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Autore: silverwings    28/06/2005    13 recensioni
C’è almeno una persona al mondo con cui è risaputo che non si possa avere a che fare senza nutrire l’incontrollabile desiderio di sopprimerla: è la propria nemesi naturale. E’ come avere la stessa carica. Negativo o positivo non fa differenza. E’ scientificamente provato che ci si respinge. E’ attestato per il 100% dei casi.
Ma la vita è un po’ diversa dalla scienza…
Genere: Romantico, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Seppur con 12 ore di ritardo, ecco a voi il terzo capitolo di The Draco and Hermione’s Opera

Seppur con 12 ore di ritardo, ecco a voi il terzo capitolo di The Draco and Hermione’s Opera!

A questo punto vi prego di ricordare la precisazione sui diritti d’autore che ho ribadito all’inizio del capitolo precedente, e mi costringo a rinnovare per l’ennesima volta la lentezza esasperante che caratterizzerà questa fanfiction e, più precisamente, il rapporto tra Draco e Hermione. So che in questo modo divento noiosa, ma mi dispiacerebbe troppo se qualcuno di voi, fosse anche uno solo su cento, si ritrovasse deluso per una cosa del genere: io detesto che le mie aspettative su certe questioni particolari vengano sistematicamente deluse!

Per quanto riguarda il contenuto di questo capitolo, posso anticiparvi che Harry e Ron saranno i protagonisti della prima parte e cominceranno a spiegare un po’ di cose della loro nuova vita. Ma soprattutto posso dirvi che è una sola parola a determinare l’inizio del vero cambiamento per Draco e Hermione, e quella parola si trova alla fine di questa pagina Web.

Vi ho incuriositi almeno un po’?

Ah, volevo anche dirvi che l’aggiornamento di settimana prossima salta: sono troppo presa col lavoro e con la maturità di mio fratello. Perciò, il quarto capitolo slitta a lunedì 12! (Mi spiace -_-)

The Draco and Hermione’s Opera

3° capitolo.

La nemesi naturale [parte seconda]

*** *** ***

You can be a dream of the grandest kind
You can withhold like it’s going out of style
You have the bravest heart that I’ve ever seen
And I’ve never met anyone who's as positive
as you are sometimes

Tu puoi essere un sogno della miglior specie
Tu puoi fingere che non sia nel tuo stile
Tu puoi avere il cuore più coraggioso che io abbia mai visto
E io non ho mai incontrato nessuno di così buono
come sei tu a volte

(Everything - Alanis Morissette)

*** *** ***

Mercoledì 13 Novembre. Ore 7.32
Londra.
Grimmald Place n° 12.

Camminava frettolosamente su e giù per la stanza. Passi brevi, ritmati. Secchi. Irritanti. Che schioccavano sul pavimento impolverato rimbombando per la vecchia casa diroccata. Si bloccò un secondo, per lanciare uno sguardo nervoso alla porta dimessa sulla sua sinistra, poi riprese la sua frenetica marcia.

« Ron, vuoi stare un po’ fermo?! » Sbottò spazientito il ragazzo seduto sul vecchio e rattoppato divano posto lì vicino. « Mi stai facendo venire il mal di testa! »

« Non ci riesco, Harry! » Replicò irrequieto, passandosi ansiosamente una mano tra i folti capelli rossicci. « Sono troppo agitato! »

« Già beh… questo lo vedo anche da me. » Commentò stizzito l’altro, notando con fastidio che non accennava minimamente a fermarsi.

« E’ perché non capisco per quale ragione debbano metterci così tanto! » Cercò di giustificarsi, inquisito dall’espressione infastidita dell’amico. Che, tra l’altro, non capiva come potesse starsene così tranquillo!

« Se è per questo non lo so neanche io. » Dichiarò piccato Harry, lanciando un veloce sguardo verso la stessa porta che aveva attirato la sua attenzione. « Ma non possiamo farci niente. Perciò fammi il favore di sederti. »

Esitò sul posto vuoto accanto all’amico.

In verità avrebbe preferito continuare a girare a vuoto per la stanza. Gli dava l’idea che l’avrebbe aiutato a rilassarsi. Del resto preferiva non discutere con Harry. Era una di quelle cose che nell’ultimo periodo era meglio evitare. Per un’infinità di motivi. Non ultimo dei quali il fatto che Harry non gli avrebbe risparmiato niente: se ci fosse stato da combattere, in qualsiasi modo questo potesse essere inteso, Harry sarebbe partito con un affondo. Avrebbe giocato per vincere, insomma.

E, di certo, contro di lui avrebbe vinto.

« Allora, ti siedi o no? » Insisté il moro inarcando un sopracciglio con disappunto.

Si affrettò ad obbedire e si sedette.

Questo, tuttavia, proprio come aveva temuto, non lo aiutò a rilassarsi. Cominciò a torcersi rumorosamente le dita delle mani. Si mise d’un fianco, poi dall’altro. Si grattò la testa un paio di volte. Poi ritornò nuovamente a sistemarsi sul divano. Accavallò una gamba, la rimise a posto. Accavallò l’altra, e rimise a posto anche quella. Si mise le mani in tasca. Se le tolse. Se le mise sulle ginocchia. Se le rimise in tasca. Se le ritolse. Stette anche per allungarle per prendere uno dei verdastri cuscini posti presso i braccioli, per metterselo dietro la nuca, ma un urlo proveniente dalla sua sinistra gli fece fare un salto di qualche metro impedendogli qualsiasi altro movimento.

« Ma vuoi stare fermo?! »

Era Harry, naturalmente. Ed era furioso.

« S-scusa, Harry… » Balbettò timidamente, ritraendo lentamente la mano. « Adesso sto fermo… »

« Sì, d’accordo! » Stridé l’amico con fervente ironia. « Però sta fermo davvero questa volta! »

« Sì, sto fermo… » Garantì Ron col viso rosso per la vergogna.

« Eh! Speriamo! » Esclamò esasperato Harry, lanciandogli uno sguardo inequivocabile.

Assolutamente inequivocabile.

Tanto inequivocabile che emettere il minimo rumore a quel punto cominciò a sembrargli pericoloso. E, restando in tema, aveva paura che Harry potesse schiantarlo se si fosse anche solo permesso di respirare troppo rumorosamente. Cosa che costituì uno sforzo immane per lui. Lo sarebbe costituito anche in condizioni normali, figuriamoci in quelle! Era praticamente divorato dall’ansia: un respiro regolare era l’ultima cosa che poteva aspettarsi dai suoi nervi. Ma tenne duro. E per diversi attimi, anche.

Fino a quando, almeno, Harry non ebbe la strepitosa idea di spezzare quel già precario silenzio di propria iniziativa, facendogli venire la pelle d’oca:

« Senti, Ron… »

« Scusa! » Intervenne rapido, prima che l’amico potesse dire altro, con in viso un’espressione profondamente mortificata. Lo sapeva! Alla fine dei conti, i suoi nervi l’avevano fregato! « Non me ne sono accorto! Lo giuro! Non volevo fare ancora casino! Lo giuro! »

Harry lo guardò interdetto per qualche attimo. Le sopracciglia inarcate. Gli occhi confusi. Scosse il capo dopo qualche attimo, e si preoccupò di tranquillizzarlo, seppur mantenendo un’espressione leggermente contrariata:

« Non hai fatto casino, Ron. Si vede solo che sei agitato… e volevo dirti che secondo me non ce n’è bisogno. »

Rimase un attimo zitto, guardandolo come tra il frastornato e l’intontito. Si era spaventato a morte per niente. Bella roba. Stava proprio andando fuori di matto. E Harry gli stava ancora dietro. E tentava di consolarlo, persino. Chinò il capo, affranto.

« Scusami… »

Pensò fosse doveroso scusarsi.

Ma lo fece a torto: Harry, che sembrava essersi calmato, a quel punto tornò dell’idea che innervosirsi con lui fosse la cosa più giusta da fare.

« Non è che adesso devi scusarti per tutto, Ron! » Sbottò infatti irritato. « Volevo solo provare a farti stare un po’ più tranquillo! Tutto qui! »

« Sì, certo… » Ebbe nuovamente l’istinto di aggiungere alla sua accorata risposta un avvilito e corposo “scusa”, ma se lo ingoiò quando vide lo sguardo di Harry, pronto a incenerirlo qualora l’avesse fatto.

Perché non gli piaceva che gli altri fossero troppo servizievoli. Specie le persone che gli erano più vicine. Come lui. Ma la verità era che di fronte all’Harry di quel periodo era molto difficile non sentirsi automaticamente vincolati a dimostrare una certa remissività. Non era sempre stato così, certo. Nel senso che non si era sempre sentito così inferiore da provare l’incontrollabile desiderio di scusarsi ogni volta che Harry apriva bocca. C’erano cose che gli aveva sempre invidiato, questo era vero. Cose di lui che avrebbe voluto per sé. Perché Harry, sì… era speciale. L’aveva sempre saputo. E, per dirla tutta, gli era sempre piaciuto anche per questo. Ma l’aura di preminenza che lo attorniava da qualche tempo a quella parte era molto diversa dal suo solito essere speciale. Ed era inespugnabile. Per tutti. Anche per lui.

Anzi… soprattutto per lui.

Se ci pensava era così buffo. Buffo, che il suo migliore amico potesse apparirgli così lontano. Irraggiungibile, addirittura. Era una cosa che non avrebbe mai detto solo qualche mese prima. Una cosa che non avrebbe mai voluto dire.

« Ron, ma mi stai ascoltando? » Gli domandò scocciato Harry, scrollandolo energicamente per una spalla e, quindi, riportandolo bruscamente alla realtà.

« Eh? » Cadde dalle nuvole lui, guardandolo come inebetito. « Hai detto qualcosa? »

« Beh sì. » Si stizzì il moro, inarcando un sopracciglio con fastidio. « A dire il vero ne ho dette un sacco di cose. » Le labbra si storsero in una lieve smorfia. « Ma immagino che tu non ne abbia sentita neanche mezza. »

E prima che Ron potesse negare vigorosamente, nel vano tentativo di convincerlo del contrario, un rumore sulla sinistra attrasse fulmineamente loro attenzione.

Un rumore particolare: il cigolio inconfondibile di quella porta.

Scattarono entrambi in piedi. E questa volta riuscì a distinguere nitidamente l’opera dei propri nervi sulla sua respirazione. Sembrava quella di un asmatico. E non conosceva alcuna maniera per farla tornare normale. Pregò mentalmente che Harry non se ne accorgesse.

Ma la verità era che Harry non si sarebbe accorto di lui neanche se si fosse messo a ballare il tango con un mobile stregato. Di questo però se ne rese conto solo quando vide sbucare dall’antro scoperto Lupin, Moody e qualche altra vecchia conoscenza. A quel punto, infatti, anche lui non riuscì a capire più niente. Perché erano giunti ad un verdetto.

E se era così agitato, era proprio per quel verdetto.

« Allora? » Domandò rapido il ragazzo di fianco a lui. I muscoli del viso e delle spalle leggermente ma nitidamente contratti dalla tensione. « Avete deciso? »

« Sì. » Annuì Remus, dopo qualche attimo di silenzio.

Ci siamo.

Provò improvvisamente uno smodato desiderio di fuggire in Alaska. Ma non fece neanche in tempo a ideare l’itinerario di viaggio…

« D’ora in avanti siete ufficialmente membri dell’Ordine della Fenicie. »

Notò l’espressione e le spalle di Harry rilassarsi placidamente. Una sorta di sorriso disegnarsi sulle sue labbra. Lo sguardo farsi tranquillo, e diventare sicuro. Per dirlo in una parola: soddisfatto.

Infondo, si chiese, perché non avrebbe dovuto esserlo? Anche lui avrebbe dovuto esserlo. Invece non lo era poi così tanto.

Perché, forse, non era quello il verdetto che avrebbe voluto sentire.

Lupin si schiarì la gola e fece un passo in avanti:

« Però, Harry, avremmo deciso anche un’altra cosa. »

Vide l’amico scrutare l’uomo con aria circospetta.

« Cioè? »

« Cioè che prima di portarvi con noi in missione faremo passare un po’ di tempo. »

« Come?! » Esclamò Harry allibito.

« Abbiamo le nostre ragioni, ragazzo. » Sostenne burbero Moody.

« E quali sarebbero? » Domandò impetuosamente Harry. Le spalle nuovamente tese. L’espressione nuovamente contratta. Gli occhi duri come il ferro, che sfidavano con irriverenza l’uomo di fronte a lui.

« Perché non ti siedi. » Propose Lupin cercando evidentemente di eludere l’argomento. « Così possiamo parlarne con più calma. »

« Non voglio sedermi! » Insistette Harry con una voce impercettibilmente più acuta. « Voglio sapere perché non posso venire in missione con voi! »

« Abbassa la voce, ragazzo. » Sentenziò seccamente Moody, impedendo a Lupin di prendere nuovamente la parola. Anche se, per quel che gli riguardava, sarebbe stato meglio se l’avesse lasciato continuare. Aveva un tipo di approccio migliore… E Harry stava già arrivando al limite della sopportazione. « E’ una decisione che abbiamo preso tutti insieme. »

« E io voglio sapere perché! » Ribadì alterato il ragazzo.

« Perché non avete abbastanza esperienza. »

Ahia…

Lupin si portò una mano sugli occhi e scosse lentamente il capo. Gli altri trattennero il respiro. Harry, invece, rimase semplicemente impietrito.

« N-non abbiamo abbastanza esperienza?! » Replicò incredulo dopo un brevissimo attimo di totale smarrimento. Stridè in una mezza risata strozzata: « S-state scherzando, vero? » Sperò anche lui che fosse così, altrimenti non sapeva cosa sarebbe potuto accadere. Ma non stavano scherzando. E quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. « Voi non potete dire sul serio! Questo non può essere possibile! »

« Harry, calmati… » Gli mormorò, afferrandolo per un braccio.

Il ragazzo si divincolò facilmente dalla presa. Uno strattone violento. Uno sguardo di fuoco. Un sibilo gelido:

« Tu sta’ zitto. »

E lui tacque.

« Harry… » Soggiunse incerto Lupin, facendosi coraggio. « Cerca di capire: siete appena usciti dall’accademia. Vi hanno addirittura fatto fare selezioni che abitualmente avreste potuto fare solamente al termine della scuola. E ora vi prendiamo nell’Ordine. Almeno per le missioni sul campo preferiremmo che aspettaste. »

« Io di missioni sul campo ne faccio da quando avevo 11 anni. » Gli fece astiosamente presente Harry, scoccandogli un’occhiata rovente. « E se non ve ne siete accorti, sono sempre sopravvissuto! »

« Ce ne siamo accorti, Harry. » Assicurò Lupin con intensità. « Solo che… »

« Solo che, cosa? » Lo interruppe furioso il ragazzo.

« Adesso calmati, Harry. »

Una richiesta che gli era già stata posta diverse volte, ma a cui questa volta non poté sottrarsi.

Perché l’unico uomo che riusciva ancora a tenergli testa era Albus Silente. Ed era stato Albus Silente che aveva parlato per ultimo.

Era sbucato alle spalle di Lupin, improvvisamente. Ma non doveva essere lì da poco. Probabilmente, anzi, aveva preso parte alla riunione che si era tenuta per decidere per la loro ammissione nell’Ordine. I suoi genitori avevano preferito non esserci: avevano già espresso la loro opinione su quella faccenda. Silente, invece, evidentemente era stato di tutt’altro avviso. Infatti né Lupin, né Moody, né nessun altro sembrava sorpreso dal suo arrivo. Solo lui e Harry ci erano rimasti di sasso.

Anche perché, infondo, non lo vedevano da almeno tre mesi.

« Ti prego di avere fiducia in noi, Harry. » Aggiunse poi placidamente il preside, facendosi lentamente ma inesorabilmente avanti. « Sei un membro dell’Ordine, adesso. Devi fidarti dei tuoi compagni e delle loro decisioni. »

Lo disse gentilmente, con quella sua voce flebile. Stemperata. Un poco rauca forse. Che però lasciava andare con forza. Quella voce che imponeva obbedienza. A chiunque. Anche a Harry. E infatti a Harry non riuscì altro che obbedirle, e calmarsi. E decise anche che non aveva più nulla da dire, così se ne andò. Sconfitto.

Supponeva che probabilmente, ancora per un po’ di tempo, sarebbe stato quello l’esito degli scontri tra il suo migliore amico e Albus Silente. Il che, lo ammetteva, gli procurava un certo sollievo.

Anche Lupin e Moody se ne andarono, dopo essersi scambiati un’occhiata d’intesa e aver salutato cortesemente Silente. Non salutarono anche lui. Si erano come dimenticati della sua presenza mentre stavano discutendo e se ne stavano dimenticando anche a quel punto, che era davanti ai loro occhi. Perché era come invisibile per loro.

Silente invece gli si avvicinò. Ma non gli parve strano: Silente si avvicinava sempre alle persone che sembravano invisibili.

« Signor Weasley! Buongiorno! » Lo salutò cordialmente.

« Salve Professor Silente… » Ricambiò il saluto, chinando un tantino il capo. Era un riflesso incondizionato. Che però non aveva niente a che fare con la soggezione.

« Ah, Signor Weasley, temo che lei non possa più chiamarmi in quella maniera. » Esclamò sorridendo affabilmente il preside. « Non è più un mio studente. »

Ricambiò l’ampio sorriso che gli veniva rivolto con un sorriso stentato.

« Ha ragione, mi scusi. » Non era più un suo studente.

Non lo sarebbe mai più stato.

« Allora, Signor Weasley… » Gli si rivolse con genuino interesse Silente. « Come sta? »

« Bene, grazie. » Rispose timidamente. « E lei? »

« Oh, benissimo. » Replicò il preside, mentre una scintilla briosa gli ravvivava lo sguardo ridente. « Ho un po’ di dolori alla schiena, nell’ultimo periodo, ma in fin dei conti non mi posso lamentare. Anche perché… » Aggiunse in confidenza, gongolando un poco. « … la Professoressa Sprite mi ha garantito un farmaco speciale per rimettermi completamente in sesto! »

« Sono contento per lei. » Asserì sinceramente. Silente meritava tutto il bene del mondo. Lo meritava davvero. Come, forse, nessun altro.

Ad ogni modo, a quel punto il preside cominciò a dilettarlo con l’enumerazione dettagliata degli elementi che componevano quel “farmaco speciale”. E mentre li enumerava, gli occhi gli brillavano. Perché parlava anche della scuola. Della sua scuola. Di Hogwarts. E dei suoi studenti. Di come molte delle erbe che servivano le avessero curate loro durante le ore di Erbologia. E lui lo ascoltava attentamente, senza perdersi una parola. Incantato. Pendeva dalle sue labbra, quasi. Perché era veramente qualcosa di unico sentir parlare di Hogwarts da Albus Silente.

Tutto quello però gli fece anche venire in mente una cosa importante. Una cosa che voleva chiedergli. Che voleva sapere. Su cui si informava periodicamente. Con solerzia. In effetti l’aveva già domandato a Ginny, qualche settimana prima, ma era passato un po’ di tempo e voleva sentirselo dire di nuovo. Aveva bisogno di sentirselo dire di nuovo.

« Ehm, Professor Silente… » Esordì incerto. Sentì una vampata di calore espandersi rapidamente per tutto il corpo.

« Si? » Lo sollecitò con curiosità il preside.

« … ma secondo lei… » Trasse un lungo sospiro. Il cuore pompante. Le mani umide. Sudate. « Secondo lei a scuola sanno già che io e Harry non frequenteremo… insomma… l’ultimo anno? »

Silente non rispose subito.

Lo guardò, prima, con intensità e gli rivolse un piccolo sorriso. Un sorriso po’ diverso dagli altri, a dire il vero. Che aveva qualcosa di strano. Di tremendamente strano. Un sorriso che non seppe, né volle decifrare. Che lo rendeva nervoso.

Poi però gli rispose con gentilezza, come al solito, dicendogli proprio le parole che voleva sentire:

« No, credo proprio di no, Signor Weasley. »

Annuì leggermente, scacciando dalla mente l’immagine scomoda di quel sorriso e concentrandosi solamente su quanto gli era stato detto. Perché quella era una delle cose che più lo tormentavano: che si spargesse per la scuola la voce che loro non sarebbero più tornati. Ma quando si sentiva dire che era ancora tutto a posto si tranquillizzava. Perché dopotutto lui avrebbe persino voluto che non lo sapesse mai nessuno. Anche se era proprio impossibile come cosa, avrebbe voluto che nessuno pensasse o dicesse niente. Avrebbe voluto, quasi, che nessuno si ricordasse della loro esistenza.

Sì, sarebbe andato bene. Così nessuno avrebbe potuto chiedere di loro.

Perché non avrebbero chiesto a Ginny. Non a Dean. Non a Neville. Non a Seamus. Né tanto meno ad Hagrid.

« Oh, mi scusi Signor Weasley, ma adesso devo proprio andare. »

« Ah… d’accordo. »

No… non avrebbero chiesto a nessuno di loro.

« Comunque per me è stato un vero piacere incontrarla, Signor Weasley. »

« Sì… anche per me. »

Non a loro…

« Allora arrivederci! E in bocca al lupo per il suo nuovo lavoro! »

« Sì… grazie. »

… ma a lei.

A lei… anche se stava già soffrendo abbastanza.

Avrebbero chiesto a lei, ricordandole perché stava soffrendo. E per chi. E l’unica cosa che poteva fare era sperare che nessuno si accorgesse di niente. Ma la verità era che era solo questione di tempo.

Magari era stato proprio quello il significato di quel piccolo sorriso rivoltogli da Silente. Che era solo questione di tempo. Che prima o poi qualcuno gli avrebbe detto che a Hogwarts tutti sapevano quello che lui non avrebbe mai voluto far sapere. E che lei, perciò, sarebbe stata nell’occhio di un ciclone che non avrebbe saputo gestire.

E a quel punto non avrebbe più potuto far intervenire Silente. Non avrebbe più potuto chiedergli di non dire niente. O di inventare una scusa. Perché non avrebbe funzionato come all’inizio dell’anno.

Non ci sarebbe stato più nessuno che avrebbe potuto aiutarla.

E, magari, nessuno si sarebbe accorto di niente…

Magari, nessuno si sarebbe preoccupato…

Per lei…

Che gli mancava…

Che gli mancava veramente…

Che gli aveva sempre parlato di tutto. Che aveva sempre trovato il modo di litigare. Anche per le cose più insignificanti. Che l’aveva sempre fatto sentire stupido, ignorante, gretto, insensibile… ma non invisibile. Mai invisibile. Che era sempre stata oppressiva e pedante. Che l’aveva sempre rimproverato per un sacco di cose. Che l’aveva sempre chiamato con insistenza. Che l’aveva sempre sgridato per tutto. Che aveva pianto per le cose più sciocche. E gli aveva sempre tenuto un posto vicino a lei. Con un sorriso.

Un sorriso tutto speciale.

Solo per lui.

E lui…?

Lui … cosa aveva fatto?

Lui cosa… si era permesso di fare?

Se n’era andato. Semplicemente. L’aveva lasciata indietro. Semplicemente.

Semplicemente… si era permesso… di lasciarla indietro…

Sentì gli occhi gonfiarsi.

Maledizione…

*** *** ***

Venerdì 15 Novembre. Ore 14.14
Hogwarts. Sala Grande.

« L’avete sentito anche voi?! » Strepitò in un grido debitamente soffocato una voce eccitata. « Ma allora è vero! »

« Certo che è vero! » Bisbigliò prontamente un’altra voce.

« E’ una cosa veramente incredibile. » Si unì al brusio un altro sussurro. « Chi l’avrebbe mai detto… »

« Io lo sapevo. » Intervenne qualcuno saccente.

« Lo sapevi?! » Fecero in coro tre o quattro voci, sbalordite.

« Beh… » Esitò un po’ meno spavaldo chi aveva appena parlato. « … lo immaginavo. »

« E perché? » La incalzarono curiose le altre voci.

« Ma, su, voi non ve ne siete accorte?! »

« No! » Negarono interessatissime, cercando – ormai invano – di mantenere un tono controllato.

« Harry Potter faceva di tutto per farsi notare. » Spiegò petulantemente chi pareva saperne più di tutti lì dentro. « Così gli avrebbero permesso di diventare Auror prima del tempo. E con la popolarità di cui gode non dev’essere stato difficile ottenere il consenso del Ministro della Magia. »

Mmh… ma non hanno nient’altro da fare, queste qui?!

« Cosa?! » Squittì acutamente tutto il resto della comitiva.

« Anche io ho sentito qualcosa del genere! » Proruppe una nuova voce. « Mi hanno anche detto che li hanno fatti diventare Auror… » Abbassò un poco il proprio tono. « … senza una regolare selezione. »

« Ma questo non è giusto! » Si indignò qualcuno, evidentemente punto sul proprio senso dell’equità e della giustizia. « Non possono sempre favorirlo solo perché si chiama Harry Potter. »

Beh, più che ingiusto quello non era proprio vero. La selezione l’avevano fatta eccome! Diamine, li aveva accompagnati lei!

« E Ron Weasley? » Domandò ad un tratto una timida vocina. « A me non sembrava che tentasse di farsi notare. »

« Quello è perchè i Weasley non riescono a farsi notare. » Commentò sfacciatamente la stessa voce che aveva snocciolato la ovvia spiegazione della situazione. « A meno che non si parli dei loro problemi. »

Noi Weasley cosa faremmo?!

Cercò di mantenersi calma. Cercò di non starle a sentire.

« E Hermione Granger? »

Si levò uno sciame di acutissimi gridolini.

Infondo era lei il vero argomento di discussione. La vera protagonista del gossip scolastico. Un gossip che, per altro, era stato appena sussurrato solamente la sera prima, dalle schiere dei Serpeverde, ma che si era diffuso facilmente, come un morbo epidemico, e aveva già infettato tutta Hogwarts. Quella mattina, infatti, tutti avevano dimostrato di conoscere almeno quindici versioni diverse della storia. Ed erano tutte versione piuttosto colorite e discordanti. C’era solo un punto in comune tra tutte le varianti: la commiserazione forzata o accorata di un’Hermione caduta in disgrazia.

Di un’Hermione lasciata sola.

Ed era questo che non sopportava: potevano accanirsi con Harry e Ron fino allo sfinimento. Tanto meglio! Era quello che voleva! Era la giusta punizione per quello che avevano fatto! Non erano certo degni di venir difesi! Ma con questo Hermione non aveva niente a che fare! E non sopportava quel chiacchiericcio insulso come non sopportava che le persone avessero la sfacciataggine di chiedere spiegazioni proprio a lei! Come a colazione, per esempio, quando almeno una decina di persone le si erano affiancate con questo scopo. Quella gente non aveva neanche un minimo di sensibilità!

« Oh! Hermione, poverina! » Gemette una voce strozzata. « Io ho sentito che ha rivelato a Harry di essere innamorata di lui e che gli ha detto che aspetterà fino a che lui non avrà sconfitto Colui-che-non-deve-essere-dominato! Che coraggio! »

« No! Ma cosa dici?! » Smentì subito qualcuno. « Guarda che lei è innamorata di Ron Weasley! Lo sanno tutte! »

Di fantasia, invece, a quanto pareva ne avevano a sufficienza.

« E allora l’avrà confessato a lui il suo amore, no? » Concluse pratica un’altra voce.

« Ma no! » Contestò fervidamente chi aveva sostenuto per prima una teoria sulla Grifondoro. « Lei ama Harry! »

« E’ vero! » La sostenne una compagna. « L’hanno detto anche a me! Ma ho sentito che Harry l’ha rifiutata! »

Santo cielo…

« No! Ma dai?! » Esplosero dirompenti tutti i presenti.

« Ma sì! Vi dico di sì! » Ribadì con convinzione chi era intervenuta. « Le ha detto che non poteva amarla perché era la sua migliore amica. Anzi… » Cambiò improvvisamente idea. « le ha detto che non poteva amarla perché non voleva che Ronald Weasley, che era innamorato di lei, ne soffrisse. Perché per lui la loro amicizia era la cosa più importante del mondo. »

« Oh, che dolce! » Sospirò qualcuno in adorazione.

No, non era dolce… era vomitevole! Ma come potevano dire certe cose?!

« Voi non avete capito proprio niente. Né di Hermione Granger. Né di quello che è successo. »

Trasse un lungo profondo respiro: conosceva quell’insopportabile voce da serpente. Ci mancava solo che quella lì! Cercò di non prestarle attenzione: se non l’avesse fatto non sarebbe riuscita a trattenere l’istinto di prenderla a sberle.

« Lo volete sapere o no come sono andate veramente le cose per quel trio di falliti? » Chiese dunque Pansy Parkinson, senza preoccuparsi di abbassare la voce e ottenendo un vivido consenso dalla folla.

Calma Ginny. Devi stare calma.

« La verità è che della Mezzosangue e di Lenticchia allo Sfregiato non glien’è mai fregato niente. »

Un fremito di rabbia la scosse da capo a piedi. Va bene che Harry e Ron meritavano di essere insultati, ma non in quel modo! E non da lei! No! doveva stare calma. Doveva essere superiore. Doveva fingere che nessuno stesse dicendo nulla.

« La verità è che lo Sfregiato ha sempre avuto in mente solo di fare l’eroe e non appena ha potuto ha cercato di liberarsi dei pesi morti che si portava dietro qui dentro. »

Superiore. Io sono superiore a tutto questo.

« Ma Lenticchia gli è rimasto appiccicato. Per elemosinare un po’ della sua fama. Perché infondo elemosinare è la cosa che gli riesce più naturale considerando che proviene da una famiglia di pezzenti. »

Serrò la mascella e il palmo della mano. La piuma che aveva tra le dita si spezzò.

« Ginny, stai calma… » Le sussurrò Dean prontamente.

« Invece la Granger non c’è riuscita. »

Sentì un brivido gelido salirgli infidamente lungo la schiena.

« A restare appiccicata all’idolo dei perdenti, intendo. Perché la cara Mezzosangue non è stata abbastanza convincente e non le hanno neanche fatto fare la selezione. E’ stata scartata a priori.» Sebbene non potesse vederla, le parve di scorgere il ghigno maligno di Pansy allargarsi su quell’insopportabile faccia da schiaffi. « Infondo essere scartati è il massimo che può aspettarsi da questo mondo. »

Vipera…

« E infatti anche i suoi cari amichetti l’hanno scartata. »

Vipera!

« Perché lei è uno scarto! »

Sbatté violentemente una mano sul tavolo e scattò in piedi. Fu questione di un secondo. Anzi, di una frazione di secondo. E Pansy si ritrovò puntata contro una bacchetta. La sua bacchetta, per la precisione.

Tutta la Sala Grande si ammutolì.

« Prova a ripeterlo. » Ringhiò a denti stretti. Sentiva il corpo tremare dalla rabbia. Una rabbia incontenibile. La sua mano destra però restava saldamente serrata attorno alla bacchetta. Serrata e ferma: se si fosse ancora permessa di insultare Hermione le avrebbe scagliato addosso la magia più potente che conosceva. L’avrebbe fatto. Le conseguenze non le importavano. « Prova a ripetere quello che hai detto, se ne hai il coraggio. »

« Cosa c’è, Weasley? » La provocò stranamente temeraria Pansy, con l’aria trionfante di chi non può essere scalfito da nulla. « La verità fa così male? »

« Te la sei cercata, Pansy! » Esclamò Ginny furiosa, rinsaldando con forza la presa sulla bacchetta.

E avrebbe fatto ben altro che quello se solo, dalle sue spalle, non fosse sopraggiunta la voce inquisitoria di Minerva McGranitt:

« Cosa sta succedendo qui? »

Non fece neanche in tempo a capire cosa stava succedendo, che Pansy strillò acutamente:

« Professoressa! Mi aiuti! La Weasley è impazzita di colpo e vuole colpirmi con un incantesimo! »

Le scoccò uno sguardo sgomento: che razza di faccia tosta! Che razza di infida bugiarda! E le aveva anche dato l’aria di una persona temeraria! Quella lurida vigliacca! L’indignazione spaventosa che provò in quell’istante verso quella sottospecie di arpia dalla lingua biforcuta fu tale da paralizzarla. Non fu però tale da paralizzare la McGranitt, che, al contrario, con un cipiglio inarrestabile avanzava verso di loro, alla ricerca di una visione precisa della situazione.

Tutti i ragazzi che si erano addensati intorno a loro si dileguarono immediatamente, mentre lei uscì dal suo immobilismo troppo tardi per fare qualsiasi cosa. E quel “qualsiasi cosa” comprendeva sia rimediare al casino che stava per creare alla propria casa, sia completare l’opera iniziata, e cioè mettere fuori gioco Pansy Parkinson – nel peggior modo possib ile, tra l’altro – mettendo così nei casini la propria casa per una buona ragione. Ci fu però chi parve registrare la situazione giusto un attimo prima di lei. Sentì infatti che qualcuno le sottraeva la bacchetta di mano e che la gettava con rapidità sotto il tavolo. Il tutto, schermato dai corpi ben allineati di due complici con una stazza utile.

« Signor Finnigan! Signor Paciock! » Eruppe infastidita la professoressa, trovandosi di fronte una specie di muro umano. « Vi spiacerebbe spostarvi? »

« Stanno solo cercando di distrarla, professoressa! » Gracchiò Pansy con fervore, additandoli uno per uno freneticamente.

« Questo lo vedo anche da me, Signorina Parkinson. » Commentò acida la McGranitt. « E ora fuori dai piedi, voi due. » Ordinò poi irremovibile. « E’ con la Signorina Weasley che voglio parlare! »

Neville e Seamus si scambiarono una breve occhiata d’intesa con Dean, che l’aveva affiancata e che dallo sguardo forzatamente innocente sembrava colui che aveva fatto volare via la sua bacchetta. Dopodiché aprirono un reverenziale varco tra di loro.

La McGranitt li superò senza troppi complimenti. Non li guardò neanche in faccia. Anche perché non c’era affatto bisogno che quella donna incentivasse il suo severo disappunto con un’occhiata. Era letale il suo solo invincibile incedere a testa alta. L’espressione era un specie di bonus che riservava per tutt’altra risma di gente, non certo per loro. Un po’ come i suoi rarissimi sorrisi. Quelle curiose incurvature della lastra di marmo grigio misteriosamente arricciata che aveva al posto della bocca, riservate solamente all’intelligenza brillante di Hermione.

« Allora, Signorina Weasley? » La inquisì la McGranitt, dall’alto della sua invalicabile risolutezza. « Stava per caso cercando di lanciare un incantesimo alla Signorina Parkinson? »

« Con quale bacchetta? » Intervenne prontamente in sua difesa Dean, con una sfacciataggine che gli costava davvero molto. Non era il tipo da forzare la furbizia per affrontare un professore. Se doveva, preferiva essere diretto. Ma le era anche troppo affezionato per gettarla in un casino solo per tenere fede al suo modo di essere.

La McGranitt non fece neanche in tempo a dirgli di occuparsi dei propri affari che Pansy decise che non aveva fatto abbastanza la stronza per quella mattina:

« L’hanno gettata sotto il tavolo, professoressa! » Squittì acutamente, lanciando un’occhiata piena di perfidia in risposta alla sguardo fulminante di Ginny. « L’ho visto io! Con questi occhi! »

Ma non solo Ginny parve non gradire l’intervento della Serpeverde. La stessa professoressa McGranitt, infatti, tradì per un attimo un’espressione di autentica insofferenza. Tuttavia, sopprimendo il tremito che avrebbe voluto scuoterla, si girò lentamente verso di ragazza e le domandò con evidentissimo sarcasmo:

« Pensa di proporsi come mia assistente, Signorina Parkinson? »

« Io volevo solo darle una mano, professoressa. » Si giustificò altezzosamente Pansy, facendo finta di indicare per caso una parte imprecisata del tavolo, in modo che non si perdesse di vista ciò verso cui doveva dirigere la sua attenzione di insegnante.

« Me la dia se gliela domando. » La freddò spiccia la professoressa. « E adesso vada pure, penserò io a parlare con la Signorina Weasley e ad appurare se è impazzita o se voleva davvero ucciderla. »

« Vorrei assistere! » Obiettò pedante e solerte Pansy.

« Ma non assisterà. » Ribadì semplicemente la McGranitt, che poi ordinò nuovamente: « E ora vada. »

E nemmeno Pansy Parkinson aveva il potere di opporsi a Minerva McGranitt, così se ne andò.

Del resto, neanche lei aveva quel genere di potere e, qualsiasi cosa i suoi amici si inventassero per risparmiargliela, la sua parte di predica non avrebbe potuto che prendersela. Con l’aggiunta di una sonora punizione, per altro.

« Non mi interessa come e perché quella bacchetta dalla sua mano è finita sotto il tavolo, Signorina Weasley! » Sbottò infatti irritata e irremovibile la professoressa. « Sappia solo che se la trovo ancora una volta in questa sala con quella bacchetta alzata non mi limiterò a togliere 30 punti alla sua casa! »

Ci fu un attimo di silenzio generale, dopodiché Seamus, cauto e un po’ perplesso, si fece coraggio e osservò:

« Ehm… professoressa… 30 punti non saranno un po’ troppi? »

« Non sapevo che il posto di assistente fosse così ambito! » Gracchiò ferocemente la McGranitt.

E Seamus affermò con consistente convinzione che 30 punti in meno a Grifondoro erano una punizione addirittura fin troppo caritatevole per quell’incresciosa situazione. In pieno accordo con questa sua ultima dichiarazione, la professoressa schiodò i piedi da terra e proseguì a passo deciso e inarrestabile verso quello che doveva essere il suo principale itinerario, al cui termine riluceva imperioso il tavolo degli insegnanti.

Si rilasciarono tutti in un sospiro di sollievo: a parte gli scherzi, se l’erano proprio cavata con poco.

« La prossima volta che vuoi fare una stupidaggine assicurati che non ci sia nessun professore nei paraggi. » Commentò con irritata rassegnazione Dean, chinandosi a sufficienza per recuperare la sua bacchetta, e porgendogliela.

« E’ che non c’è l’ho fatta a trattenermi! » Ribatté con vigore Ginny, in un tono che avrebbe voluto di scuse ma che in realtà apparve ancora leggermente alterato, afferrando con un gesto secco ciò che le veniva teso e sedendosi con i compagni sulle panche del tavolo di Grifondoro. « L’hai sentita anche tu, no?! Ha detto un sacco di cattiverie! »

« Proprio perché erano cattiverie avresti dovuto ignorarle. » Precisò risoluto il ragazzo. « Mi sembrava avessimo deciso così. »

« Infondo sapevamo che sarebbe successo questo. » Intervenne in una svogliata alzata di spalle Seamus. « Voglio dire, il fatto che il famoso Harry Potter e il suo migliore amico abbiano lasciato la scuola per diventare Auror non è una cosa che può passare inosservata. » Prese a grattarsi pigramente la nuca e a rivolgerle lo sguardo ancora un po’ assonnato. « Se poi si considera che fino ad adesso Silente li aveva coperti dicendo che erano bloccati in Romania con i tuoi fratelli più grandi… »

« Gli è stato chiesto di non dire niente proprio perché così tutti avrebbero potuto abituarsi a non vederli in giro! » Sbottò acida Ginny, infastidita dall’indolenza dell’amico, che sembrava un po’ troppo menefreghista per i suoi gusti. Si trattava dei loro amici, diamine!

« Qualunque sia stato il motivo, il suo intervento non ha sortito l’effetto sperato. » Si intromise pacato ma deciso Dean. « Tutti vogliono sapere come sono andate le cose. E soprattutto tutti vogliono sapere perché Hermione non è andata con loro. E’ naturale. »

« E’ vero, Ginny. » Biascicò sconfortato Neville. Pallido in viso e visibilmente dispiaciuto. « Perché loro tre stavano sempre insieme. »

« Esatto. » Convenne inesorabile Dean. « Ed è anche naturale che i Serpeverde ci vadano a nozze con una situazione del genere. Non potevamo certo sperare che le avrebbero risparmiato un simile supplizio. Sapevamo già come sarebbe finita: lo stavamo solo aspettando. » La sua espressione si fece un po’ più cupa. « E anche Hermione lo stava solo aspettando »

Si morse il labbro inferiore e strinse con forza i pugni intorno alla stoffa della gonna.

Aveva ragione. Eccome se aveva ragione! Hermione aveva aspettato quel momento dall’inizio della scuola. Perché non era stupida, non era come quello stupido di suo fratello, che si angosciava per una sua scelta e poi si preoccupava perché qualcuno avrebbe potuto chiedere di loro a lei! Altro che chiedere! Non era solo quello: era tutto quello che le persone non avevano chiesto e avevano inventato. Tutto quello che avevano pensato. E Hermione lo sapeva. Perché era così intelligente…

Così buona…

Si era preparata a sopportare senza mai dare la colpa a nessuno. Aveva cercato di non dar mai a vedere niente. Anche quando ne aveva parlato con loro era stato così. E ricordava che non si era mai sentita così arrabbiata e depressa in tutta la sua vita!

Almeno, mai fino a quel momento.

Perché si sentiva così impotente! Di fronte ad una situazione che nemmeno una persona forte come Hermione avrebbe mai potuto gestire. Di fronte ad una situazione che soprattutto una persona sensibile come Hermione non avrebbe potuto gestire… lei non poteva fare assolutamente niente.

Se ci pensava le veniva da piangere.

Come avevano potuto! Come avevano potuto non coinvolgerla in una cosa così importante! Come avevano potuto lasciarla indietro in una maniera così fredda, così egoista! Per gli studenti di quella scuola quella era solo la fine di un’amicizia come un'altra, ma per Hermione non era così. Per Hermione loro erano così speciali! Se solo quella gente gretta avesse visto quanto male c’era stata … da sola… oh, se solo l’avessero visto! Anche se erano così gretti avrebbero capito quanta sofferenza doveva sopportare! Invece chi aveva capito più di tutti era chi era stato contento della sua sofferenza.

Era così ingiusto. Così dannatamente ingiusto!

« Voi avreste… » Proruppe in un sussurro strozzato, più rivolto a sé stesso che a chiunque intorno a lei. « Voi avreste dovuto vederla… questa mattina, a colazione… con tutte quelle persone che parlavano. E’ rimasta zitta, senza dire niente… » La sua voce si incrinò. « … ma era così pallida. »

Sentì la mano di Dean che si appoggiava sulla spalla, per confortarla.

Pallida e triste.

Pallida e sola.

Sola…

Soprattutto sola.

E né lei, né Hagrid, né Dean, né Seamus, né Neville, come nessun altro lì, ormai, avevano assolutamente il potere di colmare quella solitudine. Che andava espandendosi… con la vergogna, con il disagio, con il dolore… con la malinconia. Che andava espandendosi con un ritmo che le sembrava addirittura inarrestabile.

*** *** ***

Venerdì 15 Novembre. Ore 17.47
Hogwarts. Secondo piano.

Dio, quanto gli faceva male la testa!

Quella diavolo di notte qualcuno gli aveva senz’altro lanciato un incantesimo per fargli venire quel dolore spaventoso! Era come se il cranio gli si spaccasse in due! Era allucinante! Quel pomeriggio non ce l’avrebbe assolutamente fatta a studiare. Sufficienza o non sufficienza in pozioni!

Arrancò faticosamente per i corridoi e per le scale del secondo piano: doveva avvisare la sua aguzzina che per quel giorno non se ne sarebbe fatto nulla. La ragione era presto detta: se non gliel’avesse detto quell’arpia sarebbe stata capace di cercarlo per tutta Hogwarts e trascinarlo a studiare. Cosa che preferiva evitare. Preferiva dirglielo, magari mandarla al diavolo se gli avesse fatto storie, e poi andare a dormire, senza il timore che una pazza scatenata lo interrompesse. Quella, in quel momento, era la sua massima ambizione.

Mosso da questi pensieri, dunque, avanzò con fatica sino alla Stanza delle Necessità. Era lì che erano andati a studiare le ultime due volte, perché quell’imbecille di un Mezzogigante doveva spulciare la sua sudicia casupola in vista dell’inverno. E meno male, anche! Così non aveva dovuto usare un intero barattolo di bagnoschiuma per togliersi di dosso quell’odore disgustoso che gli si era appiccicato ai vestiti e alla pelle. Dio, che schifo!

Sentì una fitta alla testa e barcollò.

Fortunatamente, però, con un ultimo sforzo, allungò l’ultimo passo che lo separava dalla Stanza in questione, si aggrappò alla maniglia e la spinse. La porta si aprì. Di fronte a lui, dietro ad una piccola scrivania, Hermione Granger sembrava immortalata in un’immagine che avrebbe dovuto essergli famigliare. Sommersa da una montagna invalicabile di libri e manuali delle più assurde materie. China su un foglio di pergamena che stava riempiendo di una fitta miriade di parole incomprensibili. Con i voluminosi capelli crespi illuminati dalle ultime luci del giorno. Lo sguardo assorto. La fronte corrugata dalla concentrazione.

Eppure… c’era qualcosa di diverso.

L’invalicabile montagna di libri e manuali delle più assurde materie che la sommergeva, in effetti, era più smisurata del solito. E lei era molto più china di quanto era mai stata su quel foglio di pergamena. I voluminosi capelli sembravano molto più crespi del giorno prima. La fronte era molto più corrugata dalla concentrazione. E lo sguardo era molto più assorto. Era tutto, insomma, molto più di quello che avrebbe dovuto essere. E nell’insieme gli sembrava davvero un po’ troppo strano.

Ma, infondo, oltre a incuriosirlo, gli importava?

No.

Questa fu la rassicurante e rasserenante risposta che si diede. Un senso di benessere lo invase. Era sostanzialmente meraviglioso sentire quanto splendidamente poco gli interessasse di tutto all’infuori di se stesso. Con rinnovato sollievo, quindi, annunciò:

« Granger, oggi non sto bene perciò non se ne fa niente. Non venire a disturbarmi. »

Si sarebbe aspettato una scenata o una puntualizzazione tagliente; al contrario la risposta della ragazza si risolse in un grave silenzio. Le diede un po’ di tempo per realizzare cosa aveva detto e, quanto meno, annuire. Lei però persisté immobile, in una staticità scioccante ed estremamente irritante.

« Ho detto che non se ne fa niente. » Ribadì a voce alta, stizzito. « Hai capito? »

Hermione restò zitta.

Questa qui lo fa apposta!

Rinnovò questa dichiarazione una seconda volta, più acidamente, ma ancora non sortì alcun effetto. La terza volta, ormai oltremodo seccato, fece un passo in avanti e ci aggiunse anche un’opzionale:

« Ehi, hai sentito quello che ho detto? O oltre ad essere odiosa sei anche sorda? »

Questa volta l’effetto si fece sentire.

« Ah. » Mormorò la ragazza lentamente, sollevando il capo con un movimento febbrile del capo. Un capo che, in quel momento, gli parve in qualche modo spettrale. « E quindi… io sarei odiosa? »

Certo che, come effetto, era un tantino assurdo. Avrebbe preferito scadere nella banalità per quel giorno: qualche frecciatina, sguardi offesi, orgogli feriti e via dicendo. Come al solito. Non avrebbe retto di più con l’emicrania che a intermittenza gli frantumava il sistema nervoso. Cercò, perciò, di riportare la conversazione su note ordinarie:

« Come ti pare, basta che adesso posso andarmene. »

Ma quella conversazione sarebbe stata tutto fuorché ordinaria.

« Certo! » Scattò Hermione, balzando in piedi, come punta da un’ape, e fissandolo improvvisamente con astio. « Come mi pare! La verità è che lo dite di continuo! E magari pensate che sia successo tutto quanto per questo, vero? Perché sono odiosa, insopportabile e noiosa, vero? »

Eh?

Si era perso qualcosa.

« Dillo Malfoy. » Lo incitò con rabbia Hermione, impedendogli di riflettere. « Siccome non vedi l’ora di dirlo, come tutti i tuoi stupidi amichetti. Dillo che è perché sono odiosa che mi hanno lasciato qui! Dillo che me lo merito! »

Arretrò di un passo, basito.

Ma che diavolo sta dicendo?!

Se solo non fosse stato tanto occupato a restare lucido pur con quella terribile emicrania, probabilmente avrebbe capito cosa stava dicendo. E probabilmente si sarebbe anche accorto di cosa stava succedendo. E, magari, siccome sensibile proprio non lo era, ma vantava una certa capacità di analisi e intuizione, sarebbe potuto arrivare anche a comprende che non era solo una questione di rabbia, quella. In ogni caso, sicuramente, anche in quel caso, non gli sarebbe comunque importato.

Perciò, forse, era proprio destino che, aggredito in quel modo, Draco si accanisse a sua volta contro di lei, scandalizzato:

« Ma che diavolo ti prende, sei forse impazzita? »

La ciliegina sulla torta.

Hermione vibrò.

Afferrò tra le mani un grosso libro rilegato in cuoio e glielo scagliò addosso. Il volume lo colpì in piena fronte e poi ricadde pesantemente sul pavimento. Il suono sordo che ne scaturì si perse nel silenzio vuoto di quella stanza.

Rimase immobile, per un attimo incapace di parlare, con la mano sulla fronte: gli aveva tirato addosso un libro.

Sollevando lo sguardo, sgomento, gli parve di notare che gli occhi di Hermione erano diventati un po’ più lucidi. E la voce con cui riprese a parlare, seppur sempre alta e rabbiosa, gli parve leggermente incrinata.

« Non sono impazzita! Non lo sono, capito? E non sono neanche scema! E’ tutto il giorno che non fate che dire cose assurde! Che non mi hanno più voluta con loro! Che era ora che si liberassero di me! Perché ero solo un peso! Ma non avete capito niente! » Afferrò un altro libro e lo scagliò di nuovo, con violenza. « Niente! »

La sagoma famigliare che si avvicinava a velocità considerevole contro di lui lo risvegliò dallo stato di smarrimento in cui era caduto. La schivò miracolosamente, balzando di lato. Lanciò un breve sguardo sconvolto al pavimento, dove la seconda arma letale si era accasciata inerme, e poi le gridò addosso:

« Ma sei fuori di testa?! Prima mi hai fatto un male cane! »

Gli occhi di Hermione si dilatarono.

« Va’ al diavolo, Malfoy! »

Prese un altro libro e glielo tirò. Poi gliene tirò un altro. E un altro ancora. E di nuovo un altro. Mentre lui si schermava il viso con le mani, sconvolto. Che diavolo stava succedendo?

Che diavolo le stava succedendo?!

« Siete voi quelli che fate male agli altri! » Strillò Hermione, isterica. « Tu e tutti quelli come te! Siete di mostri! Vi detesto! Non fate altro che usare il dolore delle persone per far loro del male! E vi inventate tutto quanto! » Nel tentativo di schivare un bel manuale di almeno qualche centinaio di pagine, non udì il groppo che le si strinse in gola, soffocandole la voce. « Harry e Ron mi hanno lasciato qui perché avevano delle ragioni! Non significa niente! Non potrebbe mai significare niente! Loro mi volevano bene! Loro mi vogliono bene! »

« E chi se ne frega se ti vogliono bene! » Urlò lui sconcertato. Era per quelle sue assurde paturnie mentali che lo stava lapidando con dei libri?! Ma porca miseria! Era lei che doveva andarsene al diavolo, proprio come aveva deciso nel suo progetto originario! « Per quel mi che riguarda possono anche sposarti! Anzi… » Gracchiò stridulamente. « … perché non crepate tutti insieme per spirito di solidarietà! Basta che mi lasci fuori dalle tue scenate isteriche! Non mi interessa niente della tua situazione! Io voglio solo andarmene a letto e dormire! Di te e di quei due idioti non me ne frega niente! »

Hermione si bloccò di colpo.

Forse anche perché erano ormai finiti i libri e quelli precedenti vigevano tutti supini e sconfitti ai suoi piedi. Comunque si bloccò. E quello dovette sbrigliare definitivamente quei nervi che si erano davvero ingarbugliati, durante il giorno, per renderla in quello stato. E naturalmente, come per ogni femmina che si rispetti, questo coincise esattamente col suo crollò fisico e mentale.

Gli occhi cominciarono a diventare lucidi. Il suo gracile corpo rovinò su se stesso. Si nascose dietro le braccia.

Iniziò a piangere.

E che palle! Non anche questo!

Non le bastava averlo riempito di botte! No, adesso doveva pure opprimerlo con quel lamento insopportabile! Con le braccia gonfie e doloranti si portò una mano sulla fronte, esasperato: tutto quello era davvero troppo per lui.

Sarebbe stato splendido se non avesse avuto il mal di testa. Prima di tutto perché le avrebbe reso pan per focaccia. In secondo luogo perchè l’avrebbe sfottuta a morte, per tutta la vita, sia per aver pianto davanti a lui, sia perché Potter e Weasley l’avevano abbandonata come una scarpa vecchia. Anche perché, quando gliel’aveva detto Blaise, il giorno prima, la prima cosa che gli era venuta in mente era stata di fargliela pagare per tutto quello che aveva dovuto sopportare a causa sua. Ma l’emicrania aveva vanificato i suoi piani.

Questo non significava che rinunciava ai suoi propositi: il giorno dopo avrebbe attuato la vendetta più grandiosa che mente umana avesse mai concepito. Ma in quel momento, senza nulla togliere alle sue aspettative più remote, era l’aspettativa più prossima di un comodo letto ad allettarlo veramente. Insomma, schiacciare Hermione Granger era qualcosa di estremamente piacevole. E anche vederla arricciarsi come un verme, proprio come in quel momento. Ma se stava male e non poteva goderselo a pieno non era mica colpa sua!

L’ennesima fitta lo colse in un dolore lancinante alle tempie. Quella razza di cretina! Doveva sdraiarsi da qualche parte. Anzi, doveva sdraiarsi nel suo letto. Decise, quindi, che aveva sentito abbastanza singhiozzi e lamenti per quel giorno.

Fece dunque per andarsene.

Ma a quel punto…

Beh, a quel punto accadde qualcosa di strano…

Accadde che mentre stava girando la maniglia della porta, Hermione lo chiamò. Fu un “Malfoy” quasi incomprensibile, racchiuso in uno dei lunghi gemiti che la scuotevano. Un richiamo che lo fece cautamente girare. Aveva paura che volesse ricominciare il “lancio del libro”. La trovò invece sempre rannicchiata tra le proprie braccia, con il viso coperto. Le spalle che fremevano a intermittenza. Le domandò sgarbatamente:

« Che diavolo vuoi? »

E fu a questo punto che accadde quella cosa…

Che aveva un suono così strano…

E che era piccola…

Sottile…

Che non fu più di un sussurro.

« … scusa… »

Da-dan!

Ok, i ringraziamenti li metto questo pomeriggio, o domani… vedo cosa riesco a fare. Adesso vi saluto e fuggo via.

Un grande abbraccio
by Silverwings

  
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