di scatto verso il capitano Kirk." Quando una semplice esplorazione diventa tragedia, quando il tentativo di far riappacificare due amici in rotta sembra condurli alla morte, cosa può succedere? ED ECCOCI DI NUOVO QUI! Uhm, vi sono mancata? Credo di no! XDXD Comunque, il lemure è di nuovo tra voi e questa volta con una fic a due capitoli, pairing? Ma naturalmente Spock/McCoy! Ci ho preso decisamente gusto, ^_^ Scritta da me su istigazione di tre amiche e dedicata a Maya, Eerya e Rowen!! Finchè non mi ucciderete, continuerò a dedicarvi le mie Spock/McCoy!! XDXD ALLA PROSSIMA!! KISSKISS SHUN
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Leonard H. Bones McCoy, Spock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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EXPLORING

CAPITOLO 2

Lo scoppiettio allegro del fuoco svegliò il dottore profondamente addormentato, rannicchiato sul terreno duro in posizione fetale, le mani poste come cuscino sotto la tempia.

Con aria ancora assonnata e confusa, si sfregò gli occhi, mettendosi seduto, la testa gli girava e sentiva la gola secca; tutto attorno a lui, il riverbero delle fiamme dell’allegro fuocherello da campo gettavano lunghe ombre inquietanti sulle pareti in granito che lo circondavano.

Era in una grotta, non c’era dubbio.

La domanda era, chi lo aveva portato lì?

E perché non ricordava nulla?

L’ultima immagine che continuava a martellargli insistentemente la mente, oltre al mal di testa feroce, era l’attacco che avevano subito lui e Spock appena scesi sul pianeta...

Una debolezza improvvisa lo fecero cadere bocconi, brividi di freddo lo colsero, sembrava come se la temperatura si fosse improvvisamente abbassata di parecchi gradi; con gli occhi lucidi e i denti che battevano, si avvicinò al focolare, accoccolandosi il più possibile per scaldarsi.

Doveva avere la febbre piuttosto alta, ne era sicuro.

Cosa stava succedendo?

E dov’era Spock?

“Maledetto stupido. Dove diavolo è finito?” si chiese con amarezza e un filo di preoccupazione, non gli piaceva per nulla quella situazione.

Chiuse gli occhi esausto, cercando di riaddormentarsi, quando un esplosione improvvisa scosse il terreno, facendolo ruzzolare dalla parte opposta della grotta; sbatté con la testa contro la parete in granito.

“Dannazione!” imprecò, rizzandosi subito seduto e massaggiandosi la parte colpita.

Con la coda dell’occhio, Bones notò in un angolo della grotta la sua borsa con gli strumenti, il phaser d’ordinanza del Vulcaniano, la borraccia e il proprio tricoder; gattonando, raggiunse quegli oggetti, sistemandoli alla bell’ e meglio di modo da non perderli, l’arma saldamente tenuta in pugno, era leggera, non gli avrebbe dato grosse noie.

Reggendosi in piedi a fatica e sorreggendosi alla parete, si diresse verso l’accesso della grotta, una brezza gelida lo fece rabbrividire, ma cercò di non farci caso e proseguì a camminare, sino a trovarsi sulla soglia: a malapena riuscì a trattenere un urlo di stupore e dolore.

Fuori, era l’inferno, il cielo prossimo all’alba sembrava spaccarsi in due, lambito da fiamme, tutto attorno, le pareti del canyon si spezzavano, rocce di grosse dimensioni cadevano al suolo con fragore di tuono, la terra tremava, in un crescendo di distruzione e rovine. L’assordante rombo sovrastava ogni cosa, il dottore sentì la paura montare in lui, piccolo e indifeso essere umano in mezzo al disastro che stava verificandosi.

Fu tentato dalla possibilità di rifugiarsi da qualche parte, cercare di mettersi in contatto con la nave, anche se sapeva essere impossibile, ma un altro pensiero occupò totalmente la sua mente, un pensiero che aveva un paio di appuntite orecchie.

Senza pensarci due volte, si gettò in mezzo all’apocalisse, facendosi strada tra i detriti e le rocce, evitò a malapena una frana che avrebbe potuto seppellirlo con estrema facilità, la febbre che lo rodeva non accennava a diminuire, la vista si fece appannata, ma la preoccupazione per le condizioni del compagno era più forte.

Poi, lo vide.

Era sdraiato a terra, alla luce dei fuochi e delle esplosioni ne vide il viso pallido e sottile sporco di terra e sangue, il corpo era in parte coperto da terra e detriti, le braccia abbandonate scompostamente.

Ed era perfettamente immobile.

Lottando contro il desiderio inconscio e pressante di lasciarsi cadere, di lasciarsi sopraffare dal dolore, strinse i denti, si asciugò il viso e mosse qualche barcollante passo verso di lui, sino a inginocchiarsi accanto al cumulo di rocce che lo sovrastava.

Ansimando, gli afferrò il polso.

Per fortuna il cuore batteva ancora, respirava, era ancora vivo.

Sospirò sollevato, ma doveva assolutamente liberarlo da lì e portarlo al sicuro, dovevano abbandonare quel posto e tornare a bordo dell’Enterprise.

Facendosi coraggio, si avvicinò, esaminando con attenzione, per quanto possibile, la situazione: solo un quarto del corpo del Vulcan era sotto le macerie, le gambe in particolare, dall’anca in giù, erano bloccate; si accucciò davanti a lui, sollevandogli il busto, e lo prese da sotto le ascelle, cercando di trascinarlo fuori.

La fortuna, si sa, arride agli audaci e dopo qualche sforzo, il dottore si ritrovò a terra, col Primo Ufficiale svenuto addosso a lui; arrossì, anche se, doveva ammetterlo, gli era mancato quel contatto.

Con cautela, riuscì a sdraiarlo, la terra aveva smesso, almeno per il momento, di tremare.

Frugò febbrilmente nella borsa e ne estrasse l’analizzatore, passandolo poi sul corpo dello scienziato: l’apparecchio segnalava varie fratture alle costole e una brutta ferita al fianco, più svariati altri graffi superficiali a viso e mani; sospirando, prese la borraccia e strappò un lembo di maglia della divisa, bagnandolo con l’acqua.

Il frammento di tessuto fu passato sulla pelle pallida del viso ma il contatto con la stoffa umida fece trasalire il ferito, che spalancò gli occhi in una chiara espressione di dolore e stupore; annaspando come un pesce fuor d’acqua, si agitò, cercando di liberarsi dalla stretta del dottore, divincolandosi anche con calci e pugni: “Ehi, Spock! Cosa diavolo ti prende!?” esclamò Bones, colpito al volto; il corpo del Vulcan scivolò via, spostandosi di pochi passi prima di venire nuovamente afferrato dalla salda presa di Leonard.

Uno schiaffo di discreta violenza si abbatté sul viso dello scienziato, abbastanza da fargli aprire di scatto gli occhi, il respiro corto e affannato, gli occhi appannati e lucidi: “Ha finito di dimenarsi come un’anguilla?” gridò, cercando di sovrastare il ruggito del vento che aveva cominciato improvvisamente a soffiare.

Non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, ma vederlo vivo era stata una vera gioia.

*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§

 “Capitano, i dati che ci giungono dalla superficie sono davvero preoccupanti, il computer segnala insolite scosse telluriche che stanno letteralmente spezzando il pianeta in due, l’aria si sta rapidamente saturando di anidride carbonica e zolfo, sono in aumento le eruzioni vulcaniche.”

La voce timida e bassa di Chekov ruppe il pesante silenzio che regnava in plancia ormai da parecchie ore.

Jim si alzò di scatto dalla sua postazione, raggiungendolo al posto dell’ufficiale scientifico, ruolo temporaneamente affidato al guardiamarina sovietico in mancanza del titolare.

Disperso sul pianeta sottostante.

Pianeta su cui sembrava stesse per abbattersi il Giudizio Universale.

Kirk scosse il capo, cacciando quei pensieri così poco consoni a lui e cercò di concentrarsi sui dati che il russo stava pazientemente interpretando: “Le interferenze magnetiche che hanno interrotto la comunicazione dieci punto due ore fa e che hanno impedito ulteriori collegamenti si stanno diradando.  Forse è possibile raggiungere il dottore e il signor Spock e cercare di farli risalire a bordo. Ma ora come ora, non è possibile prevedere con esattezza come la situazione si evolverà, e la situazione può solo peggiorare, secondo i dati raccolti.” spiegò con tono grave il più giovane degli ufficiali, i grandi occhioni color cioccolato erano segnati e cerchiati di nero, segno che il limite del suo corpo non era lontano.

Il capitano si guardò attorno, tracce simili di stanchezza e stress accomunavano tutti gli uomini in servizio, i loro visi erano specchio del suo, ma non potevano fermarsi.

L’allarme rosso non era ancora rientrato, la nave era bloccata in orbita per un guasto ai motori causato dalla forza magnetica che li aveva catturati poco dopo l’ultimo contatto con la squadra di sbarco e non erano più riusciti a muoversi.

E neppure a mettersi in contatto coi due dispersi o con la Federazione.

Erano totalmente isolati.

E la cosa non gli piaceva affatto.

“Ben fatto Chekov…” commentò stancamente il comandante, sfregandosi gli occhi: “Uhura, provi a mettersi in contatto con le trasmittenti, non appena stabilita la comunicazione mi avverta, signor Sulu, tenga sotto controllo lo spazio circostante, e speriamo che i Klingon non vengano a peggiorare la nostra già precaria condizione.” disse, sedendosi alla sua postazione, “Scotty, come va laggiù?” chiese nell’interfono.

Il tono esausto e triste del capo-ingegnere lo sorprese non poco, ma si impose di non darci peso: “I trasportatori sono stati riparati, ma senza le coordinate non posso salvarli da quell’inferno in cui sono precipitati.” disse preoccupato, “Per fortuna, i motori stanno ricominciando a funzionare, attualmente è disponibile solo l’energia base di impulso, ma ci sono buone possibilità che, una volta abbandonata l’orbita, tutto ritorni alla normalità.” spiegò lo scozzese a bassa voce.

Kirk annuì: “Quando ha un attimo, salga quassù, devo parlarle.” aggiunse, prima di chiudere la comunicazione.

Un dolore lancinante alla testa lo colpì improvvisamente, a stento trattenne un gemito di sofferenza; con mano tremante, prese dalla tasca un cachet e lo inghiottì senza troppe cerimonie.

“Signore, se continua così rischia di intossicarsi, è già la quinta pillola che prende in poche ore, non crede di stare esagerando?” disse Uhura, comparsa alle sue spalle, l’espressione del viso tirata in un pallido sorriso, “Dovrebbe andare giù da Christine e farsi fare un rapido controllo.” propose la tenente, “Non possiamo fare più di così, solo aspettare che rispondano.” aggiunse, sospirando.

Ma il capitano scosse il capo: “Non posso lasciarvi quassù da soli, è colpa mia se Bones e Spock sono laggiù e noi siamo bloccati qui. Se non mi fossi messo in testa di fare il Cupido e far riappacificare quei due testoni, tuttora non sarebbero in pericolo!” proruppe, sbattendo il pugno sul bracciolo della poltrona; simultaneamente, le teste di Sulu e Chekov si voltarono verso di lui, Kirk notò con dispiacere un lampo di spavento nei loro occhi.

Con un cenno, li rassicurò, riportandoli al loro lavoro.

Una mano si poggiò delicata sulla sua spalla, facendolo girare: “Ha fatto quello che credeva giusto, e se non lo avesse fatto lei, ci avremmo pensato noi; l’orgoglio è una brutta bestia, è difficile ingoiare e chiedere scusa. Ha solo cercato di aiutarli a ricucire un rapporto.” disse lei senza tanti giri di parole, “Ora, mi ascolti bene, signore, uno di noi si può anche sostituire se incapace di svolgere i propri compiti, un sostituto lo si trova sempre. Ma lei, capitano, no e dalla sua integrità mentale dipendono le vite di tutti noi. Quindi, segua il mio consiglio, vada giù da Christine a farsi fare un controllo, se riuscissimo a metterci in contatto, la avvertirò subito.” sorrise lei, aiutandolo ad alzarsi.

Lo sguardo dell’ufficiale si addolcì: “D’accordo tenente, seguirò il suo… suggerimento. Sulu, prenda il comando.” ordinò, uscendo subito dopo, diretto in infermeria.

Chekov si avvicinò ai due amici: “Dire che l’ha presa male è eufemistico, vero?” interloquì sibillino, sedendosi alla sua postazione, “Già, speriamo che si risolva tutto in fretta, e che non ci intercetti una pattuglia Klingon, siamo vicini ai primi avamposti dell’Impero.” asserì l’asiatico esausto, “Una volta finito tutto, non mi muovo da letto per un giorno intero.” gemette, concentrandosi sul radar.

*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§

Un rumore metallico scosse Bones dal torpore in cui era caduto.

Si sedette di scatto, scorgendo, nella semi oscurità della grotta in cui aveva trovato rifugio, una figura muoversi a carponi, avvicinandosi alla parete.

Confuso e stremato, tese l’orecchio, tutto sembrava tranquillo, le esplosioni erano cessate e così pure la terra aveva finalmente smesso di tremare.

Aguzzò la vista, una debole luce proveniva dall’imboccatura della grotta, illuminando la figura rannicchiata del Primo Ufficiale, i grandi occhi scuri aperti e insistentemente fissi su di lui.

Restarono così, fermi a fissarsi per qualche lunghissimo istante quando il gracchiare insistente dei trasmettitori non li fece letteralmente sobbalzare: “Enterprise su frequenza d’emergenza, rispondete”.

 Spock fu il primo ad afferrarlo, con un sussulto doloroso al cuore il medico sentì la stanchezza e la sofferenza nella voce dell’alieno: “Qui Spock.” disse solo, trattenendo a stento un gemito, la voce di Uhura fu quasi un sollievo per le orecchie del dottore, “Grazie al cielo state bene!” proruppe il tenente con tono sollevato, “il segnale è disturbato, abbiamo poco tempo… cercate di portarvi in un luogo aperto, così potremmo riportarvi su.” istruì lei, “Però dovete sbrigarvi, i dati che ci giungono dalla superficie sono alquanto preoccupanti, c’è il forte rischio che il pianeta si spezzi in due, le reazioni di magma nel nucleo sono sempre più veloci.”.

La donna chiuse la comunicazione.

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L’interfono nell’infermeria gracchiò insistentemente per qualche istante, prima che la signorina Chapel rispondesse.

“Qui Infermeria” rispose, sfregandosi stancamente gli occhi, “Christine, il capitano è ancora lì?” chiese il tenente dal ponte, “Certo, ho dovuto sedarlo. Ora dorme. Quando il dottor McCoy rientrerà a bordo, una lavata di testa non me la leverà nessuno” replicò lei, “Sveglialo, è urgente, siamo riusciti a metterci in contatto.” annunciò trionfante Uhura.

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Sapete quando una giornata comincia male e finisce peggio?

Ecco, quei giorni che sin dal mattino si sa che saranno pessimi e il buonsenso vorrebbe l’eclissarsi completo sotto le coperte in attesa che suddetto giorno infausto passi senza troppi danni.

Ed è proprio quello che Bones stava desiderando in quel momento, l’aver totalmente ignorato la sveglia di inizio turno ed essersi nascosto nel suo ufficio, dietro una improbabile pila di improbabili rapporti da compilare e ignorando bellamente le richieste di Jim di raggiungerlo sul ponte.

Nemmeno avesse bisogno di compagnia.

Avrebbe dovuto saperlo che stava macchinando qualcosa, sin dal primo momento che aveva visto l’avvicinarsi del pianeta sullo schermo.

Oh, ma una volta rientrati a bordo, si sarebbe vendicato.

Non sapeva ancora come, ma lo avrebbe trovato un modo per prendersi la sua giusta vendetta.

Senza dubbio.

La voce sottile e sofferente dell’alieno lo riscosse dai suoi propositi di vendetta: “Dottore, non mi sembra in condizione di proseguire la marcia, non con il mio peso sulle spalle. Se vuole posso camminare da solo.”.

Un brontolio simile a un tuono troncò sul nascere ogni altra discussione: “Dove pensa di voler andare? È ancora fortunato se può dirsi vivo, con quella brutta ferita al fianco e tutto quel sangue verde che ha sparso per il pianeta… E poi, non sono così incapace come crede, eh?” cercò di sorridere, ignorando con tutto sé stesso il dolore lancinante alla gamba, la sentiva gonfia e pulsante, insensibile a qualunque stimolazione esterna.

Il Primo Ufficiale scosse la testa, poggiandola sulla schiena dell’ufficiale medico, esausto.

Era vero, non avrebbe potuto fare molta strada senza l’aiuto del dottore, aveva perso troppo sangue e le gambe non lo avrebbero retto a lungo.

Ormai mancava poco, stavano per raggiungere uno spiazzo abbastanza largo da permettere ai loro compagni a bordo di identificarli e riportarli su.

Forse fu la stanchezza a ottenebrare i sensi dei due compagni, oppure la debolezza, ma il pianeta nascondeva più insidie di quello che credevano.

Non seppero mai in cosa si fossero imbattuti.

Eppure, l’esplosione che seguì e il grido lancinante di dolore dei due ufficiali fu l’ultima cosa che l’attonito staff di plancia dell’Enterprise udì, prima che le comunicazioni cessarono del tutto.

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Il capitano si rizzò in piedi, pallido come un cadavere: “Sulu, a lei il comando.” Disse con un filo di voce, correndo fuori dalla stanza; prese il turbo ascensore e raggiunse la sala teletrasporto.

Scotty si spaventò nel vederlo in quelle condizioni.

Eppure, quando, con voce quasi strozzata, il suo superiore gli ordinò di mandarlo sul pianeta, non se la sentì di lasciarlo andare da solo.

“Non se ne parla, scendo con lei capitano!” esclamò serio, “Kyle, ci mandi sulla superficie.” ordinò, cingendo con il braccio le spalle sussultanti del comandante; si issarono sulla piattaforma e, qualche istante dopo, scomparvero.

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Li trovarono a pochissima distanza dal punto di arrivo, sdraiati a terra.

Rovine e distruzione regnavano in ogni dove, il pressante silenzio di morte era l’unica cosa che le loro orecchie potevano registrare.

Nessun altro rumore.

Lo stomaco di Scotty ebbe un brutto sobbalzo quando vide i suoi due compagni rannicchiati a terra, la terra attorno a loro era sporca di sangue, sangue rosso, sangue umano.

Il sangue del dottore.

Lottando contro il pressante desiderio di vomitare, si impose di controllare le loro condizioni; non era un medico, ma le principali nozioni di pronto soccorso non gli erano ignote.

Non poteva aspettarsi grande aiuto dal capitano, il viso pallido e sconvolto del suo superiore gli aveva fatto capire che non era in condizione di fare alcunché.

Doveva occuparsene lui.

Si inginocchiò accanto ai due ufficiali, le divise strappate e sporche.

Con un sospiro di sollievo, si accorse che erano ancora vivi, ma dovevano riportarli a bordo subito; prese la trasmittente: “Kyle, qui Scott, chiami subito la signorina Chapel e una squadra medica, preparate due barelle!” sbottò, cercando di trattenere i singhiozzi che minacciavano prepotentemente di uscire dalla sua bocca, “E ci riporti su!” aggiunse, prima di chiudere la comunicazione.

Si avvicinò al capitano, sino a quel momento non aveva aperto bocca; gli poggiò una mano sulla spalla: “Jim,” disse con dolcezza, “Dobbiamo riportarli a bordo, ma da solo non posso farcela. Lei prenda il dottore, io mi occupo di Spock.”.

Kirk annuì e prese delicatamente in braccio il corpo del medico, l’ingegnere fece lo stesso con il primo ufficiale.

Il familiare ronzio del teletrasporto precedette la smaterializzazione e il capitano sperò vivamente di non dover dire addio a uno dei due.

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Quando rientrarono a bordo, il team medico capitanato dalla Chapel era già pronto per riceverli; le mani dell’ingegnere strapparono dalle braccia del comandante il corpo di Leonard, con dolore, egli vide i suoi due migliori amici sparire fuori dalla sala del teletrasporto, intubati e seguiti dalle grida della giovane capoinfermiera che sbraitava qualche ordine.

Quella ragazza stava diventando sempre più simile al suo diretto superiore.

Privo di sostegno, Jim si lasciò cadere in ginocchio, la divisa gialla sporca di sangue.

Il dolore e la disperazione che era riuscito faticosamente a tenere a bada in quelle lunghe ore lo assalirono con la violenza di un pugno nello stomaco, le lacrime minacciarono prepotentemente di uscire, la consapevolezza che tutto quello che accaduto per colpa sua era forte, troppo forte.

Se uno di loro fosse morto, come avrebbe mai potuto perdonarselo?

Come avrebbe mai potuto più guardare in faccia il sopravvissuto?

Come avrebbe mai potuto mantenere il comando con quella consapevolezza a martoriargli la coscienza?

Come avrebbe mai potuto continuare a vivere sapendo che uno dei suoi migliori amici aveva perso la vita per colpa sua?

Un senso di nausea lo colse all’improvviso, sentì qualcosa di viscido e bollente salirgli su per l’esofago, sentì un gusto ferroso in bocca.

 

E poi più nulla, a parte la sensazione di umido sulle guance e la stretta forte delle braccia di Scotty; rimase in silenzio, inginocchiato a terra per qualche minuto prima che lo scozzese lo aiutasse a mettersi in piedi, voltandolo di modo che i loro occhi s’incrociassero: “Jim, si svegli! Non risolveremo nulla stando qui. Andiamo in infermeria a controllare come stanno.” disse con tono serio.

 

*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§

 

Quando arrivarono nella stanza, la prima cosa che notarono con sollievo furono gli occhi aperti di Spock.

Fissi sulla vetrata che lo separava dalla sala in cui la Chapel e i suoi colleghi si stavano occupando del dottore.

I tre ufficiali si avvicinarono lentamente al vetro, assistendo senza possibilità di intervenire nel lavoro dei medici, potevano solo stare lì, immobili, sperando che tutto finisse in fretta e nel migliore dei modi.

McCoy era disteso sul lettino, circondato dalle braccia dei suoi sottoposti, la chioma bionda di Christine sovrastava tutto, i suoi ordini venivano eseguiti all’istante.

Se avesse creduto in qualcosa, Jim avrebbe anche pregato in quel momento.

E fu proprio lui il primo ad accorgersi di ciò che stava accadendo.

I macchinari infernali che Bones tanto amava emettevano suoni strani e poco rassicuranti, istintivamente, afferrò il braccio del suo primo ufficiale alieno, gli occhi di entrambi fissi sulla scena.

“i battiti del cuore stanno diminuendo troppo velocemente…” sussurrò con gli occhi sgranati il capitano, la vista cominciava ad annebbiarsi, sentiva le pupille bruciare per le lacrime.

“Sta morendo…” mormorò Scotty, non curandosi di nascondere l’immenso dolore che provava.

I due amici si voltarono verso Spock, cercando qualcosa, una conferma, una qualunque conferma che tutto quello che stavano vedendo fosse solo un fottuto incubo.

Eppure non era così.

Il Vulcan poggiò la fronte sul vetro, non un movimento, nulla di nulla, somigliava incredibilmente a una statua di sale, l’espressione del viso mutata in una smorfia di sofferenza.

Il grido delle macchine si fece più intenso, ma nulla in confronto a ciò che accadde un istante dopo.

Jim e Scotty videro il Primo Ufficiale scrollare il capo, avrebbero giurato di sentirlo singhiozzare, e sbattere i pugni contro il vetro.

L’urlo che ne seguì li lasciò increduli: “LEONARD!!!”.

L’infermeria si ammutolì per un istante, anche i macchinari tacquero, con grande stupore degli ufficiali e dei presenti.

E poi, una voce sottile che aveva il sapore di un miracolo, seguita da una risata strozzata, ruppe il silenzio: “In tanti anni che ci conosciamo… Non mi hai mai chiamato per nome… maledetto demonio dal sangue verde…”.

*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§

La notizia che i due uomini scesi sul pianeta erano rientrati, anche se non in ottime condizioni, ma vivi, portò grande gioia e sollievo nell’equipaggio, e l’ordine che il capitano diede ancora di più.

Quando Sulu rivide Kirk sul ponte, il viso stanco ma sollevato, e lo sentì dare il comando di allontanarsi alla massima velocità dal pianeta e dalla sua orbita, quasi proruppe in una esclamazione di gioia, trattenendosi a stento.

Limitandosi a scambiare uno sguardo con Chekov e Uhura e affrettandosi a eseguire l’ordine il più rapidamente possibile.

L’allarme rientrò subito, l’atmosfera si rasserenò a bordo e tutti poterono finalmente tornare a respirare liberamente, fu come se un grande peso si fu dissolto dai cuori di tutti.

Scotty fu visto fischiettare per tutto il tempo che il medico stette confinato nei suoi alloggi, sparendo spesso per andarlo a trovare, e così anche molti altri, nelle ore e nei giorni seguenti, abbandonarono per qualche minuto i propri posti per andare a trovare il vecchio dottore brontolone.

Superiori e capisezione notarono queste improvvise sparizioni, ma si guardarono bene dal fare rapporti disciplinari, sapevano benissimo dove i loro sottoposti sparissero, e la cosa non poteva fare che piacere, Bones, come ormai l’intera nave, e non solo il capitano, lo chiamava affettuosamente, era particolarmente amato da tutti.

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“Signore, il Comando di Flotta desidera parlare con lei, è una comunicazione contrassegnata con il grado di emergenza.”

 La voce preoccupata di Uhura raggiunse Kirk nell’alloggio privato del medico, dove si trovava anche con il suo luogotenente e il capo ingegnere, attraverso l’interfono; con uno sbuffo seccato, Leonard dovette interrompere il suo avvincente racconto.

Sorridendo, Jim si alzò dal letto e accese lo schermo: “Si, tenente, me lo passi.” disse, allacciando le dita dietro la nuca.

Il viso del comandante di Starfleet comparve sullo schermo: “Capitano Kirk, ho ricevuto comunicazione dal centro di controllo che la sua nave si trova a 12 parsec distante dai primi avamposti klingon, in pieno quadrante 54.” disse asciutto il suo superiore, “Si, signore… Sino a due giorni fa eravamo in quella zona, credo che il mio rapporto le sia già pervenuto.” replicò lui, “Nessuna aggressione e ci stiamo allontanando il più velocemente possibile.” aggiunse.

“Il centro di controllo mi ha anche riferito,” continuò il Comandante, ignorando le parole del più giovane, “Che avete mandato due uomini in esplorazione su un pianeta che non era segnalato negli archivi, come la vostra missione richiede.” concluse egli, squadrandolo con aria severa.

Il trentaduenne annuì, guardando i suoi compagni poco lontano: “Certo signore.” replicò secco, “beh... Capitano… C’è stato uno sbaglio da parte del centro di controllo. Quel pianeta era già segnato negli archivi.” dichiarò il Comandante in Capo della Flotta.

Un silenzio gelido cadde nella stanza.

“Cosa intende, signore?” domandò con tono improvvisamente serio l’americano, “Intendo dire, che quel pianeta è sotto segreto militare, è un pianeta che la Flotta utilizza per la sperimentazione di armi automatiche e apparecchi scientifici.”.

Le parole del superiore furono un colpo per tutti.

Stupore e incredulità erano le sole espressioni presenti sui loro volti.

“Cioè, mi faccia capire, signore,” la voce del capitano suonava stranamente stridula, “due miei uomini hanno rischiato di morire nell’adempimento del loro incarico per una mancata segnalazione da parte vostra?” domando secco.

La risposta non si fece attendere: “Si.”.

Il silenzio si fece più gelido e pressante.

“Con tutto il rispetto, comandante, non posso accettare le sue parole come una giustificazione. Il dottor McCoy e il signor Spock hanno riportato gravissime ferite e l’Enterprise è rimasta bloccata per ore, attratta dalla forza magnetica del pianeta e sotto rischio costante di attacco klingon.” assentì Kirk con tono furioso, a stento tenuto a bada, “E io non le sto chiedendo di accettarle come una giustificazione, la responsabilità è solo nostra. La prego di portare le mie scuse ufficiali e i miei auguri di pronta guarigione ai feriti.” concluse il superiore, prima di chiudere la comunicazione.

Fumante di rabbia, Jim tornò a sedersi sul letto accanto a Bones: “Roba da pazzi…” borbottò furibondo il capoingegnere, “tanto siamo noi a rischiare la vita quassù, mica quei pecoroni scalda - poltrone, il rischio massimo per loro è che non gli arrivi il caffè preparatogli dalle solerti segretarie.” sbuffò il tecnico, incrociando le braccia.

Una risata accompagnò l’affermazione dello scozzese: “è la vita che abbiamo scelto, mio caro Scotty, semplici incidenti di percorso.” dichiarò sibillino il medico, affossandosi sotto le coperte, “Però lei, dottore, ha rischiato seriamente di rimetterci la vita.” assentì con tono neutro il Vulcan.

Bones scrollò le spalle: “Eppure sono ancora qua a tormentarvi tutti.” sogghignò, battendo giocosamente una mano sulla spalla fasciata dello scienziato.

Kirk sorrise debolmente: “A quanto pare avete finalmente ripreso a parlarvi voi due!” esclamò sornione, cercando di lasciarsi alle spalle il nervosismo, “Diciamo di si.” replicò asciutto il Vulcan, scivolando con la mano sotto la pesante trapunta; afferrò con forza le dita del medico, accarezzandole leggermente.

Lo scozzese e il capitano non dissero nulla, si limitarono a guardarsi, serenità e gioia presero il posto della rabbia che la comunicazione con il comando aveva lasciato dietro di sé.

Tutto era tornato alla normalità.

 

ANGOLO DEL LEMURE VIOLETTO:

E rieccomi qui!

Finalmente l’ultimo capitolo di EXPLORING è nelle vostre mani; ho dato fondo alle mie riserve di angst e sofferenza per donarvi il meglio della Maison Charlie.

Beh, credo che dica tutto lui^*^

Ci ho messo un po’ di tempo stavolta, perché gli impegni mi hanno pressato da ogni parte, ma credo che il risultato sia soddisfacente.

GRAZIE PER AVER LETTO!!

GRAZIE A EERYA E ROWEN E A FANGE69, mi hanno fatto veramente piacere le vostre recensioni, sono felice che il mio lavoro sia letto e apprezzato.*^*

Spero che anche questo capitolo vi piaccia.

UN BACIONE

SHUN

   
 
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