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Autore: tonksnape    27/06/2005    5 recensioni
Avevo lasciato Harry e l'E.S. dopo la battaglia di Hogsmeade a metà del sesto anno. Ora si addentreranno nello studio di se stessi per poter affrontare meglio lo scontro con Voldemort. Buona lettura. Grazie per i commenti. I personaggi sono di JKR (tranne qualche raro caso).
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA RABBIA E L’AMORE

 

La vita di Harry cominciò a cambiare qualche settimana dopo, durante una lezione di Piton.

Ginny stava migliorando a vista d’occhio e Harry partecipava alle lezioni più per vedere come Ginny se la passava, che non per allenarsi lui stesso.

Riteneva le lezioni di Ash molto più importanti e ormai gli incubi erano pochi e riusciva a dominare ricordi ed emozioni, secondo lui, in modo più che adeguato.

Ma si sentiva in colpa verso Ginny. Voldemort sembrava prendersela con lei adesso che non riusciva a colpire direttamente lui. Voleva potersi sentire utile dandole un appoggio morale con Piton. Non ne avevano mai parlato l’un l’altra, ma ad Harry sembrava una cosa gentile.

 

Ginny non sembrava condividere questa cortesia.

Quando Harry, per l’ennesima volta, aveva cercato di evitarle il peggio bloccando Piton mentre invadeva la sua mente, la ragazza non ci aveva più visto.

Piton lo aveva lasciato fare perché era curioso di vedere le conseguenze di questi comportamenti cosi… imbecilli?

Ginny guardò Harry con rabbia.

“Non ne posso più Harry! Non sono tua sorella! Non lo accetterei neppure da Bill tutto questo … farsi i fatti miei!”

“Cosa accidenti ho sbagliato questa volta?!”

Harry era arrabbiato con lei. Non le andava mai bene nulla. Voleva fare tutto da sola. E poi si arrabbiava se lui voleva fare altrettanto!

“Mi hai sempre detto di non voler fare tutto da solo e adesso ti lamenti se io dico lo stesso a te!?”

Ginny sbuffò.

“Non voglio fare tutto da sola! Voglio solo imparare a cavarmela senza l’aiuto di un fratello o di un amico o di qualcun altro. È un po’ diverso dal voler fare tutto da soli come te!”

La rabbia esplose all’improvviso.

“BASTA!” Harry prese a caso il primo oggetto che trovò nella traiettoria del braccio e scagliò un vaso di vetro a terra rompendolo in mille pezzi e spargendo semi di qualcosa nella stanza. Era furioso. Arrabbiato con lei, con Piton che li osservava dalla porta come fossero cavie da laboratorio e forse anche con se stesso. Non capiva cosa ci stava a fare in quella stanza: non gli serviva, si sentiva in colpa per una ragazzina rompiscatole, voleva proteggerla ma non capiva per che motivo. Era ancora tutto complicato! E tra pochi giorni sarebbe passato un anno da quando Sirius…

Fissò Ginny con gli occhi spalancati, mentre lei si spostava leggermente all’indietro.

Si diresse a grandi passi verso la porta, ma lei lo raggiunse di corsa e gli si mise di fronte a braccia conserte.

“Dimmi perché io devo piangere, chiedere aiuto, mentre tu puoi andartene così, lasciandomi con l’idea che sia colpa mia?”.

“È colpa tua, sciocca.” Le parole uscirono senza controllo.

Ginny rimase senza parole. Non le aveva mai parlato così. Sentì delle lacrime salirle agli occhi.

“Perché?” provò a chiedere.

“Lasciami uscire.” Harry le mise una mano sul braccio spingendola di lato, leggermente, ma con fermezza.

Lei si irrigidì ancora di più.

“No. Adesso mi dici cosa c’è.”

“Lasciami uscire, non voglio parlare con una ragazzina.”

Harry aveva tenuto la mano sul braccio di lei e la spinse con più forza.

Ginny perse leggermente l’equilibrio, senza cadere.

Harry ritrasse la mano di scatto, impaurito da quello che aveva fatto.

Ma lei aveva lasciato libero il passaggio verso la porta e ne approfittò uscendo velocemente dalla stanza di Piton, senza più guardarla negli occhi.

Piton le si avvicinò alle spalle posandole leggermente una mano vicino ad una scapola.

“Hai resistito bene, Weasley. Hai coraggio. Secondo te perché lo ha fatto?”

Ginny si girò a guardarlo con gli occhi lucidi.

 “Non lo so. Non era così questa mattina. Ma è sempre più nervoso. E se la prende con me, anche negli allenamenti.“

“Forse non sa neppure lui perché. Prova a chiederglielo tra un po’. Adesso puoi andare.”

Piton si girò verso il fondo della stanza e Ginny uscì con lo sguardo triste.

 

Raggiunse la Sala Comune certa che Harry era filato a letto pur di non vederla. Lei era attesa da un compito di Storia della Magia invece.

Trovò Ron e Hermione seduti sul divano, intenti a scrivere una lunga pergamena a testa.

Hermione la osservò entrare e le disse:

“Dev’essere stata una lezione pesante, perché Harry è sfrecciato in camera arrabbiato.”

Ginny sospirò. Non aveva motivo per tenere tutto per sé. E poi con lei era stato… cattivo.

“Era arrabbiato con me, non con Piton. Gli ho detto che non sopporto quando mi tratta da bambina piccola e lui si è arrabbiato. Ma si arrabbia per nulla in questo periodo.”

Si lasciò cadere su una poltrona della Sala, piegò le gambe vicino a sé e guardò sospirando il fratello e l’amica.

Ron rimase volutamente in silenzio. Non capiva perché la sorella dovesse lamentarsi se Harry la proteggeva. Ne avevano parlato a volte e erano d’accordo sul fatto che era ancora piccola, anche se molto brava. Nel quidditch poi superava molti altri giocatori e Harry pretendeva che desse sempre il massimo. Era un suo obiettivo renderla perfetta.

Hermione aveva discusso con Ron di tutto questo e pensava che Harry dovesse lasciare Ginny un po’ in pace.

Lei apprezzava i piccoli gesti di protezione di Ron, ma trovava insopportabile avere sempre il suo fiato sul collo per evitarle ogni minino rischio, in particolare durante gli allentamenti con l’E.S. Lei pure si era trattenuta durante il periodo delle medicazioni! Sapeva che anche per Ginny tutta questa attenzione era pesante da sopportare. E poi volere che fosse perfetta nel gioco era assurdo. Aveva progettato di parlarne con l’amico, ma non c’era stata occasione.

“Perché è così arrabbiato?”

“Non lo so. Ron?”

Ron rimase ancora in silenzio per un po’.

“Non lo so. Non mi ha detto nulla in particolare.”

Il discorso finì in quel modo. Ginny prese tutto il necessario per i compiti e si dedicò ad una qualche invasione di qualche popolo strano avvenuta in qualche secolo passato. Tediosissimo.

 

Dopo un’oretta era rimasta da sola nella Sala. Il giorno dopo non c’erano lezioni e tutti ne approfittavano per dormire un po’ di più, ma lei era impegnata in parecchie attività extra e doveva recuperare qualche ora anche il sabato.

Chiuse il libro sapendo che aveva completato solo due terzi del lavoro, ma l’attenzione se n’era andata tempo prima.

Sbadigliò sonoramente e raccolse tutte le sue cose nel borsone.

Mentre si avvicinava alla scala del dormitorio vide un’ombra scendere da quello maschile e incontrò lo sguardo stanco di Harry.

Lui si bloccò a guardarla. Aveva pensato di chiederle scusa, ma preso così alla sprovvista gli tornò in mente solo l’enorme errore che aveva fatto.

“Ciao.” Le disse velocemente.

“Ciao.” Rispose lei incerta se salire o parlargli.

Harry accennò a volerle toccare un braccio, ma rimase un gesto sospeso. Si sentiva un tale cretino adesso. Ginny abbassò gli occhi e lo oltrepassò. Preferiva il letto. Molto più accogliente. E salì verso il calore delle coperte.

Ma si sentì chiamare, sottovoce.

“Ginny… scusami.”

Si fermò senza voltarsi verso l’amico.

“Scusami. Per quello che ho detto e per quello che ho fatto. Fa male?”

“No.” Rispose ancora arrabbiata.

“Mi dispiace. Davvero.”

“Ok.” E salì le scale senza dire altro. Lasciandolo da solo.

 

Le cose non migliorarono in uno degli ultimi allenamenti di quidditch dell’anno scolastico, qualche giorno dopo. Gli esami erano vicini e Ginny era stanca emotivamente e fisicamente. Ormai aveva perso ogni speranza che Harry potesse considerarla qualcosa di diverso da una sorellina un po’ imbranata.

“Ginny, andiamo, guarda quella palla. Era proprio vicino a te. Non l’hai vista?”

Harry urlò verso Ginny e lei sentì di aver raggiunto il limite. Non le aveva mai parlato se non per sottolineare i suoi errori. Adesso ne aveva abbastanza. Di Harry, del quidditch, di un fratello che se ne stava fermo sulla sua scopa con lo sguardo da pesce lesso verso Hermione.

Ginny scese velocemente a bordo campo, prese la scopa e se ne andò con lunghe falcate nello spogliatoio.

Il resto della squadra guardò lei e Harry senza capire cosa stava accadendo.

Harry rimase interdetto.

Rimase sospeso in aria, fermo. Il suo orgoglio lo aveva portato poco lontano finora. La lite con Ron il quinto anno, la delusione di Silente per la battaglia di Hogsmeade. Aveva deciso di non parlare, di non spiegarsi, di non chiedere scusa e non aveva ottenuto nulla.

Allora sfrecciò verso terra deciso a fare qualcosa. Non sapeva cosa, ma non poteva lasciarle l’ultima parola.

Entrò sbattendo la porta nello spogliatoio femminile. Ginny ormai era in jeans e maglietta e si stava pettinando.

“Non puoi lasciare così la squadra. Sei parte di un gruppo!”

“E tu sei il capitano, dovresti essere imparziale, correggere e sostenere e invece mi massacri a parole. Posso stare senza quidditch, voi non potete stare senza me. E prova a giustificare la mia uscita dalla squadra dandomi la colpa e vedrai.”

Ginny era furibonda e aveva urlato ogni parola con tutta la forza possibile dopo un’ora di allentamento.

Harry rimase senza parole a fissarla.

“E piantala di guardarmi. Non fai altro. Preferirei vedere Malfoy al tuo posto. Lui mi disprezza per quello che sono, ma uno sguardo di apprezzamento al mio corpo ogni tanto gli scappa. Tu neppure quello. Solo la piccola, sciocca sorellina di Ron.” Aveva scimmiottato la sua voce nell’ultima frase. “Chi ha affrontato Voldemort con te, cretino?!”

Harry non sapeva come fermare quel torrente di rabbia. A lui non era mai uscito tutto quel rancore verso gli altri, nonostante tutto. Beh, a parte da Piton, ma molto meno!

“Io… non è vero che non ti apprezzo. Sei uno dei migliori in squadra lo sai.”

“Lo so? Chiederò conferma a Pix! Ti è mai sfuggito un commento del genere? Te ne ricordi?”

“Ma… sei l’unica ad aver giocato in due diversi ruoli e ad essere brava in entrambi. Lo sai. Lo sanno tutti. Neppure io so farlo.” Harry era sorpreso che non se ne fosse resa conto.

“Ma allora sei proprio… Certo che lo so! Vorrei sapere se lo sai anche tu.”

“Certo! Ginny, penso che tu sia perfetta in quel ruolo.”

“E allora perché non me lo dici? Mai un complimento, Harry. In tutti questi mesi. Anzi, no!  Sarebbe bastato anche meno. Per fortuna che adesso c’è il sole quando ci alleniamo, almeno lui è caloroso con me.”

Prese il maglioncino e se lo infilò con rabbia. Afferrò la borsa e uscì dallo spogliatoio.

Harry le afferrò un braccio per bloccarla.

“Mi dispiace, Ginny. Io… so che sei brava. Mi piace vederti giocare. Mi piace stare con te, davvero. E non sei solo la sorellina di Ron. Sei…” Harry prese un lungo respiro. “Sei… una ragazza intelligente. Lo so. Non so dirlo, ma lo so.”

Ginny era ferma, il capo chino. Forse c’era ancora speranza…

“Non credevo che fosse così importante dirtelo. Credevo si vedesse. Cioè… sei l’unica che voglio sempre perfetta in campo. E poi…”

Addio speranza. Accidenti a quel bamboccio così attraente!

“Ecco Harry. Non voglio essere perfetta. Non mi interessa una carriera nel quidditch. Mi piace giocare qui a scuola. Ma basta. Non voglio diventare perfetta per farti piacere. Preferirei essere am… beh… essere quella che sono e sapere che va bene così.”

Ginny si era allontanata da Harry. Lasciandolo sulla porta se ne andò di filato a letto per non pensare.

 

Quella notte Hermione si sentì scuotere nel sonno. Con fatica aprì gli occhi e guardò in alto. Una ragazzina con i capelli scuri, gli occhi gonfi di sonno la stava guardando e muoveva la bocca.

“Aspetta, aspetta. Non capisco. Cosa c’è?”

“Ginny. Si sta agitando nel sonno. Piange. Cerca di gridare. Ho pensato che tu sapevi cosa fare.”

Hermione allora riconobbe una compagna di stanza di Ginny e si alzò di scatto dal letto precipitandosi dall’amica.

 

La trovò come le avevano detto. Si dibatteva nel letto, lenzuola e coperte erano a terra, i pugni chiusi allontanavano qualcosa sopra di lei, la smorfia di dolore e paura del volto era così reale che Hermione rimase un attimo interdetta.

Poi le si avvicinò piano chiamandola per nome e cercando di portarla a sé con la voce.

“Ginny, Ginny sono Hermione. È un incubo Ginny, svegliati, ti prego. Dai Ginny. Combatti e svegliati. Non lasciarlo entrare in te. Dai.”

Molto lentamente Ginny smise di agitarsi. Hermione continuava a chiamarla mentre le compagne di stanza erano immobili attorno al letto. Quando Ginny aprì gli occhi tutte si mossero verso di lei. Le compagne di stanza erano state avvisate degli incubi e della necessità di chiamare Hermione, ma non si era mai reso necessario farlo. Gli altri incubi finivano velocemente, quasi non li sentivano.

Ginny si alzò di scatto dal letto:

“Harry. Harry. Hermione, Harry.”

Hermione le si mise di fianco, seduta e mettendole le mani sulle braccia chiese:

“Cosa gli è successo Ginny?” Si stava preoccupando parecchio.

Ginny solo allora di guardò veramente intorno e comprese che l’incubo era finito. Respirando velocemente, chiuse gli occhi e le disse.

“Harry era con me nell’incubo. Devi tirarlo fuori Hermione.”

L’amica si alzò e corse verso la scala e da lì verso il dormitorio maschile.

Ginny rimase a letto a riprendere fiato, calma e sicurezza, mentre le amiche le offrivano acqua e cioccolato. Appena si fosse retta in piedi avrebbe raggiunto Hermione.

 

Nel dormitorio maschile la situazione non era molto diversa. Hermione trovò Neville in cima alle scale diretto da Silente, Ron e Dean attorno ad Harry e Seamus in bagno a prendere acqua.

Harry era rigido nel letto, ogni tanto si lamentava o gridava. Sembrava quasi concentrato come quando, durante la lezione di Piton, aveva contrastato Voldemort.

Aveva degli scatti come Ginny, contro qualcosa sopra di lui.

Ron lo stava chiamando, quasi urlava il suo nome. Ma senza risultato.

Hermione lo raggiunse mettendogli una mano sulla spalla.

Ron si girò a guardarla, preoccupato.

“Ginny è appena uscita da un altro brutto incubo. Mi ha detto di venire da Harry e tirarlo fuori dall’incubo.”

“Ci sto provando da parecchio, ma non ci riesco. È in un altro mondo. Non vuole uscire.”

Dopo qualche minuto sentirono aprirsi la porta di nuovo e una Ginny con i capelli arruffati e una vecchia maglietta, enorme, di Charlie come pigiama corse nella stanza fino al letto di Harry.

Prese Harry per le spalle e lo scosse con violenza.

“Harry, basta, smettila. Sono fuori. È finito. Lascialo andare.” Parlava a voce normale, ma con evidente ansia.

Solo allora Harry aprì gli occhi di colpo. Si guardò attorno guardingo. Scese barcollando dal letto, incerto e scoordinato nei movimenti. Si avvicinò ad una delle finestre della camera, guardando all’esterno come volesse essere certo di dove si trovava.

“Harry…” La voce di Ginny arrivò lenta e sottile dietro di lui.

Si girò a guardarla, sorpreso.

“Eri lì. Anche tu. Ti ha attaccato.”

La porta di aprì ancora una volta lasciando entrare Silente, Piton e Ash.

Ma Harry e Ginny sembravano ignari di tutto. Gli adulti si fermarono sulla porta, in silenzio.

“Mi ha attaccato, ma voleva te. Mi ha detto di chiamarti. Mi dispiace Harry, io… non volevo. Non ti ho chiamato.” Ginny era preoccupata.

“No. Sapevo che eri lì. Lo sapevo. Lo sentivo. Sono venuto per… per non…” Per non perdere il cuore, pensò. Per la prima volta Harry capì, come un lampo, perché si era intromesso nel Legilimens di Voldemort, perché l’aveva protetta così da Piton. E sapeva che non lo avrebbe fatto per molti altri. E non per la sorella del suo migliore amico come durante il secondo anno, ma proprio per lei. Ma erano tutti lì, era qualcosa di troppo personale. Non adesso.

“Voleva me, Ginny. Ha usato te per far arrivare me.” Harry era sorpreso.

“Mi dispiace.”

“Ti dispiace? Io lo odio. Ti ha usato Ginny. Ha osato toccare te. Quel bastardo ha usato il Legilimens contro di te. Cosa vuole da noi?” Harry si era girato verso Silente.

“Vuole te, Harry.” Silente aveva parlato con il solito tono tranquillo. “Ma non ce l’ha fatta, ragazzi.” E allora sorrise evidentemente soddisfatto.

“Lo avete contrastato. Lo avete allontanato.” Ash era altrettanto sorridente.

“Pensate di avergli fatto percepire qualcosa?” chiese Piton sornione.

Harry e Ginny rimasero pensierosi.

“Non credo.” Iniziò Ginny. “Appena mi ha presa mi ha chiesto di Harry. Non gli interessavo io. L’unico mio pensiero è stato che era a letto e…”

“Ed è arrivato da me, mentre stavo dormendo. Anzi no… ho visto Voldemort e Ginny. Lui le stava tenendo una mano sulla gola e la faccia, come volesse alzarla da terra. Quando sono arrivato io l’ha lasciata cadere a terra.”

“Non mi ha toccato, solo guardato e minacciato.” Puntualizzo Ginny.

“Cosa avete fatto?” Chiese Ash

“Non potevo lasciarlo fare. Ho cominciato a contrastarlo. A usare l’Occlumanzia. E Ginny con me.” Harry si girò sorpreso dal ricordo verso l’amica.

“Sì, abbiamo agito insieme. Era sorpreso. Arrabbiato. Dopo. Ma io non riuscivo a reggere e mi sono svegliata. Credo.” Ginny era sorpresa anche lei dal ricordo.

“Non ci aspettava uniti.” Affermò con sicurezza Harry.

Silente e Ash si guardarono soddisfatti.

“Bene, ragazzi. Bene. Avete sfruttato al meglio le vostre capacità. Gli avete tolto un’altra possibilità di attaccarvi. Si aspettava uno solo ed eravate in due.” Ash spiegò così velocemente e semplicemente quello che era accaduto.

“Adesso dovrete lavorare su questo.” Aggiunse tranquillo Piton.

 

Piton durante le lezioni di Occlumanzia non diede ulteriori spiegazioni limitandosi a farli lavorare insieme e a intervenire uno in sostegno dell’altro. Harry si tolse solo la soddisfazione di far atterrare il professore sulla scrivania durante un suo tentativo di attacco a Ginny. E imparò a intromettersi solo quando sentiva Ginny davvero in difficoltà o vedeva un suo segnale di aiuto.

Dal mondo esterno arrivavano segnali che Voldemort era arrabbiato. Molti Mangiamorte erano in azione per tramare alleanze e seminare terrore tra coloro che non volevano ritornare sotto la protezione dell’Oscuro Signore. Harry e Ginny non avevano più avuto incubi. Sembrava che Voldemort non volesse più raggiungere Harry e questo avrebbe aumentato a dismisura la sua collera. Ma lasciava anche il tempo ad Harry di maturare e crescere come mago. La forza del legame tra Harry e Ginny, anche se appena accennato e neppure chiarito tra loro, era stata un’arma abbastanza forte da creare sorpresa e incertezza.

 

Harry aveva ben chiaro quello che aveva sentito e capito durante quella notte riguardo la sorella di Ron. Aveva capito che non gli interessava minimamente che fosse la sorella di Ron. Era Ginny. Sempre più Ginny. E la T-shirt di Charlie era stampata a fuoco nella memoria.

La sola a capire quello che era accaduto sembrava essere Hermione. Quando parlavano di ragazze lanciava delle frasi, dei commenti che Harry sapeva essere rivolti a lui e Ginny, anche se nessuno aveva mai pronunciato i loro nomi.

Gli ritornarono alla memoria frasi dette durante le lezioni, i compiti, colazione o pranzo o cena, quando erano soli o quando c’erano anche altri. Ron doveva saperne qualcosa perché non si meravigliava mai di queste uscite.

“Se un ragazzo ha paura di capire cosa prova per una ragazza finirà che lei si stancherà e se ne andrà. Con Ron a me mancava poco.”

“A volte è più facile arrabbiarsi che parlarsi, vero Ron?”

“Mi piace l’idea di farcela da sola quanto mi piace sapere che Ron non mi lascerebbe mai da sola.”

“Ci sono certe occhiate che girano tra ragazzi e ragazze in questo periodo.”

“C’è un Corvonero del sesto anno che guarda Ginny molto spesso ultimamente. Carino davvero.”

“Mi piacerebbe stare tutti insieme anche quest’estate per vedere cosa succede. E poi non riuscirei a stare troppo senza la persona che amo.”

Tutte le osservazioni erano simili. Casuali. Riferite a se stessa e Ron. Generiche. E Harry le sentiva del tutto personali.

Doveva fare qualcosa. Ma le premesse erano scarse.

Dopo la lite negli spogliatoi, l’incubo comune era stato come fare pace, anche se non era stato detto nulla di chiaro.

Ma l’atmosfera si era notevolmente rilassata. Ridevano di nuovo insieme. La aiutava nelle lezioni di Difesa dalle Arti Oscure. Discutevano di quidditch. Harry le aveva chiesto scusa nuovamente per il comportamento da Piton. Lo aveva attribuito alla sua paura di Voldemort. E Ginny aveva accettato.

 

E così arrivò il giorno del primo anniversario della morte di Sirius.

Nessuno ne parlò con Harry per tutto il giorno. L’argomento era stato bandito da ogni conversazione. A parte qualche tentativo di intromissione dei Serpeverde, bloccato con forza dal resto della scuola, nessuno fece riferimenti a niente.

 

Alla sera Harry voleva potersene stare solo a pensare. Sapeva che tutti lo stavano riempiendo di attenzioni e di impegni per non fargli pensare troppo a quella giornata, ma sentiva forte il desiderio di stare solo. Gli occhi quasi bruciavano di lacrime che non dovevano scendere.

Se ne uscì da solo verso la Stanza delle Necessità e entrò in una stanza buia e spoglia. Rimase fermo al centro. Poi diede un pugno molto forte allo schienale dell’unica poltrona. Il legno all’interno si spezzò, secco.

Sentì aprirsi la porta dietro di sé ed entrarono Ron, Hermione e Ginny.

“No, adesso no. Lasciatemi solo almeno qui.” Li fermò allungando davanti a sé un braccio con la mano tesa. Gli occhi accigliati. La bocca tesa.

“Harry, non è un momento in cui stare soli. Stai male, lo sappiamo. Lascia che ti dimostriamo che ti vogliamo bene.” Hermione aveva parlato con dolcezza e con un piccolo sorriso.

“No, no, no… fuori.” Ripetè Harry dando loro le spalle.

“Credo dovremmo rispettare la sua richiesta, ragazze.” Disse piano Ron. “Lasciamogli fare quello che desidera.”

Harry ringraziò mentalmente l’amico.

Ginny invece gli si avvicinò e lo chiamò.

Harry se la trovo a meno di un metro da lui, con il volto triste.

Le fu sufficiente allungare un braccio e sfiorargli una guancia per aprire la voragine.

Harry sentì subito le lacrime scendere senza controllo. Non riusciva a trattenerle. Non sapeva neppure come potessero essere così tante dentro di lui.

Quando Ginny se ne accorse gli si avvicinò e lo abbracciò stretto. Harry rimase fermo con le braccia lungo i fianchi.

Hermione guardò Ron con gli occhi bagnati di lacrime. Ron allungò una mano e lei gli fece cenno di uscire. Fece cenno a Ginny che sarebbero ritornati.

“Perché?” chiese Ron.

“Perché è il momento di Ginny questo. Se ci fossi tu al posto di Harry vorrei esserci io con te.”

Ron le mise un braccio sulle spalle e andarono verso le scale.

 

Ginny lo strinse a sé come faceva sua madre con lei. Per poterlo consolare e non farlo sentire solo.

Harry si lasciò andare contro di lei, si abbandonò contro di lei, trascinandola a terra mentre singhiozzava contro la sua spalla.

“Perché, perché io… Sirius era l’unica famiglia che avevo… Sirius… Perché Ginny, perché… voglio che torni, lo voglio qui…” Urlava alcune frasi con rabbia e tristezza, altre le sussurrava in modo appena udibile.

Ginny sentiva la sua stessa oppressione in quel momento.

Continuò ad abbracciarlo e cullarlo. Non aveva risposte. Non sapeva cosa dire. Era tutto più grande di lei.

Harry le accarezzò una guancia con la punta delle dita e la strinse a sé con forza, piangendole sulla spalla, senza controllo.

“Cosa ti ho fatto… Ginny… cosa ti ho fatto…”

“Non piangere per me, Harry. Non farlo. Piangi per te adesso, solo per te.”

 

Ginny ricambiò l’abbraccio. Sentiva di non poter fare altro se non lasciarlo piangere e Harry pianse a lungo, a volte scosso dai singhiozzi.

Rimasero seduti a terra abbracciati per lunghissimi minuti.

 

Harry si sentiva vuoto. Libero. Si vergognava un po’ della scena, ma per fortuna c’erano solo Ron e Hermione a vederlo crollare così. Anche quando finirono le lacrime rimase con la guancia appoggiata alla spalla di Ginny. Era rassicurante. Si sentiva protetto.

“Grazie.” Le sussurrò tra i capelli. Profumavano di lavanda.

“Prego.” Bisbigliò lei all’orecchio.

Lentamente alzò la testa guardandola di sfuggita, intimidito.

Ginny gli sorrise apertamente.

“Va meglio?”

“Molto.” Si staccò da lei rimanendo seduto al suo fianco.

“Ho imparato a piangere parecchio, sai. La mamma ha passato ore con me a consolarmi. Stavo sempre meglio dopo. Non capisco come uno possa farne a meno.” Ginny era rassicurante.

 

Si dedicarono per un po’ agli scacchi, seduti per terra, quasi in silenzio.

Harry ne approfittò per osservarla, alla luce delle candele, chiedendosi come mai era stato così stupido in tutti quei mesi. Chiedendosi perché non aveva almeno provato a dirle quanto gli piaceva stare con lei, guardarla, ascoltarla, anche litigarci.

Era bella. Era attraente. Rompeva parecchio in alcune occasioni ed era cocciuta. Ma quel sorriso… e tutto il resto… persino il cervello era bello!

Ginny, fatta la sua mossa alzò lo sguardo sorpresa dal silenzio e dalla serietà della sua espressione.

“Cosa c’è?”

“Mi sono innamorato” disse senza controllo Harry.

“Oh…” Non si aspettava una frase del genere. Non in quella situazione. “Di chi?” Era importante conoscere il nemico, si disse Ginny.

“Fammi le domande giuste a troverai la risposta giusta.” Harry si mise seduto di fronte a lei. Non lo aveva pensato, ma gli era arrivata alla mente di colpo l’idea di poterglielo dire… un po’ alla volta.

Ginny si era pietrificata sul posto.

“Non ho voglia di giocare Harry, non stasera.” Gli rispose brusca.

Harry restò in silenzio. Non sapeva come proseguire.

Ma per Ginny era troppo starsene zitta in attesa di farsi calpestare i sentimenti da qualcun altro con una stupida osservazione: se Harry cominciava ad uscire con una ragazza ne avrebbero parlato tutti. Meglio prepararsi a recitare la parte dell’amica contenta e informata.

“Come si chiama?” Gli chiese.

“Eh dai! Così non vale. Solo domande generiche.”

“Età?” sbuffò la rossa.

”Più o meno la mia.”

“Harry, tutti qui hanno più o meno la tua età. Così posso solo eliminare la McGrannit o la Cooman!”

Harry ridacchiò: “Più o meno la mia età. Letteralmente.”

“Ok.” Sbuffò. “Casa?”

“Escludi i Serpeverde.”

“Sempre meglio. Come cercare un elfo in un castello. Colore dei capelli?”

“Particolare.”

“Cosa significa?”

“Non comune, insolito.”

“Beh… Hanna si è tinta i capelli blu elettrico qualche mese fa…”

“Completamente fuori strada. Un altro tentativo.”

“La vedi spesso?”

“Anche troppo spesso. A volte.”

“Seguite le lezioni insieme?”

“No. Non tutte.” Harry sperò che non chiedesse subito quali perché lo avrebbe scoperto e si stava divertendo.

“Allora partecipa all’E.S.?”

“Sì.”

“Allora… Hermione e Luna sono impegnate, le sorelle Patil non hanno i capelli di un colore insolito. Neppure Susan e poi non ha lezione con te. Cho immagino di no… non c’e nessun altro, Harry!” Ginny aveva contato le ragazze sulle dita della mano mentre le nominava, sempre più preoccupata di trovare il nome giusto.

“Scarsa memoria Weasley.”

“Davvero… chi altro c’è? Lavanda!” Il tono era molto sorpreso.

“No.” Harry chinò la testa di lato e rimase a guardarla.

“Harry, non vale. Nessun’altra ha i capelli di un colore insolito, partecipa all’E.S., è a lezione con te, ha un anno più o meno di te. Potrebbe forse starci Cho… è lei?!” Il cuore aveva smesso di battere. Davvero.

“No, Ginny. Assolutamente. Dai, chi sono le ragazze nell’E.S.?”

“Le ho nominate tutte! Oppure ti piace qualcuna che è già impegnata?”

“Manca solo la ragazza che mi piace.” Harry le sorrise apertamente. Sembrava impossibile che Ginny non riuscisse a trovare la soluzione.

Lei rimase in silenzio a ripensare a tutte le compagne dell’E.S, ma le aveva nominate tutte.

“Ok, un’altra domanda.” La incoraggiò Harry.

“Boh… non so.” Silenzio. “Gioca a quidditch?” lo chiese con una smorfia.

“Si.”

“In che squadra?”

“Griffondoro.” Il sorriso era ancora lì.

Ginny lo guardò come se avesse detto una cosa strana, poi lentamente spalancò gli occhi e aprì la bocca sorpresa.

“Ha i capelli rossi, un anno meno di me, andiamo insieme a lezione da Piton, partecipa all’E.S. e a quidditch, almeno credo lo faccia ancora. Dimmi un nome.” Harry aspettò una risposta.

“Ginny…” sussurrò.

“La mia piccola Weasley. Sorellina di Ron. La mia ragazzina rompiscatole.”

“Ne sei sicuro?” Ginny sembrava quasi spaventata.

“Sì.” Harry rise divertito dalla domanda. “Sorpreso come te. Abbracciandoti mi sono detto che non potevo aspettare ancora. Che era quello che volevo fare. Ma da tanto tempo.” Adesso stava arrossendo.

“Non prendermi in giro, Harry. Non ce la farei.” Ginny si era alzata in piedi e lo guardava dall’alto in basso.

“Prenderti in giro? Ti ho detto che mi piaci, Ginny. Solo che ci ho messo parecchio a capirlo e a decidermi a dirtelo. Non ti prenderei in giro su cose serie come queste.” Le si era alzato e le aveva messo le mani sulle spalle.

Ginny lo abbracciò all’improvviso con forza, stritolandogli le costole fino a fargli male. Harry fu costretto ad allontanarla un po’ ridendo e guardandola sbalordito.

Ginny teneva lo sguardo basso. Harry le mise una mano sotto il mento e le guardò il volto dove stavano scendendo dei grossi lacrimoni.

“Ehi… come mai?”

“Non ci speravo più, dopo tutti questi mesi.”

Harry rimase senza parole, un po’ triste per non essersi accorto prima dei suoi sentimenti per lei e orgoglioso per essere stato al centro dei suoi pensieri per così tanto tempo. Aveva colpito il cuore giusto.

“Posso baciarti anche se piangi?” Chiese timidamente. C’era qualcosa che non andava se tutte le ragazze che baciava piangevano!

Ginny si asciugò le lacrime dicendo:

“Non voglio avere un ricordo del primo bacio con le lacrime agli occhi.”

Ah, allora non era a causa sua. C’erano modi diversi di affrontare la cosa.

“Ginny… ne sai più di me in queste cose, credo.” Harry si sentiva un perfetto imbranato adesso. Che figura avrebbe fatto? Non sapeva quasi baciare.

“Allora impegnati a recuperare il tempo perduto.” Rispose timida lei.

Harry era ancora incerto. Avvicinò le labbra a quelle di Ginny e … decise che era piacevole imparare cose nuove con lei.

 

Ron e Hermione aspettavano da più di un’ora in Sala Comune. Erano preoccupati, ma speravano che la conclusione fosse quella migliore possibile.

Erano abbracciati su una poltrona in silenzio. Ron le accarezzava i capelli. Ogni tanto si cercavano per un bacio più o meno lungo.

Alla fine Ron decise che era il momento di andare a vedere come stavano le cose. Si alzò di scatto e a lunghi passi uscì dalla Sala.

Arrivati davanti alla porta la cercarono e gentilmente bussarono.

Nessuna risposta e nessun rumore.

Hermione aprì la porta e entrò seguita da Ron.

Harry e Ginny si stavano baciando e abbracciando, in piedi al centro della stanza.

Ron si schiarì la voce con forza, prima che Hermione potesse fermarlo.

Immediatamente i due si staccarono, guardandoli.

“Data prevista del matrimonio?” chiese il rosso seriamente.

Hermione alzò gli occhi al cielo. Doveva imparare a baciarlo per farlo stare zitto.

 

Il ritorno a casa fu come al solito lungo e un po’ triste per la prospettiva del distacco. Breve, per fortuna, in quanto i signori Weasley, senza che nessuno fornisse loro informazioni dirette sulla situazione, aveva già invitato Hermione e Harry alla Tana dopo sole tre settimane.

Passarono il tempo a giocare e parlare. Ogni tanto, quando l’altra coppia, casualmente, non guardava, c’erano anche dei baci. Harry si sentiva un po’ sotto il controllo di Ron che si divertiva a lasciarglielo credere.

Draco tentò di litigare con Harry, ma Harry era molto più interessato a capire quali occhiate lanciava alla sua ragazza per controbattere ai soliti noiosi insulti sulla sua famiglia.

Alla stazione si ritrovarono di fronte alle tre famiglie per i saluti.

Un po’ imbarazzati per la situazione Ron e Harry non sapevano fino a dove potevano spingersi prima di lasciar andare le ragazze.

Hermione si avvicinò a Ron buttandogli le braccia al collo e avvicinandosi al suo volto per essere baciata.

Ginny prese le mani di Harry e le strinse guardandolo in attesa finché lui si decise a baciarla.

Lo zio Dursely li guardò orripilato. I signori Granger attesero, un po’ imbarazzati dalla novità, scambiandosi occhiate e sorrisi con i signori Weasley.

I quattro amici si sorrisero ancora salutandosi. Li aspettava un’estate insieme. E un altro anno ad Hogwarts insieme. Sempre che la rabbia di Vodemort non esplodesse prima.

  
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