Londra, Settembre
1530 – I Care
“Maestà, grazie mille..”
Inginocchiato e con il viso basso, il dottor Griffith stava di fronte a
Caterina, che lo aveva appena nominato suo medico personale. La Regina lo
guardò ed annuì in silenzio, compiaciuta dalla sua rispettosa devozione. Fatti
un paio di passi, gli si avvicinò e gli toccò la spalla, facendogli capire che
poteva rialzarsi.
“Dottor Griffith, è un piacere per
me avervi nominato medico personale. Sono certa che sarete degno dell’ufficio
che vi è stato posto fra le mani..” Disse lei a voce alta, in modo che tutti i
consiglieri loro intorno e chi era presente nella sala del trono udissero le
sue parole. Isabel e Joàn, uno di fronte all’altro, contenti per la buona sorte
capitata al dottor Griffith, si guardarono e si sorrisero.
Erano passate due settimane da quel
bacio e in quel periodo la Principessa era dapprima tornata a corte e poi,
gradualmente, al suo lavoro ed ai suoi uffici. Caterina, benché assai
impegnata, aveva cercato di vederla tutti i giorni e di starle accanto.
Rivedersi, quindici giorni prima, e tutto quello che era scaturito da quella
visita, era stato importantissimo sia per la Regina che per la Principessa, ed
esse si sentivano legate ancor più profondamente e più consapevolmente di
quanto fosse mai stato in passato. Soprattutto in quello che riguardava il
lavoro allo spedale a Londra, che Isabel aveva ripreso da pochi giorni, e per
quanto concerneva quello per malati di sudor
a Windsor, madre e figlia cominciavano a capirsi più velocemente ed a
concordare su modi di agire e persone da coinvolgere. La più grossa perplessità
della Sovrana riguardava chi porre a capo della struttura londinese. Il delfino
di Griffith, o comunque il medico che egli considerava come tale e di cui si
fidava maggiormente, era Joàn, ma era impensabile che gli venisse affidata la
responsabilità di entrambi gli spedali, ed essendo il giovane a capo di quello di
Windsor, si doveva trovare una soluzione. Nemmeno il dottor Griffith avrebbe potuto
occuparsi di quella questione: avendo nelle sue mani la salute della Sovrana,
egli doveva essere reperibile in ogni istante ed i due uffici erano
evidentemente incompatibili. Negli ultimi tre giorni l’anziano medico e Joàn
erano stati continuamente a colloquio con Caterina, e le avevano sottoposto
diversi nomi, ma la Sovrana aveva storto regolarmente il naso. Di un candidato
non amava un aspetto, di un altro non ne apprezzava un secondo, ed alla fine i
due non avevano ricevuto il via libera su alcun nome.
“Devo parlarvi, Vostra Altezza..”
Sussurrò Joàn a fior di labbra, quando la ‘cerimonia’ di nomina terminò e i due
ragazzi ebbero la possibilità di avvicinarsi di qualche metro. Isabel lo guardò
annuendo e sorridendogli un poco. I due giovani, a dispetto del luogo in cui si
trovavano e del fatto di non essere da soli, rimasero a guardarsi in silenzio
per alcuni secondi, poi Joàn sorrise un ultima volta, si inchinò alla
Principessa ed andò via. Isabel lo seguì con lo sguardo fino a che non ebbe
lasciato la sala.
“Piccola, nostra madre ti chiama..”
Le sussurrò Maria all’orecchio. Concentrata come era su Joàn, Isabel fece quasi
un salto, quindi cercò di ricomporsi assumendo il suo abituale contegno, si
girò verso la sorella, annuendo.
“Certo, Maria. Grazie..” Rispose,
riuscendo perfino a sorriderle.
“Isabel, eccoti..”
La Principessa riverì la madre,
rispondendo al suo tenue sorriso, poi vide Joàn e il dottor Griffith. La loro
presenza la confuse per qualche istante. Perché mai si trovavano lì? Di cosa
mai dovevano parlare con la Sovrana? Mentre cercava una risposta a queste
domande, i suoi occhi incontrarono quelli di Joàn. Lo scambio di sguardi con il
giovane la fece arrossire fino alle orecchie, ed anche lui, pochi istanti dopo,
si affrettò a distogliere lo sguardo, per indirizzarlo direttamente sul
pavimento. Se i due adulti si resero conto di cosa stava avvenendo, non lo
diedero a vedere.
“Mia Sovrana, la situazione dello
spedale di Londra necessita una qualunque risoluzione.” Disse il dottor
Griffith, rispondendo inconsapevolmente alle domande di Isabel. “E’ una
struttura grande, complessa, di una certa importanza, e non può contare e far
affidamento su un responsabile a mezzo servizio, o addirittura su
nessuno..Capite che non è più possibile procrastinare una scelta..” Caterina
sospirò, annuendo in silenzio. Il medico aveva ragione, su questo non c’erano
dubbi, ma tutti i candidati non la soddisfacevano pienamente e lei si fidava
ciecamente del proprio istinto, di quella voce che le indicava la via da percorrere.
“Io sono d’accordo con voi, dottore,
ma non c’è un candidato..” Obiettò lei, accogliendo comunque il suo
ragionamento.
“A dire il vero c’è, Maestà..” Si
permise di intervenire Joàn. La Sovrana corrugò per un attimo le sopracciglia,
e rimase in silenzio, facendogli capire di proseguire a parlare. Joàn si voltò
istintivamente prima verso Isabel, che cercò di restare impassibile, poi verso
il dottor Griffith che fece un veloce cenno di assenso con la testa,
spingendolo a spiegare alla Regina la soluzione che avevano in mente. “E’ un
medico che viene dalla Spagna, e che conosce la vostra famiglia.. suo padre ha
conosciuto vostra madre e per un certo periodo l’ha curata..”
“Bene, allora che aspettate? Fatelo
venire qui in Inghilterra e organizzate un incontro con me.” Esortò Caterina.
“E’ evidente che servano medici, e uno spagnolo credo sia preparato quanto uno
inglese.” Disse ancora lei. Griffith e Joàn si guardarono in silenzio,
perplessi da quanto aveva detto la Sovrana. Isabel li guardò di sottecchi e
sentì un brivido lungo la schiena.
“Maestà..” Cominciò il medico più
anziano. Caterina, intenta ad osservare per un attimo le espressioni a dir poco
dubbiose di Isabel e Joàn, non lo udì subito. “Il medico in questione non è
spagnolo.. E’ arabo, mia signora..” Spiegò finalmente, restando poi in attesa
della reazione della Sovrana.
“Cosa è lui?” Sibilò la Regina, con
gli occhi sbarrati dalla sorpresa e da qualcos’altro che divenne in un attimo
collera. “Un infedele non metterà mai piede alla corte d’Inghilterra!!”
Aggiunse, alzando notevolmente il volume della voce. Il povero dottor Griffith
rimase del tutto sconvolto dalla reazione di Caterina. Non si aspettava un
totale rifiuto e mosso dall’istinto si volse verso Isabel, in cerca di aiuto.
“Madre, vi prego..” Si mosse subito la
Principessa, avanzando di un paio di passi verso di lei. Quando le giunse
davanti, appoggiò la mano sul suo braccio e la guardò dolcemente. “Madre, per
piacere.. vi chiedo di considerare solo un colloquio con quest’uomo. In fondo,
che male può fare? E’ un uomo di scienza, e sono certa che è un uomo di Dio,
anche lui..”
Quelle parole furono per Caterina
peggio di una scudisciata in piena faccia. Alzò gli occhi sulla figlia e la
guardò con un gelo ed una severità tali che Isabel dopo pochi istanti tolse la
mano dal braccio di lei.
“Quell’uomo non metterà mai piede
qui, mi sono spiegata?!” Avvertì la Sovrana, alzando gli occhi sul dottor
Griffith, che si affrettò ad annuire.
“Vi chiedo scusa, Maestà..” Mormorò
lui, sinceramente costernato e spiazzato da quella situazione. “Non avevo
conoscenza di questa vostra avversione e..” Cominciò a dire, per poi
trattenersi. Caterina lo vide fissare Isabel e comprese all’istante come
stavano le cose.
“Filate in camera vostra, Altezza..”
Ordinò ad Isabel, guardandola di nuovo con severità. La Principessa le sorrise
e tentò un ultimo dolce assalto.
“Maestà, vi prego. Lasciatemi..”
“Obbedite.” A Caterina bastò
pronunciare quell’unica parola che Isabel obbedì all’istante.
“Oh, piccola!!”
L’espressione le uscì di bocca prima
ancora che Maria potesse controllarla, ma quanto aveva fatto Isabel era stato
sciocco, imprudente ed incredibilmente pericoloso. Sentendosi autorizzata in
qualità di sorella maggiore, scosse la testa e, mani sui fianchi, si girò verso
di lei per continuare la filippica. Quello che vide però la fermò. Seduta per
terra, davanti alla finestra ed a capo chino, Isabel era muta. Era stata una
lotta farsi dire cos’era successo, ed alla fine Maria aveva dovuto tirarle
fuori le parole con le pinze. Una per una. Con una sofferenza indicibile. Ora,
vedere la sorellina in quello stato le spiaceva, profondamente. Ammirava Isabel
per la sua costanza e per il suo coraggio, anche se a volte si metteva in
situazioni più grandi di sé, come in questo caso. Quando poi mamma e figlia
entravano in rotta di collisione, erano fuochi d’artificio a ripetizione.
Sapeva che sua madre adorava la sorella, ne aveva parlato con lei tante volte,
ma in qualche modo temeva il comportamento spontaneo, vivace e sempre pronto
all’azione di Isabel. Non riusciva mai a disciplinarla in modo totale e questo
le provocava quasi angoscia, oltre che un’enorme confusione.
“Dai, tesoro, vedrai si aggiusterà
tutto.” La incoraggiò, accosciandosi di fronte a lei e provando ad alzarle il
viso. L’espressione negli occhi Isabel era terribile da sostenere: confusione,
senso di responsabilità e di fallimento si mescolavano, e la giovane Principessa
abbassò immediatamente gli occhi a terra.
“Vostra Altezza..” Lady Salisbury,
la vecchia governante di Maria, entrò nella stanza e si rivolse alla
Principessa. La ragazza si alzò e le si avvicinò, girandosi ogni tanto a
guardare Isabel e come stesse.
“Siete sicura?” Chiese Maria, e la
dama annuì sicura.
“Sì, Vostra Altezza. Sua Maestà non
mangerà assieme a voi.. Anzi vi esorta a non tardare.”
A quelle parole, Isabel alzò il viso
e incrociò gli occhi con la sorella, che istintivamente si era girata verso di
lei.
“Maestà, vostra figlia è qui..”
Annunciò lady Willoughby. Seduta di fronte al camino in preghiera, Caterina
alzò automaticamente gli occhi sull’orologio posto sulla mensola del camino.
Erano le dieci passate, che mai poteva doverle dire Maria? Cosa era così
urgente da non poter aspettare?
“Fatela entrare, coraggio..”
Incoraggiò la dama, che annuì immediatamente e si voltò verso la porta,dove la
principessa attendeva. La giovane annuì in ringraziamento e poi entrò nella
stanza della madre, riverendola immediatamente.
“Perdonate l’orario, madre..”
Mormorò Isabel. Caterina la fissò con occhi di ghiaccio e rimase seduta dove
era. La costrinse a restare in piedi, come faceva con coloro che non voleva
mettere a proprio agio ed a cui voleva far pesare tutta la differenza di rango
e di posizione.
‘Ben
mi sta! Me la sono proprio cercata!’ Pensò Isabel, cercando di sostenere lo
sguardo di sua madre. Poi ingoiò l’orgoglio ferito e si decise a vuotare il
sacco.
“Madre, volevo chiedere scusa per
oggi..” Cominciò, cercando di tenere un tono fermo e convinto. “Non volevo
agire alle vostre spalle, ve lo posso assicurare. Mi sono solo proposta di fare
da tramite tra il dottor Griffith e voi affinché..”
“E da quando avete l’autorità, la
competenza ed il prestigio per fare da tramite?” La interruppe sua madre,
servendola. Isabel chiuse gli occhi ed ingoiò, cercando di non perdere la
propria compostezza.
“Comunque sia andata, madre, questo
medico è una persona seria, competente e stimata. Mi chiedo perché non possa..”
Riprese Isabel, che fu interrotta dalla madre.
“Nessun moro infedele oserà mai
entrare in Inghilterra, meno che mai metterà le sue mani lorde su un inglese,
per povero che sia..” Ribatté Caterina, dicendo una menzogna enorme, ma in quel
momento necessaria.
“Mamà,
sapete che non è vero..” Obiettò Isabel con dolce fermezza, e gli occhi di
Caterina per un attimo la fissarono fiammeggianti. “La loro medicina è migliore
della nostra. Si basa sulla scienza, su una miglior conoscenza del corpo umano,
su dati più certi di quelli che possediamo noi..” Insisté ancora. Caterina
sospirò e poi si appoggiò allo schienale della sedia, le mani strettamente
intrecciate in grembo. Isabel la osservò attentamente: sua madre era
visibilmente stanca, ma se avesse ceduto e fosse andata via, avrebbe perso
un’occasione forse unica. Con coraggio andò verso di lei e le si accosciò di fronte.
“Lo sapete anche voi, mamà, queste cose le avete viste con i
vostri occhi. Far entrare un medico arabo non significherà certo abiurare alla
nostra fede, o permettere confusione su cosa sia importante e cosa no..”
Mormorò posando le mani su quelle di lei. “Aprire lo sguardo ad altri mondi non
significa rinnegare quello che conosciamo ed amiamo.. anche a voi è capitato
venendo qui.. avreste mai immaginato che l’Inghilterra sarebbe stata così
diversa da come vi aspettavate? Avreste mai immaginato di potervi vivere bene?
Eppure, col tempo, vi siete perfettamente inserita ed ora siete parte di questo
mondo. Siete la risorsa più preziosa di questo Regno, mamà. E tutto questo senza perdere il vostro accento, i vostri
modi, la vostra visione..”
Le parole di Isabel stavano portando
Caterina a cedere. La sua creatura era stata brava a trovare gli argomenti
giusti. In fondo alla mente pensò che quanto diceva non erano cose così
sconvolgenti ed astruse.. Poi però.. poi però tornò al porto sicuro del suo
rigore e della sua intransigenza, e scosse la testa.
“Ho detto di no, Vostra Altezza..”
Impose, irrigidendosi sulla sedia e tirando via le proprie mani dalla presa
della figlia. Ma la sua voce non dovette essere molto convincente perché lei
insisté.
“E se una delle loro procedure
salvasse la vita del Re?” Chiese Isabel, azzardandosi su un terreno più che
pericoloso. “Una di quelle che tanto disprezziamo e che riteniamo da
infedeli..”
“Non ci si può certo sottrarre alla
volontà di Dio, Isabel!! Ciò che Lui ha preparato è buono e giusto e sta a noi
accettarlo con buona grazia.” Rispose la Regina, irritata dall’impudenza della
figlia. Ma la Principessa non si arrese e tentò un’ultima carta.
“E se servisse a salvare Maria?”
Chiese dolcemente, posando la testa in grembo alla madre e chiudendo gli occhi,
come quando era piccola. “O me…” Aggiunse dopo qualche istante.
Nella stanza calò il silenzio più
totale. Colpita a freddo da quelle domande, Caterina non fu più in grado di
rispondere in alcun modo. L’idea di perdere Enrico era intollerabile, e ciò,
nonostante l’enorme male che il marito le aveva fatto, ma quella di dire addio
alle sue figlie era impensabile. Maria era l’erede designata, e la sua perdita
sarebbe stata terribile, una tragedia senza fine, per se stessa e per il Paese.
Quindi doppiamente dolorosa.
La morte di Isabel era una cosa che
Caterina non aveva mai considerato fino in fondo, nonostante la mortalità
infantile e giovanile assai alta, e le diverse occasioni di pericolo che si
erano verificate nella vita della figlia. All’improvviso si rese conto che non
avrebbe mai potuto sopportare un’eventualità del genere. Un profondo senso di
angoscia ed un dolore sorprendentemente fisico le attanagliarono la bocca dello
stomaco, e lei sentì risalire l’amaro dei succhi gastrici fino in gola. Il
cuore le martellava nel petto ed era sicura che se si fosse alzata da quella
sedia non avrebbe retto e sarebbe svenuta. Le sue mani si chiusero sui
braccioli, fino a che le nocche non divennero bianche e quasi insensibili.
‘C’è
qualcosa che non va..’ Pensò Isabel sentendo da troppo tempo la mamma ferma
e zitta. Quella frase, forse un po’ forte, era stata la sua arma per farla
capitolare, ma non aveva previsto quel silenzio. Così aprì gli occhi ed alzò il
viso su di lei. Gli occhi di sua madre erano sbarrati per la collera e per
l’enorme dolore. Isabel si rese conto che quanto aveva detto era stato incredibilmente
crudele e che Caterina era sull’orlo delle lacrime. Il viso era livido di
rabbia repressa ed era tremendamente pallido, eccettuati dei rossetti sulle
guance. Non l’aveva mai vista a quel modo e la giovane ne ebbe assieme spavento
e infinita pena.
“Perdonatemi..” Mormorò tirandosi su
sulla schiena, pur restando in ginocchio. “Vi prego, perdonatemi, mamà..” Pian piano alzò una mano per
accarezzarle la guancia e si avvicinò alla sua sedia. Quanto desiderava non
aver detto nulla!! Quanto avrebbe desiderato rimangiarsi tutto!! Si chiese
perché non avesse proseguito sulla strada della dolcezza e del tenero
convincimento, invece di intraprendere quella della paura. Non appena le sue
dita accarezzarono la guancia della mamma, questa si ritrasse, inorridita.
“Filate immediatamente in camera vostra..”
sibilò con voce sorda. Isabel la guardò senza tuttavia riuscire ad obbedirle.
Non le aveva mai sentito quella voce, nemmeno nei giorni peggiori del loro
legame ed era realmente spaventata dall’idea d’aver combinato un guaio enorme.
Aprì la bocca per provare almeno a rinnovare le proprie scuse, ma la madre la
guardò con un tale gelido furore, che le parole le morirono sulle labbra, una
per una. Prima che la situazione potesse degenerare, decise di andare via. Pian
piano si alzò, poi guardò per qualche istante sua madre, per vedere se ci fosse
almeno modo di non salutarsi a quel modo prima di andare a letto, ma lei girò
il volto alla propria sinistra, rifiutandosi addirittura di rivolgerle lo
sguardo, oltre che la parola. Isabel si chinò su di lei e posò le labbra sulla
sua tempia, restando qualche secondo in quella posizione.
“Perdonatemi..” Mormorò un’ultima
volta, prima di inchinarsi a sua madre e poi uscire dalla stanza di lei,
camminando all’indietro. Caterina rimase ferma nella posizione in cui era, e
solo quando Isabel lasciò la stanza, si alzò e andò a letto.
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“Piccola, forse è il caso che tu venga
con me..” Isabel alzò gli occhi dalla viola da gamba su cui si stava
esercitando da oltre tre ore e sospirò.
“Non credo sia una buona idea che io
mi faccia vedere, sai, Maria..” Mormorò a voce assai bassa, giocando con
l’archetto.
“Tirati su o giuro che ti prendo in
braccio e ti porto alla sala del trono..” Insisté Maria. La sorella la guardò,
un po’ stranita. Non era da lei insistere a quel modo, e con quel frasario, per
giunta.
“Va bene, va bene. Obbedisco.”
Rispose alla fine Isabel. Soddisfatta del risultato raggiunto, Maria sorrise ed
uscì di corsa dalla stanza. La giovane principessa sospirò e poi, con molta
calma, ripose lo strumento e l’archetto nella custodia.
In quei dieci giorni aveva scelto di
sparire un po’ dall’orizzonte della mamma, preferendo lasciarla tranquilla e
libera di calmarsi e sbollire la rabbia. Isabel si era chiusa letteralmente
nelle proprie stanze, dedicandosi agli esercizi di viola, che aveva trascurato,
ed allo studio di diversi testi che mastro Hilliard e sir More le avevano
affidato. Sir Thomas era stato nominato da Caterina suo tutore, e nonostante i
molti uffici come Cancelliere, riusciva a farle lezione, o a darle da studiare
praticamente tutti i giorni. La giovane Principessa si era tuffata nelle cose
da fare per non pensare a cosa aveva combinato e si era volontariamente
confinata in un’ala assai piccola del palazzo, pur di non incrociare la mamma. Caterina
le era mancata in maniera tremenda, e in diversi momenti era stata tentata di
rompere quel volontario esilio, coprirsi il capo di cenere e chiedere
pubblicamente scusa a sua madre. Ma ogni volta che ci pensava, si ripeteva con
forza che era solo per il suo orgoglio che lo faceva e che la sua azione non
avrebbe fatto altro che mettere in imbarazzo e in difficoltà la Regina. Così vi
rinunciava, si chiudeva in stanza e non usciva se non per mangiare.
Ora, che Maria l’avesse richiamata,
non solo era una cosa di cui ignorava le motivazioni e che non si spiegava, ma
era una situazione potenzialmente pericolosa, perché la metteva in condizione
di incrociare la mamma dopo quanto era successo. E questa, dato che lei non
l’aveva cercata in quei giorni, né l’aveva fatta chiamare in alcun modo, era
una cosa che a Isabel non piaceva per nulla. Nel tentativo di procrastinare
l’inevitabile arrivo alla sala, la giovane percorse con indicibile lentezza i
corridoi, fermandosi ad ogni vetrata non meno di cinque, sette minuti. Avrebbe
fatto di tutto pur di sottrarsi a quell’incombenza.
“Altezza!” Troppo immersa nei suoi
pensieri, Isabel non si accorse nemmeno che Joàn le era venuto incontro,
l’aveva riverita e poi aveva preso a parlarle.
“Che volete, señor
Fernandez?” Chiese Isabel. “Vi prego di scusarmi, sembra io abbia dimenticato
le maniere civili..” Troppo felice di vederla, Joàn scosse la testa, sorridendole,
ed allungò una mano verso quella di lei.
“Devo parlarvi, Altezza!!”
Le disse, entusiasta. Isabel corrugò le sopracciglia e lo guardò senza capire.
“Non capisco, señor
Fernandez..” Tentò di dire lei, ma Joàn le prese una mano, cominciò a camminare
verso la prima vetrata aperta e, assieme a lei, uscì in giardino.
“Mamà, non so davvero dove possa essere.” Constatò Maria. Caterina
sospirò, visibilmente tesa, e si voltò verso lady Thorston.
“Ditemi, almeno voi lady
Thorston, che sapete dove sia mia figlia.” Disse spazientita la Sovrana. La
povera governante abbassò leggermente lo sguardo, costernata.
“Mi dispiace, Maestà. L’ho
cercata dappertutto, ma senza successo. Nelle sue stanze non c’è, nei corridoi
qui intorno idem; nessuna delle guardie del palazzo o delle sue dame sembra
averla vista.” Rispose lady Joan. La Regina scosse la testa, quasi sconsolata;
dove diavolo si era cacciata quella testarda e vivace creatura? Per ben dieci giorni
aveva evitato di vederla e non l’aveva mai mandata a chiamare, facendole
sentire il peso tremendo della sua collera per quanto Isabel aveva affermato ed
osato ventilare quella famosa sera. Ora, all’improvviso Caterina si chiese se
Isabel fosse rimasta male per quel comportamento e se quel rigore e quella
disciplina estrema non fossero eccessivi dopo il ragionamento che la figlia le
aveva prospettato. In quei giorni di pausa, Caterina aveva riflettuto
seriamente su ciò che Isabel aveva detto e si era resa sempre più conto che sua
figlia aveva ragione. I medici arabi erano di gran lunga i migliori in Europa e
la loro medicina era solida, basata su una migliore scientificità e rispettata
da tutti. Tutte cose assolutamente imprescindibili. Quella conclusione le aveva
fatto fare marcia indietro e, richiamato il dottor Griffith, aveva annunciato
che avrebbe incontrato il medico arabo. Qualora egli le avesse fatto una buona
impressione, avrebbe lavorato per loro, nello spedale di Londra. Il suo medico
personale, contento e soddisfatto si era allora immediatamente attivato per far
arrivare l’uomo dalla Spagna. A tappe forzate, e dopo appena sette giorni di
viaggio a cavallo, Yousuf al bin Ismail era arrivato a Londra.
“Maestà, il medico è
arrivato..” Annunciò sir Thomas More. “Non c’è più tempo, Maestà..” Caterina
annuì e, a malincuore, lo seguì verso la sala del trono.
“Dite davvero?” Esclamò
Isabel al settimo cielo. Gli occhi le si illuminarono e la bocca si aprì al più
felice dei sorrisi. “Oh, señor Fernandez, è un
giorno memorabile questo!!” Proruppe alzandosi in piedi. Joàn la guardò, felice
anch’egli. Era bellissima, nel suo abito blu e rosa antico. Il velluto la
fasciava meravigliosamente e i semplici gioielli che portava esaltavano ancora
di più i suoi colori. Le guance le si imporporarono per l’eccitazione,
facendola ancora più bella.
“Sì, Altezza.” Rispose lui
guardandola e sorridendole. “Lo è davvero..”
“Il vostro contributo è
stato fondamentale..” Disse Isabel di slancio, sedendosi di nuovo accanto a
lui. “Sono certa che è così..” Ribadì. Sapeva che sua madre lo teneva in grande
considerazione, ed era certa che col dottor Griffith doveva aver tentato di
convincerla della bontà del loro progetto e della loro ‘nomina’.
“No, Altezza..” Disse lui
prendendole una mano. “Il merito è tutto vostro..” Aggiunse, alzando una mano
ed accarezzandole la guancia con il dorso delle dita.
Istintivamente Isabel
chiuse gli occhi ed espirò lentamente. La mano di Joàn era calda ed il suo
tocco deciso, ma delicato. Le dita del giovane scesero sotto la mandibola di
Isabel e poi lei sentì il suo alito caldo contro il proprio orecchio.
“Siete meravigliosa..
coraggiosa, spavalda, appassionata, compassionevole..” Mormorò Joàn. D’impulso
Isabel aprì gli occhi e, voltandosi verso di lui, gli posò le labbra sulla
guancia.
“Eccovi finalmente!!”
Disse all’improvviso una voce che Isabel riconobbe subito. Pian piano staccò le
labbra dalla guancia di Joàn e guardò nella direzione della voce, alzando
appena gli occhi. Sapeva di essere rossa come un tizzone ardente, e si sentiva
le guance bollire, letteralmente. Accanto a lei, Joàn si alzò subito e si
inchinò. Subito dopo la giovane principessa fece lo stesso.
Di fronte a loro, ritta,
accigliata ed accompagnata da lady Willoughby e lady Thorston, stava Caterina.
Per quanto fosse sollevata dall’aver ritrovato la figlia, non poteva ignorare
dove e con chi l’avesse pescata.
“Maestà..” Disse Joàn, con
il suo solito tono cordiale ed allegro. Caterina lo salutò con un tenue sorriso
e poi puntò i suoi occhi sulla figlia, che tenne i propri bassi e praticamente
incollati al terreno.
“Señor
Fernandez, vi dispiacerebbe lasciarci da sole?” Chiese la Sovrana, con un certo
piglio deciso nella voce. Il nobiluomo annuì immediatamente e dopo aver
omaggiato sia Caterina che Isabel, si allontanò. Dopo qualche istante anche
lady Willoughby e lady Thorston si avviarono sulla strada che conduceva a
palazzo. Caterina ed Isabel rimasero così una di fronte all’altra, in silenzio.
La prima ad avvicinarsi fu la Sovrana. Sapeva che se avesse aspettato la
figlia, avrebbe atteso a lungo, così decise di rendere più semplici le cose e
fece qualche passo verso di lei. Sorprendentemente e come scossa da una
frustata, Isabel si avvicinò a sua madre e poi si chinò di fronte a lei, in una
riverenza profonda e completa.
“Perdonatemi, mamà, vi prego. Perdonatemi..” Mormorò
posando la fronte sul vestito di Caterina e chiudendo gli occhi.
Per alcuni istanti, la
Regina non disse e non fece nulla, forse da una parte troppo sorpresa da quanto
Isabel aveva fatto, e forse dall’altra come se attendesse che il gesto della
figlia potesse ad un certo punto avere un termine. Quando fu chiaro che non
sarebbe stato così, allungò una mano verso il viso di Isabel e la posò sulla
gota della figlia. Sentendola umida di lacrime, si accosciò di fronte a lei. Il
viso di Isabel, davvero contrito e rigato dal pianto silenzioso, la commosse
profondamente. In silenzio e con estrema delicatezza, le asciugò le lacrime con
i pollici, poi la abbracciò, stringendola forte a sé.
“Buonanotte Maria..”
Mormorò Caterina. L’amica le sorrise e poi, dopo la solita riverenza, lasciò la
stanza della sua signora. Dopo l’incredibile e lunghissima giornata, la Sovrana
si guardò tutt’attorno, quasi non credesse di essere finalmente tutta sola. Era
davvero stanca, ma l’enorme adrenalina non le permetteva di aver ancora sonno.
Sul comodino accanto al letto era posato un sacchetto di velluto blu, chiuso da
un nastro rosso vermiglio. Lo prese in mano e ne aspirò il forte profumo di
spezie. Era un profumo che conosceva bene e che la fece immediatamente tornare
indietro di più di trent’anni.
“Così
voi sareste Yousuf al bin Ismail..” Constatò Caterina, osservando l’uomo che la
raggiunse in giardino. Yousuf annuì, e dopo un breve inchino, le sorrise,
mostrando una fila di denti bianchi come il latte e perfetti. Era alto quasi
uno e novanta ed era massiccio, robusto e solido. La pelle, nera come l’ebano,
era splendidamente avvolta in un vestito arabo multicolore che egli indossava
con disinvoltura, nonostante la giornata fresca e uggiosa.
“E
voi siete certamente Caterina d’Aragona.” Rispose lui, quasi divertito,
mostrando di non avere nei suoi confronti alcun timore reverenziale, pur
trattandola con il rispetto che il suo ruolo e la sua condizione esigevano e
richiedevano. A quella risposta, il volto della Sovrana si contrasse per alcuni
istanti; lady Willoughby e il dottor Griffith si guardarono, imbarazzati dalla
schiettezza del medico.
“Non
vi manca certo l’audacia..” Commentò Caterina, socchiudendo gli occhi. “E
nemmeno la sfacciataggine e l’impudenza.” Lo scudisciò. Yousuf la guardò,
serafico, come se non avesse appena ricevuto un’offesa. Abbassò leggermente il
capo, per poi rialzarlo.
“Non
mi avete chiamato qui per vedere come sono fatto, Maestà, né come è il mio
carattere.” Le rispose lui, diretto e sincero. Caterina rimase spiazzata da
quella risposta. Da sempre amava e faceva di tutto per circondarsi di persone
sincere e che le dicevano la verità, a differenza di Enrico che preferiva
essere attorniato da persone che facevano di tutto per lusingarlo e fargli
credere cose che non erano vere, solo perché lui voleva così. Tuttavia la
sincerità e la quasi brutalità di Yousuf l’avevano spiazzata.
La
Regina ammise che quell’uomo aveva ragione. Non doveva piacerle, era lì perché
giudicasse l’opportunità di averlo lì, in una struttura che era legata al suo
nome ed alla sua reputazione. In un certo senso doveva giudicare la sua
competenza. Non essendo medico sarebbe stato assai difficile, ma insomma ormai
aveva accettato di incontrarlo, quindi tanto valeva..
“Venite,
camminiamo un po’..” Gli disse lei. Yousuf annuì velocemente, e subito lady
Willoughby e il dottor Griffith fecero un passo. “Da soli..” Puntualizzò
Caterina.
Dopo
un po’, e dopo un paio di battute generiche su dove fosse cresciuto e che cosa
avesse fatto fino a quel momento, Caterina lo guardò e chiese, a bruciapelo.
“Come
curereste una febbre?”
Yousuf
la guardò, corrugando le sopracciglia. Non si aspettava delle domande così
tecniche e per alcuni istanti rimase in silenzio. In realtà i modi di curare
una febbre non erano poi molti, e una febbre da sola poteva essere una cosa
senza importanza, oppure un elemento fondamentale che poteva determinare la
vita o la morte di una persona.
“Alleggerirei
la persona..” Rispose alla fine. “Abiti, coperte, scialli e quant’altro.. tutto
ciò che concorre a mantenere su la febbre deve essere eliminato..” La Sovrana
non disse nulla, e continuò a camminare.
“E
se qualcuno stesse soffocando?, che fareste?” Chiese di nuovo, con
un’espressione strana negli occhi. Yousuf la osservò bene, poi guardò davanti a
sé.
“Gli
libererei la gola, nel più breve tempo possibile..” Rispose asciutto.
“E
usereste delle pezze bagnate per abbassare la febbre?” Chiese ancora. Prima che
Yousuf potesse rispondere, parlò ancora. “E dove le mettereste? Ditemi!!,
dove??”
“Sapete,
quando ho saputo che volevate vedermi, non volevo crederci.. Non abbiatene a
male, Maestà, ma siete l’ultima persona che pensavo avrebbe potuto chiamare
me..” Disse lui, sincero.
“Lo
so..” Ammise lei. “Ma qualcuno mi ha detto che la vostra medicina è migliore
della nostra..” Replicò lei. “Anzi me lo ha ricordato, perché in realtà, io lo
sapevo già.. anche se facevo finta di non ricordare, e mi ostinavo a negare
l’evidenza..” Yousuf annuì e sorrise.
“Deve
avere avuto vita difficile quel qualcuno..” Si permise di commentare. Caterina
lo guardò, gli occhi spalancati dall’impudenza delle sue parole, ma la bocca
distesa in un sorriso. Quell’uomo le piaceva. Era irriverente e di sicuro non
aveva timore di lei, ma era schietto e sincero. Le ricordava tremendamente
Isabel.
“Non
sono cose che vi riguardano, signore..” Rispose Caterina, cercando di marcare
la distanza da lui. Non gli riuscì molto bene, perché lui la guardò quasi
divertito.
“Sapete,
io mi ricordo di voi..” Disse ad un certo punto. “E mi ricordo di vostra madre.”
A quelle parole, la Sovrana, chiuse automaticamente gli occhi.
Erano
anni ormai che non parlava ad alcuno di Isabella, perfino ad Enrico, alle sue
figlie o a Maria de Salinas, e in certi momenti la sua presenza, le cose
condivise con lei, la sua figura, la sua voce, i suoi gesti erano ricordi
talmente vaghi che sembravano appartenere ad un’altra vita.
“Era
minuta, ma aveva la forza di un esercito, la volontà di una Nazione intera, e
la fede che smuove le montagne..” Ricordò Yousuf. “Nessuna donna ci ha
sconfitti a quel modo. E feriti solo la metà di quanto ha fatto lei..” Aggiunse
brutalmente, le mani improvvisamente chiuse a pugno..
“Lo
so, signore..” Ammise Caterina, posando la sua mano su quella di lui, e
sentendo per la prima volta compassione per quanto aveva passato quel povero
popolo. “Ma se lo vorrete, noi due, potremmo porre pace, lavorando assieme..”