Capitolo
primo
Era
il luglio del '98. Io abitavo in un piccolo paesino marittimo e frequentavo il
quarto anno di un piccolo liceo scientifico della zona con la convinzione di
aver sbagliato la mia scelta, quando in terza media avevo compilato il modulo
d'iscrizione; ma nonostante la mia poca passione per quell'indirizzo, non avevo
mai perso
l'anno anche se a volte l'avevo passato proprio per il rotto della
cuffia.
Frequentavo
un gruppo di ragazzi del liceo artistico, con cui avevo iniziato ad uscire
durante il secondo anno quando, il mio migliore amico, Diego Giacomazzi,
detto "Maratona", aveva cambiato scuola dopo esser stato
bocciato e si era iscritto all'artistico, conoscendo "I Bengala" ed
entrando a farne parte portando dietro anche me, come di norma. Il suo
soprannome, Maratona, era una storpiatura del suo precedente soprannome
"Maradona", che gli era stata affibbiata il giorno in cui in una
partita di pallone aveva fatto tutto il campo rincorrendo Pelletti, il capitano
dell'altra squadra, che l'aveva sfottuto perchè aveva insaccato la palla nella
propria porta.
Io
e Maratona eravamo amici fin dai 6 anni. I nostri padri suonavano entrambi, il
mio il sax e il suo il piano, in una jazz band del paese chiamata gli
Aristomatti. Ed entrambi concordavamo sul fatto che il nome Aristomatti facesse
davvero vomitare verde pomodoro rancido. E poi è stata un amicizia come altre,
passata a giocare a Batman e Robin al lago o al parco giochi (e io facevo Robin
se no m’incazzavo), a sfottere i turisti tedeschi che tanto non ci capivano, a
fare scherzi alle ragazzine, a giocare a calcio, a parlare lingue inesistenti in
mezzo al centro commerciale...
E
così eravamo amici, io e Maratona, anche se ora, all'età di diciassette anni,
tutti quei passatempi erano un ricordo lontano e di ciò ci rimanevano solo due
passioni davvero comuni: la musica e le ragazze. E queste passioni le
condividevamo con ‘I Bengala’; eravamo in cinque:
-
Maratona,
-
Davide "Riso" Merino, chiamato così perchè era fissato con la dieta
del riso,
-
Marco "Ottanta" Briskin, soprannome derivatogli dalla sua maglietta
preferita (che possedeva in diversi colori: nero, rosso, azzurro e beige), che
diceva "80 voglia disco party",
-
Ruben "Okay" Guglielmini, il taciturno del gruppo che rispondeva a
tutto Okay,
Ed
ultimo, io, Leonardo "Leo" Di Stefano.
Ora
voi vi chiederete: perchè in mezzo a soprannomi così strani il mio era l'unico
soprannome normale? Perchè io rifiutavo qualunque tipo di soprannome che non
fosse Leo o, al massimo, Leon. Ci avevano provato eh, oh se ci avevano
provato... mi avevano affibbiato i soprannomi più strani della terra, talmente
tanti e diversi da non ricordamene quasi nessuno, ma io non rispondevo a nessuno
che non mi chiamasse Leo, o Leon, o Leonardo. E su questo ero cocciuto come un
mulo. Anche se ne avevo di soprannomi, nella mia testa! Di simboli in cui mi
rispecchiavo ce n'erano un infinità anche se uno su tutti... qualcuno lo
sapeva, mio padre e una volta l'avevo accennato a Maratona anche se ero certo
che se lo fosse dimenticato. Io ero il Principe Della Luna. Lo ero, mia madre mi
chiamava così, quando ero un bambino. Ed allora era forse uno dei pochi ricordi
che mi rimanesse di lei. E me lo tenevo bello stretto al cuore. Io ero il
principe della luna e quando la guardavo, puoi giurarci, lei mi guardava. E
sorrideva.
Fatto
sta che noi Bengala eravamo piuttosto conosciuti nella zona. Non conosciuti come
i Jellicle Cats o i T- Birds, ma nell’unico pub del paese, lo Zero Gravità, e
nelle scuole dei dintorni molto prossimi
sapevano chi eravamo. Lo sapevano soprattutto "I Lucci", un
gruppo di ragazzotti figli di papà che non aveva nessun nome ma che noi,
fissati com’eravamo con i soprannomi, gli avevamo presto dato a nostra
personale discrezione. E ne avevamo discusso a lungo! Ottanta diceva che avremmo
dovuto chiamarli "Gli allegri ragazzi morti" come il gruppo, Riso
sosteneva il nome "Budini fritti" consono alla sua fissa per il cibo
ed io e Maratona sparavamo nomi a caso senza sostenerli più di tanto. Poi,
mentre ne discutevamo seduti al nostro tavolo dello Zero, Ruben aveva parlato: "Assomigliano
a dei lucci..." aveva detto. E tutti avevamo all'improvviso smesso di parlare e
l'avevamo fissato. Lui ci guardò, serio come la pietra da sotto il basco. Uno
di noi, credo fu Ottanta, disse "Okay!" e la risata generale ci mise tutti
d'accordo.
I
Lucci facevano quello che potevano per infamarci andando in giro a raccontare le
loro stronzate a cui tanto nessuno o pochi, cioè quelli con la puzza sotto il
naso come loro, credeva. Ma loro ci provavano eh... una volta pagarono una
ragazza con cui Maratona era uscito un paio di volte per dire che era incinta a
causa sua. Successe il finimondo. Il padre di Diego gli tirò due sberloni tanto
forti da gonfiargli gli zigomi e lui, il giorno dopo, ne tirò quattro al Capo
dei Lucci, Ringo "Il Pollo" Pelletti, lo stesso che aveva inseguito
alla partita. La rissa che si scatenò dopo è storia.
Fatto
sta che di scherzi del genere ai lucci passò la voglia di farne.
Fu
un sabato sera come tanti che Ottanta se ne venne fuori con la sua trovata
"Sai
cosa pensavo?" mi disse dopo la seconda birra che mi pagava.
"No..."
risposi io, guardandolo di sottecchi.
"Mi
sembra giusto visto che ancora non te l'ho detto..." ripose, poi continuò "Mia
sorella... la maggiore intendo... sai, L' Ale... stava cercando un attore... sai
che lei fa teatro no?"
Io
lo guardai, sapendo benissimo dove voleva arrivare "Si..."
"Beh
tu saresti perfetto nel ruolo, non sarebbe perfetto ragazzi? Insomma lo sai come
sono quelli di questo paese... o intelligenti o belli... invece tu mischi
perfettamente le due componenti nella tua persona e inoltre studi teatro e..."
"No..."
"Ma..."
"No..."
"Per
favore..."
"Guarda
che lo so che volete che mi metta con l'Ale ma non si può..."
"Ma
perchè no?"
"Il
nome Emma non ti dice niente? Perchè non provi a chiederlo alla mia ragazza
cosa ne pensa?"
"Ooooh...
devi mollarla quella... è una stronza..."
"Oh!
Allora? Cos'è sta storia? Non insultare Emma va bene?"
"Madonna
ti ho solo chiesto di recitare in uno spettacolo! Mica di farti l'Ale! Ma si
vede che non sei buono..."
"Ma
vai a cagare va..."
"Va
beh... come ti pare..."
Gli
altri ci guardavano con i tipici sguardi di chi non sa quanto brutta è la piega
che sta prendendo la situazione. Io rimasi a guardare Ottanta seduto sulla
sedia.
"Oh
va bene! Se è così importante lo farò... cosa devo fare? L'albero?"